SlideShare uma empresa Scribd logo
1 de 24
Baixar para ler offline
MARCO KROGH
NOTAIO
1
L’AUTONOMIA PRIVATA NELLA FAMIGLIA
LEGITTIMA E NELLE CONVIVENZE
di
Marco Krogh
oooOOOooo
SOMMARIO : 1.1 INTRODUZIONE – LE NORME INDEROGABILI - 1.2. L’AUTONOMIA PRIVATA ED I
VALORI COSTITUZIONALI - 1.3. IL DIRITTO DI SPOSARSI ED IL DIRITTO DI FORMARSI UNA
FAMIGLIA - LA PLURALITA’ DI MODELLI DI CONVIVENZE DI TIPO FAMILIARE - 1.4. IL DISEGNO
DI LEGGE SUI DI.CO. - 1.5. IL REGIME PRIMARIO ED IL REGIME SECONDARIO DELLA FAMIGLIA –
GLI ACCORDI IN VISTA DELLA CRISI DEL MATRIMONIO - 1.6. L’AUTONOMIA NEGOZIALE NELLE
UNIONI DI FATTO - 1.7. L’AUTONOMIA PRIVATA NEL REGIME SECONDARIO DELLA FAMIGLIA -
RIFIUTO DEL COACQUISTO – CONVENZIONI DI SEPARAZIONE COMPLESSA.
oooOOOooo
1.1 INTRODUZIONE – LE NORME INDEROGABILI
L’area tematica che ho scelto per la mia relazione è particolarmente estesa
andando a coprire aspetti che, nel diritto di famiglia, coinvolgono:
- i rapporti personali e patrimoniali all’interno della famiglia, - gli accordi
prematrimoniali,
- gli accordi in vista di eventuali crisi matrimoniali, - la rilevanza giuridica delle
unioni di fatto,
- i multiformi modelli di famiglia di fatto (famiglia ricomposte, convivenze
omosessuali, famiglia naturale, etc),
- la possibilità per i coniugi di dotarsi di regimi convenzionali alternativi a quelli
tipici previsti nel codice civile,
- la possibilità per i conviventi di autoregolamentare i rapporti personali e
patrimoniali che nascono da una convivenza,
- la possibilità di creare degli ammortizzatori in caso di rottura di convivenze che
hanno avuto una certa durata.
E’ evidente che un esame approfondito di tutti gli aspetti sopra riportati
richiederebbe un approfondimento che mal si concilia con i tempi e lo spazio della
presente relazione. Mi limiterò, quindi, ad offrire qualche spunto di riflessione ed una
messa a fuoco su una materia in cui il quadro normativo, salvo lievi modifiche è fermo
MARCO KROGH
NOTAIO
2
alla riforma del 1975 mentre le fattispecie disciplinate sono in rapida e continua
evoluzione.
Le relazioni familiari e parafamiliari sono vicende condizionate dall’evoluzione dei
costumi e dalle pressioni culturali presenti in determinati momenti storici, in cui il diritto
può intervenire ed imporre modelli comportamentali nei limiti in cui tali modelli non
sono avulsi dal comune sentire sociale.
Come notaio e come operatore del diritto non posso non notare che sebbene
questi temi, in dottrina ed in giurisprudenza, non possono più definirsi “abbastanza
inesplorati” (Franzoni, I contratti tra conviventi «more uxorio», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, p.
737 ss.; ID., Le convenzioni patrimoniali tra conviventi more uxorio, in Il diritto di famiglia, Trattato
diretto da G. Bonilini e G. Cattaneo, II, Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 1997, p. 461
ss) essendosi, ormai acquisite certezze su più di un aspetto, sussiste, invece, un raro
ricorso, da un punto di vista pratico, agli strumenti offerti dalla più attenta dottrina per
offrire soluzioni alle problematiche neoemergenti sia dal nuovo atteggiarsi delle relazioni
all’interno della famiglia legittima e sia dalle nuove relazioni riconducibili a nuovi modelli
di convivenza familiare.
Nella pratica notarile è veramente raro trovarsi di fronte convenzioni matrimoniali
atipiche o ad accordi patrimoniali tra conviventi; più frequentemente ci si trova di fronte
a richieste dirette ad escludere un singolo bene dalla comunione legale dei beni, al di
fuori delle ipotesi previste dall’art. 179 c.c., ovvero a risolvere problematiche emergenti
da conflitti d’interessi emergenti nelle crisi matrimoniali o in vista di crisi matrimoniali.
Ciò probabilmente è dovuto, almeno per i notai, al timore di incorrere in una
violazione dell’art. 28 della legge notarile che spesso dilata eccessivamente la portata ed il
significato delle norme inderogabili sacrificando lettura ed interpretazione delle norme
più adeguate all’evoluzione dei costumi e della società. Aspetto quest’ultimo
costantemente presente nelle relazioni familiari e parafamiliari particolarmente sensibili ai
mutamenti sociali e culturali.
Con espressione efficace, il diritto di famiglia è stato definito come un’isola che
può essere solo lambita dal mare del diritto. Attualmente, tuttavia, l’interprete si trova di
fronte non più ad un’isola ma ad un arcipelago in cui coesistono una pluralità di modelli
familiari e parafamiliari che si riflettono nello specchio del diritto per essere riconosciuti
ed assumere rilevanza giuridica (G.Frezza, Premessa, in Trenta anni dalla riforma del diritto di
famiglia, a cura di Giampaolo Frezza, collana di studi diretta da Vincenzo lojacono, Giuffrè editore,
2005, pag VII e segg,).
La famiglia e, più in generale, le relazioni familiari e parafamiliari, non può che
essere un prius rispetto alla norma giuridica. Il dato sociale e culturale preesiste rispetto al
dato giuridico e ne condizionala, a monte, la formazione ed, a valle, l’interpretazione e
l’applicazione in un processo di costante evoluzione della norma giuridica.
MARCO KROGH
NOTAIO
3
Così, mentre nel diritto privato, assistiamo ad un vigoroso sforzo volto alla
realizzazione di un diritto europeo dei contratti, sollecitato dalle esigenze di un mercato
unico sempre più globalizzato, ciò non avviene nel diritto di famiglia e nelle successioni,
aree meno sensibili alle pressioni emergenti dalla progressiva globalizzazione. Il concetto
di famiglia è radicato nella cultura di ogni popolo e rappresenta il punto di approdo della
storia sociale e culturale di un popolo. Non è immaginabile trasferire tout court istituti
familiari di altre culture nel nostro ordinamento (si pensi, ai casi estremi della poligamia
o del ripudio che sono espressione di frammenti di cultura estremamente distanti dai
nostri valori fondamentali).
Tuttavia, non può negarsi che la progressiva integrazione con altre culture,
favorita dalla forte immigrazione, possa portare, in una prospettiva futura, ad uniformare
istituti appartenenti al diritto di famiglia, quanto meno nei principi ispiratori
dell’eguaglianza, della pari dignità e della solidarietà, da assumere come principi di ordine
pubblico internazionale ed espressione di valori irrinunciabili e di portata universale
(M.C. Andrini, L’autonomia privata dei coniugi tra status e contratto – Le convenzioni coniugali, G.
Giappichelli editore – Torino, 2006, pag. 15 e segg.).
Abbandono queste tematiche per non allargare eccessivamente il discorso che, da
un lato, si propone di mettere a fuoco gli aspetti che riguardano l’autonomia privata
all’interno della famiglia legittima e delle convivenze e, da altro lato, si propone di
indagare sui valori espressi dalle norme inderogabili all’interno di un micro-sistema e,
quindi, verificare se detti valori, presidiati da norme inderogabili, siano patrimonio
esclusivo della famiglia legittima o rispondano a più generali istanze di solidarietà e di
tutela che possono emergere da altre tipologie di convivenze di tipo familiare o
parafamiliare.
Innanzitutto, va precisato che per autonomia privata intendiamo la facoltà,
riconosciuta dall’art. 1322 c.c. ai privati, di regolamentare in piena libertà i propri
rapporti, con il limite della meritevolezza degli interessi perseguiti e del rispetto delle
norme inderogabili.
L’art. 1322 c.c. espressamente dispone: ”Le parti possono liberamente determinare il
contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge.
Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina
particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento
giuridico.”
Per quanto riguarda l’analisi della meritevolezza degli interessi perseguiti,
l’approfondimento esorbita dagli ambiti della presente relazione, coinvolgendo il
significato di “causa negoziale” in costante revisione anche da parte della giurisprudenza
(cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10490). Può osservarsi, tuttavia, che eventuali accordi di
natura patrimoniale tra conviventi sembrano non trovare ostacoli sotto quest’aspetto
sulla base della considerazione che degna di protezione appare ogni pattuizione la quale
si prefigga di evitare liti future e di fornire un minimo di sicurezza economica al partner
MARCO KROGH
NOTAIO
4
«debole» (G. Oberto, Gli accordi preventivi sulla crisi coniugale, in
http://www.geocities.com/CollegePark/Classroom/6218/famiglia.htm (5 maggio 2008).
Per quanto riguarda, invece, la compatibilità dell’autonomia contrattuale con i
limiti imposti dalla legge, va osservato che le norme inderogabili perimetrano aree
inaccessibili alla libera autodeterminazione perché poste a presidio di interessi generali e
di valori fondamentali che non consentono intrusioni da parte dei privati.
Il notaio, nello svolgimento della sua funzione di adeguamento della volontà delle
parti, svolge il ruolo comunemente denominato di gatekeeper, ossia di “guardiano del
cancello” della legalità; in buona sostanza, il notaio deve presidiare proprio queste aree
sottratte all’autonomia privata.
Nel diritto di famiglia le norme inderogabili si pongono poi in una prospettiva del
tutto particolare, proprio per la presenza di valutazioni sociali e culturali che possono
influenzare e condizionare la lettura e l’interpretazione di una norma giuridica.
Invero, i rapporti personali e patrimoniali all’interno della famiglia sono
disciplinati da un gruppo di norme che rappresenta lo statuto del coniuge e che
attribuisce a ciascun componente la famiglia una serie di diritti, doveri, obblighi poteri, il
cui contenuto è, per lo più, soggetto a limiti inderogabili dalle parti.
Come vedremo, alle parti è lasciata la libertà di integrare e specificare il contenuto
dei rispettivi doveri ed obblighi, all’interno di limiti inderogabili costituiti
dall’eguaglianza, dalla pari dignità e dalla solidarietà reciproca.
Il riferimento normativo, ai principi inderogabili, che costituiscono le fondamenta
dello statuto del coniuge, è offerto, da un lato, dagli artt. 143, 144 e 147 del c.c. e, da
altro lato, dagli artt. 159 e 160 del c.c.. dalla lettura combinata delle citate disposizioni
prende origine la distinzione tra regime “primario” e regime “secondario” della famiglia.
Il regime primario è l’insieme delle norme inderogabili che mirano ad assicurare i
più volte ripetuti principi di eguaglianza, reciprocità dei doveri, pari dignità, solidarietà
all’interno della famiglia, ponendo una serie di doveri, obblighi, poteri, diritti e facoltà nei
confronti non solo dei coniugi, ma della generalità dei componenti la famiglia.
A presidio del cd. regime primario della famiglia è posto l’art. 160 del c.c. che
espressamente dispone: “Gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge
per effetto del matrimonio”.
La peculiarità è data dal fatto che i medesimi rapporti che nascono dal regime
primario della famiglia se collocati al di fuori della famiglia, possono o perdere il loro
carattere di inderogabilità o entrare in conflitto e recedere rispetto ad altre norme
inderogabili che rispondono a valori di grado superiore rispetto ad altri valorizzati
esclusivamente all’interno della famiglia.
MARCO KROGH
NOTAIO
5
In altri termini, determinati rapporti regolati da norme ritenute essenziali
all’interno di un menage familiare “legittimo” e, quindi inderogabili dai coniugi, se
collocati e regolamentati al di fuori della famiglia legittima, possono costituire violazione
di norme inderogabili di diritto comune e pertanto rientrare in aree sottratte alla libera
autoregolamentazione privata.
Un determinato obbligo, dovere o potere può costituire un valore se collocato
all’interno della famiglia legittima ed un disvalore se collocato al di fuori della famiglia
legittima ovvero entrare in un area di indifferenza giuridica.
Si pensi ad esempio all’obbligo di fedeltà reciproco sancito dall’art. 143 del c.c.:
all’interno della famiglia legittima la sua violazione può essere causa di addebito della
separazione. In una convivenza, al contrario, un vincolo giuridico alla fedeltà non è
configurabile, anzi un eventuale accordo diretto ad obbligare un partner alla fedeltà è
ritenuto nullo perché contrario all’ordine pubblico, limitando una libertà fondamentale
dell’individuo.
Si pensi, ancora, alla comunione legale, come regime diretto a regolamentare
un’equa distribuzione della ricchezza acquisita dai coniugi nel corso della vita
matrimoniale in funzione perequativa, mediante l’effetto di acquisizione automatica
prodotto dall’art. 177 lett. a). Questo istituto assicurando la realizzazione di quei valori
ritenuti fondamentali all’interno della famiglia legittima si colloca su un piano di
specialità rispetto al divieto espresso dall’art. 771 del c.c. di donazione di beni futuri che
risponde a principi condivisibili nel diritto comune, ma non all’interno dei rapporti tra
coniugi .
In una convivenza, di conseguenza, se due soggetti non legati da vincolo
matrimoniale volessero regolare i loro rapporti in analogia alla comunione legale si
troverebbero di fronte all’ostacolo posto dall’art. 771 c.c. essendo soggetti alle norme di
diritto comune.
E’ evidente che a fronte di determinati trattamenti privilegiati concessi a coloro
che acquisiscono un determinato status la legge prevede come rovescio della medaglia
anche oneri, doveri e responsabilità.
Da quest’ultimo angolo prospettico, l’esame del modo e delle possibili esplicazioni
“in negativo” dell’autonomia privata va condotto verificando in che misura è data la
possibilità alle parti, in un rapporto duraturo di convivenza di tipo familiare, di sottrarsi
ad ogni regolamentazione giuridica, lasciando sfornito di ogni tutela il soggetto più
debole del rapporto in omaggio ad un’indiscriminata libertà di autodeterminazione a
tutela della famiglia legittima.
1.2. L’AUTONOMIA PRIVATA ED I VALORI COSTITUZIONALI
Probabilmente da qui partono i temi che meritano specifiche riflessioni:
MARCO KROGH
NOTAIO
6
In che misura le norme che troviamo all’interno del diritto di famiglia sono
espressione unica di valori riconducibili alla sola famiglia legittima non
estensibili anche ad altre forme di convivenza familiare ?
In che misura, gli obblighi, i doveri, i rapporti all’interno della famiglia
legittima possono volontariamente essere modificati, senza violare le
norme inderogabili poste a presidio dei caratteri fondamentali della famiglia
stessa ?
In che misura è possibile tutelare posizioni che appaiono meritevoli di
tutela in una convivenza di tipo familiare non sorretta dal matrimonio,
all’interno di un concetto di solidarietà che esiste anche al di fuori della
famiglia legittima ?
In che misura i conviventi possono regolamentare i reciproci rapporti,
dotandosi volontariamente di norme che possono più o meno ricalcare
quelle che disciplinano la famiglia legittima?
Un dato è certo: le risposte a questi ed altri interrogativi non potranno mai avere
un carattere di assolutezza, essendo condizionati, dai valori sociali emergenti in un
determinato momento storico in grado di condizionare e piegare il dato giuridico.
Ripercorrendo la giurisprudenza degli ultimi trent’anni è facile rilevare il modo in
cui l’evoluzione dei costumi ed una maggiore sensibilità alle tematiche inerenti la
solidarietà e la tutela dei soggetti più deboli abbiano abbia influenzato e fatto emergere
nuove letture delle norme su questi temi (sull’interpretazione creativa della giurisprudenza, cfr.
cass. S.U. 1136 del 19 gennaio 2007).
Per prendere, comunque, una posizione corretta sulle tematiche proposte è
opportuno partire da una lettura delle norme costituzionali (artt. 2 e 29) che fissano i
principi regolatori della famiglia e più in generale delle formazioni sociali.
Come premessa generale, va ricordato, che al centro dell’attenzione del Legislatore
costituente è l’individuo e lo sviluppo della personalità dell’individuo, talché sia la
famiglia che più in generale le formazioni sociali sono sovrastrutture a servizio
dell’individuo; la solidarietà va affermata in funzione della persona e non il contrario.
La concezione della famiglia di tipo “istituzionale”, volta a realizzare interessi
superindividuali sotto la guida autoritaria del capo famiglia, costituisce un modello di
famiglia assolutamente superato dall’attuale modello di famiglia “costituzionale” che
rappresenta, al contrario, un mezzo al servizio dell’individuo, un strumento di
protezione, di crescita e di formazione dei singoli componenti.
L’art. 2 espressamente enuncia: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede
l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
MARCO KROGH
NOTAIO
7
L’art. 29, a sua volta, dispone: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società
naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti
dalla legge a garanzia dell’unità familiare.”
Il dato che emerge da una prima lettura dell’art. 29 riguarda l’apparente
contraddizione, definita ossimoro (R. Bin, Rivista Lavori e Diritto, Famiglia, lavoro, diritto:
Combinazioni possibili La famiglia: alla radice di un ossimoro, Le edizioni del Mulino, n. 1 anno
2001), presente nella norma: ci si chiede se la famiglia come modello di relazioni umane
appartenga al diritto naturale o se sia creazione dell’ordinamento giuridico.
In realtà, entrambi i dati coesistono e sono conciliabili, nella misura in cui gli
elementi che caratterizzano l’istituto familiare sono espressione di valori condivisi in un
determinato contesto sociale e costituiscono un prius rispetto alla norma giuridica che
può aggiungere, a questo dato preesistente, una regolamentazione diretta a rafforzare ed
a proteggere quei valori essenziali già presenti all’interno della società, ma non sostituirli
o crearne dei nuovi avulsi dalla coscienza sociale.
La norma giuridica si pone, quindi, come un posterius , rispetto al dato naturale, sia
nella sua formazione e sia nella sua interpretazione ed applicazione.
1.3. IL DIRITTO DI SPOSARSI ED IL DIRITTO DI FORMARSI UNA
FAMIGLIA - LA PLURALITA’ DI MODELLI DI CONVIVENZE DI TIPO
FAMILIARE
Probabilmente quando la Costituzione fu scritta si dava per scontata una
coessenzialità tra matrimonio, inteso come atto e famiglia, intesa come rapporto che
discendeva dall’atto di matrimonio (N.Lipari, riflessioni sul matrimonio a trent’anni dalla
riforma del diritto di famiglia, in Trenta anni dalla riforma del diritto di famiglia, a cura di Giampaolo
Frezza, collana di studi diretta da Vincenzo lojacono, Giuffrè editore, 2005, pag 17 e segg.).
Attualmente i due aspetti sono logicamente e concettualmente distinti: il diritto di
sposarsi ed il diritto di formarsi una famiglia meritano considerazioni e tutela di intensità
diversa. Il secondo invoca una tutela dell’ordinamento anche al di fuori dell’atto di
matrimonio, laddove sono in gioco posizioni che invocano protezione in ragione del
dovere fondamentale di solidarietà
L’articolo II -69 della Costituzione europea sul punto espressamente dispone:
Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia - Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire
una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio.
A questo punto, però, può essere interessante indagare su quale sia l’arché
tipologico preso in considerazione dal Legislatore e quali siano gli altri modelli di
convivenza di tipo familiare che comunque riscontriamo in modo più o meno diffuso
all’interno della nostra società.
MARCO KROGH
NOTAIO
8
Ancora più a monte può essere interessante indagare su cosa si debba intendere
per famiglia e per convivenza di tipo familiare.
Il termine “famiglia” è emblematico della forte relatività e storicità delle
espressioni giuridiche. Il concetto di famiglia è intuitivamente diverso a seconda del
momento storico in cui è collocato, a seconda dell’area culturale in cui è considerato
(L.Rossi e E. Bellisario, La Famiglia, in Famiglia e sucessioni, Le forme di circolazione della
ricchezza familiare, G. Giappichelli editore, 2005, pag. 11 e segg.). Si pensi, ad esempio, alla
famiglia di fine ottocento che richiama contenuti ben diversi rispetto alla famiglia così
come la intendiamo oggi o alla famiglia nella cultura araba al cui interno le relazioni ed il
ruolo dei partecipanti sono assolutamente diversi da quelli disciplinati nel nostro
ordinamento e presenti nella cultura occidentale.
Nonostante queste marcate diversità il termine “famiglia” appartiene, quasi in
modo innato, al precompreso (Cfr. Michele Ainis, La Legge Oscura, ed. Laterza, 2002, pag.
142 e ss., che cita Hans Georg Gadamer, maestro di ermeneutica) di ciascuno di noi, tant’è che
indicare un qualcosa a noi ben noto e che già conosciamo diciamo che è “familiare”.
Tuttavia, all’interno di una società è ben possibile la coesistenza di diversi modelli
di famiglia, in concorrenza tra loro, con una gradazione di privilegi e di tutela giuridica;
alcuni riconosciuti e tutelati, altri tollerati, altri addirittura avversati.
Può essere utile, quindi, definire la famiglia, nel suo significato di formazione
sociale naturale, partendo da quelli che possono essere ritenuti gli elementi minimi
distintivi che consentano di cogliere con immediatezza la differenza tra una convivenza
di tipo familiare da una mera convivenza. Uno o più elementi minimi riconoscibili in
tutti i modelli di famiglia, ai quali di volta in volta aggiungere altri elementi o requisiti al
fine di distinguere un modello di famiglia rispetto ad un’altra.
Quali sono le caratteristiche peculiari che distinguono ciò che noi istintivamente
riteniamo che sia una “famiglia” rispetto, ad esempio, ad una convivenza in una caserma,
in una casa di cura o in un’associazione di volontariato (F. Bocchini, Le vite convissute more
uxorio, una disciplina possibile, in Le convivenze familiari, diritto vivente e proposte di riforma, a cura
di f. Bocchini, G. Giapppichelli editore, 2005, pag. 3e segg. ).
E’ condivisibile la definizione di chi (F. Bocchini, …cit.), ritiene la convivenza
familiare “una qualificata comunità di vita, caratterizzata da comunione spirituale e materiale tra i
partecipanti alla stessa: luogo degli affetti e della solidarietà, dove si realizza la sintesi delle aspirazioni e
dei diritti individuali e dove l’adempimento dei doveri è avvertito come esplicazione della propria
personalità e dunque della tensione realizzare una comunità di affetti”.
Il tratto distintivo, a mio giudizio, è dato dalla reciproca volontà di creare una
comunione materiale e spirituale non occasionale, un progetto di vita in comune con una
apprezzabile stabilità.
MARCO KROGH
NOTAIO
9
La comunione materiale e spirituale che fa da collante ad una convivenza di tipo
familiare, si arricchisce di volta in volta di ulteriori requisiti che consentono di
distinguere un modello da un altro.
Il modello di convivenza familiare preso in considerazione dal legislatore italiano,
tuttavia, si arricchisce di ulteriori elementi quali la diversità di sesso e la finalità, almeno
tendenziale, alla procreazione naturale.
Accanto a questo modello familiare oggi troviamo ulteriori modelli nei quali
scompare del tutto la finalità diretta alla procreazione, almeno naturale, ma che si
caratterizzano per l’identità di sesso dei partners ovvero convivenze che hanno quale
finalità prioritaria l’assistenza reciproca.
Spesso ad alcuni di questi modelli familiari è precluso il diritto di
matrimonializzare la convivenza, così come avviene per le coppie omosessuali; altre volte
il mancato matrimonio corrisponde ad una libera scelta dei partners .
Nel primo caso, dunque, i conviventi potrebbero aver interesse o la volontà di
accedere al matrimonio, ma ciò gli è precluso; per i secondi, al contrario, la convivenza al
di fuori del matrimonio è frutto di una scelta volontaria: i conviventi non intendono
assumere i doveri e gli obblighi che nascono dall’atto di matrimonio.
Per entrambi i modelli di convivenze, tuttavia, si presentano i medesimi
interrogativi, probabilmente con un’intensità diversa dovuta al rispetto delle libere scelte
dei conviventi:
- il mancato riconoscimento giuridico per l’assenza dell’atto di matrimonio
pone queste relazioni in un’area di indifferenza giuridica o è possibile
immaginare automatismi normativi a tutela dei soggetti più deboli,
soprattutto nel momento di crisi della convivenza, invocando un
superiore principio di solidarietà, espresso nell’art. 2 della Costituzione ?;
- è possibile ai conviventi autoregolamentare la propria relazione in
funzione della reciproca solidarietà ?
Va rammentato che la Corte Costituzionale con la sentenza n.352 del 2000 ha
confermato la ragionevolezza della diversità di trattamento tra i rapporti che nascono
dalla famiglia e da una convivenza more uxorio: venendo in rilievo, con riferimento alla
prima, a differenza che rispetto alla seconda, non soltanto esigenze di tutela delle
relazioni affettive individuali, ma anche quella della protezione dell’«istituzione
familiare», basata sulla stabilità dei rapporti (Corte Cost. sentenza n. 8 del 1996): la
convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale, e a questo non meccanicamente
assimilabile al fine di desumerne l’esigenza costituzionale di una parificazione di
trattamento: essa, infatti, manca dei caratteri di stabilità e certezza propri del vincolo
coniugale, essendo basata sull’affectio quotidiana, liberamente ed in ogni istante revocabile
(Corte Cost. sentenza n. 8 del 1996; sentenza n. 423 del 1988; ordinanza n. 1122 del 1988).
MARCO KROGH
NOTAIO
10
Ciò non significa, tuttavia, che la convivenza, priva del matrimonio sia degradabile
a mero fatto al di fuori di ogni rilevanza giuridica (N. Lipari,. ..cit.).
Nel nostro ordinamento sono previste forme d’intervento ogni qual volta sono in
gioco interessi costituzionalmente protetti, al di là della volontà delle parti di
regolamentare o di contrattualizzare il rapporto (si pensi, ad esempio, al rapporto di
lavoro).
Invero, ciò che si lamenta non è una assenza totale di ogni considerazione dei
rapporti e delle situazioni che possono nascere da una unione di fatto, ma la mancanza di
una disciplina generale. Ci sono stati numerosi interventi della corte costituzionale diretti
a colmare vuoti normativi, soprattutto nei casi in cui era necessario valorizzare
correttamente interessi costituzionalmente protetti, si pensi all’intervento della corte
costituzionale che ha esteso il subentro del contratto di locazione al convivente,
riconoscendo la prevalenza del diritto di abitazione come valore di rango costituzionale.
Altri interventi sono riscontrabili nel codice di procedura penale, sul diritto di astensione
del convivente dalla testimonianza in funzione di una prevalente considerazione della
lealtà dei rapporti, così come in materia di assistenza sanitaria, in tema di assegnazione
della casa familiare in presenza di figli naturali, in tema di ricusazione di un arbitro, in
tema di amministrazione di sostegno (art. 408 c.c.), in tema di istanza d'interdizione o di
inabilitazione (art. 407 c.c., come novellato dalla Legge n. 6/2004 istitutiva
dell'amministrazione di sostegno ed art. 424 c.c. che, come novellato, rinvia al predetto
art. 408 c.c. per l'individuazione della persona più idonea all'incarico di tutore
dell'interdetto e di curatore dell'inabilitato) e, da ultimo, nella disciplina degli obblighi
antiriciclaggio riferiti al convivente della persona politicamente esposta.
1.4. IL DISEGNO DI LEGGE SUI DI.CO.
Quale paradigma astratto che può essere preso in considerazione, anche se in
modo critico, quale risposta all’esigenza di una regolamentazione generale delle unioni di
fatto, abbiamo il disegno di legge sui DI.CO., approvato dal Consiglio dei ministri
all’inizio del 2007, che ha dettato una regolamentazione estesa ad una pluralità di
convivenze anche non propriamente di tipo familiare.
E’ questo un disegno di legge che, probabilmente, per le numerose critiche che ha
suscitato e per il cambio di Governo, difficilmente diventerà legge. Tuttavia, è
interessante farne cenno per gli spunti di riflessione che offre.
Innanzitutto, il disegno di legge ci offre una definizione generale di convivenza
giuridicamente rilevante, puntualizzandone, all’articolo 1, i requisiti positivi e negativi.
I primi due requisiti riguardano la limitazione numerica della convivenza a due
persone e la possibilità che le stesse siano dello stesso sesso. Quest’ultimo è l’elemento
di rottura più rilevante rispetto al concetto tradizionale di famiglia offrendo
riconoscimento giuridico ad un tipo di convivenza diffusa e socialmente accettata nella
MARCO KROGH
NOTAIO
11
generalità dei casi e giustificata dall’evoluzione dei costumi e della morale, sebbene
lontana dall’immagine della famiglia il cui fine essenziale è la procreazione.
Ulteriori requisiti sono la maggiore età e la capacità delle persone conviventi.
Dunque, rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio non è previsto un istituto analogo
all’emancipazione.
Accanto a questi requisiti che riguardano i soggetti, il disegno di legge prevede poi,
determinati requisiti relativi alla “relazione” e, precisamente: la coabitazione stabile, la
reciprocità dei vincoli affettivi ed il dovere di reciproca assistenza e solidarietà materiale e
morale.
Quest’ultimo è un riferimento a quella comunione di vita materiale e spirituale
(communio omnis vitae) che costituisce un connotato essenziale di qualunque famiglia,
concetti più percepibili che definibili, soprattutto giuridicamente.
Ciò che, invece, va evidenziato, rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio è la
maggior libertà consentita all’interno di questa tipologia unione di fatto: non è prevista
l’assunzione di un obbligo reciproco di fedeltà, inteso nel suo significato più generale,
non riferito alla sola sfera sessuale, ma comprendente un più generico dovere di
reciproca lealtà, non è previsto un obbligo di collaborazione reciproca nell’interesse della
famiglia, nulla è previsto in ordine all’indirizzo comune della vita familiare, nulla è
previsto sul dovere di contribuzione per fronteggiare i bisogni della famiglia.
All’interno di questo modello improntato alla massima libertà, i ruoli dei
conviventi potranno continuare ad essere caratterizzati da sostanziali squilibri nei
confronti del soggetto più debole, temperati dal mero impegno reciproco alla solidarietà
materiale e morale.
Quali requisiti di carattere negativo la cui esistenza pone l’eventuale convivenza al
di fuori dell’area disciplinata dal disegno di legge abbiamo:
1. l’esistenza di un vincolo matrimoniale tra un convivente ed un terzo;
2. un rapporto di parentela in linea retta entro il secondo grado (genitori e
figli, nonni e nipoti);
3. un rapporto di affinità in linea retta entro il secondo grado (coniuge e figli
dell’altro coniuge, genitore di un coniuge con figli dell’altro coniuge);
4. un rapporto di adozione o di affiliazione;
5. una relazione di tutela, curatela o di amministratore di sostegno. In questi
ultimi casi, tuttavia, il requisito negativo sembra ripetitivo rispetto
all’enunciazione iniziale che prevede la capacità come requisito positivo per
rientrare nell’ambito di applicazione disciplinato dalle nuove norme.
MARCO KROGH
NOTAIO
12
La durata della convivenza - sebbene elemento funzionale alla stabilità della
convivenza stessa -, è presa in considerazione solo per il sorgere di specifici diritti.
La mera convivenza è assunta quale elemento sufficiente per esercitare i diritti in
materia di assistenza per malattia e ricovero, per designare l’altro convivente quale
soggetto incaricato a prendere decisioni in materia di salute ed in caso di morte, per
consentire il rilascio del permesso di soggiorno per convivenza ad un cittadino
extracomunitario, per ottenere il diritto di iscrizione anagrafica per il cittadino
dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. di attuazione della direttiva
2004/38/CE, per acquisire un requisito positivo ai fini dell’assegnazione di alloggi di
edilizia pubblica, per aver diritto a partecipare agli utili d’impresa dell’azienda del partner,
in caso di prestazione di attività lavorativa.
Sarà necessario un periodo di convivenza perdurante almeno tre anni, per far
sorgere il diritto alla successione nel contratto di locazione, a far sorgere obblighi
alimentari, per ottenere le agevolazioni nei trasferimenti e nelle assegnazioni di sede,
nell’ambito del rapporto di lavoro pubblico e privato.
Per maturare i diritti successori è invece disposto che dall’inizio della convivenza
siano trascorsi almeno nove anni.
Non è prevista alcuna forma specifica di iscrizione se non quella nei registri
anagrafici, in conformità agli artt. 4, 13 comma 1 lett. b) del d.p.r. 30 maggio 1989 n.223.
Nulla dispone la legge per il caso di interruzione e ripresa della convivenza, se, in
altri termini, è possibile ricongiungere per i suddetti fini più periodi di convivenza.
Sembra che non sia previsto, quindi, un istituto analogo a quello della “riconciliazione”
adattato alle unioni di fatto.
1.5. IL REGIME PRIMARIO ED IL REGIME SECONDARIO DELLA
FAMIGLIA – I FIGLI NATURALI - GLI ACCORDI IN VISTA DELLA CRISI
DEL MATRIMONIO
Accennate, in via di prima approssimazione, le problematiche inerenti i rapporti di
convivenze, nel loro modo multiforme di porsi, non è possibile andare oltre senza
accennare al contenuto degli art. 143, 144 e 147 del c.c. che rappresentano la spina
dorsale della famiglia legittima e che presidiano quei valori fondamentali che possono
sintetizzarsi nell’eguaglianza, nella solidarietà, nella reciprocità dei doveri,
nell’equiparazione del lavoro domestico rispetto al lavoro svolto all’esterno della famiglia
che assicura la pari dignità dei coniugi.
Gli articoli menzionati costituiscono quello che comunemente è definito il regime
primario della famiglia costituito: dall’obbligo reciproco di fedeltà, dall’obbligo reciproco
all’assistenza morale e materiale, dal dovere di collaborazione nell’interesse della famiglia,
dall’obbligo di coabitazione, dal dovere, a carico di ciascun coniuge in relazione alle
MARCO KROGH
NOTAIO
13
proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro, professionale o casalingo, a contribuire
ai bisogni della famiglia (art. 143 c.c.).
I coniugi concordano, altresì, tra loro l’indirizzo della vita familiare e ciascun
coniuge ha il potere di attuare l’indirizzo concordato (art. 144 c.c.).
L’art. 147 c.c. riguarda i doveri di mantenere, istruire ed educare i figli, tenendo
conto delle loro capacità, inclinazioni naturali ed aspirazioni.
Tralascerei i doveri nei confronti dei figli perché, sotto quest’aspetto, abbiamo
una perfetta equiparazione tra genitori legittimi e genitori naturali.
I doveri dei genitori nei confronti dei figli non possono essere messi in
discussione dall’esistenza o meno di un atto di matrimonio. La Corte costituzionale e la
giurisprudenza hanno compiuto costantemente un’opera demolitoria di quasi tutte le
norme che, in qualche modo, discriminavano i figli naturali rispetto ai figli legittimi.
Vale la pena ricordare un emendamento proposto dall’onorevole Rosi Bindi non
ancora formalizzato in un provvedimento normativo, diretto ad eliminare le ultime
norme discriminatorie tra figli legittimi e naturali. Mi riferisco al mancato legame dei figli
nati fuori dal matrimonio - 80mila ogni anno, il 15% dei nati - con le famiglie dei
genitori: niente nonni né zii, né cugini, per loro..
Si tratta di una discriminazione di carattere sostanziale e che può avere effetti
pregiudizievoli per i figli naturali, al di fuori di ogni ragionevolezza. Si pensi, ad esempio,
all’ipotesi in cui i genitori del bambino muoiono, il bimbo non avendo nessun legame
con il resto della famiglia, in casi estremi, potrebbe addirittura essere dato in adozione a
estranei ed, in ogni caso è escluso dall'asse ereditario, per cui non erediterà nulla dai
nonni; nonostante l'articolo 30 della Costituzione dica che "la legge assicura ai figli nati fuori
dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale".
L’onorevole Bindi lo scorso anno chiese al Parlamento di poter agire sul tema
mediante un ddl che si articolava in tre punti:
1. modifica l'articolo 315 del Codice Civile: "le disposizioni in tema di
filiazioni si applicano a tutti i figli senza distinzioni".
2. delega di un anno al governo per eliminare ogni residua discriminazione ed
espressa previsione che "il riconoscimento produce effetti anche nei
confronti dei parenti del genitore che lo effettua".
3. disposizioni di adeguamento del Regolamento dello Stato civile.
In questa medesima linea di tendenza, va ricordata, da ultimo, la riconosciuta
possibilità, in caso di filiazione naturale e di cessazione della convivenza di assegnare la
casa “familiare” al convivente al quale è affidato il minore (o il maggiorenne sprovvisto
di mezzi) e di trascrivere il relativo atto.
MARCO KROGH
NOTAIO
14
Chiusa la parentesi relativa agli obblighi nei confronti dei figli, va, innanzitutto,
evidenziato che mentre il regime patrimoniale primario impegna tutti i componenti la
famiglia nel dovere di reciproca contribuzione, il regime patrimoniale secondario è
diretto a disciplinare i soli rapporti tra i coniugi.
In secondo luogo, può osservarsi che sebbene l’art. 160 c.c. afferma
l’inderogabilità degli obblighi sopra enunciati, gli sposi possono determinare un
contenuto specifico agli obblighi stessi, senza violare il principio dell’inderogabilità.
Tant’è che riguardo al dovere di concordare l’indirizzo comune, il prof. Bocchini,
in modo molto efficace, afferma che trattasi di clausola generale che può contenere
modelli familiari diversi, pur nel rispetto della reciprocità dei doveri e dell’eguaglianza tra
i coniugi.
Anche gli altri obblighi, a ben vedere, possono avere un contenuto flessibile
rimesso alla diversa determinazioni degli sposi.
E’ interessante l’analisi condotta da un autore (R.Tommasini, I rapporti personali nella
famiglia, in Trenta anni dalla riforma del diritto di famiglia, a cura di Giampaolo Frezza, collana di
studi diretta da Vincenzo lojacono, Giuffrè editore, 2005, pag 31 e segg) su questi aspetti e sul
possibile diverso modo di atteggiarsi, ad esempio del dovere di fedeltà (attualmente
inteso nella più ampia accezione di reciproca lealtà e non più ridotto alla mera sfera
sessuale) ed al dovere di coabitazione.
Questo per quanto riguarda i rapporti di tipo personale. Per i rapporti di tipo
patrimoniale i reciproci doveri di contribuzione e mantenimento, emergono sotto due
aspetti:
1. sul piano della valenza di eventuali accordi determinativi del
contenuto dei doveri di reciproca contribuzione;
2. sulla possibilità, per i coniugi, di perfezionare accordi vincolanti in
previsione di una crisi matrimoniale.
Sul primo aspetto, va detto che eventuali accordi tra coniugi di natura negoziale
sono leciti e possibili, ma come affermato da un autorevole studioso (E. Russo, il regime
patrimoniale convenzionale. Le convenzioni di separazione dei beni, in Trenta anni dalla riforma del
diritto di famiglia, a cura di Giampaolo Frezza, collana di studi diretta da Vincenzo lojacono, Giuffrè
editore, 2005, pag 65 e segg,) hanno una forza vincolante debole, perché sono soggetti al
clausola implicita del rebus sic stantibus e perché comunque, possono essere messi in
discussione qualora travalichino la soglia dell’inderogabilità posta dall’art. 160 c.c. Questi
accordi, comunque, possono avere una loro valenza soprattutto, da un punto di vista
fattuale, perché idonei a far emergere la volontà reciproca dei coniugi in un determinato
momento della loro vita coniugale.
Per i secondi, gli accordi in previsione di una crisi matrimoniale, nonostante parte
della dottrina (G. Oberto, Gli accordi preventivi sulla crisi coniugale, in
MARCO KROGH
NOTAIO
15
http://www.geocities.com/CollegePark/Classroom/6218/famiglia.htm (5 maggio 2008) G. Oberto, i
contratti di convivenza tra autonomia privata e modelli legislativi, in
http://www.geocities.com/CollegePark/Classroom/6218/famiglia.htm (5 maggio 2008) abbia
messo a nudo più di un’incongruenza dell’attuale posizione della giurisprudenza, sono
generalmente ritenuti nulli perché contrari all’ordine pubblico che non consente di
disporre dello status di coniuge.
Si ritiene, da parte della Suprema Corte, che un accordo al di fuori del giudizio di
divorzio, rischierebbe di condizionare la libertà di difesa di uno o dell’altro coniuge in
sede di divorzio.
Su questa linea, tuttavia, un indirizzo giurisprudenziale, con qualche forzatura
concettuale ha ritenuto che i suddetti accordi possono essere impugnati dal solo coniuge
“debole” (una sorta di nullità relativa di protezione) e non sono più impugnabili dopo il
giudizio di divorzio (una sorta di prescrizione dell’azione di nullità).
Fortemente critico su questo punto G. Oberto (op. cit.), studioso molto attento a
queste problematiche, il quale non esita “a qualificare la giurisprudenza dominante come
altamente «diseducativa», posto che questa finisce con il promuovere il principio secondo cui proprio tra
coniugi, cioè tra soggetti il cui rapporto dovrebbe essere caratterizzato dal massimo livello di affidamento
nel rispetto della parola data, in realtà, pacta… non sunt servanda. E dunque l’accordo di separazione,
faticosamente raggiunto dopo mesi (o anni) di trattative e obiettivamente inteso come solutorio dell’intero
complesso dei rapporti nati da un’unione sbagliata, potrà essere accettato da una delle parti con la
«riserva mentale» di porre tutto nuovamente in discussione al momento del divorzio, così spingendo, tra
l’altro, la prassi a rinvenire soluzioni al limite del lecito e comunque inutili o facilmente frustrabili,
quali, ad esempio, il rilascio di garanzie, o la stipula di simulati contratti di mutuo, risolubili solo
all’atto della conclusione en souplesse della futura procedura di scioglimento del vicolo, e così via.”
Un’ultima notazione, all’interno del regime patrimoniale primario, va fatta per
ricondurre a giusta causa le dazioni a titolo gratuito che i coniugi nelle crisi matrimoniali
effettuano a favore dell’uno o dell’altro ed a favore dei figli.
Si tratta di negozi a titolo gratuito che trovano la loro ragione giustificatrice nelle
finalità assistenzali, contributive e risarcitorie in stretta dipendenza con gli accordi presi
dai coniugi nel concordare l’indirizzo familiare. Sono dazioni che tendono a compensare
l’affidamento riposto da un coniuge sulla stabilità di un rapporto poi entrato in crisi.
Sotto quest’aspetto, può essere interessante indagare e chiedersi fin dove
un’elargizione, anche cospicua è coperta dalla cd. causa familiare sopra menzionata e
dove invece è prospettabile un contenuto donativo (sia pure indiretto) soggetto alla
norma di cui all’art. 809 c.c. Norma quest’ultima posta a presidio anche di interessi
sottratti alla libera disponibilità dei coniugi.
1.6. L’AUTONOMIA NEGOZIALE NELLE UNIONI DI FATTO
Diverso il discorso per le unioni di fatto.
MARCO KROGH
NOTAIO
16
Vanno, innanzitutto, distinti i rapporti personali dai rapporti patrimoniali, al fine
di valutare la possibilità e la liceità per i conviventi di dettare norme dirette a
regolamentare le proprie relazioni.
Eventuali intese dirette a vincolare i conviventi ad un reciproco obbligo di fedeltà,
di coabitazione etc. sono ritenute, in genere, contrarie all’ordine pubblico in quanto
limitative delle libertà fondamentali costituzionalmente protette.
Quando si discorre di contratto di convivenza non si designa l’accordo con cui
due persone si impegnano a convivere more uxorio
Un Autore (G. Oberto, … cit.) ritiene possibile una contrattualizzazione di questi
doveri sotto forma di elargizioni premiali condizionate al rispetto del dovere imposto: Ti
darò 100 se mi sarai fedele, ti darò 100 se tra tre anni coabiterai ancora con me. Sarebbe
invece illecita una penale prevista dalle parti in caso di violazione dei medesimi doveri:
Mi darai 100 se violerai il dovere di fedeltà.
In buona sostanza, secondo tale Autore, un evento - illecito se assunto come
oggetto di un obbligo patrimonializzato mediante una penale -, può, invece, rientrare
nell’area della liceità, se dedotto in una condizione.
Sul piano dei rapporti patrimoniali, i reciproci obblighi e doveri di contribuzione,
mantenimento, collaborazione, assistenza materiale, trovano, all’interno
dell’ordinamento giuridico, una tutela limitata, marginalizzata nell’ambito delle
obbligazioni naturali che, come è noto, da un lato, si limitano ad assicurare l’irripetibilità
della prestazione effettuata e, da altro lato, limitano l’effetto della soluti retentio a ciò che
rientra nei limiti di una funzione indennitaria e/o contributiva, non assicurando il
medesimo effetto, ad esempio, a donazioni (nulle per difetto di forma) aventi ad oggetto
immobili o somme considerevoli.
La possibilità di trasformare l’obbligo morale di contribuzione in un vero e
proprio vincolo giuridico è impedito dall’impossibilità di compiere un atto di
ricognizione o di novazione partendo da un’obbligazione naturale.
Entrambi gli atti presuppongono l’esistenza di una valida e vincolante
obbligazione (G. Oberto, … cit.).
Una soluzione proposta da un Autore (G. Oberto, … cit.) è data dalla possibilità di
dedurre in contratto secondo uno schema di prestazioni sinallagmatiche le reciproche
pretese e doveri di contribuzione, superando, in tal modo il limite posto
dall’impossibilità di novare un’obbligazione naturale.
Il contratto, infatti, ben può avere una sua causa autonoma rispetto
all’obbligazione naturale sussistente tra le parti, anche se tramite esso i contraenti
raggiungano ugualmente lo scopo di dare esecuzione al dovere morale o sociale. Il
risultato può essere ottenuto ponendo la prestazione oggetto dell’obbligazione naturale
in corrispondenza biunivoca con un’altra prestazione, di natura reale o obbligatoria, la
MARCO KROGH
NOTAIO
17
quale a sua volta può costituire oggetto di un’altra obbligazione naturale (per esempio,
Tizio promette a Caio di adempiere nei suoi confronti un’obbligazione prescritta, in
cambio dell’impegno di Caio di saldare a Tizio la residua parte di un debito facente parte
di un concordato fallimentare) (G. Oberto, … cit.).
Se il dovere di contribuzione avrà un solo convivente obbligato, dovrà,
ovviamente utilizzarsi lo schema della donazione.
Non essendo i conviventi non matrimonializzati vincolati dall’art. 160 c.c.
potranno eventualmente stabilire gli obblighi di contribuzione senza rispettare il dovere
di proporzionalità stabilito nell’art. 143 c.c. In altri termini sarà possibile per i conviventi
fissare misure fisse ed eventualmente uguali per entrambi i partners.
L’Autore citato (G. Oberto, … cit.) tra le forme contrattuali utilizzabili per
disciplinare queste ipotesi propone il mantenimento vitalizio, contratto con causa atipica
che si distingue dalla rendita vitalizia per avere ad oggetto non una prestazione di danaro,
ma una prestazione in natura, vitto, alloggio, assistenza materiale.
Il mantenimento vitalizio, potrà avere come controprestazione l’impegno a
svolgere lavoro domestico ovvero altra lecita controprestazione (sicuramente non lo
scambio di favori sessuali) ovvero potrà essere privo di controprestazione ed in
quest’ultimo caso dovrà assumere la forma della donazione.
Al mantenimento vitalizio potrà essere apposta anche una clausola di durata
coincidente con quella della convivenza.
1.7. L’AUTONOMIA PRIVATA NEL REGIME SECONDARIO DELLA
FAMIGLIA – RIFIUTO DEL COACQUISTO – CONVENZIONI DI
SEPARAZIONE COMPLESSA
Abbandonando di nuovo il terreno delle unioni di fatto, per passare alla famiglia
legittima è interessante verificare come può esplicarsi l’autonomia privata dei coniugi
all’interno del regime patrimoniale secondario.
Come è noto, il Legislatore ha previsto come regime che meglio di altri è in grado
di realizzare gli obiettivi di eguaglianza, pari dignità dei coniugi ed equiparazione del
lavoro domestico rispetto a quello svolto all’esterno della famiglia, il regime della
comunione legale dei beni. In base al quale la ricchezza acquisita durante il matrimonio è
redistribuita in base all’effetto automatico previsto dall’art. 177 lett. a) c.c.
Va ricordato che, sebbene in via tendenziale, il suddetto regime sia considerato lo
strumento più diretto per la realizzazione delle finalità evidenziate, è altrettanto vero che
l’adempimento dei doveri familiari reciproci, anche di natura patrimoniale, può avvenire
anche al di fuori del paradigma della comunione legale dei beni.
MARCO KROGH
NOTAIO
18
Una redistribuzione perequativa ella ricchezza acquistata durante il matrimonio è
comunque assicurata dalle norme che regolano gli aspetti patrimoniali in caso di crisi del
matrimonio e le norme successorie.
Un Autore (A. Fusaro relazione dal titolo "Systems of community property and separation of
ownership", tenuto a Brisbane nei giorni 9-13.7.2000, riportata su Rivista di diritto civile, CEDAM,
II,99) ha notato che tra i sistemi in cui vige come regola il regime della separazione dei
beni ed i sistemi in cui vige il sistema della comunione dei beni il punto di convergenza
nella equa distribuzione della ricchezza acquistata dai coniugi durante il matrimonio si
può ravvisare nel diverso momento in cui avviene la perequazione dei beni tra i coniugi
stessi. Al momento dell’acquisto dei beni, nei regimi in cui sussiste la comunione legale,
al momento della cessazione del matrimonio, negli ordinamenti che privilegiano il regime
della separazione dei beni, risolvendosi, sotto certi aspetti, la differenza tra l’uno e l’altro
sistema nelle norme di amministrazione dei beni stessi.
Peraltro, negli ordinamenti in cui prevale il regime della comunione difficilmente
essa ha carattere universale.
Nel nostro ordinamento, come è noto, la comunione legale riguarda solo i beni
acquistati in costanza di matrimonio ed esclude, tutta una serie di beni elencati nell’art.
179 del codice civile, in ragione del titolo d’acquisto (successione, donazione) ovvero in
ragione della finalità del bene diretta a soddisfare necessità strettamente personali di un
coniuge, ovvero perché diretti a compensare la perdita della capacità lavorativa di un
coniuge, ovvero perché destinati alla professione del coniuge, ovvero perché acquistati
con il provento o lo scambio di beni personali.
Per i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi l’art. 178 c.c.
prevede una disciplina speciale (la cd. comunione de residuo) che tende ad armonizzare
l’esigenze dell’impresa con le aspettative del coniuge non imprenditore.
L’insieme delle regole che disciplinano la comunione legale appare estremamente
rigoroso e poco flessibile, soprattutto per le vicende che riguardano la circolazione dei
beni immobili.
Ciò è dovuto, come evidenziato nelle più recenti sentenze della Suprema Corte,
(la n. 2954 del 27 febbraio 2003, la n. 19250 del 2004, la n. 18619 del 2003) all’esigenza di
tutelare l’affidamento dei terzi in un sistema dominato dalla pubblicità legale.
Come ulteriore argomento, tendente a limitare l’autonomia privata dei coniugi,
nell’ambito del regime della comunione legale si è affermato che i regimi tra i coniugi
hanno essenzialmente contenuto programmatico e non dispositivo, essendo diretti a
regolamentare i futuri acquisti che saranno compiuti dai coniugi, insieme o
separatamente (E. Russo, …cit, e cass. n.2954/2003).
Detto argomento è stato utilizzato dalla Suprema Corte per disconoscere validità
al rifiuto del coacquisto di un coniuge in regime di comunione legale dei beni.
MARCO KROGH
NOTAIO
19
Sul rifiuto del coacquisto è interessante tracciare, brevemente, gli indirizzi
giurisprudenziali che si sono avvicendati nel tempo.
Con la sentenza n.2688 del 2 giugno 1989, la Cassazione afferma la validità del
rifiuto del coacquisto da parte del coniuge non acquirente al fine di evitare la caduta del
bene in comunione. Consente, in altri termini, una deroga al disposto dell’art. 177 lett.
a) c.c., secondo cui tutti gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente
durante il matrimonio sono oggetto della comunione (salvo i beni personali).
Una norma questa che sembra attribuire una forza gravitazionale fortissima al
regime della comunione legale dei beni, tale da attrarre all’interno di essa tutti i beni che
in qualche modo accrescono il valore del patrimonio familiare, con le sole eccezioni dei
beni personali.
La Cassazione, al contrario con questa sentenza attribuisce al coniuge non
interessato alla caduta in comunione legale di un bene, la facoltà di rendere una
dichiarazione negoziale dismissiva (una rinunzia all’acquisto).
Vengono espressamente ritenuti prevalenti dalla Suprema Corte i seguenti
principi:
1. Nessuno, neppure un coniuge in comunione legale dei beni, può essere costretto
contro la sua volontà ad acquistare un diritto, ciò in omaggio al principio
generalmente osservato dall’ordinamento secondo cui nemo locupletari potest invito;
2. Esso sarebbe pienamente lecito, in quanto l’art.2647 c.c. prevede che i coniugi
deroghino, con apposita convenzione in forma pubblica, parzialmente alla
disciplina della comunione legale. Non vi è alcuna ragione, quindi, per escludere
che un coniuge possa consentire all’altro di procedere ad un determinato acquisto
a titolo personale, sempre che tale consenso sia espresso nel medesimo atto con il
quale si opera l’acquisto e che, per questo atto venga adottata la forma dell’atto
pubblico.
In effetti queste ultime considerazioni, per quanto possano essere condivisibili sul
piano sostanziale degli effetti, non risolvono un problema altrettanto fondamentale
relativo alla circolazione dei beni immobili, ossia quello della pubblicità legale.
Infatti, come è noto, l’opponibilità ai terzi di un regime patrimoniale diverso dalla
comunione legale è possibile solo se annotato a margine dell’atto di matrimonio. Ci
sarebbe da domandarsi, seguendo questo indirizzo giurisprudenziale, se, in queste ipotesi
di deviazione una tantum dalla disciplina della comunione legale, ci troviamo di fronte ad
una nuova convenzione matrimoniale regolamentata in tutto dalle norme della
comunione legale con l’eccezione del singolo bene dedotto in contratto che non si vuol
far rientrare in comunione legale ovvero ad un’interpretazione di tipo sistematico delle
norme della comunione legale.
MARCO KROGH
NOTAIO
20
Nel primo caso, mi sembra coerente concludere che la relativa convenzione, ai fini
dell’opponibilità ai terzi, debba essere annotata a margine dell’atto di matrimonio, nel
secondo caso, invece, mi sembra che non sia necessaria né la presenza dei testimoni, né
l’atto pubblico trovandoci al di fuori di una modifica al regime patrimoniale dei coniugi.
Questo aspetto evidenzia una problematica di carattere più generale legata alla
pubblicità legale delle convenzioni matrimoniali che viene ad incidere in modo marcato
con la circolazione dei beni immobili: in tutte le ipotesi in cui non ci sia un allineamento
tra le risultanze dell’atto di matrimonio e l’effettivo regime patrimoniale, il bene circola
con efficacia diversa nei rapporti tra i coniugi e rispetto ai terzi, rispetto ai primi vale
l’effettivo regime patrimoniale, per i terzi vale invece il regime patrimoniale che appare
all’esterno sulla base delle risultanze dell’atto di matrimonio.
Tornando alla panoramica degli indirizzi giurisprudenziali, la Cassazione
spingendo ulteriormente in avanti il ragionamento contenuto nella sentenza di
riconoscimento del rifiuto del coacquisto, con la sentenza n.7437 del 18 agosto 1994,
aggiunge un ulteriore elemento a tale indirizzo, affermando che l’acquisto di un
immobile può essere escluso dalla comunione legale, anche al di fuori delle ipotesi
previste dall’art. 179 c.c. purché l’acquisto avvenga mediante utilizzo di denaro
proveniente dal proprio lavoro o, più genericamente, personale.
Un’altra deroga, dunque, al disposto dell’art. 177 lett. a) , questa volta fondata non
sull’interesse del coniuge che rifiuta l’arricchimento, ma su un’estensione della tutela
dell’interesse del coniuge che intende procedere all’acquisto escludendo l’altro coniuge.
Nella suindicata sentenza viene espressamente affermato che il disposto
dell’art.179 lett.f) c.c., che prevede l’esclusione dei beni dalla comunione legale nel caso
in cui sia utilizzato quale prezzo di acquisto danaro proveniente dalla vendita di beni
personali, può essere applicato analogicamente, ai sensi dell’art. 12 comma 2 delle
preleggi, ricorrendo identità di ratio, anche nell’ipotesi in cui il danaro utilizzato sia stato
acquisito per donazione, per successione o anche perché “frutto del proprio lavoro”
La portata di queste due sentenze è effettivamente dirompente nel sistema della
comunione legale.
Ancor più dirompente se accompagnata da tutta una serie di pronunciati che,
qualificano come meramente facoltativa e surrogabile la dichiarazione prevista
dall’ultimo comma dell’art. 179 c.c. da parte del coniuge escluso.
In questi pronunciati si può cogliere il momento di massima espansione del rilievo
dato all’autonomia negoziale dei coniugi all’interno del regime della comunione legale. In
altri termini, all’interno della comunione legale, il meccanismo previsto dall’art. 177 lett.
a) non avrebbe un ruolo fondamentale, ma solo programmatico e derogabile dalla
volontà dei coniugi, sia in modo diretto che indiretto.
MARCO KROGH
NOTAIO
21
Portando alle estreme conseguenze questo indirizzo, un coniuge potrebbe
acquistare un immobile, utilizzando danaro proveniente dalla propria attività lavorativa
ovvero da un finanziamento personale, escludendo il bene stesso dalla comunione legale,
anche all’insaputa del coniuge escluso.
Effettivamente la portata di queste sentenze riduceva ai minimi termini il
significato della comunione legale, trasformandola da regime patrimoniale con regole
tassative in regime patrimoniale contenente un programma di massima, estremamente
flessibile e suscettibile di continui adattamenti in progress.
Le soluzioni per quanto coerenti con i principi sistematici rischiavano di sgretolare
il significato stesso di regime patrimoniale programmatico tra coniugi e creare non pochi
problemi legati al regime di pubblicità legale nella circolazione dei beni immobili.
In buona sostanza, l’assoggettamento o meno di un singolo bene al regime della
comunione legale sarebbe legato non ad indici sicuri (annotazione a margine dell’atto di
matrimonio e ricorrenza o non ricorrenza delle fattispecie previste dall’art. 178 e 179
c.c.) ma alla volontà dei singoli coniugi di volta in volta riscontrabile, in modo più o
meno evidente all’interno dell’atto di acquisto.
Al contrario le obiezioni mosse a tale impostazione si muovono all’interno di una
visione della famiglia e del regime patrimoniale della comunione legale, caratterizzati da
una importanza sociale che determina vincoli di indisponibilità sottratti all’autonomia
contrattuale dei coniugi; questi possono operare le loro scelte entro i limiti tracciati dal
Legislatore, non trovando tutela gli interessi del singolo coniuge se non nella misura in
cui corrispondono a valori espressamente considerati meritevoli di tutela all’interno degli
schemi precostituiti.
Superando questo originario indirizzo la Cassazione, nelle più recenti sentenze,
riconoscendo un ruolo fondamentale alla comunione legale negli obiettivi della riforma,
ha affermato:
1. in primo luogo, con la sentenza n.9355 del 23 settembre 1997 , che i beni
acquistati con i proventi dell'attività separata di uno dei coniugi entrano
immediatamente e di pieno diritto a far parte della comunione, senza che
sia possibile escluderli mediante la dichiarazione prevista dall'art. 179, lett. f)
c.c., applicabile soltanto all'acquisto effettuato mediante utilizzo dei
proventi della vendita di beni personali (sentenza che però faceva
riferimento all’acquisto di azioni). Questo indirizzo è riaffermato anche
nella recentissima sentenza emessa dalla Cassazione sul punto (la 1197 del
20 gennaio 2006) la quale ha ribadito due principi: innanzitutto che
l’acquisto di un bene (nel caso di specie dei fondi patrimoniali) è escluso
dalla comunione legale qualora ci sia certezza che il danaro utilizzato sia
provento della vendita di beni personali, pur in assenza di una espressa
dichiarazione in tal senso nell’atto, operandosi, quindi una surrogazione
reale tra i due beni; inoltre, che il danaro ricavato dalla vendita di beni
MARCO KROGH
NOTAIO
22
personali non perde tale sua connotazione anche nel caso in cui sia
depositato sul conto corrente appartenente ad entrambi i coniugi, non
operandosi alcuna trasformazione del diritto esclusivo di un coniuge su una
determinata somma di danaro, che può definirsi “targata”, in diritto di
credito rispetto al saldo di conto corrente che, ipoteticamente e con le
precisazioni già esposte, potrebbe farsi rientrare nella vis attractiva della
comunione legale.
2. In secondo luogo, con la sentenza n.2954 del 27 febbraio 2003 (emessa
nello stesso solco tracciato dalle precedenti sentenze n.1917 del 2000 e
n.1556 del 1993) si afferma, da parte della Cassazione che, nell’ambito
della comunione legale, l’art.179 c.c. si pone come norma eccezionale, che
consente l’esclusione dalla comunione legale, di alcuni beni tassativamente
indicati, nel solo caso in cui ricorrano tutti i presupposti oggettivi previsti
dalla norma stessa. Una deroga è consentita ai coniugi esclusivamente
attraverso la stipulazione di una convenzione matrimoniale, nel rispetto dei
requisiti di forma e di sostanza previsti dagli artt. 161 e 210 del codice civile
(atto pubblico, irrinunciabilità ai testimoni, presenza personale dei coniugi,
indicazione specifica e concreta dei patti con i quali intendono regolare i
loro rapporti).
Peraltro, la convenzione matrimoniale potrà avere un contenuto cd.
programmatico, cioè riferito a categorie di beni, non essendo possibile, secondo questo
indirizzo, la stipulazione di convenzioni matrimoniali che abbiano ad oggetto singoli
beni, le cd. convenzioni matrimoniali “dispositive” (“inclusive” o “esclusive”).
Quest’ultimo orientamento è stato oggetto di critiche, anche condivisibili, da
parte della dottrina che ha ritenuto eccessivamente restrittiva la posizione della
Cassazione ed in parte contraddittoria.
Come già accennato in precedenza, non può trascurarsi che le norme che regolano
il regime patrimoniale secondario sono norme derogabili..
I limiti richiesti dalle norme in materia (artt.159, 161 e 210 del c.c.) attengono al
rispetto delle forma e di alcuni principi ritenuti inderogabili, tra questi nulla è previsto
relativamente all’impossibilità di stipulare convenzioni matrimoniali cd. dispositive,
riguardanti cioè il regime giuridico di singoli beni. Tra l’altro, i coniugi potrebbero,
comunque, pervenire allo stesso risultato non in modo diretto ma attraverso un percorso
segmentato, formato da più atti giuridici.
Non sembra, dunque, che ci siano validi motivi ostativi a ritenere meritevole di
tutela l’interesse dei coniugi a dare una regolamentazione “diversa” a singoli beni,
all’interno dello schema più generale della comunione legale, il problema sembra più
legato al regime di pubblicità cui assoggettare questo tipo di “regolamentazione speciale”
di singoli beni, deviante rispetto al regime ordinario (F. Bocchini, …cit.).
MARCO KROGH
NOTAIO
23
In realtà l’anomalia della comunione legale è da ricercarsi proprio in questa rigidità
di sistema che tuttavia le parti possono nella sua totalità disattendere scegliendo il regime
della separazione dei beni che, a ben vedere, non è un vero e proprio regime
patrimoniale, ma è la scelta di avvalersi delle norme di diritto comune nelle vicende
acquisitive della ricchezza da parte dei coniugi nel corso della vita matrimoniale.
Accanto a queste due scelte estreme, il codice civile consente alcune deroghe al
regime della comunione legale, secondo la disciplina prevista dall’art. 210 del c.c. che
tuttavia non sembra, almeno nella pratica, abbia riscosso particolare successo,
soprattutto per la marginalità delle opportunità offerte ai coniugi.
Invero, il regime previsto dall’art. 210 del c.c. non consente di superare
l’automatismo previsto dall’art. 177, in quanto non sono derogabili le norme della
comunione legale relative all’amministrazione dei beni ed all’uguaglianza delle quote
limitatamente ai beni che formerebbero oggetto della comunione. Inoltre, non è
possibile includere tra i beni della comunione, quelli che sono considerati personali ai
sensi dell’art. 179 lett. c), d) ed e): si tratta di beni che attengono intimamente alla sfera
personale dell’individuo ed alla sua dignità e, sotto quest’aspetto, non possono essere
oggetto di condivisione nemmeno con il proprio coniuge.
La comunione convenzionale, esclusa anche la possibilità di includere i beni che
possono provenire da future successioni ereditarie a favore di uno dei coniugi, perché in
contrasto con il divieto dei patti successori, resta limitata all’inclusione, nella comunione
convenzionale, dei beni di provenienza donativa e dei beni di cui uno dei coniugi era
titolare i epoca antecedente al matrimonio.
Altra possibilità di deroga al regime della comunione legale (o convenzionale) ed
al regime della separazione dei beni è costituita dalla possibilità, offerta dall’art. 161 c.c.
agli sposi, di regolare i propri rapporti patrimoniali in base a leggi straniere o agli usi.
In questo caso le relative norme devono essere riportate in modo specifico per
esigenze d’informazione dei coniugi e dei terzi.
Le disposizioni della legge straniera o gli usi dovranno, inoltre, non essere
contrarie all’ordine pubblico interno e, segnatamente, ai doveri inderogabili disposti negli
artt. 143, 144 e 147 del c.c.
Discussa è la possibilità da parte dei coniugi di regolamentare liberamente i propri
rapporti al di fuori di queste ipotesi tipizzate.
La dottrina più attenta all’evoluzione dei costumi ed alle problematiche nascenti
da un’applicazione eccessivamente rigida delle norme sulla comunione legale è orientata
a ritenere che i coniugi possano esplicare in modo più esteso la propria autonomia
privata (S. Patti, Diritto Privato e codificazioni europee, Giuffrè editore, Milano 2004, pag.133 e
segg. e E. Russo, …cit.).
MARCO KROGH
NOTAIO
24
In particolare un Autore (E. Russo, …cit.) ha approfondito la possibilità per i
coniugi di adottare convenzioni matrimoniali di separazione complesse all’interno delle
quali sia, in modo espresso dichiarato l’intento delle parti di non accettare il regime della
comunione (né legale, né convenzionale per evitare gli automatismi di cui all’art. 177
richiamato dall’art. 210) ed i cui acquisti durante il matrimonio siano disciplinati secondo
norme diverse da quelle previste nel regime della comunione legale quali, ad esempio, la
possibilità di prevedere acquisti con quote determinate nella immediata titolarità di
ciascun coniuge e non secondo lo schema della comunione senza quote ovvero acquisti
di diritti diversi a favore di ciascun coniuge (nuda proprietà per uno ed usufrutto per
l’altro) etc..
Non sembra che sussistano seri ostacoli all’autonomia privata, laddove non sono
in discussione principi inderogabili sui quali si fonda la famiglia legittima e sempre che
siano salvaguardato l’affidamento dei terzi, soprattutto nella circolazione dei beni
immobili.
Come già accennato in precedenza, ben diversa è la soluzione da dare in ordine
alla astratta possibilità per una coppia di conviventi di regolamentare con una
convenzione di tipo programmatico la distribuzione della ricchezza acquisita da un
partner durante la convivenza, tenuto conto del divieto generale posto dall’art. 771 c.c.
relativamente alle donazioni di beni futuri ed all’impossibilità di ricondurre gli
automatismi di un regime analogo a quello della comunione legale all’interno della logica
delle obbligazioni naturali, tenuto conto che l’unico effetto che discende da queste è la
soluti retentio, mentre nel nostro caso si avrebbe una promessa di prestazione sicuramente
non rientrante nel regime delle obbligazioni naturali.
Maggio 2008

Mais conteúdo relacionado

Semelhante a Relazione convivenze

Divieto di abuso del processo per la tutela dei propri diritti - G. Morlini
Divieto di abuso del processo per la tutela dei propri diritti - G. MorliniDivieto di abuso del processo per la tutela dei propri diritti - G. Morlini
Divieto di abuso del processo per la tutela dei propri diritti - G. Morlinimatteomagri
 
Bielorussia - Italia donazione a minori
Bielorussia - Italia  donazione a minoriBielorussia - Italia  donazione a minori
Bielorussia - Italia donazione a minoriisabella Cusanno
 
La Convenzione Italia Urss del 1979 e i recepimenti nei Paesi ex Urss delle ...
La Convenzione Italia Urss del 1979  e i recepimenti nei Paesi ex Urss delle ...La Convenzione Italia Urss del 1979  e i recepimenti nei Paesi ex Urss delle ...
La Convenzione Italia Urss del 1979 e i recepimenti nei Paesi ex Urss delle ...isabella Cusanno
 
Presentazione - contratti nazionali-09 e 10-03-2017.pdf
Presentazione - contratti nazionali-09 e 10-03-2017.pdfPresentazione - contratti nazionali-09 e 10-03-2017.pdf
Presentazione - contratti nazionali-09 e 10-03-2017.pdfConcettaLeuzzi1
 
La Costituzione vivente
La Costituzione viventeLa Costituzione vivente
La Costituzione viventeINSMLI
 
Parere rappresentanza sindacale_10.01.2014(1)
Parere rappresentanza sindacale_10.01.2014(1)Parere rappresentanza sindacale_10.01.2014(1)
Parere rappresentanza sindacale_10.01.2014(1)Fabio Bolo
 
Diritto alla felicita' come diritto pubblico soggettivo?
Diritto alla felicita' come diritto pubblico soggettivo?Diritto alla felicita' come diritto pubblico soggettivo?
Diritto alla felicita' come diritto pubblico soggettivo?Avvocatoavarese Avarese
 
Curatela internazionale. Il caso Bielorussia art.2
Curatela internazionale. Il caso Bielorussia art.2Curatela internazionale. Il caso Bielorussia art.2
Curatela internazionale. Il caso Bielorussia art.2isabella Cusanno
 
Italia - Bielorussia gestire il bene di un minore straniero
Italia - Bielorussia gestire il bene di un minore stranieroItalia - Bielorussia gestire il bene di un minore straniero
Italia - Bielorussia gestire il bene di un minore stranieroisabella Cusanno
 
Slide commentate accordo accert usucap
Slide commentate accordo accert usucapSlide commentate accordo accert usucap
Slide commentate accordo accert usucapMarco Krogh
 
Studio legge 112 2016 sul dopo di noi
Studio legge 112 2016 sul dopo di noiStudio legge 112 2016 sul dopo di noi
Studio legge 112 2016 sul dopo di noiDaniele Muritano
 
Pdl bertolini
Pdl bertoliniPdl bertolini
Pdl bertoliniReti
 
Pdl amici
Pdl amiciPdl amici
Pdl amiciReti
 
NOTA ANTIRICICLAGGIO E PRIVACYrev.pdf
NOTA ANTIRICICLAGGIO E PRIVACYrev.pdfNOTA ANTIRICICLAGGIO E PRIVACYrev.pdf
NOTA ANTIRICICLAGGIO E PRIVACYrev.pdfMarco Krogh
 
Le regole sulla trasparenza degli incarichi nelle società partecipate
Le regole sulla trasparenza degli incarichi nelle società partecipateLe regole sulla trasparenza degli incarichi nelle società partecipate
Le regole sulla trasparenza degli incarichi nelle società partecipateSalomone & Travaglia Studio Legale
 
Krogh rev. 30092008 le interferenze del diritto di famigli acv
Krogh rev. 30092008 le interferenze del diritto di famigli acvKrogh rev. 30092008 le interferenze del diritto di famigli acv
Krogh rev. 30092008 le interferenze del diritto di famigli acvMarco Krogh
 
Educazione cittadinanza europea 2014 vademecum
Educazione cittadinanza europea 2014    vademecumEducazione cittadinanza europea 2014    vademecum
Educazione cittadinanza europea 2014 vademecumclassicoscadutoit
 
Privacy ed antiriciclaggio
Privacy ed antiriciclaggioPrivacy ed antiriciclaggio
Privacy ed antiriciclaggioMarco Krogh
 

Semelhante a Relazione convivenze (20)

Divieto di abuso del processo per la tutela dei propri diritti - G. Morlini
Divieto di abuso del processo per la tutela dei propri diritti - G. MorliniDivieto di abuso del processo per la tutela dei propri diritti - G. Morlini
Divieto di abuso del processo per la tutela dei propri diritti - G. Morlini
 
Csm com legale
Csm com legaleCsm com legale
Csm com legale
 
Bielorussia - Italia donazione a minori
Bielorussia - Italia  donazione a minoriBielorussia - Italia  donazione a minori
Bielorussia - Italia donazione a minori
 
La Convenzione Italia Urss del 1979 e i recepimenti nei Paesi ex Urss delle ...
La Convenzione Italia Urss del 1979  e i recepimenti nei Paesi ex Urss delle ...La Convenzione Italia Urss del 1979  e i recepimenti nei Paesi ex Urss delle ...
La Convenzione Italia Urss del 1979 e i recepimenti nei Paesi ex Urss delle ...
 
Presentazione - contratti nazionali-09 e 10-03-2017.pdf
Presentazione - contratti nazionali-09 e 10-03-2017.pdfPresentazione - contratti nazionali-09 e 10-03-2017.pdf
Presentazione - contratti nazionali-09 e 10-03-2017.pdf
 
La Costituzione vivente
La Costituzione viventeLa Costituzione vivente
La Costituzione vivente
 
Parere rappresentanza sindacale_10.01.2014(1)
Parere rappresentanza sindacale_10.01.2014(1)Parere rappresentanza sindacale_10.01.2014(1)
Parere rappresentanza sindacale_10.01.2014(1)
 
Diritto alla felicita' come diritto pubblico soggettivo?
Diritto alla felicita' come diritto pubblico soggettivo?Diritto alla felicita' come diritto pubblico soggettivo?
Diritto alla felicita' come diritto pubblico soggettivo?
 
Curatela internazionale. Il caso Bielorussia art.2
Curatela internazionale. Il caso Bielorussia art.2Curatela internazionale. Il caso Bielorussia art.2
Curatela internazionale. Il caso Bielorussia art.2
 
Italia - Bielorussia gestire il bene di un minore straniero
Italia - Bielorussia gestire il bene di un minore stranieroItalia - Bielorussia gestire il bene di un minore straniero
Italia - Bielorussia gestire il bene di un minore straniero
 
Slide commentate accordo accert usucap
Slide commentate accordo accert usucapSlide commentate accordo accert usucap
Slide commentate accordo accert usucap
 
Studio legge 112 2016 sul dopo di noi
Studio legge 112 2016 sul dopo di noiStudio legge 112 2016 sul dopo di noi
Studio legge 112 2016 sul dopo di noi
 
Pdl bertolini
Pdl bertoliniPdl bertolini
Pdl bertolini
 
Pdl amici
Pdl amiciPdl amici
Pdl amici
 
NOTA ANTIRICICLAGGIO E PRIVACYrev.pdf
NOTA ANTIRICICLAGGIO E PRIVACYrev.pdfNOTA ANTIRICICLAGGIO E PRIVACYrev.pdf
NOTA ANTIRICICLAGGIO E PRIVACYrev.pdf
 
Le regole sulla trasparenza degli incarichi nelle società partecipate
Le regole sulla trasparenza degli incarichi nelle società partecipateLe regole sulla trasparenza degli incarichi nelle società partecipate
Le regole sulla trasparenza degli incarichi nelle società partecipate
 
Krogh rev. 30092008 le interferenze del diritto di famigli acv
Krogh rev. 30092008 le interferenze del diritto di famigli acvKrogh rev. 30092008 le interferenze del diritto di famigli acv
Krogh rev. 30092008 le interferenze del diritto di famigli acv
 
Guida successioni tutelate
Guida successioni tutelateGuida successioni tutelate
Guida successioni tutelate
 
Educazione cittadinanza europea 2014 vademecum
Educazione cittadinanza europea 2014    vademecumEducazione cittadinanza europea 2014    vademecum
Educazione cittadinanza europea 2014 vademecum
 
Privacy ed antiriciclaggio
Privacy ed antiriciclaggioPrivacy ed antiriciclaggio
Privacy ed antiriciclaggio
 

Relazione convivenze

  • 1. MARCO KROGH NOTAIO 1 L’AUTONOMIA PRIVATA NELLA FAMIGLIA LEGITTIMA E NELLE CONVIVENZE di Marco Krogh oooOOOooo SOMMARIO : 1.1 INTRODUZIONE – LE NORME INDEROGABILI - 1.2. L’AUTONOMIA PRIVATA ED I VALORI COSTITUZIONALI - 1.3. IL DIRITTO DI SPOSARSI ED IL DIRITTO DI FORMARSI UNA FAMIGLIA - LA PLURALITA’ DI MODELLI DI CONVIVENZE DI TIPO FAMILIARE - 1.4. IL DISEGNO DI LEGGE SUI DI.CO. - 1.5. IL REGIME PRIMARIO ED IL REGIME SECONDARIO DELLA FAMIGLIA – GLI ACCORDI IN VISTA DELLA CRISI DEL MATRIMONIO - 1.6. L’AUTONOMIA NEGOZIALE NELLE UNIONI DI FATTO - 1.7. L’AUTONOMIA PRIVATA NEL REGIME SECONDARIO DELLA FAMIGLIA - RIFIUTO DEL COACQUISTO – CONVENZIONI DI SEPARAZIONE COMPLESSA. oooOOOooo 1.1 INTRODUZIONE – LE NORME INDEROGABILI L’area tematica che ho scelto per la mia relazione è particolarmente estesa andando a coprire aspetti che, nel diritto di famiglia, coinvolgono: - i rapporti personali e patrimoniali all’interno della famiglia, - gli accordi prematrimoniali, - gli accordi in vista di eventuali crisi matrimoniali, - la rilevanza giuridica delle unioni di fatto, - i multiformi modelli di famiglia di fatto (famiglia ricomposte, convivenze omosessuali, famiglia naturale, etc), - la possibilità per i coniugi di dotarsi di regimi convenzionali alternativi a quelli tipici previsti nel codice civile, - la possibilità per i conviventi di autoregolamentare i rapporti personali e patrimoniali che nascono da una convivenza, - la possibilità di creare degli ammortizzatori in caso di rottura di convivenze che hanno avuto una certa durata. E’ evidente che un esame approfondito di tutti gli aspetti sopra riportati richiederebbe un approfondimento che mal si concilia con i tempi e lo spazio della presente relazione. Mi limiterò, quindi, ad offrire qualche spunto di riflessione ed una messa a fuoco su una materia in cui il quadro normativo, salvo lievi modifiche è fermo
  • 2. MARCO KROGH NOTAIO 2 alla riforma del 1975 mentre le fattispecie disciplinate sono in rapida e continua evoluzione. Le relazioni familiari e parafamiliari sono vicende condizionate dall’evoluzione dei costumi e dalle pressioni culturali presenti in determinati momenti storici, in cui il diritto può intervenire ed imporre modelli comportamentali nei limiti in cui tali modelli non sono avulsi dal comune sentire sociale. Come notaio e come operatore del diritto non posso non notare che sebbene questi temi, in dottrina ed in giurisprudenza, non possono più definirsi “abbastanza inesplorati” (Franzoni, I contratti tra conviventi «more uxorio», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, p. 737 ss.; ID., Le convenzioni patrimoniali tra conviventi more uxorio, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da G. Bonilini e G. Cattaneo, II, Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 1997, p. 461 ss) essendosi, ormai acquisite certezze su più di un aspetto, sussiste, invece, un raro ricorso, da un punto di vista pratico, agli strumenti offerti dalla più attenta dottrina per offrire soluzioni alle problematiche neoemergenti sia dal nuovo atteggiarsi delle relazioni all’interno della famiglia legittima e sia dalle nuove relazioni riconducibili a nuovi modelli di convivenza familiare. Nella pratica notarile è veramente raro trovarsi di fronte convenzioni matrimoniali atipiche o ad accordi patrimoniali tra conviventi; più frequentemente ci si trova di fronte a richieste dirette ad escludere un singolo bene dalla comunione legale dei beni, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 179 c.c., ovvero a risolvere problematiche emergenti da conflitti d’interessi emergenti nelle crisi matrimoniali o in vista di crisi matrimoniali. Ciò probabilmente è dovuto, almeno per i notai, al timore di incorrere in una violazione dell’art. 28 della legge notarile che spesso dilata eccessivamente la portata ed il significato delle norme inderogabili sacrificando lettura ed interpretazione delle norme più adeguate all’evoluzione dei costumi e della società. Aspetto quest’ultimo costantemente presente nelle relazioni familiari e parafamiliari particolarmente sensibili ai mutamenti sociali e culturali. Con espressione efficace, il diritto di famiglia è stato definito come un’isola che può essere solo lambita dal mare del diritto. Attualmente, tuttavia, l’interprete si trova di fronte non più ad un’isola ma ad un arcipelago in cui coesistono una pluralità di modelli familiari e parafamiliari che si riflettono nello specchio del diritto per essere riconosciuti ed assumere rilevanza giuridica (G.Frezza, Premessa, in Trenta anni dalla riforma del diritto di famiglia, a cura di Giampaolo Frezza, collana di studi diretta da Vincenzo lojacono, Giuffrè editore, 2005, pag VII e segg,). La famiglia e, più in generale, le relazioni familiari e parafamiliari, non può che essere un prius rispetto alla norma giuridica. Il dato sociale e culturale preesiste rispetto al dato giuridico e ne condizionala, a monte, la formazione ed, a valle, l’interpretazione e l’applicazione in un processo di costante evoluzione della norma giuridica.
  • 3. MARCO KROGH NOTAIO 3 Così, mentre nel diritto privato, assistiamo ad un vigoroso sforzo volto alla realizzazione di un diritto europeo dei contratti, sollecitato dalle esigenze di un mercato unico sempre più globalizzato, ciò non avviene nel diritto di famiglia e nelle successioni, aree meno sensibili alle pressioni emergenti dalla progressiva globalizzazione. Il concetto di famiglia è radicato nella cultura di ogni popolo e rappresenta il punto di approdo della storia sociale e culturale di un popolo. Non è immaginabile trasferire tout court istituti familiari di altre culture nel nostro ordinamento (si pensi, ai casi estremi della poligamia o del ripudio che sono espressione di frammenti di cultura estremamente distanti dai nostri valori fondamentali). Tuttavia, non può negarsi che la progressiva integrazione con altre culture, favorita dalla forte immigrazione, possa portare, in una prospettiva futura, ad uniformare istituti appartenenti al diritto di famiglia, quanto meno nei principi ispiratori dell’eguaglianza, della pari dignità e della solidarietà, da assumere come principi di ordine pubblico internazionale ed espressione di valori irrinunciabili e di portata universale (M.C. Andrini, L’autonomia privata dei coniugi tra status e contratto – Le convenzioni coniugali, G. Giappichelli editore – Torino, 2006, pag. 15 e segg.). Abbandono queste tematiche per non allargare eccessivamente il discorso che, da un lato, si propone di mettere a fuoco gli aspetti che riguardano l’autonomia privata all’interno della famiglia legittima e delle convivenze e, da altro lato, si propone di indagare sui valori espressi dalle norme inderogabili all’interno di un micro-sistema e, quindi, verificare se detti valori, presidiati da norme inderogabili, siano patrimonio esclusivo della famiglia legittima o rispondano a più generali istanze di solidarietà e di tutela che possono emergere da altre tipologie di convivenze di tipo familiare o parafamiliare. Innanzitutto, va precisato che per autonomia privata intendiamo la facoltà, riconosciuta dall’art. 1322 c.c. ai privati, di regolamentare in piena libertà i propri rapporti, con il limite della meritevolezza degli interessi perseguiti e del rispetto delle norme inderogabili. L’art. 1322 c.c. espressamente dispone: ”Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.” Per quanto riguarda l’analisi della meritevolezza degli interessi perseguiti, l’approfondimento esorbita dagli ambiti della presente relazione, coinvolgendo il significato di “causa negoziale” in costante revisione anche da parte della giurisprudenza (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10490). Può osservarsi, tuttavia, che eventuali accordi di natura patrimoniale tra conviventi sembrano non trovare ostacoli sotto quest’aspetto sulla base della considerazione che degna di protezione appare ogni pattuizione la quale si prefigga di evitare liti future e di fornire un minimo di sicurezza economica al partner
  • 4. MARCO KROGH NOTAIO 4 «debole» (G. Oberto, Gli accordi preventivi sulla crisi coniugale, in http://www.geocities.com/CollegePark/Classroom/6218/famiglia.htm (5 maggio 2008). Per quanto riguarda, invece, la compatibilità dell’autonomia contrattuale con i limiti imposti dalla legge, va osservato che le norme inderogabili perimetrano aree inaccessibili alla libera autodeterminazione perché poste a presidio di interessi generali e di valori fondamentali che non consentono intrusioni da parte dei privati. Il notaio, nello svolgimento della sua funzione di adeguamento della volontà delle parti, svolge il ruolo comunemente denominato di gatekeeper, ossia di “guardiano del cancello” della legalità; in buona sostanza, il notaio deve presidiare proprio queste aree sottratte all’autonomia privata. Nel diritto di famiglia le norme inderogabili si pongono poi in una prospettiva del tutto particolare, proprio per la presenza di valutazioni sociali e culturali che possono influenzare e condizionare la lettura e l’interpretazione di una norma giuridica. Invero, i rapporti personali e patrimoniali all’interno della famiglia sono disciplinati da un gruppo di norme che rappresenta lo statuto del coniuge e che attribuisce a ciascun componente la famiglia una serie di diritti, doveri, obblighi poteri, il cui contenuto è, per lo più, soggetto a limiti inderogabili dalle parti. Come vedremo, alle parti è lasciata la libertà di integrare e specificare il contenuto dei rispettivi doveri ed obblighi, all’interno di limiti inderogabili costituiti dall’eguaglianza, dalla pari dignità e dalla solidarietà reciproca. Il riferimento normativo, ai principi inderogabili, che costituiscono le fondamenta dello statuto del coniuge, è offerto, da un lato, dagli artt. 143, 144 e 147 del c.c. e, da altro lato, dagli artt. 159 e 160 del c.c.. dalla lettura combinata delle citate disposizioni prende origine la distinzione tra regime “primario” e regime “secondario” della famiglia. Il regime primario è l’insieme delle norme inderogabili che mirano ad assicurare i più volte ripetuti principi di eguaglianza, reciprocità dei doveri, pari dignità, solidarietà all’interno della famiglia, ponendo una serie di doveri, obblighi, poteri, diritti e facoltà nei confronti non solo dei coniugi, ma della generalità dei componenti la famiglia. A presidio del cd. regime primario della famiglia è posto l’art. 160 del c.c. che espressamente dispone: “Gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio”. La peculiarità è data dal fatto che i medesimi rapporti che nascono dal regime primario della famiglia se collocati al di fuori della famiglia, possono o perdere il loro carattere di inderogabilità o entrare in conflitto e recedere rispetto ad altre norme inderogabili che rispondono a valori di grado superiore rispetto ad altri valorizzati esclusivamente all’interno della famiglia.
  • 5. MARCO KROGH NOTAIO 5 In altri termini, determinati rapporti regolati da norme ritenute essenziali all’interno di un menage familiare “legittimo” e, quindi inderogabili dai coniugi, se collocati e regolamentati al di fuori della famiglia legittima, possono costituire violazione di norme inderogabili di diritto comune e pertanto rientrare in aree sottratte alla libera autoregolamentazione privata. Un determinato obbligo, dovere o potere può costituire un valore se collocato all’interno della famiglia legittima ed un disvalore se collocato al di fuori della famiglia legittima ovvero entrare in un area di indifferenza giuridica. Si pensi ad esempio all’obbligo di fedeltà reciproco sancito dall’art. 143 del c.c.: all’interno della famiglia legittima la sua violazione può essere causa di addebito della separazione. In una convivenza, al contrario, un vincolo giuridico alla fedeltà non è configurabile, anzi un eventuale accordo diretto ad obbligare un partner alla fedeltà è ritenuto nullo perché contrario all’ordine pubblico, limitando una libertà fondamentale dell’individuo. Si pensi, ancora, alla comunione legale, come regime diretto a regolamentare un’equa distribuzione della ricchezza acquisita dai coniugi nel corso della vita matrimoniale in funzione perequativa, mediante l’effetto di acquisizione automatica prodotto dall’art. 177 lett. a). Questo istituto assicurando la realizzazione di quei valori ritenuti fondamentali all’interno della famiglia legittima si colloca su un piano di specialità rispetto al divieto espresso dall’art. 771 del c.c. di donazione di beni futuri che risponde a principi condivisibili nel diritto comune, ma non all’interno dei rapporti tra coniugi . In una convivenza, di conseguenza, se due soggetti non legati da vincolo matrimoniale volessero regolare i loro rapporti in analogia alla comunione legale si troverebbero di fronte all’ostacolo posto dall’art. 771 c.c. essendo soggetti alle norme di diritto comune. E’ evidente che a fronte di determinati trattamenti privilegiati concessi a coloro che acquisiscono un determinato status la legge prevede come rovescio della medaglia anche oneri, doveri e responsabilità. Da quest’ultimo angolo prospettico, l’esame del modo e delle possibili esplicazioni “in negativo” dell’autonomia privata va condotto verificando in che misura è data la possibilità alle parti, in un rapporto duraturo di convivenza di tipo familiare, di sottrarsi ad ogni regolamentazione giuridica, lasciando sfornito di ogni tutela il soggetto più debole del rapporto in omaggio ad un’indiscriminata libertà di autodeterminazione a tutela della famiglia legittima. 1.2. L’AUTONOMIA PRIVATA ED I VALORI COSTITUZIONALI Probabilmente da qui partono i temi che meritano specifiche riflessioni:
  • 6. MARCO KROGH NOTAIO 6 In che misura le norme che troviamo all’interno del diritto di famiglia sono espressione unica di valori riconducibili alla sola famiglia legittima non estensibili anche ad altre forme di convivenza familiare ? In che misura, gli obblighi, i doveri, i rapporti all’interno della famiglia legittima possono volontariamente essere modificati, senza violare le norme inderogabili poste a presidio dei caratteri fondamentali della famiglia stessa ? In che misura è possibile tutelare posizioni che appaiono meritevoli di tutela in una convivenza di tipo familiare non sorretta dal matrimonio, all’interno di un concetto di solidarietà che esiste anche al di fuori della famiglia legittima ? In che misura i conviventi possono regolamentare i reciproci rapporti, dotandosi volontariamente di norme che possono più o meno ricalcare quelle che disciplinano la famiglia legittima? Un dato è certo: le risposte a questi ed altri interrogativi non potranno mai avere un carattere di assolutezza, essendo condizionati, dai valori sociali emergenti in un determinato momento storico in grado di condizionare e piegare il dato giuridico. Ripercorrendo la giurisprudenza degli ultimi trent’anni è facile rilevare il modo in cui l’evoluzione dei costumi ed una maggiore sensibilità alle tematiche inerenti la solidarietà e la tutela dei soggetti più deboli abbiano abbia influenzato e fatto emergere nuove letture delle norme su questi temi (sull’interpretazione creativa della giurisprudenza, cfr. cass. S.U. 1136 del 19 gennaio 2007). Per prendere, comunque, una posizione corretta sulle tematiche proposte è opportuno partire da una lettura delle norme costituzionali (artt. 2 e 29) che fissano i principi regolatori della famiglia e più in generale delle formazioni sociali. Come premessa generale, va ricordato, che al centro dell’attenzione del Legislatore costituente è l’individuo e lo sviluppo della personalità dell’individuo, talché sia la famiglia che più in generale le formazioni sociali sono sovrastrutture a servizio dell’individuo; la solidarietà va affermata in funzione della persona e non il contrario. La concezione della famiglia di tipo “istituzionale”, volta a realizzare interessi superindividuali sotto la guida autoritaria del capo famiglia, costituisce un modello di famiglia assolutamente superato dall’attuale modello di famiglia “costituzionale” che rappresenta, al contrario, un mezzo al servizio dell’individuo, un strumento di protezione, di crescita e di formazione dei singoli componenti. L’art. 2 espressamente enuncia: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
  • 7. MARCO KROGH NOTAIO 7 L’art. 29, a sua volta, dispone: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.” Il dato che emerge da una prima lettura dell’art. 29 riguarda l’apparente contraddizione, definita ossimoro (R. Bin, Rivista Lavori e Diritto, Famiglia, lavoro, diritto: Combinazioni possibili La famiglia: alla radice di un ossimoro, Le edizioni del Mulino, n. 1 anno 2001), presente nella norma: ci si chiede se la famiglia come modello di relazioni umane appartenga al diritto naturale o se sia creazione dell’ordinamento giuridico. In realtà, entrambi i dati coesistono e sono conciliabili, nella misura in cui gli elementi che caratterizzano l’istituto familiare sono espressione di valori condivisi in un determinato contesto sociale e costituiscono un prius rispetto alla norma giuridica che può aggiungere, a questo dato preesistente, una regolamentazione diretta a rafforzare ed a proteggere quei valori essenziali già presenti all’interno della società, ma non sostituirli o crearne dei nuovi avulsi dalla coscienza sociale. La norma giuridica si pone, quindi, come un posterius , rispetto al dato naturale, sia nella sua formazione e sia nella sua interpretazione ed applicazione. 1.3. IL DIRITTO DI SPOSARSI ED IL DIRITTO DI FORMARSI UNA FAMIGLIA - LA PLURALITA’ DI MODELLI DI CONVIVENZE DI TIPO FAMILIARE Probabilmente quando la Costituzione fu scritta si dava per scontata una coessenzialità tra matrimonio, inteso come atto e famiglia, intesa come rapporto che discendeva dall’atto di matrimonio (N.Lipari, riflessioni sul matrimonio a trent’anni dalla riforma del diritto di famiglia, in Trenta anni dalla riforma del diritto di famiglia, a cura di Giampaolo Frezza, collana di studi diretta da Vincenzo lojacono, Giuffrè editore, 2005, pag 17 e segg.). Attualmente i due aspetti sono logicamente e concettualmente distinti: il diritto di sposarsi ed il diritto di formarsi una famiglia meritano considerazioni e tutela di intensità diversa. Il secondo invoca una tutela dell’ordinamento anche al di fuori dell’atto di matrimonio, laddove sono in gioco posizioni che invocano protezione in ragione del dovere fondamentale di solidarietà L’articolo II -69 della Costituzione europea sul punto espressamente dispone: Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia - Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio. A questo punto, però, può essere interessante indagare su quale sia l’arché tipologico preso in considerazione dal Legislatore e quali siano gli altri modelli di convivenza di tipo familiare che comunque riscontriamo in modo più o meno diffuso all’interno della nostra società.
  • 8. MARCO KROGH NOTAIO 8 Ancora più a monte può essere interessante indagare su cosa si debba intendere per famiglia e per convivenza di tipo familiare. Il termine “famiglia” è emblematico della forte relatività e storicità delle espressioni giuridiche. Il concetto di famiglia è intuitivamente diverso a seconda del momento storico in cui è collocato, a seconda dell’area culturale in cui è considerato (L.Rossi e E. Bellisario, La Famiglia, in Famiglia e sucessioni, Le forme di circolazione della ricchezza familiare, G. Giappichelli editore, 2005, pag. 11 e segg.). Si pensi, ad esempio, alla famiglia di fine ottocento che richiama contenuti ben diversi rispetto alla famiglia così come la intendiamo oggi o alla famiglia nella cultura araba al cui interno le relazioni ed il ruolo dei partecipanti sono assolutamente diversi da quelli disciplinati nel nostro ordinamento e presenti nella cultura occidentale. Nonostante queste marcate diversità il termine “famiglia” appartiene, quasi in modo innato, al precompreso (Cfr. Michele Ainis, La Legge Oscura, ed. Laterza, 2002, pag. 142 e ss., che cita Hans Georg Gadamer, maestro di ermeneutica) di ciascuno di noi, tant’è che indicare un qualcosa a noi ben noto e che già conosciamo diciamo che è “familiare”. Tuttavia, all’interno di una società è ben possibile la coesistenza di diversi modelli di famiglia, in concorrenza tra loro, con una gradazione di privilegi e di tutela giuridica; alcuni riconosciuti e tutelati, altri tollerati, altri addirittura avversati. Può essere utile, quindi, definire la famiglia, nel suo significato di formazione sociale naturale, partendo da quelli che possono essere ritenuti gli elementi minimi distintivi che consentano di cogliere con immediatezza la differenza tra una convivenza di tipo familiare da una mera convivenza. Uno o più elementi minimi riconoscibili in tutti i modelli di famiglia, ai quali di volta in volta aggiungere altri elementi o requisiti al fine di distinguere un modello di famiglia rispetto ad un’altra. Quali sono le caratteristiche peculiari che distinguono ciò che noi istintivamente riteniamo che sia una “famiglia” rispetto, ad esempio, ad una convivenza in una caserma, in una casa di cura o in un’associazione di volontariato (F. Bocchini, Le vite convissute more uxorio, una disciplina possibile, in Le convivenze familiari, diritto vivente e proposte di riforma, a cura di f. Bocchini, G. Giapppichelli editore, 2005, pag. 3e segg. ). E’ condivisibile la definizione di chi (F. Bocchini, …cit.), ritiene la convivenza familiare “una qualificata comunità di vita, caratterizzata da comunione spirituale e materiale tra i partecipanti alla stessa: luogo degli affetti e della solidarietà, dove si realizza la sintesi delle aspirazioni e dei diritti individuali e dove l’adempimento dei doveri è avvertito come esplicazione della propria personalità e dunque della tensione realizzare una comunità di affetti”. Il tratto distintivo, a mio giudizio, è dato dalla reciproca volontà di creare una comunione materiale e spirituale non occasionale, un progetto di vita in comune con una apprezzabile stabilità.
  • 9. MARCO KROGH NOTAIO 9 La comunione materiale e spirituale che fa da collante ad una convivenza di tipo familiare, si arricchisce di volta in volta di ulteriori requisiti che consentono di distinguere un modello da un altro. Il modello di convivenza familiare preso in considerazione dal legislatore italiano, tuttavia, si arricchisce di ulteriori elementi quali la diversità di sesso e la finalità, almeno tendenziale, alla procreazione naturale. Accanto a questo modello familiare oggi troviamo ulteriori modelli nei quali scompare del tutto la finalità diretta alla procreazione, almeno naturale, ma che si caratterizzano per l’identità di sesso dei partners ovvero convivenze che hanno quale finalità prioritaria l’assistenza reciproca. Spesso ad alcuni di questi modelli familiari è precluso il diritto di matrimonializzare la convivenza, così come avviene per le coppie omosessuali; altre volte il mancato matrimonio corrisponde ad una libera scelta dei partners . Nel primo caso, dunque, i conviventi potrebbero aver interesse o la volontà di accedere al matrimonio, ma ciò gli è precluso; per i secondi, al contrario, la convivenza al di fuori del matrimonio è frutto di una scelta volontaria: i conviventi non intendono assumere i doveri e gli obblighi che nascono dall’atto di matrimonio. Per entrambi i modelli di convivenze, tuttavia, si presentano i medesimi interrogativi, probabilmente con un’intensità diversa dovuta al rispetto delle libere scelte dei conviventi: - il mancato riconoscimento giuridico per l’assenza dell’atto di matrimonio pone queste relazioni in un’area di indifferenza giuridica o è possibile immaginare automatismi normativi a tutela dei soggetti più deboli, soprattutto nel momento di crisi della convivenza, invocando un superiore principio di solidarietà, espresso nell’art. 2 della Costituzione ?; - è possibile ai conviventi autoregolamentare la propria relazione in funzione della reciproca solidarietà ? Va rammentato che la Corte Costituzionale con la sentenza n.352 del 2000 ha confermato la ragionevolezza della diversità di trattamento tra i rapporti che nascono dalla famiglia e da una convivenza more uxorio: venendo in rilievo, con riferimento alla prima, a differenza che rispetto alla seconda, non soltanto esigenze di tutela delle relazioni affettive individuali, ma anche quella della protezione dell’«istituzione familiare», basata sulla stabilità dei rapporti (Corte Cost. sentenza n. 8 del 1996): la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale, e a questo non meccanicamente assimilabile al fine di desumerne l’esigenza costituzionale di una parificazione di trattamento: essa, infatti, manca dei caratteri di stabilità e certezza propri del vincolo coniugale, essendo basata sull’affectio quotidiana, liberamente ed in ogni istante revocabile (Corte Cost. sentenza n. 8 del 1996; sentenza n. 423 del 1988; ordinanza n. 1122 del 1988).
  • 10. MARCO KROGH NOTAIO 10 Ciò non significa, tuttavia, che la convivenza, priva del matrimonio sia degradabile a mero fatto al di fuori di ogni rilevanza giuridica (N. Lipari,. ..cit.). Nel nostro ordinamento sono previste forme d’intervento ogni qual volta sono in gioco interessi costituzionalmente protetti, al di là della volontà delle parti di regolamentare o di contrattualizzare il rapporto (si pensi, ad esempio, al rapporto di lavoro). Invero, ciò che si lamenta non è una assenza totale di ogni considerazione dei rapporti e delle situazioni che possono nascere da una unione di fatto, ma la mancanza di una disciplina generale. Ci sono stati numerosi interventi della corte costituzionale diretti a colmare vuoti normativi, soprattutto nei casi in cui era necessario valorizzare correttamente interessi costituzionalmente protetti, si pensi all’intervento della corte costituzionale che ha esteso il subentro del contratto di locazione al convivente, riconoscendo la prevalenza del diritto di abitazione come valore di rango costituzionale. Altri interventi sono riscontrabili nel codice di procedura penale, sul diritto di astensione del convivente dalla testimonianza in funzione di una prevalente considerazione della lealtà dei rapporti, così come in materia di assistenza sanitaria, in tema di assegnazione della casa familiare in presenza di figli naturali, in tema di ricusazione di un arbitro, in tema di amministrazione di sostegno (art. 408 c.c.), in tema di istanza d'interdizione o di inabilitazione (art. 407 c.c., come novellato dalla Legge n. 6/2004 istitutiva dell'amministrazione di sostegno ed art. 424 c.c. che, come novellato, rinvia al predetto art. 408 c.c. per l'individuazione della persona più idonea all'incarico di tutore dell'interdetto e di curatore dell'inabilitato) e, da ultimo, nella disciplina degli obblighi antiriciclaggio riferiti al convivente della persona politicamente esposta. 1.4. IL DISEGNO DI LEGGE SUI DI.CO. Quale paradigma astratto che può essere preso in considerazione, anche se in modo critico, quale risposta all’esigenza di una regolamentazione generale delle unioni di fatto, abbiamo il disegno di legge sui DI.CO., approvato dal Consiglio dei ministri all’inizio del 2007, che ha dettato una regolamentazione estesa ad una pluralità di convivenze anche non propriamente di tipo familiare. E’ questo un disegno di legge che, probabilmente, per le numerose critiche che ha suscitato e per il cambio di Governo, difficilmente diventerà legge. Tuttavia, è interessante farne cenno per gli spunti di riflessione che offre. Innanzitutto, il disegno di legge ci offre una definizione generale di convivenza giuridicamente rilevante, puntualizzandone, all’articolo 1, i requisiti positivi e negativi. I primi due requisiti riguardano la limitazione numerica della convivenza a due persone e la possibilità che le stesse siano dello stesso sesso. Quest’ultimo è l’elemento di rottura più rilevante rispetto al concetto tradizionale di famiglia offrendo riconoscimento giuridico ad un tipo di convivenza diffusa e socialmente accettata nella
  • 11. MARCO KROGH NOTAIO 11 generalità dei casi e giustificata dall’evoluzione dei costumi e della morale, sebbene lontana dall’immagine della famiglia il cui fine essenziale è la procreazione. Ulteriori requisiti sono la maggiore età e la capacità delle persone conviventi. Dunque, rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio non è previsto un istituto analogo all’emancipazione. Accanto a questi requisiti che riguardano i soggetti, il disegno di legge prevede poi, determinati requisiti relativi alla “relazione” e, precisamente: la coabitazione stabile, la reciprocità dei vincoli affettivi ed il dovere di reciproca assistenza e solidarietà materiale e morale. Quest’ultimo è un riferimento a quella comunione di vita materiale e spirituale (communio omnis vitae) che costituisce un connotato essenziale di qualunque famiglia, concetti più percepibili che definibili, soprattutto giuridicamente. Ciò che, invece, va evidenziato, rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio è la maggior libertà consentita all’interno di questa tipologia unione di fatto: non è prevista l’assunzione di un obbligo reciproco di fedeltà, inteso nel suo significato più generale, non riferito alla sola sfera sessuale, ma comprendente un più generico dovere di reciproca lealtà, non è previsto un obbligo di collaborazione reciproca nell’interesse della famiglia, nulla è previsto in ordine all’indirizzo comune della vita familiare, nulla è previsto sul dovere di contribuzione per fronteggiare i bisogni della famiglia. All’interno di questo modello improntato alla massima libertà, i ruoli dei conviventi potranno continuare ad essere caratterizzati da sostanziali squilibri nei confronti del soggetto più debole, temperati dal mero impegno reciproco alla solidarietà materiale e morale. Quali requisiti di carattere negativo la cui esistenza pone l’eventuale convivenza al di fuori dell’area disciplinata dal disegno di legge abbiamo: 1. l’esistenza di un vincolo matrimoniale tra un convivente ed un terzo; 2. un rapporto di parentela in linea retta entro il secondo grado (genitori e figli, nonni e nipoti); 3. un rapporto di affinità in linea retta entro il secondo grado (coniuge e figli dell’altro coniuge, genitore di un coniuge con figli dell’altro coniuge); 4. un rapporto di adozione o di affiliazione; 5. una relazione di tutela, curatela o di amministratore di sostegno. In questi ultimi casi, tuttavia, il requisito negativo sembra ripetitivo rispetto all’enunciazione iniziale che prevede la capacità come requisito positivo per rientrare nell’ambito di applicazione disciplinato dalle nuove norme.
  • 12. MARCO KROGH NOTAIO 12 La durata della convivenza - sebbene elemento funzionale alla stabilità della convivenza stessa -, è presa in considerazione solo per il sorgere di specifici diritti. La mera convivenza è assunta quale elemento sufficiente per esercitare i diritti in materia di assistenza per malattia e ricovero, per designare l’altro convivente quale soggetto incaricato a prendere decisioni in materia di salute ed in caso di morte, per consentire il rilascio del permesso di soggiorno per convivenza ad un cittadino extracomunitario, per ottenere il diritto di iscrizione anagrafica per il cittadino dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. di attuazione della direttiva 2004/38/CE, per acquisire un requisito positivo ai fini dell’assegnazione di alloggi di edilizia pubblica, per aver diritto a partecipare agli utili d’impresa dell’azienda del partner, in caso di prestazione di attività lavorativa. Sarà necessario un periodo di convivenza perdurante almeno tre anni, per far sorgere il diritto alla successione nel contratto di locazione, a far sorgere obblighi alimentari, per ottenere le agevolazioni nei trasferimenti e nelle assegnazioni di sede, nell’ambito del rapporto di lavoro pubblico e privato. Per maturare i diritti successori è invece disposto che dall’inizio della convivenza siano trascorsi almeno nove anni. Non è prevista alcuna forma specifica di iscrizione se non quella nei registri anagrafici, in conformità agli artt. 4, 13 comma 1 lett. b) del d.p.r. 30 maggio 1989 n.223. Nulla dispone la legge per il caso di interruzione e ripresa della convivenza, se, in altri termini, è possibile ricongiungere per i suddetti fini più periodi di convivenza. Sembra che non sia previsto, quindi, un istituto analogo a quello della “riconciliazione” adattato alle unioni di fatto. 1.5. IL REGIME PRIMARIO ED IL REGIME SECONDARIO DELLA FAMIGLIA – I FIGLI NATURALI - GLI ACCORDI IN VISTA DELLA CRISI DEL MATRIMONIO Accennate, in via di prima approssimazione, le problematiche inerenti i rapporti di convivenze, nel loro modo multiforme di porsi, non è possibile andare oltre senza accennare al contenuto degli art. 143, 144 e 147 del c.c. che rappresentano la spina dorsale della famiglia legittima e che presidiano quei valori fondamentali che possono sintetizzarsi nell’eguaglianza, nella solidarietà, nella reciprocità dei doveri, nell’equiparazione del lavoro domestico rispetto al lavoro svolto all’esterno della famiglia che assicura la pari dignità dei coniugi. Gli articoli menzionati costituiscono quello che comunemente è definito il regime primario della famiglia costituito: dall’obbligo reciproco di fedeltà, dall’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale, dal dovere di collaborazione nell’interesse della famiglia, dall’obbligo di coabitazione, dal dovere, a carico di ciascun coniuge in relazione alle
  • 13. MARCO KROGH NOTAIO 13 proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro, professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia (art. 143 c.c.). I coniugi concordano, altresì, tra loro l’indirizzo della vita familiare e ciascun coniuge ha il potere di attuare l’indirizzo concordato (art. 144 c.c.). L’art. 147 c.c. riguarda i doveri di mantenere, istruire ed educare i figli, tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni naturali ed aspirazioni. Tralascerei i doveri nei confronti dei figli perché, sotto quest’aspetto, abbiamo una perfetta equiparazione tra genitori legittimi e genitori naturali. I doveri dei genitori nei confronti dei figli non possono essere messi in discussione dall’esistenza o meno di un atto di matrimonio. La Corte costituzionale e la giurisprudenza hanno compiuto costantemente un’opera demolitoria di quasi tutte le norme che, in qualche modo, discriminavano i figli naturali rispetto ai figli legittimi. Vale la pena ricordare un emendamento proposto dall’onorevole Rosi Bindi non ancora formalizzato in un provvedimento normativo, diretto ad eliminare le ultime norme discriminatorie tra figli legittimi e naturali. Mi riferisco al mancato legame dei figli nati fuori dal matrimonio - 80mila ogni anno, il 15% dei nati - con le famiglie dei genitori: niente nonni né zii, né cugini, per loro.. Si tratta di una discriminazione di carattere sostanziale e che può avere effetti pregiudizievoli per i figli naturali, al di fuori di ogni ragionevolezza. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui i genitori del bambino muoiono, il bimbo non avendo nessun legame con il resto della famiglia, in casi estremi, potrebbe addirittura essere dato in adozione a estranei ed, in ogni caso è escluso dall'asse ereditario, per cui non erediterà nulla dai nonni; nonostante l'articolo 30 della Costituzione dica che "la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale". L’onorevole Bindi lo scorso anno chiese al Parlamento di poter agire sul tema mediante un ddl che si articolava in tre punti: 1. modifica l'articolo 315 del Codice Civile: "le disposizioni in tema di filiazioni si applicano a tutti i figli senza distinzioni". 2. delega di un anno al governo per eliminare ogni residua discriminazione ed espressa previsione che "il riconoscimento produce effetti anche nei confronti dei parenti del genitore che lo effettua". 3. disposizioni di adeguamento del Regolamento dello Stato civile. In questa medesima linea di tendenza, va ricordata, da ultimo, la riconosciuta possibilità, in caso di filiazione naturale e di cessazione della convivenza di assegnare la casa “familiare” al convivente al quale è affidato il minore (o il maggiorenne sprovvisto di mezzi) e di trascrivere il relativo atto.
  • 14. MARCO KROGH NOTAIO 14 Chiusa la parentesi relativa agli obblighi nei confronti dei figli, va, innanzitutto, evidenziato che mentre il regime patrimoniale primario impegna tutti i componenti la famiglia nel dovere di reciproca contribuzione, il regime patrimoniale secondario è diretto a disciplinare i soli rapporti tra i coniugi. In secondo luogo, può osservarsi che sebbene l’art. 160 c.c. afferma l’inderogabilità degli obblighi sopra enunciati, gli sposi possono determinare un contenuto specifico agli obblighi stessi, senza violare il principio dell’inderogabilità. Tant’è che riguardo al dovere di concordare l’indirizzo comune, il prof. Bocchini, in modo molto efficace, afferma che trattasi di clausola generale che può contenere modelli familiari diversi, pur nel rispetto della reciprocità dei doveri e dell’eguaglianza tra i coniugi. Anche gli altri obblighi, a ben vedere, possono avere un contenuto flessibile rimesso alla diversa determinazioni degli sposi. E’ interessante l’analisi condotta da un autore (R.Tommasini, I rapporti personali nella famiglia, in Trenta anni dalla riforma del diritto di famiglia, a cura di Giampaolo Frezza, collana di studi diretta da Vincenzo lojacono, Giuffrè editore, 2005, pag 31 e segg) su questi aspetti e sul possibile diverso modo di atteggiarsi, ad esempio del dovere di fedeltà (attualmente inteso nella più ampia accezione di reciproca lealtà e non più ridotto alla mera sfera sessuale) ed al dovere di coabitazione. Questo per quanto riguarda i rapporti di tipo personale. Per i rapporti di tipo patrimoniale i reciproci doveri di contribuzione e mantenimento, emergono sotto due aspetti: 1. sul piano della valenza di eventuali accordi determinativi del contenuto dei doveri di reciproca contribuzione; 2. sulla possibilità, per i coniugi, di perfezionare accordi vincolanti in previsione di una crisi matrimoniale. Sul primo aspetto, va detto che eventuali accordi tra coniugi di natura negoziale sono leciti e possibili, ma come affermato da un autorevole studioso (E. Russo, il regime patrimoniale convenzionale. Le convenzioni di separazione dei beni, in Trenta anni dalla riforma del diritto di famiglia, a cura di Giampaolo Frezza, collana di studi diretta da Vincenzo lojacono, Giuffrè editore, 2005, pag 65 e segg,) hanno una forza vincolante debole, perché sono soggetti al clausola implicita del rebus sic stantibus e perché comunque, possono essere messi in discussione qualora travalichino la soglia dell’inderogabilità posta dall’art. 160 c.c. Questi accordi, comunque, possono avere una loro valenza soprattutto, da un punto di vista fattuale, perché idonei a far emergere la volontà reciproca dei coniugi in un determinato momento della loro vita coniugale. Per i secondi, gli accordi in previsione di una crisi matrimoniale, nonostante parte della dottrina (G. Oberto, Gli accordi preventivi sulla crisi coniugale, in
  • 15. MARCO KROGH NOTAIO 15 http://www.geocities.com/CollegePark/Classroom/6218/famiglia.htm (5 maggio 2008) G. Oberto, i contratti di convivenza tra autonomia privata e modelli legislativi, in http://www.geocities.com/CollegePark/Classroom/6218/famiglia.htm (5 maggio 2008) abbia messo a nudo più di un’incongruenza dell’attuale posizione della giurisprudenza, sono generalmente ritenuti nulli perché contrari all’ordine pubblico che non consente di disporre dello status di coniuge. Si ritiene, da parte della Suprema Corte, che un accordo al di fuori del giudizio di divorzio, rischierebbe di condizionare la libertà di difesa di uno o dell’altro coniuge in sede di divorzio. Su questa linea, tuttavia, un indirizzo giurisprudenziale, con qualche forzatura concettuale ha ritenuto che i suddetti accordi possono essere impugnati dal solo coniuge “debole” (una sorta di nullità relativa di protezione) e non sono più impugnabili dopo il giudizio di divorzio (una sorta di prescrizione dell’azione di nullità). Fortemente critico su questo punto G. Oberto (op. cit.), studioso molto attento a queste problematiche, il quale non esita “a qualificare la giurisprudenza dominante come altamente «diseducativa», posto che questa finisce con il promuovere il principio secondo cui proprio tra coniugi, cioè tra soggetti il cui rapporto dovrebbe essere caratterizzato dal massimo livello di affidamento nel rispetto della parola data, in realtà, pacta… non sunt servanda. E dunque l’accordo di separazione, faticosamente raggiunto dopo mesi (o anni) di trattative e obiettivamente inteso come solutorio dell’intero complesso dei rapporti nati da un’unione sbagliata, potrà essere accettato da una delle parti con la «riserva mentale» di porre tutto nuovamente in discussione al momento del divorzio, così spingendo, tra l’altro, la prassi a rinvenire soluzioni al limite del lecito e comunque inutili o facilmente frustrabili, quali, ad esempio, il rilascio di garanzie, o la stipula di simulati contratti di mutuo, risolubili solo all’atto della conclusione en souplesse della futura procedura di scioglimento del vicolo, e così via.” Un’ultima notazione, all’interno del regime patrimoniale primario, va fatta per ricondurre a giusta causa le dazioni a titolo gratuito che i coniugi nelle crisi matrimoniali effettuano a favore dell’uno o dell’altro ed a favore dei figli. Si tratta di negozi a titolo gratuito che trovano la loro ragione giustificatrice nelle finalità assistenzali, contributive e risarcitorie in stretta dipendenza con gli accordi presi dai coniugi nel concordare l’indirizzo familiare. Sono dazioni che tendono a compensare l’affidamento riposto da un coniuge sulla stabilità di un rapporto poi entrato in crisi. Sotto quest’aspetto, può essere interessante indagare e chiedersi fin dove un’elargizione, anche cospicua è coperta dalla cd. causa familiare sopra menzionata e dove invece è prospettabile un contenuto donativo (sia pure indiretto) soggetto alla norma di cui all’art. 809 c.c. Norma quest’ultima posta a presidio anche di interessi sottratti alla libera disponibilità dei coniugi. 1.6. L’AUTONOMIA NEGOZIALE NELLE UNIONI DI FATTO Diverso il discorso per le unioni di fatto.
  • 16. MARCO KROGH NOTAIO 16 Vanno, innanzitutto, distinti i rapporti personali dai rapporti patrimoniali, al fine di valutare la possibilità e la liceità per i conviventi di dettare norme dirette a regolamentare le proprie relazioni. Eventuali intese dirette a vincolare i conviventi ad un reciproco obbligo di fedeltà, di coabitazione etc. sono ritenute, in genere, contrarie all’ordine pubblico in quanto limitative delle libertà fondamentali costituzionalmente protette. Quando si discorre di contratto di convivenza non si designa l’accordo con cui due persone si impegnano a convivere more uxorio Un Autore (G. Oberto, … cit.) ritiene possibile una contrattualizzazione di questi doveri sotto forma di elargizioni premiali condizionate al rispetto del dovere imposto: Ti darò 100 se mi sarai fedele, ti darò 100 se tra tre anni coabiterai ancora con me. Sarebbe invece illecita una penale prevista dalle parti in caso di violazione dei medesimi doveri: Mi darai 100 se violerai il dovere di fedeltà. In buona sostanza, secondo tale Autore, un evento - illecito se assunto come oggetto di un obbligo patrimonializzato mediante una penale -, può, invece, rientrare nell’area della liceità, se dedotto in una condizione. Sul piano dei rapporti patrimoniali, i reciproci obblighi e doveri di contribuzione, mantenimento, collaborazione, assistenza materiale, trovano, all’interno dell’ordinamento giuridico, una tutela limitata, marginalizzata nell’ambito delle obbligazioni naturali che, come è noto, da un lato, si limitano ad assicurare l’irripetibilità della prestazione effettuata e, da altro lato, limitano l’effetto della soluti retentio a ciò che rientra nei limiti di una funzione indennitaria e/o contributiva, non assicurando il medesimo effetto, ad esempio, a donazioni (nulle per difetto di forma) aventi ad oggetto immobili o somme considerevoli. La possibilità di trasformare l’obbligo morale di contribuzione in un vero e proprio vincolo giuridico è impedito dall’impossibilità di compiere un atto di ricognizione o di novazione partendo da un’obbligazione naturale. Entrambi gli atti presuppongono l’esistenza di una valida e vincolante obbligazione (G. Oberto, … cit.). Una soluzione proposta da un Autore (G. Oberto, … cit.) è data dalla possibilità di dedurre in contratto secondo uno schema di prestazioni sinallagmatiche le reciproche pretese e doveri di contribuzione, superando, in tal modo il limite posto dall’impossibilità di novare un’obbligazione naturale. Il contratto, infatti, ben può avere una sua causa autonoma rispetto all’obbligazione naturale sussistente tra le parti, anche se tramite esso i contraenti raggiungano ugualmente lo scopo di dare esecuzione al dovere morale o sociale. Il risultato può essere ottenuto ponendo la prestazione oggetto dell’obbligazione naturale in corrispondenza biunivoca con un’altra prestazione, di natura reale o obbligatoria, la
  • 17. MARCO KROGH NOTAIO 17 quale a sua volta può costituire oggetto di un’altra obbligazione naturale (per esempio, Tizio promette a Caio di adempiere nei suoi confronti un’obbligazione prescritta, in cambio dell’impegno di Caio di saldare a Tizio la residua parte di un debito facente parte di un concordato fallimentare) (G. Oberto, … cit.). Se il dovere di contribuzione avrà un solo convivente obbligato, dovrà, ovviamente utilizzarsi lo schema della donazione. Non essendo i conviventi non matrimonializzati vincolati dall’art. 160 c.c. potranno eventualmente stabilire gli obblighi di contribuzione senza rispettare il dovere di proporzionalità stabilito nell’art. 143 c.c. In altri termini sarà possibile per i conviventi fissare misure fisse ed eventualmente uguali per entrambi i partners. L’Autore citato (G. Oberto, … cit.) tra le forme contrattuali utilizzabili per disciplinare queste ipotesi propone il mantenimento vitalizio, contratto con causa atipica che si distingue dalla rendita vitalizia per avere ad oggetto non una prestazione di danaro, ma una prestazione in natura, vitto, alloggio, assistenza materiale. Il mantenimento vitalizio, potrà avere come controprestazione l’impegno a svolgere lavoro domestico ovvero altra lecita controprestazione (sicuramente non lo scambio di favori sessuali) ovvero potrà essere privo di controprestazione ed in quest’ultimo caso dovrà assumere la forma della donazione. Al mantenimento vitalizio potrà essere apposta anche una clausola di durata coincidente con quella della convivenza. 1.7. L’AUTONOMIA PRIVATA NEL REGIME SECONDARIO DELLA FAMIGLIA – RIFIUTO DEL COACQUISTO – CONVENZIONI DI SEPARAZIONE COMPLESSA Abbandonando di nuovo il terreno delle unioni di fatto, per passare alla famiglia legittima è interessante verificare come può esplicarsi l’autonomia privata dei coniugi all’interno del regime patrimoniale secondario. Come è noto, il Legislatore ha previsto come regime che meglio di altri è in grado di realizzare gli obiettivi di eguaglianza, pari dignità dei coniugi ed equiparazione del lavoro domestico rispetto a quello svolto all’esterno della famiglia, il regime della comunione legale dei beni. In base al quale la ricchezza acquisita durante il matrimonio è redistribuita in base all’effetto automatico previsto dall’art. 177 lett. a) c.c. Va ricordato che, sebbene in via tendenziale, il suddetto regime sia considerato lo strumento più diretto per la realizzazione delle finalità evidenziate, è altrettanto vero che l’adempimento dei doveri familiari reciproci, anche di natura patrimoniale, può avvenire anche al di fuori del paradigma della comunione legale dei beni.
  • 18. MARCO KROGH NOTAIO 18 Una redistribuzione perequativa ella ricchezza acquistata durante il matrimonio è comunque assicurata dalle norme che regolano gli aspetti patrimoniali in caso di crisi del matrimonio e le norme successorie. Un Autore (A. Fusaro relazione dal titolo "Systems of community property and separation of ownership", tenuto a Brisbane nei giorni 9-13.7.2000, riportata su Rivista di diritto civile, CEDAM, II,99) ha notato che tra i sistemi in cui vige come regola il regime della separazione dei beni ed i sistemi in cui vige il sistema della comunione dei beni il punto di convergenza nella equa distribuzione della ricchezza acquistata dai coniugi durante il matrimonio si può ravvisare nel diverso momento in cui avviene la perequazione dei beni tra i coniugi stessi. Al momento dell’acquisto dei beni, nei regimi in cui sussiste la comunione legale, al momento della cessazione del matrimonio, negli ordinamenti che privilegiano il regime della separazione dei beni, risolvendosi, sotto certi aspetti, la differenza tra l’uno e l’altro sistema nelle norme di amministrazione dei beni stessi. Peraltro, negli ordinamenti in cui prevale il regime della comunione difficilmente essa ha carattere universale. Nel nostro ordinamento, come è noto, la comunione legale riguarda solo i beni acquistati in costanza di matrimonio ed esclude, tutta una serie di beni elencati nell’art. 179 del codice civile, in ragione del titolo d’acquisto (successione, donazione) ovvero in ragione della finalità del bene diretta a soddisfare necessità strettamente personali di un coniuge, ovvero perché diretti a compensare la perdita della capacità lavorativa di un coniuge, ovvero perché destinati alla professione del coniuge, ovvero perché acquistati con il provento o lo scambio di beni personali. Per i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi l’art. 178 c.c. prevede una disciplina speciale (la cd. comunione de residuo) che tende ad armonizzare l’esigenze dell’impresa con le aspettative del coniuge non imprenditore. L’insieme delle regole che disciplinano la comunione legale appare estremamente rigoroso e poco flessibile, soprattutto per le vicende che riguardano la circolazione dei beni immobili. Ciò è dovuto, come evidenziato nelle più recenti sentenze della Suprema Corte, (la n. 2954 del 27 febbraio 2003, la n. 19250 del 2004, la n. 18619 del 2003) all’esigenza di tutelare l’affidamento dei terzi in un sistema dominato dalla pubblicità legale. Come ulteriore argomento, tendente a limitare l’autonomia privata dei coniugi, nell’ambito del regime della comunione legale si è affermato che i regimi tra i coniugi hanno essenzialmente contenuto programmatico e non dispositivo, essendo diretti a regolamentare i futuri acquisti che saranno compiuti dai coniugi, insieme o separatamente (E. Russo, …cit, e cass. n.2954/2003). Detto argomento è stato utilizzato dalla Suprema Corte per disconoscere validità al rifiuto del coacquisto di un coniuge in regime di comunione legale dei beni.
  • 19. MARCO KROGH NOTAIO 19 Sul rifiuto del coacquisto è interessante tracciare, brevemente, gli indirizzi giurisprudenziali che si sono avvicendati nel tempo. Con la sentenza n.2688 del 2 giugno 1989, la Cassazione afferma la validità del rifiuto del coacquisto da parte del coniuge non acquirente al fine di evitare la caduta del bene in comunione. Consente, in altri termini, una deroga al disposto dell’art. 177 lett. a) c.c., secondo cui tutti gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio sono oggetto della comunione (salvo i beni personali). Una norma questa che sembra attribuire una forza gravitazionale fortissima al regime della comunione legale dei beni, tale da attrarre all’interno di essa tutti i beni che in qualche modo accrescono il valore del patrimonio familiare, con le sole eccezioni dei beni personali. La Cassazione, al contrario con questa sentenza attribuisce al coniuge non interessato alla caduta in comunione legale di un bene, la facoltà di rendere una dichiarazione negoziale dismissiva (una rinunzia all’acquisto). Vengono espressamente ritenuti prevalenti dalla Suprema Corte i seguenti principi: 1. Nessuno, neppure un coniuge in comunione legale dei beni, può essere costretto contro la sua volontà ad acquistare un diritto, ciò in omaggio al principio generalmente osservato dall’ordinamento secondo cui nemo locupletari potest invito; 2. Esso sarebbe pienamente lecito, in quanto l’art.2647 c.c. prevede che i coniugi deroghino, con apposita convenzione in forma pubblica, parzialmente alla disciplina della comunione legale. Non vi è alcuna ragione, quindi, per escludere che un coniuge possa consentire all’altro di procedere ad un determinato acquisto a titolo personale, sempre che tale consenso sia espresso nel medesimo atto con il quale si opera l’acquisto e che, per questo atto venga adottata la forma dell’atto pubblico. In effetti queste ultime considerazioni, per quanto possano essere condivisibili sul piano sostanziale degli effetti, non risolvono un problema altrettanto fondamentale relativo alla circolazione dei beni immobili, ossia quello della pubblicità legale. Infatti, come è noto, l’opponibilità ai terzi di un regime patrimoniale diverso dalla comunione legale è possibile solo se annotato a margine dell’atto di matrimonio. Ci sarebbe da domandarsi, seguendo questo indirizzo giurisprudenziale, se, in queste ipotesi di deviazione una tantum dalla disciplina della comunione legale, ci troviamo di fronte ad una nuova convenzione matrimoniale regolamentata in tutto dalle norme della comunione legale con l’eccezione del singolo bene dedotto in contratto che non si vuol far rientrare in comunione legale ovvero ad un’interpretazione di tipo sistematico delle norme della comunione legale.
  • 20. MARCO KROGH NOTAIO 20 Nel primo caso, mi sembra coerente concludere che la relativa convenzione, ai fini dell’opponibilità ai terzi, debba essere annotata a margine dell’atto di matrimonio, nel secondo caso, invece, mi sembra che non sia necessaria né la presenza dei testimoni, né l’atto pubblico trovandoci al di fuori di una modifica al regime patrimoniale dei coniugi. Questo aspetto evidenzia una problematica di carattere più generale legata alla pubblicità legale delle convenzioni matrimoniali che viene ad incidere in modo marcato con la circolazione dei beni immobili: in tutte le ipotesi in cui non ci sia un allineamento tra le risultanze dell’atto di matrimonio e l’effettivo regime patrimoniale, il bene circola con efficacia diversa nei rapporti tra i coniugi e rispetto ai terzi, rispetto ai primi vale l’effettivo regime patrimoniale, per i terzi vale invece il regime patrimoniale che appare all’esterno sulla base delle risultanze dell’atto di matrimonio. Tornando alla panoramica degli indirizzi giurisprudenziali, la Cassazione spingendo ulteriormente in avanti il ragionamento contenuto nella sentenza di riconoscimento del rifiuto del coacquisto, con la sentenza n.7437 del 18 agosto 1994, aggiunge un ulteriore elemento a tale indirizzo, affermando che l’acquisto di un immobile può essere escluso dalla comunione legale, anche al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 179 c.c. purché l’acquisto avvenga mediante utilizzo di denaro proveniente dal proprio lavoro o, più genericamente, personale. Un’altra deroga, dunque, al disposto dell’art. 177 lett. a) , questa volta fondata non sull’interesse del coniuge che rifiuta l’arricchimento, ma su un’estensione della tutela dell’interesse del coniuge che intende procedere all’acquisto escludendo l’altro coniuge. Nella suindicata sentenza viene espressamente affermato che il disposto dell’art.179 lett.f) c.c., che prevede l’esclusione dei beni dalla comunione legale nel caso in cui sia utilizzato quale prezzo di acquisto danaro proveniente dalla vendita di beni personali, può essere applicato analogicamente, ai sensi dell’art. 12 comma 2 delle preleggi, ricorrendo identità di ratio, anche nell’ipotesi in cui il danaro utilizzato sia stato acquisito per donazione, per successione o anche perché “frutto del proprio lavoro” La portata di queste due sentenze è effettivamente dirompente nel sistema della comunione legale. Ancor più dirompente se accompagnata da tutta una serie di pronunciati che, qualificano come meramente facoltativa e surrogabile la dichiarazione prevista dall’ultimo comma dell’art. 179 c.c. da parte del coniuge escluso. In questi pronunciati si può cogliere il momento di massima espansione del rilievo dato all’autonomia negoziale dei coniugi all’interno del regime della comunione legale. In altri termini, all’interno della comunione legale, il meccanismo previsto dall’art. 177 lett. a) non avrebbe un ruolo fondamentale, ma solo programmatico e derogabile dalla volontà dei coniugi, sia in modo diretto che indiretto.
  • 21. MARCO KROGH NOTAIO 21 Portando alle estreme conseguenze questo indirizzo, un coniuge potrebbe acquistare un immobile, utilizzando danaro proveniente dalla propria attività lavorativa ovvero da un finanziamento personale, escludendo il bene stesso dalla comunione legale, anche all’insaputa del coniuge escluso. Effettivamente la portata di queste sentenze riduceva ai minimi termini il significato della comunione legale, trasformandola da regime patrimoniale con regole tassative in regime patrimoniale contenente un programma di massima, estremamente flessibile e suscettibile di continui adattamenti in progress. Le soluzioni per quanto coerenti con i principi sistematici rischiavano di sgretolare il significato stesso di regime patrimoniale programmatico tra coniugi e creare non pochi problemi legati al regime di pubblicità legale nella circolazione dei beni immobili. In buona sostanza, l’assoggettamento o meno di un singolo bene al regime della comunione legale sarebbe legato non ad indici sicuri (annotazione a margine dell’atto di matrimonio e ricorrenza o non ricorrenza delle fattispecie previste dall’art. 178 e 179 c.c.) ma alla volontà dei singoli coniugi di volta in volta riscontrabile, in modo più o meno evidente all’interno dell’atto di acquisto. Al contrario le obiezioni mosse a tale impostazione si muovono all’interno di una visione della famiglia e del regime patrimoniale della comunione legale, caratterizzati da una importanza sociale che determina vincoli di indisponibilità sottratti all’autonomia contrattuale dei coniugi; questi possono operare le loro scelte entro i limiti tracciati dal Legislatore, non trovando tutela gli interessi del singolo coniuge se non nella misura in cui corrispondono a valori espressamente considerati meritevoli di tutela all’interno degli schemi precostituiti. Superando questo originario indirizzo la Cassazione, nelle più recenti sentenze, riconoscendo un ruolo fondamentale alla comunione legale negli obiettivi della riforma, ha affermato: 1. in primo luogo, con la sentenza n.9355 del 23 settembre 1997 , che i beni acquistati con i proventi dell'attività separata di uno dei coniugi entrano immediatamente e di pieno diritto a far parte della comunione, senza che sia possibile escluderli mediante la dichiarazione prevista dall'art. 179, lett. f) c.c., applicabile soltanto all'acquisto effettuato mediante utilizzo dei proventi della vendita di beni personali (sentenza che però faceva riferimento all’acquisto di azioni). Questo indirizzo è riaffermato anche nella recentissima sentenza emessa dalla Cassazione sul punto (la 1197 del 20 gennaio 2006) la quale ha ribadito due principi: innanzitutto che l’acquisto di un bene (nel caso di specie dei fondi patrimoniali) è escluso dalla comunione legale qualora ci sia certezza che il danaro utilizzato sia provento della vendita di beni personali, pur in assenza di una espressa dichiarazione in tal senso nell’atto, operandosi, quindi una surrogazione reale tra i due beni; inoltre, che il danaro ricavato dalla vendita di beni
  • 22. MARCO KROGH NOTAIO 22 personali non perde tale sua connotazione anche nel caso in cui sia depositato sul conto corrente appartenente ad entrambi i coniugi, non operandosi alcuna trasformazione del diritto esclusivo di un coniuge su una determinata somma di danaro, che può definirsi “targata”, in diritto di credito rispetto al saldo di conto corrente che, ipoteticamente e con le precisazioni già esposte, potrebbe farsi rientrare nella vis attractiva della comunione legale. 2. In secondo luogo, con la sentenza n.2954 del 27 febbraio 2003 (emessa nello stesso solco tracciato dalle precedenti sentenze n.1917 del 2000 e n.1556 del 1993) si afferma, da parte della Cassazione che, nell’ambito della comunione legale, l’art.179 c.c. si pone come norma eccezionale, che consente l’esclusione dalla comunione legale, di alcuni beni tassativamente indicati, nel solo caso in cui ricorrano tutti i presupposti oggettivi previsti dalla norma stessa. Una deroga è consentita ai coniugi esclusivamente attraverso la stipulazione di una convenzione matrimoniale, nel rispetto dei requisiti di forma e di sostanza previsti dagli artt. 161 e 210 del codice civile (atto pubblico, irrinunciabilità ai testimoni, presenza personale dei coniugi, indicazione specifica e concreta dei patti con i quali intendono regolare i loro rapporti). Peraltro, la convenzione matrimoniale potrà avere un contenuto cd. programmatico, cioè riferito a categorie di beni, non essendo possibile, secondo questo indirizzo, la stipulazione di convenzioni matrimoniali che abbiano ad oggetto singoli beni, le cd. convenzioni matrimoniali “dispositive” (“inclusive” o “esclusive”). Quest’ultimo orientamento è stato oggetto di critiche, anche condivisibili, da parte della dottrina che ha ritenuto eccessivamente restrittiva la posizione della Cassazione ed in parte contraddittoria. Come già accennato in precedenza, non può trascurarsi che le norme che regolano il regime patrimoniale secondario sono norme derogabili.. I limiti richiesti dalle norme in materia (artt.159, 161 e 210 del c.c.) attengono al rispetto delle forma e di alcuni principi ritenuti inderogabili, tra questi nulla è previsto relativamente all’impossibilità di stipulare convenzioni matrimoniali cd. dispositive, riguardanti cioè il regime giuridico di singoli beni. Tra l’altro, i coniugi potrebbero, comunque, pervenire allo stesso risultato non in modo diretto ma attraverso un percorso segmentato, formato da più atti giuridici. Non sembra, dunque, che ci siano validi motivi ostativi a ritenere meritevole di tutela l’interesse dei coniugi a dare una regolamentazione “diversa” a singoli beni, all’interno dello schema più generale della comunione legale, il problema sembra più legato al regime di pubblicità cui assoggettare questo tipo di “regolamentazione speciale” di singoli beni, deviante rispetto al regime ordinario (F. Bocchini, …cit.).
  • 23. MARCO KROGH NOTAIO 23 In realtà l’anomalia della comunione legale è da ricercarsi proprio in questa rigidità di sistema che tuttavia le parti possono nella sua totalità disattendere scegliendo il regime della separazione dei beni che, a ben vedere, non è un vero e proprio regime patrimoniale, ma è la scelta di avvalersi delle norme di diritto comune nelle vicende acquisitive della ricchezza da parte dei coniugi nel corso della vita matrimoniale. Accanto a queste due scelte estreme, il codice civile consente alcune deroghe al regime della comunione legale, secondo la disciplina prevista dall’art. 210 del c.c. che tuttavia non sembra, almeno nella pratica, abbia riscosso particolare successo, soprattutto per la marginalità delle opportunità offerte ai coniugi. Invero, il regime previsto dall’art. 210 del c.c. non consente di superare l’automatismo previsto dall’art. 177, in quanto non sono derogabili le norme della comunione legale relative all’amministrazione dei beni ed all’uguaglianza delle quote limitatamente ai beni che formerebbero oggetto della comunione. Inoltre, non è possibile includere tra i beni della comunione, quelli che sono considerati personali ai sensi dell’art. 179 lett. c), d) ed e): si tratta di beni che attengono intimamente alla sfera personale dell’individuo ed alla sua dignità e, sotto quest’aspetto, non possono essere oggetto di condivisione nemmeno con il proprio coniuge. La comunione convenzionale, esclusa anche la possibilità di includere i beni che possono provenire da future successioni ereditarie a favore di uno dei coniugi, perché in contrasto con il divieto dei patti successori, resta limitata all’inclusione, nella comunione convenzionale, dei beni di provenienza donativa e dei beni di cui uno dei coniugi era titolare i epoca antecedente al matrimonio. Altra possibilità di deroga al regime della comunione legale (o convenzionale) ed al regime della separazione dei beni è costituita dalla possibilità, offerta dall’art. 161 c.c. agli sposi, di regolare i propri rapporti patrimoniali in base a leggi straniere o agli usi. In questo caso le relative norme devono essere riportate in modo specifico per esigenze d’informazione dei coniugi e dei terzi. Le disposizioni della legge straniera o gli usi dovranno, inoltre, non essere contrarie all’ordine pubblico interno e, segnatamente, ai doveri inderogabili disposti negli artt. 143, 144 e 147 del c.c. Discussa è la possibilità da parte dei coniugi di regolamentare liberamente i propri rapporti al di fuori di queste ipotesi tipizzate. La dottrina più attenta all’evoluzione dei costumi ed alle problematiche nascenti da un’applicazione eccessivamente rigida delle norme sulla comunione legale è orientata a ritenere che i coniugi possano esplicare in modo più esteso la propria autonomia privata (S. Patti, Diritto Privato e codificazioni europee, Giuffrè editore, Milano 2004, pag.133 e segg. e E. Russo, …cit.).
  • 24. MARCO KROGH NOTAIO 24 In particolare un Autore (E. Russo, …cit.) ha approfondito la possibilità per i coniugi di adottare convenzioni matrimoniali di separazione complesse all’interno delle quali sia, in modo espresso dichiarato l’intento delle parti di non accettare il regime della comunione (né legale, né convenzionale per evitare gli automatismi di cui all’art. 177 richiamato dall’art. 210) ed i cui acquisti durante il matrimonio siano disciplinati secondo norme diverse da quelle previste nel regime della comunione legale quali, ad esempio, la possibilità di prevedere acquisti con quote determinate nella immediata titolarità di ciascun coniuge e non secondo lo schema della comunione senza quote ovvero acquisti di diritti diversi a favore di ciascun coniuge (nuda proprietà per uno ed usufrutto per l’altro) etc.. Non sembra che sussistano seri ostacoli all’autonomia privata, laddove non sono in discussione principi inderogabili sui quali si fonda la famiglia legittima e sempre che siano salvaguardato l’affidamento dei terzi, soprattutto nella circolazione dei beni immobili. Come già accennato in precedenza, ben diversa è la soluzione da dare in ordine alla astratta possibilità per una coppia di conviventi di regolamentare con una convenzione di tipo programmatico la distribuzione della ricchezza acquisita da un partner durante la convivenza, tenuto conto del divieto generale posto dall’art. 771 c.c. relativamente alle donazioni di beni futuri ed all’impossibilità di ricondurre gli automatismi di un regime analogo a quello della comunione legale all’interno della logica delle obbligazioni naturali, tenuto conto che l’unico effetto che discende da queste è la soluti retentio, mentre nel nostro caso si avrebbe una promessa di prestazione sicuramente non rientrante nel regime delle obbligazioni naturali. Maggio 2008