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La scrittura
Le incisioni rupestri
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Le incisioni rupestri - Introduzione
Scritture rupestri
Già dalla Preistoria si rilevano segni pittografici, con forme e funzioni diverse
dell’odierna scrittura.
Le prime raffigurazioni rappresentano uomini durante la caccia di animali; tramite
queste gli storici ricavano più informazioni riguardanti la struttura sociale
dell’uomo preistorico. Questa primitiva forma di comunicazione, non definibile
propriamente con il termine di scrittura, aveva funzione propiziatoria,
generalmente per la buona riuscita della caccia; le pitture erano anche un modo
per rappresentare se stessi, ad esempio sono molte le raffigurazioni di mani
umane su pareti rocciose. Da una forma di scrittura estesa si passa ad una forma
concettuale di dimensioni ridotte che associa ogni simbolo ad un oggetto: lo
svantaggio è evidente, ad ogni oggetto doveva corrispondere un simbolo, si può
immaginare quindi quanti simboli diversi dovevano essere rappresentati per
comporre un ‘concetto’, ancora non si tratta di una vera e propria scrittura.
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Le incisioni rupestri – Pitture rupestri nel Paleolitico
Pitture rupestri del Paleolitico:
Nel Paleolitico superiore l’uomo realizzò vere e proprie opere d’arte: le pitture
rupestri e i graffiti.
Si definiscono pitture rupestri quelle pitture realizzate in una grotta o in muri di
pietra o in soffitti risalenti generalmente alla Preistoria, legate a pratiche
magico-religiose, rituali funebri, propiziatori e iniziatici.
Sono state rinvenute tracce dall’Africa settentrionale all’Asia, ma le più
spettacolari e numerose sono state trovate in Europa, in particolare in Francia e
in Spagna. Si tratta di raffigurazioni di uomini e di animali cacciati realizzate
sulle pareti o addirittura sul soffitto delle grotte.
Sono state riconosciute dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità.
Famosissimi sono i dipinti di Altamira in Spagna, di Lescaux (soprannominata la
“Cappella Sistina” della preistoria) in Francia e in Val Camonica in Italia.
Spesso queste opere sono state realizzate in posti quasi inaccessibili.
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Le incisioni rupestri – Pitture rupestri nel Paleolitico
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Le maggiori realizzazioni artistiche si ebbero nell’ultimo periodo del Paleolitico
superiore, intorno ai 15000 anni fa , periodo conosciuto con il nome di
Magdaleniano.
Incisioni rupestri, dette anche graffiti, sono segni scavati nella roccia con
strumenti appuntiti di vario genere, utilizzando una tecnica di picchiettatura. Le
figure formate da una fitta concentrazione di buchi, potevano essere ricoperte di
sostanze coloranti.
Le incisioni rupestri rappresentano sia la realtà della vita pastorale e quotidiana,
sia figure simboliche prodotte dalla fantasia, astratte.
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Le incisioni rupestri – Pitture rupestri nel Paleolitico
 Indietro
Nella pittura primitiva le scene di caccia e le immagini di animali vengono
delineate per mezzo di un dito intinto nel colore, ma anche con la tecnica del
graffito, per mezzo di “penne” realizzate con un aculeo di porcospino o con
punte di legno.
Il supporto è la nuda parete rocciosa che può anche essere preparata con uno
strato di morbida argilla.
Una tecnica che testimonia un certo grado di abilità , è la ” pittura a imbratto”:
in questa pratica il colore è steso per mezzo di tamponi di muschio.
Nelle pitture più evolute i particolari più piccoli e i contorni delle immagini
possono essere delineati con rozzi pennelli.
I pigmenti usati in questi dipinti primitivi sono principalmente:
il carbone, la polvere di argilla, le terre, i coloranti vegetali, ma anche coloranti
minerali come ossidi naturali di ferro e manganese e i loro composti come le ocre
rossa e gialla.
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Le incisioni rupestri – Pitture rupestri nel Paleolitico
 Indietro
In alcuni casi, per esempio ad Altamira in Spagna, dove le pareti delle grotte
sono molto umide, è probabile che i pigmenti siano stati sciolti semplicemente
nell’acqua, in modo che i colori siano trattenuti dall’umidità della parete e fissati
sulla roccia porosa con un processo chimico simile a quello degli affreschi.
La Policromia
Tra il 13.000 e il 10.000 a.C. le raffigurazioni sono caratterizzate dalla policromia
molto elaborata, dal grande naturalismo, dalla precisione anatomica e dalla cura
dei dettagli, dalla vitalità e dal movimento.
Da molti esempi in cui figure ed incisioni si sovrappongono, modulandosi alla
conformazione della grotta, appare evidente che l’arte parietale è un’arte che
integra, oltre ad elementi tecnici, elementi tematici e tipografici.
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Le incisioni rupestri – Cronologia
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2.500.000 – 10000 a.C. Paleolitico
200.000 a.C. L’ Homo erectus realizza i primi strumenti di
pietra
70.000-35.000 a.C. L’uomo di Neandertal pratica riti magico-religiosi
35.000 a.C. In Europa L’Homo sapiens sapiens inizia a rappresentare la
realtà
35.000-10.000 a.C. Paleolitico superiore, si sviluppa l’arte parietale
XI millennio a.C. Nel Vicino Oriente nasce la civiltà agricola
X millennio a.C. Mesolitico
IX-VII millennio a.C. I primi centri proto urbani neolitici
V-IV millennio a.C. Sviluppo metallurgia
Dal VI alla fine del I millennio
a.C.
Arte rupestre della Valcamonica
Galleria foto della gita in Valcamonica (BS)
Realizzata il 19/03/2008
Lo splendido paesaggio della valle
In ordine dall’alto: la valle; il monte Concarena; il monte Pizzo Badile.
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Incisioni rupestri: rappresentazioni di uomini, animali e capanne: “La grande roccia”
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Incisioni rupestri sulle rocce del parco di Naquane e di altri siti camuni
L’invenzione della scrittura egizia, è avvenuta intorno
al 3100 a.C. e fu uno degli eventi più importanti
nella storia dell’antico Egitto. Gli antichi egizi
appresero la scrittura pittografica dai sumeri e la
fusero con l’ideografica. Anche se per le decorazioni
dei vasi e oggetti di uso comune non si può ancora
parlare di una scrittura vera e propria, essa può
infatti essere già considerata una forma di
comunicazione visiva. Ma i segni e i disegni non
erano adatti per indicare molte cose astratte come
bontà, pensiero, né molti verbi come aspettare,
vivere, pensare: in genere i concetti erano difficili
da esprimere. Per rimediare a ciò, nel corso di
parecchi secoli, gli egizi modificarono la loro
scrittura: diedero ad ogni figura il valore di un
suono, come noi ne diamo uno alle lettere
dell'alfabeto.
La scrittura egizia è di tipo geroglifico, poiché utilizza
caratteri che rappresentano oggetti riconoscibili.
Questa forma di scrittura viene così chiamata perché
in greco il termine “geroglifico” significa “lettere
sacre incise”, ed è associata ai caratteri incisi sulle
pareti dei monumenti.
Le iscrizioni egizie sono composte da due tipi
fondamentali di segni: ideogrammi e fonogrammi.
L’ideogramma richiama allo specifico oggetto
rappresentato o a qualcosa di direttamente associabile;
ad esempio, un’immagine del sole può significare sole o
giorno.
I fonogrammi invece rappresentano suoni, sono usati
solo per il loro valore fonetico e non hanno relazione con
la parola che compongono.
I fonogrammi potevano rappresentare una consonante o
la combinazione di due o tre consonanti in un ordine
specifico; le vocali non venivano rappresentate. Un
medesimo segno poteva servire come ideogramma in
una parola e come fonogramma in un’altra.
La maggior parte delle parole era scritta con una
combinazione di segni fonetici e ideografici. Alcuni
ideogrammi, detti determinativi, scritti alla fine di una
parola indicavano la categoria cui la parola apparteneva
precisandone il significato, non sempre reso chiaro dal
contesto.
Le iscrizioni geroglifiche possono avere
andamento sia orizzontale sia verticale, di
solito da destra a sinistra. La direzione di
lettura è indicata da segni particolari
all’inizio di ogni iscrizione. Vi compaiono
nomi, verbi, preposizioni e altre parti del
discorso disposte secondo rigide regole di
ordine delle parole. I segni riferiti al re e agli
dei sono spesso spostati rispetto al resto
dello scritto, per ragioni onorifiche.
Il sistema geroglifico si sviluppò intorno al 3000 a.C. e
restò in uso presso gli egizi fino all’epoca romana. La
forma e il numero di segni rimasero quasi invariati fino a
quel periodo: da allora, il numero dei segni,
particolarmente dei fonogrammi, fu notevolmente
ampliato. Ma già alle origini del Regno Antico gli egizi
avevano sviluppato una scrittura corsiva adatta a
sostituire i geroglifici per gli scritti vergati, stendendo
l’inchiostro con pennelli o strumenti dalla punta smussata
sul papiro o su materiali simili. Questa scrittura è detta
ieratica (in greco, “sacra” nel senso di “sacerdotale” ), in
quanto il suo uso era quasi esclusivamente limitato ai
testi religiosi. Nell’uso quotidiano o privato si adoperava
una scrittura ancora più scorrevole e legata, detta
demotica (in greco, “popolare”). La scrittura geroglifica,
la cui stesura richiedeva accuratezza, impegnando lo
scriba per molto più tempo rispetto alle due corsive,
continuò a essere usata per le iscrizioni incise sui
monumenti. Per le sue caratteristiche pittoriche era usata
dagli egizi anche con funzione decorativa.
Già i romani credevano che i geroglifici
egizi fossero simbolici e allegorici, non
fonetici; questa teoria prevalse fin dopo
la Rivoluzione Francese. Nel 1799 un
soldato dell’esercito napoleonico in
Egitto scoprì la stele di Rosetta, un’i-
scrizione bilingue su pietra. L’iscrizione
era in greco e in egizio, e la parte in
lingua egizia era sia in scrittura
geroglifica sia in scrittura demotica. Fu
l’egittologo francese J.F. Champollion a
riconoscere come fonetiche le due
scritture egizie.
Il termine egizio per ‘Tolomeo’ è scritto in geroglifico nel seguente modo:
La casta più autorevole dopo quella dei sacerdoti
era costituita dagli scribi, che conoscevano il
segreto della scrittura. Questa capacità li
rendeva importanti poiché erano gli unici che
sapevano fare i calcoli e potevano riscuotere le
tasse, tenere la contabilità dei tributi che ogni
anno i popoli sottomessi inviavano al faraone;
tenere aggiornati i conti dei ricchi proprietari;
calcolare quanti uomini fossero da arruolare
nell’esercito; trascrivere i trattati, i messaggi del
faraone e le pene stabilite dai giudici.
Il sito di Uruk ci ha lasciato un tipo di scrittura che
rappresenta un vero e proprio unicum nel panorama delle
cosiddette "prime scritture". Le condizioni economiche e
sociali della Bassa Mesopotamia, nell'epoca considerata,
erano tali da spingere ad un progresso culturale che sarebbe
sfociato nella nascita della scrittura, come accadde
parallelamente in Egitto. Infatti vi era una gestione
centralizzata dei raccolti e una forte dominanza teocratica
che richiedeva uno strumento più complesso in grado di
registrare e contabilizzare. L'origine elitaria sembra essere
preponderante, in quanto la scrittura non si diffuse mai tra
la gente, ma rimaneva sempre retaggio di un distinto gruppo
sociale (gli scribi appunto). Originariamente in Mesopotamia
esistevano due scritture: la «sumerica» e la «proto-
elamita», entrambe geroglifiche. La prima visse a lungo, la
seconda si estinse; la prima è in parte decifrata e tradotta, la
seconda a tutt'oggi è poco nota. Dalla scrittura sumerica
derivò la «sumero-accadica» o «babilonese», formata da
grafismi costituiti con segmenti rettilinei a cuneo, da cui il
nome di «cuneiforme».
• Tavoletta d'argilla con scrittura cuneiforme
In origine la scrittura era costituita da geroglifici pittografici naturalistici. I geroglifici furono modificati in
figure composte da segmenti rettilinei, graffiati sul supporto scrittorio fatto di argilla molle, mediante
uno stilo; successivamente si preferì incidere tali segmenti con uno strumento scrittorio più rapido, cioè
mediante un punzone, con il quale si imprimevano sull'argilla molle del supporto, segni a forma di cuneo
di tipo orizzontale, obliquo, verticale e a freccia; inoltre, tali cunei potevano essere impressi in forma
accorciata, a testa espansa e in forma rimpicciolita; è evidente che dall’antico geroglifico ne uscì un
«grafismo» ottenuto dalla trasformazione operata dalla nuova tecnica. In seguito a questi mutamenti, la
scrittura divenne un sistema misto ideografico e fonografico. Successivamente, per la necessità di
esprimere la lingua accadica con la propria scrittura, i Sumeri complicarono notevolmente la loro scrittura
con l'aggiunta di altri segni. In Siria il cuneiforme venne adottato adattandolo alla lingua neo-semitica
locale, riducendolo a 32 grafismi alfabetici consonantici; così pure venne adottato dagli Armeni fra il 850 e il
640. Il cuneiforme venne ancora usato per scrivere la lingua degli Ittiti, abitanti l'Anatolia;popolazione
indoeuropea entrata in Anatolia verso il 1800 a.C. La classica datazione della nascita della scrittura (Uruk,
3300 a.C.) è il frutto di una semplice media aritmetica fornita dall'equipe archeologica diretta da Hans J.
Nissen (datazione alta, 3600 a.C.; datazione bassa, 2900 a.C.). Le ricerche più recenti fanno però
propendere per una datazione decisamente alta sia dell'inizio del periodo di Uruk(3750 a.C.) che della
nascita della relativa scrittura (3600-3500 a.C.). Le stesse Tavolette di Tartaria rinvenute presso Alba Iulia in
Romania e datate attorno al 3500 a.C., che l'assirologo A. Falkenstein ha ritenuto di poter leggere in
sumerico, potrebbero essere un ulteriore indizio a favore della maggiore antichità della scrittura di Uruk.
Col tempo, dalle scritture logografiche si svilupparono quelle sillabiche,
cioè ogni segno stava ad indicare solo una sillaba. Questo passaggio
evolutivo si rese necessario con lo sviluppo del commercio che richiese
l’impiego di parole straniere. Le nuove espressioni potevano essere
costituite da due o più parole, perciò bisognava scriverle con due o più
segni. Un procedimento simile fece nascere le giapponesi hiragana e
katakana dopo l’acquisizione di alcuni caratteri cinesi. Nelle scritture
sillabiche ogni sillaba è costituita da una consonante più una vocale.
Normalmente la consonante iniziale non influisce sul segno grafico della
sillaba: “ma” e “me” sono scritte in modo totalmente diverso, sebbene
Inizino ambedue con la “m”. Soltanto alcune scritture sillabiche che il
linguista Peter T.Daniels chiama abugide prevedono una scrittura similare
per sillabe con la stessa consonante iniziale. In questo tipo di scrittura
spesso si indica solo la consonante,mentre le vocali vengono sostituite con
segni diacritici. Le prime popolazioni ad usare questo sistema furono gli
Indiani d’America ; oggi possiamo incontrarli ancora ad esempio nello
hindi.
La Lineare A è un sistema di scrittura non ancora
decifrata, utilizzata nell'isola di Creta nel II millennio a.C.,
approssimativamente tra il 1750 a.C. (ma probabilmente
anche prima) e il 1450 a.C. È composta da segni che si
svolgono da sinistra verso destra.
La prima forma di scrittura, usata nell'isola
precedentemente al XX secolo a.C., fu quella pittografica,
incisa su sigilli e gemme.
Dal medio Minoico fu utilizzato un sistema di scrittura
fonetico, la Lineare A, che utilizzava i geroglifici
precedenti in forma più schematica e semplificata,
limitandosi a delinearne i contorni. I reperti su cui si
trovano iscrizioni in Lineare A comprendono, oltre a
numerose tavolette di argilla, anche oggetti di pietra e
bronzo. L'insieme più numeroso di documenti recanti
questo genere di scrittura è quello di Haghia Triada
(Santa Trinità), dal nome dell'edificio adiacente gli scavi,
nei pressi di Festo, e consiste in circa 150 tavolette di
argilla recanti elenchi di merci o prodotti agricoli.
Un tipo di scrittura ad essa correlata è la Lineare B, una
forma antica della lingua greca, decifrata da Michael
Ventris.
Il sistema di scrittura adottata in Grecia prima
dell'introduzione dell'alfabeto, viene distinta con
la designazione di scrittura lineare B (dal 1450
a.C. al 1200 a.C.). La B, con 88 segni, è
rinvenuta nella Grecia continentale, a Pilo e a
Micene e,nell’isola di Creta,solo a Cnosso.La
lineare B, grazie all'opera di Michael Ventris,tra
il 1951 e il 1953, è ormai facilmente decifrabile
e serviva per trascrivere un dialetto greco dalle
caratteristiche molto arcaiche. Il sillabario
miceneo, esclusi alcuni ideogrammi, è
costituito quasi esclusivamente da segni per
vocali isolate e per sillabe del tipo
consonante+vocale.
Anche se i due tipi di scrittura hanno in comune molti simboli, utilizzando le
sillabe della Lineare B negli scritti in Lineare A, si ottengono parole che non
hanno relazione con alcun linguaggio conosciuto.
Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la Lineare A possa essere una forma
arcaica della lingua fenicia, o comunque di area linguistica semitica, ma
finora i risultati ottenuti dal confronto non hanno dato esiti confortanti.
Un'altra ipotesi avanzata è che la lingua minoica abbia delle affinità con il
luvio, lingua in uso nell'Asia Minore nel IIl millennio.
2 ESEMPI DI
LINEARE A
E' noto che si attribuisce ai Fenici l'invenzione
dell'alfabeto, che sarebbe stato poi introdotto in Grecia.
Tale tradizione troverebbe conferma nella somiglianza
con l'alfabeto ebraico (Ebrei e Fenici avevano stretta
parentela) e quello greco: 22 lettere sovrapponibili nella
forma, nel nome e nell'ordine di successione. Il
commercio era il principale interesse dei fenici, così
ebbero un ruolo fondamentale nella diffusione della
scrittura consonantica semitica nel loro vasto impero
commerciale. Antenato di questo sistema sarebbe il
geroglifico semplificato, in cui venivano considerati solo i
suoni delle consonanti. Più tardi i Fenici
presumibilmente modificarono almeno la forma dei
segni singoli, mantenendo invece invariato il sistema.
Esempio di scrittura fenicia
E' verosimile comunque, quale che sia la vera origine
primigenia dell'alfabeto, che Byblos, antica e fiorente città
sulla costa fenicia, emporio del commercio tra la Siria e
l'Egitto, fu il centro di diffusione di questa notevolissima
invenzione, tanto è vero che i Greci diedero il suo nome al
libro. Proprio a Byblos è stato ritrovato il più antico
monumento dell'alfabeto fenicio: l'iscrizione funeraria del
re Ahiram, databile attorno al XIII sec. a.C. Ebrei, Aramei,
Moabiti, Ammoniti ed Edomiti fecero quindi propria
questa invenzione pratica e non equivocabile, già dalla
seconda metà del II millennio a.C. Dall'espansione fenicia
verso l'occidente del Mar Mediterraneo derivò invece
l'esportazione dell'alfabeto oltre i confini geografici
dell'Asia. Dall'alfabeto greco originarono tutti gli alfabeti
occidentali (latino, italico, etrusco e probabilmente
iberico), mentre dal fenicio (di cui non si avranno più
tracce dopo la fine del secondo sec. a.C.) direttamente la
scrittura punica (nell'Africa del Nord, a Malta, in Sicilia, in
Sardegna, in Spagna) e quella numidica, largamente
attestata nel Nord Africa. Durante l’età classica, ma anche
dopo, ogni regione della Grecia diede una propria
impronta al modello dell’alfabeto importato della Fenicia e
queste differenze, anche rilevanti, durarono a lungo.
Alfabeto fenicio
La lingua greca risale al IX secolo a.C.; l‘ alphabetos
derivava dalla scrittura alfabetica dei Fenici, i quali ad ogni
segno associavano un solo suono. Dal momento che la
scrittura fenicia era di tipo "appercettivo", ovvero venivano
indicate solo le consonanti che dovevano poi essere
integrate da suoni vocalici non specificati, (e quindi solo un
fenicio era in grado di leggere una parola scritta in fenicio) i
greci dovettero trasformare alcune lettere fenicie non usate
nel loro alfabeto per indicare i suoni vocalici, che
nell'alfabeto greco sono basilari tanto per una questione
metrica quanto per il problema della flessione delle parole e
degli articoli. Nell'antica Grecia le lettere venivano usate
anche per scrivere i numeri, in maniera del tutto simile ai
numeri romani usati dai latini. Le lettere dell'alfabeto greco
sono molto utilizzate oggi per numerosi altri scopi: in
matematica, per assegnare il nome alle stelle e così via.
Dall'alfabeto greco bizantino deriva anche l'alfabeto cirillico.
Esempio di scrittura greca
Il latino è una lingua facente parte delle lingue europee, parlata nel Lazio
almeno dal primo millennio a.C. Il latino acquistò grande importanza con
l'espansione dello stato romano e in quanto lingua ufficiale dell‘impero si radicò
in gran parte dell‘Europa e dell'Africa settentrionale. Tutte le lingue romanze
discendono dal latino volgare, ma parole di origine latina si trovano spesso
anche in molte lingue moderne di altri ceppi. Quando venne meno questa sua
funzione, intorno al XVII ed al XVIII secolo, essa fu assunta dalle lingue vive
europee del tempo e, in alcuni ambiti letterari e nella diplomazia, dal francese,
lingua romanza, che come tale continuò a promuovere le parole di origine latina
negli altri idiomi. A partire dagli ultimi decenni del XIX secolo, si andò
gradualmente imponendo in Europa e nel mondo l'inglese, lingua di ceppo
germanico, ibridatasi però col francese nel medioevo a seguito della
dominazione normanna. Nel frattempo, in seguito alla scoperta dell'America e
alla politica coloniale degli stati europei, le lingue dell'Europa occidentale, in cui
l'impronta latina era così forte, si erano poi diffuse in gran parte del mondo. La
lingua latina si è sviluppata grazie anche al contributo di tutte le lingue dei
popoli con cui è entrata in contatto durante l'epoca romana, ed in particolare
con gli idiomi italici e con quelli parlati nel Mediterraneo orientale (greco
soprattutto). Il latino ecclesiastico formalmente rimane la lingua della Chiesa
cattolica romana ancora oggi ed è la lingua ufficiale della Santa Sede. La Chiesa
cattolica ha usato il latino come principale lingua liturgica fino al Concilio
Vaticano Secondo. Il latino è usato per designare i nomi nelle classificazioni
scientifiche degli esseri viventi.
Esempio di
scrittura latina
Tra i supporti scrittori più
antichi, il foglio di papiro, di
origine vegetale,
consiste nell’intreccio di
strisce ricavate dal midollo
della pianta palustre.
Procedendo nell’intreccio si
ottenevano fogli di circa 20
cm x 30, che una
volta incollati tra di loro
originavano rotoli lunghi fino
a 40 metri; questi
venivano poi arrotolati su
bacchette di legno e
conservati in apposite
casse.
I Greci cominciarono ad utilizzare il papiro come
principale
supporto a partire dal VII secolo, mentre a Roma giunse
con il nome di
“ volumen ”. Il papiro sarà utilizzato fino al Medioevo
( XI sec a.C.).
La tradizione attribuisce la scoperta
della carta alla Cina e precisamente al
direttore degli ateliers imperiali, che
all’inizio del II secolo avrebbe avuto
l’idea di fabbricare una pasta sottile
ed economica con materiali di scarto.
Le più antiche carte orientali
conosciute risalgono però al III
secolo. Quanto al nome, per indicare
la carta vennero adoperati sostantivi
già in uso per altre materie
scrittorie,producendo
spesso confusione.
Una particolarità della carta sono
le filigrane o marchi di fabbrica,
ossia segni delle cartiere
filigranati nelle carte stesse.
Consistono in lettere,figure di
animali, fiori o frutti, arnesi o
utensili, disegnati con un filo
d’ottone o di argento È possibile
vederli in trasparenza perché la
pasta vi
resta più rada . Esse sono di
grande utilità per la storia
dell’industria cartaria.
La pergamena è una carta di pelle di
animali,secondo la tradizione
introdotta per rimediare alla
mancanza di papiro. Per la
preparazione della pergamena si
usavano pelli di vari animali: pecora,
capra, montone o vitello; la qualità di
una pergamena può essere stabilita in
base alla fattura.
La pergamena usata per i codici era
più fine e levigata, perché era
adoperata da entrambe le parti,
mentre quella dei documenti era
lisciata soltanto da una parte in
quanto si scriveva sul recto.
Nonostante la pergamena abbia
origini antichissime, venne poco
sfruttata prima del III–VI secolo
quando il rotolo si trasformò in
codice.
Nell’alto Medioevo si usò
frequentemente riadoperare fogli di
pergamena già scritti. A questo
scopo si cercava di cancellare la
scrittura immergendoli nel latte e
strofinandoli con pomice per far
sparire le tracce di inchiostro.
Essi sono chiamati “ codices
rescripti” . L’ uso di pergamene
già scritte si ebbe specialmente nei
secoli VII-VIII per il caro prezzo
della pergamena nuova.
Un manoscritto è qualsiasi
documento scritto usando le
mani, oggi però con questo
termine si indicano i testi in
forma di libro. Il periodo
d’oro del manoscritto fu
senza dubbio il medioevo,
quando gli amanuensi si
dedicarono alla copia di
innumerevoli testi antichi.
L’importanza del
manoscritto per la
conoscenza e l’esatta
versione di eventi storici è
tanto maggiore quanto più
risale a tempi lontani da noi.
Il tipo di strumento utilizzato per scrivere,
spiega le variazioni delle forme della
scrittura;così i segni tracciati sui vari
supporti variavano a seconda se veniva
utilizzato uno strumento appuntito o un
pennello, per esempio. Lo strumento
scrittorio più antico fu lo “stilus”, una
semplice asta d’osso, citata anche nella
bibbia.
Dai tempi degli egizi, questo semplice
strumento subì mutamenti fino all’età
medievale, dove venne definitivamente
sostituito dalla penna di volatile,
soprattutto d’ oca. La matita venne citata
per la prima volta nel XIV secolo.
Gli inchiostri antichi erano
prevalentemente neri, o
tendenzialmente scurissimi, mentre
quelli rossi cominciarono ad essere
utilizzati in epoca carolingia, per poi
ritornare nel XII secolo nuovamente
neri.
Gli altri colori furono il verde e l’azzurro
nella decorazione delle iniziali dei
manoscritti.
La scrittura d’oro e d’argento su sfondo
purpureo fu limitata dai latini,
ai codici destinati al culto religioso.
Il termine manoscritto indica ogni documento scritto dalla mano dell’uomo, tanto le
carte (atti pubblici o privati, lettere) quanto i volumi che contengono testi di opere.
Generalmente nel linguaggio filologico il manoscritto indica il volume (rotolo, codice)
scritto a mano e viene distinto dal documento e dalla lettera.
Il libro manoscritto più propriamente
si chiama “codice”, rotolo o “volumen”
. Fu la prima forma abituale del libro
nella civiltà antica del mondo
Occidentale e in Oriente, sia esso in
papiro, in pergamena e in seta.
Purtroppo per il mondo greco-latino
rimangono testimonianze molto rare .
Verso l’inizio dell’ era Cristiana il
rotolo subì la concorrenza e poi la
completa sostituzione del codice, cioè
l’insieme di quaderni formati dalla
piegatura di uno o più fogli cuciti gli
uni agli altri. L’ etimologia della parola
“codice” si fa risalire o a “caudex”
tronco d’albero e restrittivamente
corteccia, oppure a “goda” che in
caldeo significa tavola.
L’importanza del manoscritto per la conoscenza e l’esatta versione di eventi storici o di opere
letterarie, specialmente per i secoli più remoti e precedenti all’invenzione dei caratteri a stampa,
è tanto maggiore quanto più si risale ai tempi lontani da noi, e si rivela sempre più determinante
per un puntuale approfondimento dei testi antichi. Esso è dunque necessario sia per lo storico
che per il filologo, i quali, per ricostruire un testo il più possibile obbiettivo, si basano, oltre che
sulle loro cognizioni, anche su materie specifiche come la diplomatica, la paleografia, la
papirologia e la codicologia.
Il destino del codice fu più
brillante di quello del rotolo:
malgrado perdite e dispersioni
immense, sono migliaia e migliaia i
libri manoscritti, ricopiati in forma
di codice nei 10 secoli che hanno
preceduto l’invenzione e la
diffusione della stampa in
occidente, che ci sono pervenuti.
Nel Medioevo, che può essere
considerato come l’età d’oro del
manoscritto, il copista, uomo abile
e paziente dispose come supporto
della sua grafia la materia
scrittoria che aveva soppiantato il
papiro, la pergamena, conosciuta
in tutto il mediterraneo già dall’
antichità.
Un terminale importante per la
circolazione dei libri fu la biblioteca; la
loro importanza era determinata dal
ruolo di conservazione dei libri. La più
importante del mondo antico si
trovava ad Alessandria d’Egitto, dove
era raccolto l’intero patrimonio
culturale ellenico. Fra le biblioteche
Greche acquisite dai Romani, la più
nota è quella del re Perseo di
Macedonia, portata a Roma da Emilio
Paolo; nel secolo successivo Lucullo
fece altrettanto con la biblioteca di
Mitridate, altri fondi librari erano
arrivati a Roma da Cartagine dopo la
distruzione della città. Queste
biblioteche contenevano opere in
greco e anche opere in punico.
Lo sviluppo economico e culturale di Roma pose le premesse, a partire dal II secolo a.C., per la
creazione di un mercato librario. Questo sviluppo creò le condizioni per attività imprenditoriali
del tipo di quella che era già stata sperimentata da Attico, corrispondente di Cicerone, di cui
resta anche una biografia ad opera di Cornelio Nepote. I venditori erano concentrati a Roma
nell’area dell’Argileto, dove avvisi pubblicitari sulle novità in commercio erano affissi sulle
colonne del porticato.

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Dalle incisioni rupestri al codex

  • 2. Avanti  Le incisioni rupestri - Introduzione Scritture rupestri Già dalla Preistoria si rilevano segni pittografici, con forme e funzioni diverse dell’odierna scrittura. Le prime raffigurazioni rappresentano uomini durante la caccia di animali; tramite queste gli storici ricavano più informazioni riguardanti la struttura sociale dell’uomo preistorico. Questa primitiva forma di comunicazione, non definibile propriamente con il termine di scrittura, aveva funzione propiziatoria, generalmente per la buona riuscita della caccia; le pitture erano anche un modo per rappresentare se stessi, ad esempio sono molte le raffigurazioni di mani umane su pareti rocciose. Da una forma di scrittura estesa si passa ad una forma concettuale di dimensioni ridotte che associa ogni simbolo ad un oggetto: lo svantaggio è evidente, ad ogni oggetto doveva corrispondere un simbolo, si può immaginare quindi quanti simboli diversi dovevano essere rappresentati per comporre un ‘concetto’, ancora non si tratta di una vera e propria scrittura.
  • 3. Avanti  Le incisioni rupestri – Pitture rupestri nel Paleolitico Pitture rupestri del Paleolitico: Nel Paleolitico superiore l’uomo realizzò vere e proprie opere d’arte: le pitture rupestri e i graffiti. Si definiscono pitture rupestri quelle pitture realizzate in una grotta o in muri di pietra o in soffitti risalenti generalmente alla Preistoria, legate a pratiche magico-religiose, rituali funebri, propiziatori e iniziatici. Sono state rinvenute tracce dall’Africa settentrionale all’Asia, ma le più spettacolari e numerose sono state trovate in Europa, in particolare in Francia e in Spagna. Si tratta di raffigurazioni di uomini e di animali cacciati realizzate sulle pareti o addirittura sul soffitto delle grotte. Sono state riconosciute dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità. Famosissimi sono i dipinti di Altamira in Spagna, di Lescaux (soprannominata la “Cappella Sistina” della preistoria) in Francia e in Val Camonica in Italia. Spesso queste opere sono state realizzate in posti quasi inaccessibili.  Indietro
  • 4. Avanti  Le incisioni rupestri – Pitture rupestri nel Paleolitico  Indietro Le maggiori realizzazioni artistiche si ebbero nell’ultimo periodo del Paleolitico superiore, intorno ai 15000 anni fa , periodo conosciuto con il nome di Magdaleniano. Incisioni rupestri, dette anche graffiti, sono segni scavati nella roccia con strumenti appuntiti di vario genere, utilizzando una tecnica di picchiettatura. Le figure formate da una fitta concentrazione di buchi, potevano essere ricoperte di sostanze coloranti. Le incisioni rupestri rappresentano sia la realtà della vita pastorale e quotidiana, sia figure simboliche prodotte dalla fantasia, astratte.
  • 5. Avanti  Le incisioni rupestri – Pitture rupestri nel Paleolitico  Indietro Nella pittura primitiva le scene di caccia e le immagini di animali vengono delineate per mezzo di un dito intinto nel colore, ma anche con la tecnica del graffito, per mezzo di “penne” realizzate con un aculeo di porcospino o con punte di legno. Il supporto è la nuda parete rocciosa che può anche essere preparata con uno strato di morbida argilla. Una tecnica che testimonia un certo grado di abilità , è la ” pittura a imbratto”: in questa pratica il colore è steso per mezzo di tamponi di muschio. Nelle pitture più evolute i particolari più piccoli e i contorni delle immagini possono essere delineati con rozzi pennelli. I pigmenti usati in questi dipinti primitivi sono principalmente: il carbone, la polvere di argilla, le terre, i coloranti vegetali, ma anche coloranti minerali come ossidi naturali di ferro e manganese e i loro composti come le ocre rossa e gialla.
  • 6. Avanti  Le incisioni rupestri – Pitture rupestri nel Paleolitico  Indietro In alcuni casi, per esempio ad Altamira in Spagna, dove le pareti delle grotte sono molto umide, è probabile che i pigmenti siano stati sciolti semplicemente nell’acqua, in modo che i colori siano trattenuti dall’umidità della parete e fissati sulla roccia porosa con un processo chimico simile a quello degli affreschi. La Policromia Tra il 13.000 e il 10.000 a.C. le raffigurazioni sono caratterizzate dalla policromia molto elaborata, dal grande naturalismo, dalla precisione anatomica e dalla cura dei dettagli, dalla vitalità e dal movimento. Da molti esempi in cui figure ed incisioni si sovrappongono, modulandosi alla conformazione della grotta, appare evidente che l’arte parietale è un’arte che integra, oltre ad elementi tecnici, elementi tematici e tipografici.
  • 7. Avanti  Le incisioni rupestri – Cronologia  Indietro 2.500.000 – 10000 a.C. Paleolitico 200.000 a.C. L’ Homo erectus realizza i primi strumenti di pietra 70.000-35.000 a.C. L’uomo di Neandertal pratica riti magico-religiosi 35.000 a.C. In Europa L’Homo sapiens sapiens inizia a rappresentare la realtà 35.000-10.000 a.C. Paleolitico superiore, si sviluppa l’arte parietale XI millennio a.C. Nel Vicino Oriente nasce la civiltà agricola X millennio a.C. Mesolitico IX-VII millennio a.C. I primi centri proto urbani neolitici V-IV millennio a.C. Sviluppo metallurgia Dal VI alla fine del I millennio a.C. Arte rupestre della Valcamonica
  • 8. Galleria foto della gita in Valcamonica (BS) Realizzata il 19/03/2008 Lo splendido paesaggio della valle In ordine dall’alto: la valle; il monte Concarena; il monte Pizzo Badile. Avanti   Indietro
  • 9. Incisioni rupestri: rappresentazioni di uomini, animali e capanne: “La grande roccia” Avanti   Indietro
  • 10. Avanti   Indietro Incisioni rupestri sulle rocce del parco di Naquane e di altri siti camuni
  • 11.
  • 12. L’invenzione della scrittura egizia, è avvenuta intorno al 3100 a.C. e fu uno degli eventi più importanti nella storia dell’antico Egitto. Gli antichi egizi appresero la scrittura pittografica dai sumeri e la fusero con l’ideografica. Anche se per le decorazioni dei vasi e oggetti di uso comune non si può ancora parlare di una scrittura vera e propria, essa può infatti essere già considerata una forma di comunicazione visiva. Ma i segni e i disegni non erano adatti per indicare molte cose astratte come bontà, pensiero, né molti verbi come aspettare, vivere, pensare: in genere i concetti erano difficili da esprimere. Per rimediare a ciò, nel corso di parecchi secoli, gli egizi modificarono la loro scrittura: diedero ad ogni figura il valore di un suono, come noi ne diamo uno alle lettere dell'alfabeto. La scrittura egizia è di tipo geroglifico, poiché utilizza caratteri che rappresentano oggetti riconoscibili. Questa forma di scrittura viene così chiamata perché in greco il termine “geroglifico” significa “lettere sacre incise”, ed è associata ai caratteri incisi sulle pareti dei monumenti.
  • 13. Le iscrizioni egizie sono composte da due tipi fondamentali di segni: ideogrammi e fonogrammi. L’ideogramma richiama allo specifico oggetto rappresentato o a qualcosa di direttamente associabile; ad esempio, un’immagine del sole può significare sole o giorno. I fonogrammi invece rappresentano suoni, sono usati solo per il loro valore fonetico e non hanno relazione con la parola che compongono. I fonogrammi potevano rappresentare una consonante o la combinazione di due o tre consonanti in un ordine specifico; le vocali non venivano rappresentate. Un medesimo segno poteva servire come ideogramma in una parola e come fonogramma in un’altra. La maggior parte delle parole era scritta con una combinazione di segni fonetici e ideografici. Alcuni ideogrammi, detti determinativi, scritti alla fine di una parola indicavano la categoria cui la parola apparteneva precisandone il significato, non sempre reso chiaro dal contesto.
  • 14. Le iscrizioni geroglifiche possono avere andamento sia orizzontale sia verticale, di solito da destra a sinistra. La direzione di lettura è indicata da segni particolari all’inizio di ogni iscrizione. Vi compaiono nomi, verbi, preposizioni e altre parti del discorso disposte secondo rigide regole di ordine delle parole. I segni riferiti al re e agli dei sono spesso spostati rispetto al resto dello scritto, per ragioni onorifiche.
  • 15. Il sistema geroglifico si sviluppò intorno al 3000 a.C. e restò in uso presso gli egizi fino all’epoca romana. La forma e il numero di segni rimasero quasi invariati fino a quel periodo: da allora, il numero dei segni, particolarmente dei fonogrammi, fu notevolmente ampliato. Ma già alle origini del Regno Antico gli egizi avevano sviluppato una scrittura corsiva adatta a sostituire i geroglifici per gli scritti vergati, stendendo l’inchiostro con pennelli o strumenti dalla punta smussata sul papiro o su materiali simili. Questa scrittura è detta ieratica (in greco, “sacra” nel senso di “sacerdotale” ), in quanto il suo uso era quasi esclusivamente limitato ai testi religiosi. Nell’uso quotidiano o privato si adoperava una scrittura ancora più scorrevole e legata, detta demotica (in greco, “popolare”). La scrittura geroglifica, la cui stesura richiedeva accuratezza, impegnando lo scriba per molto più tempo rispetto alle due corsive, continuò a essere usata per le iscrizioni incise sui monumenti. Per le sue caratteristiche pittoriche era usata dagli egizi anche con funzione decorativa.
  • 16. Già i romani credevano che i geroglifici egizi fossero simbolici e allegorici, non fonetici; questa teoria prevalse fin dopo la Rivoluzione Francese. Nel 1799 un soldato dell’esercito napoleonico in Egitto scoprì la stele di Rosetta, un’i- scrizione bilingue su pietra. L’iscrizione era in greco e in egizio, e la parte in lingua egizia era sia in scrittura geroglifica sia in scrittura demotica. Fu l’egittologo francese J.F. Champollion a riconoscere come fonetiche le due scritture egizie.
  • 17. Il termine egizio per ‘Tolomeo’ è scritto in geroglifico nel seguente modo:
  • 18. La casta più autorevole dopo quella dei sacerdoti era costituita dagli scribi, che conoscevano il segreto della scrittura. Questa capacità li rendeva importanti poiché erano gli unici che sapevano fare i calcoli e potevano riscuotere le tasse, tenere la contabilità dei tributi che ogni anno i popoli sottomessi inviavano al faraone; tenere aggiornati i conti dei ricchi proprietari; calcolare quanti uomini fossero da arruolare nell’esercito; trascrivere i trattati, i messaggi del faraone e le pene stabilite dai giudici.
  • 19.
  • 20.
  • 21. Il sito di Uruk ci ha lasciato un tipo di scrittura che rappresenta un vero e proprio unicum nel panorama delle cosiddette "prime scritture". Le condizioni economiche e sociali della Bassa Mesopotamia, nell'epoca considerata, erano tali da spingere ad un progresso culturale che sarebbe sfociato nella nascita della scrittura, come accadde parallelamente in Egitto. Infatti vi era una gestione centralizzata dei raccolti e una forte dominanza teocratica che richiedeva uno strumento più complesso in grado di registrare e contabilizzare. L'origine elitaria sembra essere preponderante, in quanto la scrittura non si diffuse mai tra la gente, ma rimaneva sempre retaggio di un distinto gruppo sociale (gli scribi appunto). Originariamente in Mesopotamia esistevano due scritture: la «sumerica» e la «proto- elamita», entrambe geroglifiche. La prima visse a lungo, la seconda si estinse; la prima è in parte decifrata e tradotta, la seconda a tutt'oggi è poco nota. Dalla scrittura sumerica derivò la «sumero-accadica» o «babilonese», formata da grafismi costituiti con segmenti rettilinei a cuneo, da cui il nome di «cuneiforme».
  • 22. • Tavoletta d'argilla con scrittura cuneiforme In origine la scrittura era costituita da geroglifici pittografici naturalistici. I geroglifici furono modificati in figure composte da segmenti rettilinei, graffiati sul supporto scrittorio fatto di argilla molle, mediante uno stilo; successivamente si preferì incidere tali segmenti con uno strumento scrittorio più rapido, cioè mediante un punzone, con il quale si imprimevano sull'argilla molle del supporto, segni a forma di cuneo di tipo orizzontale, obliquo, verticale e a freccia; inoltre, tali cunei potevano essere impressi in forma accorciata, a testa espansa e in forma rimpicciolita; è evidente che dall’antico geroglifico ne uscì un «grafismo» ottenuto dalla trasformazione operata dalla nuova tecnica. In seguito a questi mutamenti, la scrittura divenne un sistema misto ideografico e fonografico. Successivamente, per la necessità di esprimere la lingua accadica con la propria scrittura, i Sumeri complicarono notevolmente la loro scrittura con l'aggiunta di altri segni. In Siria il cuneiforme venne adottato adattandolo alla lingua neo-semitica locale, riducendolo a 32 grafismi alfabetici consonantici; così pure venne adottato dagli Armeni fra il 850 e il 640. Il cuneiforme venne ancora usato per scrivere la lingua degli Ittiti, abitanti l'Anatolia;popolazione indoeuropea entrata in Anatolia verso il 1800 a.C. La classica datazione della nascita della scrittura (Uruk, 3300 a.C.) è il frutto di una semplice media aritmetica fornita dall'equipe archeologica diretta da Hans J. Nissen (datazione alta, 3600 a.C.; datazione bassa, 2900 a.C.). Le ricerche più recenti fanno però propendere per una datazione decisamente alta sia dell'inizio del periodo di Uruk(3750 a.C.) che della nascita della relativa scrittura (3600-3500 a.C.). Le stesse Tavolette di Tartaria rinvenute presso Alba Iulia in Romania e datate attorno al 3500 a.C., che l'assirologo A. Falkenstein ha ritenuto di poter leggere in sumerico, potrebbero essere un ulteriore indizio a favore della maggiore antichità della scrittura di Uruk.
  • 23. Col tempo, dalle scritture logografiche si svilupparono quelle sillabiche, cioè ogni segno stava ad indicare solo una sillaba. Questo passaggio evolutivo si rese necessario con lo sviluppo del commercio che richiese l’impiego di parole straniere. Le nuove espressioni potevano essere costituite da due o più parole, perciò bisognava scriverle con due o più segni. Un procedimento simile fece nascere le giapponesi hiragana e katakana dopo l’acquisizione di alcuni caratteri cinesi. Nelle scritture sillabiche ogni sillaba è costituita da una consonante più una vocale. Normalmente la consonante iniziale non influisce sul segno grafico della sillaba: “ma” e “me” sono scritte in modo totalmente diverso, sebbene Inizino ambedue con la “m”. Soltanto alcune scritture sillabiche che il linguista Peter T.Daniels chiama abugide prevedono una scrittura similare per sillabe con la stessa consonante iniziale. In questo tipo di scrittura spesso si indica solo la consonante,mentre le vocali vengono sostituite con segni diacritici. Le prime popolazioni ad usare questo sistema furono gli Indiani d’America ; oggi possiamo incontrarli ancora ad esempio nello hindi.
  • 24.
  • 25. La Lineare A è un sistema di scrittura non ancora decifrata, utilizzata nell'isola di Creta nel II millennio a.C., approssimativamente tra il 1750 a.C. (ma probabilmente anche prima) e il 1450 a.C. È composta da segni che si svolgono da sinistra verso destra. La prima forma di scrittura, usata nell'isola precedentemente al XX secolo a.C., fu quella pittografica, incisa su sigilli e gemme. Dal medio Minoico fu utilizzato un sistema di scrittura fonetico, la Lineare A, che utilizzava i geroglifici precedenti in forma più schematica e semplificata, limitandosi a delinearne i contorni. I reperti su cui si trovano iscrizioni in Lineare A comprendono, oltre a numerose tavolette di argilla, anche oggetti di pietra e bronzo. L'insieme più numeroso di documenti recanti questo genere di scrittura è quello di Haghia Triada (Santa Trinità), dal nome dell'edificio adiacente gli scavi, nei pressi di Festo, e consiste in circa 150 tavolette di argilla recanti elenchi di merci o prodotti agricoli. Un tipo di scrittura ad essa correlata è la Lineare B, una forma antica della lingua greca, decifrata da Michael Ventris.
  • 26. Il sistema di scrittura adottata in Grecia prima dell'introduzione dell'alfabeto, viene distinta con la designazione di scrittura lineare B (dal 1450 a.C. al 1200 a.C.). La B, con 88 segni, è rinvenuta nella Grecia continentale, a Pilo e a Micene e,nell’isola di Creta,solo a Cnosso.La lineare B, grazie all'opera di Michael Ventris,tra il 1951 e il 1953, è ormai facilmente decifrabile e serviva per trascrivere un dialetto greco dalle caratteristiche molto arcaiche. Il sillabario miceneo, esclusi alcuni ideogrammi, è costituito quasi esclusivamente da segni per vocali isolate e per sillabe del tipo consonante+vocale.
  • 27. Anche se i due tipi di scrittura hanno in comune molti simboli, utilizzando le sillabe della Lineare B negli scritti in Lineare A, si ottengono parole che non hanno relazione con alcun linguaggio conosciuto. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la Lineare A possa essere una forma arcaica della lingua fenicia, o comunque di area linguistica semitica, ma finora i risultati ottenuti dal confronto non hanno dato esiti confortanti. Un'altra ipotesi avanzata è che la lingua minoica abbia delle affinità con il luvio, lingua in uso nell'Asia Minore nel IIl millennio. 2 ESEMPI DI LINEARE A
  • 28. E' noto che si attribuisce ai Fenici l'invenzione dell'alfabeto, che sarebbe stato poi introdotto in Grecia. Tale tradizione troverebbe conferma nella somiglianza con l'alfabeto ebraico (Ebrei e Fenici avevano stretta parentela) e quello greco: 22 lettere sovrapponibili nella forma, nel nome e nell'ordine di successione. Il commercio era il principale interesse dei fenici, così ebbero un ruolo fondamentale nella diffusione della scrittura consonantica semitica nel loro vasto impero commerciale. Antenato di questo sistema sarebbe il geroglifico semplificato, in cui venivano considerati solo i suoni delle consonanti. Più tardi i Fenici presumibilmente modificarono almeno la forma dei segni singoli, mantenendo invece invariato il sistema. Esempio di scrittura fenicia
  • 29. E' verosimile comunque, quale che sia la vera origine primigenia dell'alfabeto, che Byblos, antica e fiorente città sulla costa fenicia, emporio del commercio tra la Siria e l'Egitto, fu il centro di diffusione di questa notevolissima invenzione, tanto è vero che i Greci diedero il suo nome al libro. Proprio a Byblos è stato ritrovato il più antico monumento dell'alfabeto fenicio: l'iscrizione funeraria del re Ahiram, databile attorno al XIII sec. a.C. Ebrei, Aramei, Moabiti, Ammoniti ed Edomiti fecero quindi propria questa invenzione pratica e non equivocabile, già dalla seconda metà del II millennio a.C. Dall'espansione fenicia verso l'occidente del Mar Mediterraneo derivò invece l'esportazione dell'alfabeto oltre i confini geografici dell'Asia. Dall'alfabeto greco originarono tutti gli alfabeti occidentali (latino, italico, etrusco e probabilmente iberico), mentre dal fenicio (di cui non si avranno più tracce dopo la fine del secondo sec. a.C.) direttamente la scrittura punica (nell'Africa del Nord, a Malta, in Sicilia, in Sardegna, in Spagna) e quella numidica, largamente attestata nel Nord Africa. Durante l’età classica, ma anche dopo, ogni regione della Grecia diede una propria impronta al modello dell’alfabeto importato della Fenicia e queste differenze, anche rilevanti, durarono a lungo. Alfabeto fenicio
  • 30. La lingua greca risale al IX secolo a.C.; l‘ alphabetos derivava dalla scrittura alfabetica dei Fenici, i quali ad ogni segno associavano un solo suono. Dal momento che la scrittura fenicia era di tipo "appercettivo", ovvero venivano indicate solo le consonanti che dovevano poi essere integrate da suoni vocalici non specificati, (e quindi solo un fenicio era in grado di leggere una parola scritta in fenicio) i greci dovettero trasformare alcune lettere fenicie non usate nel loro alfabeto per indicare i suoni vocalici, che nell'alfabeto greco sono basilari tanto per una questione metrica quanto per il problema della flessione delle parole e degli articoli. Nell'antica Grecia le lettere venivano usate anche per scrivere i numeri, in maniera del tutto simile ai numeri romani usati dai latini. Le lettere dell'alfabeto greco sono molto utilizzate oggi per numerosi altri scopi: in matematica, per assegnare il nome alle stelle e così via. Dall'alfabeto greco bizantino deriva anche l'alfabeto cirillico. Esempio di scrittura greca
  • 31. Il latino è una lingua facente parte delle lingue europee, parlata nel Lazio almeno dal primo millennio a.C. Il latino acquistò grande importanza con l'espansione dello stato romano e in quanto lingua ufficiale dell‘impero si radicò in gran parte dell‘Europa e dell'Africa settentrionale. Tutte le lingue romanze discendono dal latino volgare, ma parole di origine latina si trovano spesso anche in molte lingue moderne di altri ceppi. Quando venne meno questa sua funzione, intorno al XVII ed al XVIII secolo, essa fu assunta dalle lingue vive europee del tempo e, in alcuni ambiti letterari e nella diplomazia, dal francese, lingua romanza, che come tale continuò a promuovere le parole di origine latina negli altri idiomi. A partire dagli ultimi decenni del XIX secolo, si andò gradualmente imponendo in Europa e nel mondo l'inglese, lingua di ceppo germanico, ibridatasi però col francese nel medioevo a seguito della dominazione normanna. Nel frattempo, in seguito alla scoperta dell'America e alla politica coloniale degli stati europei, le lingue dell'Europa occidentale, in cui l'impronta latina era così forte, si erano poi diffuse in gran parte del mondo. La lingua latina si è sviluppata grazie anche al contributo di tutte le lingue dei popoli con cui è entrata in contatto durante l'epoca romana, ed in particolare con gli idiomi italici e con quelli parlati nel Mediterraneo orientale (greco soprattutto). Il latino ecclesiastico formalmente rimane la lingua della Chiesa cattolica romana ancora oggi ed è la lingua ufficiale della Santa Sede. La Chiesa cattolica ha usato il latino come principale lingua liturgica fino al Concilio Vaticano Secondo. Il latino è usato per designare i nomi nelle classificazioni scientifiche degli esseri viventi. Esempio di scrittura latina
  • 32.
  • 33. Tra i supporti scrittori più antichi, il foglio di papiro, di origine vegetale, consiste nell’intreccio di strisce ricavate dal midollo della pianta palustre. Procedendo nell’intreccio si ottenevano fogli di circa 20 cm x 30, che una volta incollati tra di loro originavano rotoli lunghi fino a 40 metri; questi venivano poi arrotolati su bacchette di legno e conservati in apposite casse.
  • 34. I Greci cominciarono ad utilizzare il papiro come principale supporto a partire dal VII secolo, mentre a Roma giunse con il nome di “ volumen ”. Il papiro sarà utilizzato fino al Medioevo ( XI sec a.C.).
  • 35. La tradizione attribuisce la scoperta della carta alla Cina e precisamente al direttore degli ateliers imperiali, che all’inizio del II secolo avrebbe avuto l’idea di fabbricare una pasta sottile ed economica con materiali di scarto. Le più antiche carte orientali conosciute risalgono però al III secolo. Quanto al nome, per indicare la carta vennero adoperati sostantivi già in uso per altre materie scrittorie,producendo spesso confusione.
  • 36. Una particolarità della carta sono le filigrane o marchi di fabbrica, ossia segni delle cartiere filigranati nelle carte stesse. Consistono in lettere,figure di animali, fiori o frutti, arnesi o utensili, disegnati con un filo d’ottone o di argento È possibile vederli in trasparenza perché la pasta vi resta più rada . Esse sono di grande utilità per la storia dell’industria cartaria.
  • 37. La pergamena è una carta di pelle di animali,secondo la tradizione introdotta per rimediare alla mancanza di papiro. Per la preparazione della pergamena si usavano pelli di vari animali: pecora, capra, montone o vitello; la qualità di una pergamena può essere stabilita in base alla fattura. La pergamena usata per i codici era più fine e levigata, perché era adoperata da entrambe le parti, mentre quella dei documenti era lisciata soltanto da una parte in quanto si scriveva sul recto.
  • 38. Nonostante la pergamena abbia origini antichissime, venne poco sfruttata prima del III–VI secolo quando il rotolo si trasformò in codice. Nell’alto Medioevo si usò frequentemente riadoperare fogli di pergamena già scritti. A questo scopo si cercava di cancellare la scrittura immergendoli nel latte e strofinandoli con pomice per far sparire le tracce di inchiostro. Essi sono chiamati “ codices rescripti” . L’ uso di pergamene già scritte si ebbe specialmente nei secoli VII-VIII per il caro prezzo della pergamena nuova.
  • 39. Un manoscritto è qualsiasi documento scritto usando le mani, oggi però con questo termine si indicano i testi in forma di libro. Il periodo d’oro del manoscritto fu senza dubbio il medioevo, quando gli amanuensi si dedicarono alla copia di innumerevoli testi antichi. L’importanza del manoscritto per la conoscenza e l’esatta versione di eventi storici è tanto maggiore quanto più risale a tempi lontani da noi.
  • 40. Il tipo di strumento utilizzato per scrivere, spiega le variazioni delle forme della scrittura;così i segni tracciati sui vari supporti variavano a seconda se veniva utilizzato uno strumento appuntito o un pennello, per esempio. Lo strumento scrittorio più antico fu lo “stilus”, una semplice asta d’osso, citata anche nella bibbia. Dai tempi degli egizi, questo semplice strumento subì mutamenti fino all’età medievale, dove venne definitivamente sostituito dalla penna di volatile, soprattutto d’ oca. La matita venne citata per la prima volta nel XIV secolo.
  • 41. Gli inchiostri antichi erano prevalentemente neri, o tendenzialmente scurissimi, mentre quelli rossi cominciarono ad essere utilizzati in epoca carolingia, per poi ritornare nel XII secolo nuovamente neri. Gli altri colori furono il verde e l’azzurro nella decorazione delle iniziali dei manoscritti. La scrittura d’oro e d’argento su sfondo purpureo fu limitata dai latini, ai codici destinati al culto religioso.
  • 42.
  • 43. Il termine manoscritto indica ogni documento scritto dalla mano dell’uomo, tanto le carte (atti pubblici o privati, lettere) quanto i volumi che contengono testi di opere. Generalmente nel linguaggio filologico il manoscritto indica il volume (rotolo, codice) scritto a mano e viene distinto dal documento e dalla lettera.
  • 44. Il libro manoscritto più propriamente si chiama “codice”, rotolo o “volumen” . Fu la prima forma abituale del libro nella civiltà antica del mondo Occidentale e in Oriente, sia esso in papiro, in pergamena e in seta. Purtroppo per il mondo greco-latino rimangono testimonianze molto rare . Verso l’inizio dell’ era Cristiana il rotolo subì la concorrenza e poi la completa sostituzione del codice, cioè l’insieme di quaderni formati dalla piegatura di uno o più fogli cuciti gli uni agli altri. L’ etimologia della parola “codice” si fa risalire o a “caudex” tronco d’albero e restrittivamente corteccia, oppure a “goda” che in caldeo significa tavola.
  • 45. L’importanza del manoscritto per la conoscenza e l’esatta versione di eventi storici o di opere letterarie, specialmente per i secoli più remoti e precedenti all’invenzione dei caratteri a stampa, è tanto maggiore quanto più si risale ai tempi lontani da noi, e si rivela sempre più determinante per un puntuale approfondimento dei testi antichi. Esso è dunque necessario sia per lo storico che per il filologo, i quali, per ricostruire un testo il più possibile obbiettivo, si basano, oltre che sulle loro cognizioni, anche su materie specifiche come la diplomatica, la paleografia, la papirologia e la codicologia.
  • 46. Il destino del codice fu più brillante di quello del rotolo: malgrado perdite e dispersioni immense, sono migliaia e migliaia i libri manoscritti, ricopiati in forma di codice nei 10 secoli che hanno preceduto l’invenzione e la diffusione della stampa in occidente, che ci sono pervenuti. Nel Medioevo, che può essere considerato come l’età d’oro del manoscritto, il copista, uomo abile e paziente dispose come supporto della sua grafia la materia scrittoria che aveva soppiantato il papiro, la pergamena, conosciuta in tutto il mediterraneo già dall’ antichità.
  • 47. Un terminale importante per la circolazione dei libri fu la biblioteca; la loro importanza era determinata dal ruolo di conservazione dei libri. La più importante del mondo antico si trovava ad Alessandria d’Egitto, dove era raccolto l’intero patrimonio culturale ellenico. Fra le biblioteche Greche acquisite dai Romani, la più nota è quella del re Perseo di Macedonia, portata a Roma da Emilio Paolo; nel secolo successivo Lucullo fece altrettanto con la biblioteca di Mitridate, altri fondi librari erano arrivati a Roma da Cartagine dopo la distruzione della città. Queste biblioteche contenevano opere in greco e anche opere in punico.
  • 48. Lo sviluppo economico e culturale di Roma pose le premesse, a partire dal II secolo a.C., per la creazione di un mercato librario. Questo sviluppo creò le condizioni per attività imprenditoriali del tipo di quella che era già stata sperimentata da Attico, corrispondente di Cicerone, di cui resta anche una biografia ad opera di Cornelio Nepote. I venditori erano concentrati a Roma nell’area dell’Argileto, dove avvisi pubblicitari sulle novità in commercio erano affissi sulle colonne del porticato.