1. Radici Psicologia Relazionale teoria dei sistemi
La nascita di un pensiero relazionale si può far risalire agli anni ’50 quando in America la tendenza al
recupero di un’approccio olistico ai problemi porta allo sviluppo di nuovi studi, come l’antropologia e
la sociologia, che cominciano a porre l’accento su come i contesti socio culturali e familiari
influenzino la personalità dell’individuo. Anche in psicologia l’interesse si sposta dai fattori
intrapsichici ampiamente trattati nella psicoanalisi ai fattori interpersonali, al contesto. La teoria di
riferimento è la teoria dei sistemi che lega i diversi settori della conoscenza con una causalità
circolare che implica la necessità di valutare ogni fenomeno nel suo insieme, come un tutto diverso e
non valutabile come mera somma delle parti. Le due anime del movimento familiare Palo Alto:
(puristi dei sistemi) Ad introdurre una prospettiva sistemico-cibernetica di approccio allo studio
famiglia fu il gruppo di Palo Alto in California. L’interesse è concentrato sul qui ed ora
dell’interazione, l’individuo è considerato inpenetrabile, come una scatola nera di cui nn interessa ciò
che avviene all’interno ma solo le modalità di interazione, gli input e gli output, ciò che è
direttamente ed “obiettivamente” osservabile nel preciso istante in cui viene osservato riducendo la
realtà ad un’unica dimensione temporale, il presente. Gli studi sulla comunicazione di Palo Alto
portano all’elaborazione della teoria del doppio legame che si proponeva di spiegare la causa di molti
disturbi psichiatrici compresa la schizofrenia. La teoria deriva dalle osservazioni sulle comunicazioni
che portarono alla scoperta di un doppio canale comunicativo: quello verbale e quello non verbale.
Secondo il gruppo di Palo Alto in una relazione diadica come quella madre-figlio una comunicazione
disfunzionale sarebbe la causa della schizofrenia, come nel caso della madre che dice al bambino ti
voglio bene mentre tramite il canale non verbale comunica il contrario e il bambino, incapace di
attribuire un significato al paradosso, sarebbe inevitabilmente destinato alla schizofrenia. Questa
teoria da per scontato che l’individuo sia totalmente incapace di interpretare una comunicazione
contraddittoria mentre in realtà si tratta di una pratica che svolgiamo più o meno consapevolmente
nella vita di tutti i giorni. Questa teoria però seppur errata nelle conclusioni porta un grande
contributo allo studio sulla comunicazione umana, sull’importanza della comunicazione non verbale
e sul possibile impatto negativo di una comunicazione disfunzionale tra individui che hanno una
relazione diadica significativa. Il gruppo di Palo Alto nn lavora mai con le famiglie ma ciononostante
il volume “pragmatica della comunicazione umana” diviene in Europa la Bibbia degli operatori
familiari per un ventennio. East Coast: Quasi contemporaneamente intorno agli anni 60 nell’east
coast nasce un altro movimento il cui contributo fondamentale è stato quello di introdurre l’aspetto
storico e soggettivo della comunicazione. Si reintroduce il fattore tempo nelle relazioni passando dal
concetto di interazione a quello di relazione. La relazione a differenza dell’interazione riguarda non
solo ciò che accade tra gli individui ma anche ciò che ognuno ha interiorizzato delle precedenti
relazioni. La relazione è dunque inflenzata dalle modalità relazionali vissute in passato. Si pongono
le basi per uno studio della famiglia in un ottica storica ed intergenerazionale. Per esemplificare si
può pensare alla teoria dell’attaccamento di Bowby che (se si perdona il semplicismo a scopo
esplicativo) asserisce che a seconda del tipo di attaccamento sperimentato nella prima infanzia con
la madre, l’individuo cercherà di costruire relazioni caratterizzate dalla stessa modalità relazionale.
Detta così lo stile di attaccamento rischia di essere confuso per un contagio da madre a figlio ma non
è così per diversi motivi. In primo luogo perché a seconda del temperamento del bambino la
modalità relazionale della diade madre-figlio cambia, poi va considerato anche un’aspetto troppo
spesso trascurato e cioè il ruolo del padre nella relazione diadica che può sopperire ad eventuali
mancanze di una madre insicura o evitante, anche il rapporto di coppia madre padre interviene nella
relazione madre- bambino, in altre parole anche nel caso in cui si è sperimentato un attaccamento
insicuro nell’infanzia, se si riesce a creare un rapporto di coppia sicuro in età adulta questo influirà
sulla modalità di attaccamento col bambino in quanto tutti i modelli relazionali esperiti, non solo
quello infantile vanno ad influenzare le modalità relazionali di un individuo. Tra i contributi più
importanti dell’east coast americana ricordiamo il concetto di differenziazione del Sé dalla famiglia di
Bowen, il concetto di lealtà invisibile e di debiti e crediti tra le generazioni della scuola di Filadelphia,
la definizione di famiglie invischiate e disimpegnate di Minuchin, lo studio sull’influenza
intergenerazionale sulle coppie di Framo. Questi autori nn si definiranno sistemici ma sono
sicuramente influenzati dalle teorie sistemiche e di fatto escono dall’ottica psicoanalitica classica per
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2. ampliarla includendo appunto il contesto socioculturale e la famiglia tra i fattori determinanti lo
sviluppo della personalità. Il genogramma diventerà la mappa su cui costrure la diagnosi e cercare la
cura e l’individuo sarà aiutato a ricucire tagli emotivi o a differenziarsi dalla propria famiglia per
vivere le proprie relazioni liberamente senza il peso di problematiche relazionali intergenerazionali.
L’evoluzione delle teorie sistemiche porta all’introduzione di concetti come il ciclo vitale,
l’esplorazione di miti e dei fantasmi familiari, la ricostruzione dei pattern relazionali e delle storie
intergenerazionali, una concezione del colloquio come dialogo e co-costruzione della relazione col
cliente che diviene attivo, in grado di di rappresentarsi e di costruirsi una concezione della realtà
esterna in base a credenze, desideri, scopi, aspettative, sentimenti ed emozioni.
Il ciclo vitale della famigia
La famiglia è un sistema vivente che nasce con la formazione di una coppia e si sviluppa attraverso
delle fasi caratterizzate da momenti di plateau ossia momenti relativamente statici e momenti di
crisi, ossia di cambiamento, di trasformazione ed adattamento, di ricerca di un nuovo equilibrio.
Queste fasi si possono far corrispondere ai principali eventi critici normativi che in linea di massima
vengono esperiti dalla maggiorparte delle famiglie durante il loro ciclo vitale e che sono: La
formazione della coppia, la nascita dei figli, l’adolescenza e l’uscita di casa dei figli e il
pensionamento e la morte. Accanto a questi eventi critici normativi ci sono altri chiamati
paranormativi che hanno la carattristica di essere più o meno imprevisti come ad esempio una morte
improvvisa o una malattia ma anche una vincita di denaro o un trasferimento per motivi di lavoro,
insomma tutto ciò che impone al sistema familiare un cambiamento strutturale, di regole, di ruoli.
Per ogni fase del ciclo vitale la famiglia si trova a dover svolgere determinati compiti evolutivi che
richiedono uno sforzo notevole per ritrovare l’equilibrio e la funzionalità del sistema famiglia e farlo
nel minor tempo possibile. Anche un’evento normativo può essere difficile da affrontare, il fatto che
sia aspettato nn vuol dire che si sia in grado di adattarsi ad uno stravolgimento dei ruoli e delle
regole della vita familiare. Il primo evento critico che la coppia si trova ad affrontare è in genere
verso il terzo anno, con l’arrivo del primo figlio. Durante i nove mesi di gravidanza la coppia entra
nell’idea dell’attesa, costruisce uno spazio fisico e mentale per accogliere il bambino, e al momento
della nascita nel sistema coppia si crea un sottosistema costituito dalla diade madre bambino.
Questo è il momento più difficile per la coppia, il padre deve svolgere ora una funzione di sostegno
alla nuova relazione madre figlio, deve essere in grado di restare all’interno del sistema in modo
totalmente differente, il rischio maggiore è quello di vivere un sentimento di esclusione che può
portare al non adattarsi al nuovo sistema-famiglia. Il tempo del ciclo vitale: In realtà questo ciclo
vitale non ha un tempo, un reale inizio ne una fine dal momento che una determinata fase di un
ciclo vitale di una famiglia corrisponde ad una fase diversa di un altro ciclo vitale, mentre una
generazione vive la fase del pensionamento la seguente vive quella dell’uscita dei figli da casa e la
successiva quella della formazione di una nuova coppia-famiglia. Una coppia appena formata si trova
a dover mediare tra le nuove regole costruite insieme in base ai propri bisogni e le aspettative delle
generazioni superiori, legate al nuovo nucleo da una serie di miti, di valori condivisi, di debiti e
crediti e impegni di lealtà intergenerazionali che vanno a pesare, a incrociarsi, scontrarsi e sommarsi
a quelli della nuova famiglia che si sta costituendo. Dimensione plurigenerzionale: Lealtà: Dal
momento in cui nasciamo contraiamo un debito nei confronti di chi ci mette al mondo e ci accudisce,
i modi per sdebitarsi sono moltissimi ad esempio mettere al mondo un’altra generazione è un modo
per sdebitarsi, per prolungare l’esistenza attraverso un nipote, ma anche aderire alle modalità
relazionali, ai valori e alle credenze del sistema familiare di origine permettendo la perpetuazione del
mito familare è un buon modo per sdebitarsi. Mito: Il mito familiare è quel sistema di credenze
condivise che regola la famiglia e fa da guida all’individuo nelle sue relazioni inter e intrafamiliari,
una specie di mappa comportamentale, sui ruoli, sul modo di relazionarsi, di affrontare gli eventi
critici. Il mito è un’immagine idealizzata condivisa su cui si costruisce il modello normale della
famiglia, si manifesta nelle storie familiari e in una vasta serie di comunicazioni verbali e non verbali
ridondanti. In genere si basa su persone o fatti reali che vengono modellati nel tempo tramite una
selezione di informazioni per cui alcune informazioni vengono messe sullo sfondo ed altre vengono
aplificate. Spesso ad essere oggetto di mitificazione sono componenti della famiglia defunti
inaspettatamente, in giovane età, questo sia per perpetuare la presenza della persona venuta a
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3. mancare improvvisamente che per l’impossibilità della smentita sugli aspetti amplificati per pregnare
di significati la storia. Ad essere miticizzato però può essere anche ad esempio un modello
comportamentale, un modo in cui in famiglia si affronta un’evento critico, una separazione,
fondamentalmente nel mito è racchiso tutto ciò che racconta il modus operandi del sistema famiglia.
Le caratteristiche principali del mito sono: la ridondanza che si riscontra nella riproposizione nel
tempo e nelle ripetizioni interne, l’astoricità in quanto fanno parte di diverse generazioni (il mito no
ha tempo), la rappresentatività del racconto pregnato di significati e l’uso del concreto, di persone
e/o fatti realmente accaduti. Il vantaggio principale del mito è la soddisfazione del bisogno di
appartenenza, che può essere mantenuta con la differenziazione elaborando il mito, scegliendo quali
aspetti di questo accettare e da quali allontanarsi.
La differenziazione del Sé: è il risultato del processo di separazione, di individualizzazione dal
sistema emotivo familiare che Bowen definisce come massa emotiva indifferenziata. L’adolescente
alle prese col processo di differenziazione inizia a compiere dei movimenti verso l’autonomia, attua
delle scelte, spesso in contrasto con quello che sono i miti, i valori e le credenze familiari e vive
questa scelta con un forte senso di colpa dovuto al tradimento delle lealtà familiari ma anche con la
speranza e il bisogno che queste scelte vengano accettate affinchè gli sia garantita l’appartenenza
familiare. La differenziazione infatti consiste nel trovare il giusto equilibrio tra appartenenza e
separazione. E’ auspicabile che ogni persona all’interno di un sistema familiare si costruisca una
propria identità, elaborando il mito familiare, scegliendo di separarsi da questo ma allo stesso tempo
di accettare e fare proprie alcune parti che non sono in contrapposizione con i propri principi, valori e
credenze individuali. Bowen classifica i livelli di funzionamento umano mettendoli su una scala di
differenziazione in un continuum che va dalla fusione estrema alla totale differenziazione. Nella
posizione 0 si trovano gli individui totalmente fusi col proprio sistema familiare tanto da rendere
impossibile il raggiungimento della posizione dell’Io adulto. All’estremo opposto troviamo gli individui
totalmente differenziati che resistono ai tentativi della famiglia di rifonderlo con essa. Infatti durante
il processo di differenziazione (che dura tutta la vita) ci sono momenti in cui un sistema familiare
riesce con più faciltà a permettere all’individuo di differenziarsi e momenti in cui per esigenza tenta
di riconnetterlo alla massa emotiva indifferenziata. Le persone possono trovare diversi modi per
affrontare il processo di differenziazione, un modo ad esempio è quello di farlo durante i momenti
critici dove la momentanea disorganizzazione può facilitare il processo come ad esempio durante la
formazione della nuova coppia la formazione di un nuovo spazio fisico e mentale (lo spazio del noi)
con la conseguente formazione di nuove regole, nuove lealtà familiari più o meno compatibili con
quelle della famiglia di origine è un’ottimo momento per effettuare una scelta delle “cose da tenere”
della famiglia d’origine e quelle dalle quali allontanarsi. Allo stesso modo la nascita di un figlio porta
fisiologicamente dei nuovi ruoli, quello di padre madre e quello di nonni che aiuta a creare un
rapporto paritario adulto tra i neo genitori e le generazioni superiori.
False differenziazioni: Il rischio più grande delle false differenziazioni è quello di ripetere le
modalità relazionali fallimentari esperite con la coppia genitoriale. Il taglio emotivo è una brusca
separazione spesso fisica ma anche emotiva che un individuo attua nei confronti della propria
famiglia d’origine. E’ una “soluzione” che esenta dalla spesso difficile e stressante risoluzione dei
conflitti familiari. La caratteristica comune ai casi di taglio emotivo è la negazione del bisogno di
appartenenza e dell’attaccamento emotivo non elaborato. In questi casi Bowen ritiene che l’unica
soluzione per raggiungere la “posizione Io” è riconnettersi con la famiglia d’origine, ricostruire i
legami ed elaborare le perdite invece di negarle. Questo modello relazionale può portare ad
un’arresto evolutivo nella dimensione affettiva portando l’individuo a cercare legami compensatori
che possano riempire il vuoto dovuto alla mancata soddisfazione del bisogno di appartenenza.
Quando entrambi i componenti di una coppia hanno effettuato un taglio emotivo con la famiglia
d’origine il risultato è una coppia instabile, formata da due orfani psicosociali, un rapporto
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4. simbiotico in cui a farne le spese sono i figli che per rispondere ai bisogni dei genitori in genere
attuano un’inversione di accudimento, per lo stesso triste meccanismo per cui i bambini vittime di
abusi partecipano alla perpetuazione dei danni. Un altro modo per attuare una falsa differenziazione
è quella del figlio cronico che non riesce a passare dalla posizione di figlio a quella di adulto
indipendente che Bowen definisce “posizione Io”. Williamson ritiene che questo avvenga a causa di
un “intimidazione intergenerazionale”che arresta il processo di aquisizione di autorevolezza che
porta alla maturità psicologica. L’adulto deve accettare di separarsi, parlare con i propri genitori da
adulto stabilendo un rapporto di reciprocità che permetta di conoscere le persone dietro i ruoli di
genitori creando quella parità che farà svanire l’intimidazione itergenerazionale. Molto spesso i figli
cronici sono figli di coppie che investono tutto nei figli facendo gravare su di essi un debito
intergenerazionale enorme che necessita di essere ripagato con una lealtà familiare assoluta. Il
senso di colpa del tradimento delle lealtà diviene insostenibile e il figlio cronico rinuncia alla
differenziazione. Come nel caso del taglio emotivo il rischio del figlio cronico è quello di ripetere i
pattern relazionali costruendo rapporti di coppia basati sulla dipendenza dove il figlio cronico si
presenta appunto come figlio in cerca di un’ulteriore figura genitoriale piuttosto che di un partner. La
problematica maggiore viene a crearsi nel momento della nascita di un figlio nella coppia quando le
attenzioni del partner nei confronti del figlio possono essere vissute come un tradimento, far
scaturire gelosie e competizioni e portare alla luce quelle problematiche che erano rimaste latenti
fino ad allora. Il figlio cronico non risente della sua mancata differenziazione quando instaura una
relazione con una persona che ha effettuato un taglio emotivo (coppia conflittuale) perché non sente
il bisogno di mettere in discussione i suoi valori familiari dal momento che il partner non porta i suoi
all’interno della relazione, questi infatti tende ad inserirsi nella famiglia d’origine del figlio cronico per
soddisfare il suo bisogno di appartenenza. Sono in genere rapporti caratterizzati da un grande deficit
di intimità. Nel caso in cui invece entrambi i componenti di una coppia siano figli cronici quello che si
viene a creare è un rapporto di forte dipendenza e conflittualità. In questi casi non è raro che i figli
della coppia siano in realtà cresciuti dai nonni, dati in “segno di gratitudine” per saldare il debito
intergenerazionale e non è raro che anche qui si assista ad inversioni di accudimento. Naturalmente
si parla di estremizzazioni, i livelli di differenziazione sono (nella scala di differenziazione di Bowen)
su un continuum che va dalla totale differenziazione alla totale fusione con la famiglia di origine.
Quello che si va ad indagare è la modalità relazionale che la coppia ha costruito, il suo modello
operativo interno, il suo equilibrio di coppia, lo spazio dei figli, i problemi relazionali, se e come
tutto questo si collega ai processi di differenziazione dalle proprie famiglie d’origine facendo così
quella che si chiama una diagnosi intergenerazionale di coppia. Minuchin strutturalista lavorava
proprio sulla stuttura familiare, cercando ove necessario di ridefinire i confini familiari e dei
sottosistemi familiari restituendo ad ognuno il proprio ruolo usando la metafora dei corpi, ossia
mettendo fisicamente i componenti della famiglia in posizioni rappresentative dei ruoli e delle
modalità relazionali che riscontrava e ristabilendo successivamente le posizioni in modo più idoneo.
Osservare la famiglia. Minuchin Bowen Haley introducono l’osservazione triadica in quanto il
triangolo è considerato l’unità minima di osservazione. Pensare alla famiglia in una prospettiva
evolutiva e storica ha consentito di osservare l’individuo in una dimensione trigenerazionale. Per
comprendere l’individuo è necessario comprendere il contesto in cui vive, il sistema osservato nn è
l’individuo ma l’insieme di rapporti in cui è coinvolto. Lo P.R. aiuta individuo e famiglia ad osservarsi
rivisitarsi co creando una nuova trama narrativa con dei nuovi significati. L’intervista familiare
basata sul genogramma è una tecnica che si serve di un supporto grafico (genogramma) che aiuta
a raccogliere informazioni relazionali ma soprattutto permette all’individuo di vedersi chiaramente
nel quadro generale della famiglia. Grazie a questa visione d’insieme possono risultare finalmente
chiare alcune dinamiche relazionali della famiglia e questo a volte è già di per se terapeutico. Il
genogramma svela i miti, le alleanze, i conflitti permettendo all’individuo di rileggere la propria
storia familiare. Altre tecniche di osservazione della famiglia sono la scultura familiare, il role playng
e il gioco psicodrammatico che attraverso le rappresentazioni permettono al terapeuta e alla famiglia
di osservare le dinamiche familiari. Scultura familiare: Virginia Satir anni70 rappresentare
lapropria immagine attraverso la disposizione dei corpi nello spazio. Il linguaggio analogico permette
di esplorare emozioni nonmediate dalla logica. Dopo aver osservato la relazione la si muove con
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5. gesti, azioni… Questa tecnica può essere usata all’inizio e successivamente per consolidare un
cambiamento ottenuto. Il role playing, recitare ruoli reali, il gioco dei ruoli, fa emergere emozioni,
favorisce l’interazione.Ha origine dallo psicodramma di Jacob Moreno anni 30 che mette inscena i
problemi veritieri o frutto della “fantasia” dei partecipanti.
La diagnosi relazionale. Il lavoro principale dello PR è quello di cogliere i nessi intergenerazionali,
indagando il sistema famiglia spostando l’attenzione di volta in voltasulla coppia, sui figli, sul
sottosistema fratelli, sulla famiglia d’origine e sui rapporti extrafamiliari significativi. E’ fondamentale
osservare la famiglia inquadrandola nel contesto socio culturale ed economico in cui è inserita. Il
colloquio con la famiglia. Il colloquio psicologico è un processo interattivo, una relazione cocostruita
da psicologo e cliente. La soggettività dello psicologo è fondamentale, è attraverso essa che ci si
relaziona, e senza relazione non può esistere scambio e comunque in un’osservazione non si può
prescindere dalla soggettività dell’osservatore. Risonanze emotive Certo un distacco emotivo è
indispensabile ma è tramite l’empatia e la partecipazione agli stati emotivi che accompagnano le
manifestazioni esteriori che si arriva alla reale comprensione dell’altro. E’ graziealle risonanze
emotive che si accede alle emozioni, i ricordi evocati nel terapeuta da un determinato racconto legati
ad emozioni servono a creare una connessione tra lui e ilcliente, ad esperire emozioni
congiuntamente, come degli oggetti materiali che possono cominciare a vibrare sotto l’effetto di una
data frequenza. Il cliente si mette realmente in gioco solo quando sente che lo psicologo è coinvolto.
Lo PR deve saper osservare sì il cliente, ma anche se stesso nella relazione che si sta stabilendo così
da costruire il terzo pianeta. Questa struttura triangolare permette allo PR di spostarsi dentro e
fuori la relazione per avere una comprensione più globale e profonda. Ciòche si comunicaè sempre
inbase alla relazione e lo PR deve costantemente valutare i propri interventi, in che modo e misura
possano aver influenzato la relazione. Lo PR può essere paragonato ad un regista che aiuta i
protagnisti nella rilettura e ristesura del copione della loro storia familiare.
I linguaggi dell’incontro con la famiglia Intervista relazionale: consente di indagare la
famiglia, di raccogliere informazioni sulle motivazioni date ai disturbi, la loro storia, i motivi della
richiesta d’aiuto, la storia personale, gli eventi critici le relazioni familiari, sociali, affettive, fantasie e
aspettative del cliente. il modo migliore di effettuare una diagnosi relazionale è quello di far
emergere ipotesi, tentando di rileggere gli eventi, i racconti, accettare di non capire è il
presupposto fondamentale per far emenrgere le ipotesi entrando inuna dimensione simbolica,
irrazionale, usando la fantasia e il gioco, solo giocando l’individuo è creativo, la psicoterapia si
svolge nella sovrapposizione di due arre di gioco, quella del paziente e quella del terapeuta
(Winnicott) Darvita ad una rappresentazione della realtà è parte del gioco che fa emergere
l’imprevisto, fa cadere le resistenze e permette di esperire la realtà in modo simbolico. “La terapia
familiare soffrediadultocentrismo” Compenolle, molti adulti hannodifficoltà a cambiare punto divista,
sia per guardarla dalpunto di vista delbambinoche da quello di una persona di genere diverso. Il
centro per lo studio della famiglia di Milano ha individuato tre principi per la conduzione del colloquio
con la famiglia: la circolarità (come modalità per collegare informazioni), la neutralità dello psicologo
(fortemente criticata e sostituita oggi da curiosità emultiparzialità) e l’ipotizzazione che ancora oggi
resta il principio fondamentale nella conduzione delcolloquio. Già dal primo contatto col cliente infatti
si iniziano a formulare delle ipotesi che rappresentano il punto di partenza della relazione e che
andranno verificate attraverso le domande nel corso del colloquio. Le ipotesi devono essere
sistemiche, devono cioè riguardare il funzionamento della famiglia includendo tutti i membri. La
Ugnazio ritiene che inizialmente il terapeuta debba formulare ipotesi sulle percezioni che la famiglia
ha dei propri rapporti, che portano a determinati comportamenti e solo inseguito formulare
un’ipotesi sistemica contrastante con le percezioni e dunque in grado di stimolare il cambiamento.
Ilcolloquio relazionale inizia dunque dal primo contatto, dall’analisi della domanda che permette
di indagare lemotivazioni e le aspettative del cliente. E’ anche importante tener conto del sistema
inviante, che può essere un’istituzione (medico, magistratura, scuola…), la famiglia (inviante
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6. motivato) o corrispondere col cliente stesso. Capire le motivazioni che portano al colloquio è
fondamentale, ad esempio una madre di un adolescente che chiama per lui asserendo che il figlio
non è daccordo nel chiedere aiuto ad un terapeuta già di per se da delle informazioni e contribuisce
alla creazione di ipotesi. Ci si può ad esempio chiedere se sia realmente il figlio a vivere una
situazione di disagio e portatore di un comportamento sintomatico o se sia la famiglia a non essere
in grado di accettare un comportamento “normale” ma diverso dal proprio e magari proprio questa
mancata accettazione sia l’origine del sintomo. Bisogna assicurarsi di individuare l’utente ultimo
dell’intervento. Analizzata la domanda ed effettuate le prime ipotesi si comincia a raccogliere
informazioni Le informazioni sul problema verranno date dal cliente in modo rigido, come certezze,
ilcompito del terapeuta è quello di mettere in crisi le certezze promuovendo una rilettura del
problema, allargando il campo di osservazione, dando la possibilità di collegare fatti e protagonisti
del racconto in modo diverso, mettendo in dubbio le certezzee favorendo un tentativo di
comprensione più ampio del problema attuando una ridefinizione dei ruoli, delle cause e degli effetti.
Per comprendere questo meccanismo viene usata la metafora dell’imbuto rovesciato sopra il
cliente la sua storia le sue aspettative che vengono riversate in modo rigido sul terapeuta che dovrà
rovesciare l’imbuto, dirigere le informazioni che gli arrivano in più direzioni, come quando un raggio
di luce colpisce un prisma e da questo fuoriescono molti raggi di colori differenti, appunto lo PR
allarga le informazioni.
Relazione e interazione sono in un rapporto circolare, l’interazione può essere definita come
l’influenza reciprocache i partner esercitano vicendevolmente sulle loro azioni quando sono presenti
entrambi mentre la relazione esiste anche senza la presenza fisica congiunta e fa da sfondo
all’interazione. Naturalmente le due cose sono altamente correlate e si influenzano in modo continuo
e circolare. Le relazioni variano in base al contenuto e alla qualità delle interazioni che cambiano a
seconda del contenuto e della qualità della relazione. Con il progradire della relazione cliente-
terapeuta ilcliente comunicherà piùfacilmente le proprie emozioni.
Il linguaggio del corpo: il linguaggio è composto da una parte verbale, quella del parlato e una
componente non verbale appunto il linguaggio del corpo che è costituito da tutti quei segnali che
rafforzano, sostituiscono, disconfermano o accompagnano il comportamento verbale. E’ sicuramente
una componente della comunicazione meno controllabile, più spontanea e di conseguenza molto
utile al terapeuta per cogliere dei particolari rilevanti all’interno di una comunicazione. Per il
terapeuta è di fondamentale importanza conoscere e riconoscere il linguaggio non verbale anche in
se stesso e controllarlo ad esempio per mettere a proprio agio il cliente o per comunicare
volontariamente qualcosa che viene recepita dal paziente in modo più diretto, senza passare per il
“filtro” cognitivo. Ad esempio un moderato contatto visivo, una disposizione frontale e l’apertura
posturale sono segnali che esprimono fiducia, sostegno e considerazione di sé. Il terapeuta dovrà
creare quello spazio mentale per accogliere le informazioni inviate e integrarle con quelle
verbalmente espresse. Mettere in relazione i messaggi non verbali di più generazioni di una stessa
famiglia può aiutare a capire i modelli comportamentali, i significati che si attribuiscono a un
determinato segnale non verbale e più ampiamente i modelli interattivi interni della famiglia. E’
fondamentale infatti tenere in considerazione il contesto relazionalenel qualesi verifica un
atteggiamento, privedi contesto le parole e le azioni non hanno significato (Beatson) Il terapeuta
deve favorire la circolazione dei messaggi non verbali in quanto raccontano spesso molto più di
quanto non facciano le parole. Per segnale del corpo si intende un elemento del comportamento o
dell’aspetto esteriore di una persona che viene recepito da un’altra influenzando l’interazione.
Possono essere intenzionalmente comunicativi o espressione involontaria di emozioni o stati d’animo
(segni) come un pallore per la paura o il rossore per l’imbarazzo o per la rabbia. Negli scambi
interpersonali i segnali possono essere emozionali: il volto può esprimere gioia rabbia paura
tristezza… le persone tendono a controllare questi segnali e l’espressione del volto è la risultante del
conflitto tra l’espressione spontanea biologica e il tentativo di controllo della stessa. Difficili da
controllare sono gli occhi, la pelle (rossore, pallore)… esistono anche gesti adattivi come la
manipolazione degli oggetti (ad esempio per controllare ansia o frustrazione) o del proprio corpo (ad
es. per auto rassicurarsi) o dell’altro. Anche la postura, ilmodo di vestirsi possono comunicare stati
d’animo o il modo di porsi nella relazione. La comunicazione non verbale ha la funzione sociale di
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7. informare costantemente la gente sui propri stati interni. Un'altra tipologia è quella dei segnali che
esprimono atteggiamenti interpersonali come lo sguardo o il contatto fisico piuttosto che la distanza,
l’avvicinamento, ilsaluto. Il contatto rappresenta un superamento delle barriere protettive,
l’orientamento dei corpi ci indica i rapporti collaborativi, gerarchici, di intimità, ad esempio
un’orientazione frontale indica uno scambio di informazioni o di sentimenti in un rapporto paritario,
un’orientamento parallelo indica un rapporto di alleanza. Ci sono poi i segnali di personalità.
Utilizzati per comunicare qualità personali che sono per lo più costituiti dall’aspetto esteriore, dallo
stile comportamentale, dalle espressioni verbali. Esistono anche dei tratti somatici socialmente
riconosciuti come indicatori di personalità ai quali spesso l’individuo finisce per assoggettarsi come
ad es la rotondità del viso fa pensare ad una persona allegra, una postura eccessivamente eretta ad
una persona rigida e austera… In realtà gli aspetti fisici, i comportamenti e gli atteggiamenti di una
persona ci rivelano più il suo modo di affrontare la vita che il suo carattere. Metacomunicare con il
corpo. Il gruppo di Palo Alto ha dato un contributo fondamentale allo studio della comunicazione nn
verbale, so stati i primi (doppio legame). Watzlavick Beavin e Jackson ipotizzavano già negli anni 70
che ogni comunicazione mandasse due tipi di segnali: quelli analogici (diretti) e quelli digitali
(simbolici) viaggiando su due piani rispettivamente quello del contenuto e quello della relazione. In
realtà oggi sappiamo che in ogni messaggio sia verbale che non esiste una componente di contenuto
ed una di relazione. Un gesto, un’espressione, diventano metacomunicativi quando chiariscono,
sostituiscono o sottolineano il contenuto di un messaggio verbale. Spazi del corpo e confini
relazionali: Hall collega la dimensione spaziale alle distanze e le divide in: distanza intima (contato
fisico) distanza personale (contatto allungando un braccio) distanza sociale ( contatto solo visivo) e
distanza pubblica (comizio). Sommer distingue lo spazio personale (confini invisibili) e distanza
individuale (dist personaledi hall). Il concetto di spazi personali è stato favorito dalla diffusione del
concetto di territorio degli animali.Si distinguono 4 tipi di territorio:pubblico, domestico,
d’interazione, del corpo(personale- raggiungibile con gambe e braccia). L’incontro di due persone
stabilisce lo spazio del’interazione ne mio ne tuo dal quale si entra e si esce, poi c’è lo spazio interno
arricchito dall’interazione e lo scambio con gli altri. Anche lacultura determina lo spazio, i latini e gli
arabi stanno più vicini degli inglesi e degli svedesi. Lo spazio interno è da intendersi anche come
quel posto dove ritrovarese stessi e definire i rapporti con gli altri. I diversi momenti delcoclo
vitaleportano mutamenti nei rapporti spaziali della famiglia. Osservare gli spazi familiari ci auita a
capire chi conduce il gruppo, quali sono i ruoli e le moalità relazionali. Ogni comportamento non
verbale deve essere ricondotto alle dinamiche relazionali della famiglia d’origine.
Uno degli strumenti diagnostici del terapeuta è la domanda relazionale, che permette di insinuare
il dubbio, di confermare o smentire le ipotesi, di guidare il racconto verso aree più significative che
emergono durante il colloquio. Le domande relazionali sono quelle che mettono in relazione
l’interlocutore con altre persone come ad es. quando suo marito parla lei si sente sempre così?
Questa domanda pone in relazione il rapporto coniugale con uno stato d’animo. Le domande
relazionali possono essere: “itergenerazionali”, cioè quelle che pongono in relazione persone su
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8. diversi livelli generazionali (dimensione verticale) ad es. Credi che tuo padre quando aveva la tua
età avesse le tue stesse difficoltà ad accettare le regole imposte da suo padre? Domande “come se”
sono quelle che usano il piano dell’immaginazione per esplorare sensazioni che non possono essere
carpite nella dimensione reale. Ad es. se tuo padre fosse qui ora che direbbe di questo? Permette di
includere nella stanza il padre assente e di capire come il figlio si rappresenta il padre, chenon
necessariamentecorrispondealla realtà. Permettono inoltre di portare nella stanza del colloquio
persona morte, di spostarsi nel tempo e nello spazio. Domande “metaforiche” sono quelle che
aiutano ad avvicinarsi al cliente, le metafore possono essere portate dal paziente e riutilizzarle
aumenta la sensazione di essere compreso, o essere elaborate dal terapeuta. La costruzione di
un’immagine metaforica permette di connettersi ad un livello più profondo, di colorare, enfatizzare,
personalizzare uno stato d’animo o un comportamento. Le domande “più o meno” o “prima e dopo”
sono quelle chepermettono di paragonare eventi, persone, sentimenti. Beatson diceva
chelaconoscenza si attua attraverso lacomprensionedelle differenze. Questedomande permettono di
studiare le ridondanze comunicative che possono aiutare a comprendere il motivo reale del sintomo.
Ad es. uno studente che si senta domandare da un genitore “quanti esami stai preparando?” può
avvertire uno stato d’animo negativo che può essere dovuto al fatto che la domanda reale percepita
sia: “per quanto ancora dovrò mantenerti?” in questo caso il terapeuta chiedendo ad es. “anche
prima ti capitava di sentirti così?” può cercare di collegare la sensazione di lamentela e di
insoddisfazione da perte dei genitori che l’individuo avverte ad altri momenti della vita per capire se
si tratta di un pattern relazionale o di una situazione temporanea. Le domande “dirette” sono rivolte
direttamente all’individuo mentre le domande “indirette” sono quelle che chiedono di supporre ciò
che un’altra persona pensa di lui. Es. lei pensa chesuo figlio sia sempre infastidito quando gli fa
domande personali? Queste domande sono molto utili quando sono presenti le persone di cui si
chiede perché aiutano a far emergere nuovi contenuti e dialoghi spontanei. E poi ci sono le domande
“che assumono un rischio” che sonoquelle intrusive, invadenti, che sarebbe meglio evitareper
rispetto del cliente. Va anche detto però che quasi tutte le domande non generiche, che nascono da
un’effettiva curiosità del terapeuta sono più o meno intrusive e in genere la reale curiosità del
terapeuta viene apprezzata dal cliente.
Le domande relazionali sono circolari e significative. Circolari perché nascono sulla base dei
contenuti delle risposte, sull’andamento del colloquio, rispecchiando il continuo divenire della
relazione terapeuta-cliente. Significative in quanto permettono di avvicinarsi progressivamente a
quello che il cliente vive come rilevante, al suo mondo di significati.
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