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OBBLIGHI DI SICUREZZA ALIMENTARE NEL MERCATO UNICO
EUROPEO TRA GESTIONE DEL RISCHIO E RESPONSABILITÀ
D’IMPRESA

Sommario: I. Fonti e caratteri generali della legislazione alimentare - II. Rapporti
tra legislazione alimentare e disciplina sulla sicurezza generale dei prodotti - III. Le
relazioni tra il regolamento n. 178/2002 e la disciplina della responsabilità per dan-
no da prodotto difettoso.

I.   Fonti, caratteri generali della legislazione alimentare

     A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, anche in risposta all’ac-
cresciuta attenzione dell’opinione pubblica e dei mass-media sul tema della
sicurezza alimentare, è stata attuata un’ampia opera di riforma della disciplina
comunitaria in materia di produzione e commercializzazione degli alimenti e
dei mangimi. La legislazione alimentare comunitaria, attualmente vigente,
trova la sua base in un regolamento di carattere generale, il regolamento n.
178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002 «che
stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istitui-
sce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo
della sicurezza alimentare»1, al quale si collegano altri atti legislativi, regola-
menti, direttive e decisioni che disciplinano specifici ambiti della legislazione
alimentare.
     Il regolamento n. 178/2002 costituisce il primo atto legislativo del nuovo
approccio comunitario alla sicurezza nel consumo alimentare, maturato alla
    1
      In Guce n. L 31 del 1° febbraio 2002. Una prima lettura organica del regolamento in AA.VV.,
La sicurezza alimentare nell’Unione europea (reg. n. 178/2002/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio), in Nuove leggi civ. Comm., 2003, p. 114. Per una prima introduzione alla legislazione
alimentare: A. ALEMANNO, Trade in Food, Regulatory and Judicial Approaches in the EC and the
WTO, London, Cameron and May, 2007; L. COSTATO, Compendio di diritto alimentare, Padova,
Cedam, 2007; F. CAPELLI - V. SILANO - B. KLAUS, Nuova disciplina del settore alimentare e Autori-
tà europea per la sicurezza alimentare, Milano, Giuffrè, 2006; O’ROURKE, European Food Law,
Londra, Sweet and Maxwell, 2005; V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, profili civili, penali e am-
ministrativi, Padova, Cedam, 2003; G. NICOLINI, Il prodotto alimentare: sicurezza e tutela del con-
sumatore, Padova, Cedam, 2003; S. VENTURA, Principi di diritto dell’alimentazione, Milano, Fran-
co Angeli, 2001 e S. FOÀ, Il fondamento europeo del diritto alla salute: competenze istituzionali e
profili di tutela, Milano, Giuffè, 1998.
DIRITTO COMUNITARIO E DEGLI SCAMBI INTERNAZIONALI, FASC. 4/2008, PP. 695-734
© EDITORIALE SCIENTIFICA SRL
696                                                                                           Articoli



luce del Trattato di Maastricht2 e impostosi nell’agenda politica comunitaria
dopo gli scandali alimentari dell’ultimo decennio3. Con esso si sono formaliz-
zati i principi generali della «legislazione alimentare»4 (artt. 5-10), definiti gli
obblighi generali di sicurezza per gli operatori del settore (artt. 11-20), istitui-
ta l’Autorità europea per la sicurezza alimentare5 (artt. 22-49) e si sono, inol-
tre, delineate le regole generali in materia di importazione ed esportazione di
alimenti e mangimi (artt. 11-13)6 e le procedure applicabili alle situazioni di
emergenza alimentare (artt. 50-57).
     Il regolamento n. 178/2002 fornisce la cornice all’interno della quale le
istituzioni comunitarie hanno intrapreso una profonda riforma della legisla-
zione in materia di produzione e commercializzazione di alimenti, con parti-
colare riferimento all’igiene e alla sicurezza dei prodotti alimentari e dei pro-
cessi produttivi7, da un lato, ed all’etichettatura e alla presentazione8, dall’al-
     2
       Cfr. T. HERVEY, Mapping the Contours of European Union Health Law and Policy, in Eur.
Publ. Law, 2002, p. 8. In argomento anche D. CHALMERS, Food for Thought: Reconciling Euro-
pean Risks and Traditional Ways of Life, in Modern Law Review, 2003, 66, p. 532; L. COSTATO,
Una ricognizione sui principi fondanti del diritto alimentare, in Riv. dir. agr., 2005, I, p. 206 ss.
     3
       Una dettagliata ricostruzione storica della genesi dell’attuale legislazione alimentare comuni-
taria si può leggere in A. ALEMANNO, Trade in Food, cit. supra, nota 1, p. 33-72. La "nuova" poli-
tica alimentare europea, a tutt’oggi ancora in itinere, è tratteggiata nel Libro verde della Commis-
sione sui principi generali della legislazione in materia alimentare nell’Unione europea (Com
(1997) 176 def.) e nel Libro Bianco sulla Sicurezza Alimentare del 12 gennaio 2000
(Com(1999)719 def.).
     4
       Il regolamento n. 178/2002 fornisce una definizione ad hoc di legislazione alimentare: in base
all’art. 3, n. 1 del regolamento n. 178/2002, la legislazione alimentare è l’insieme delle «leggi, re-
golamenti e disposizioni amministrative riguardanti gli alimenti in generale, e la sicurezza degli
alimenti in particolare, sia nella Comunità che a livello nazionale» relativa a «tutte le fasi di produ-
zione, trasformazione e distribuzione degli alimenti e anche dei mangimi prodotti per gli animali
destinati alla produzione alimentare o ad essi somministrati». Per alcune conseguenze si veda L.
COSTATO, Dal mutuo riconoscimento al sistema europeo di diritto alimentare: il Regolamento
178/2002 come regola e programma, in Riv. dir. agr., 2003, p. 289; ID., Il Regolamento 178/2002 e
la protezione dei consumatori di alimenti, in Riv. dir. agr., 2002, p. 61.
     5
       All’Autorità per la sicurezza alimentare è assegnata la funzione di «valutazione del rischio» e
non anche, come invece nel caso della U.S. Food and Drug Administration, quella di gestione dello
stesso, funzione questa che, all’interno del mercato unico, compete all’autorità pubblica (princi-
palmente alla Commissione ed alle autorità nazionali). In argomento: A. ALEMANNO, Trade in Food,
cit. supra, nota 1, p. 83-104 e p. 161-295; M. POTO - E. ROLANDO e C. ROSSI, La sicurezza alimentare
tra Unione Europea, Stato e Regioni dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, Torino, Giappi-
chelli, 2006; M. BENOZZO, Tutela della salute, mercato interno e dinamiche internazionali: le regole
della food safety negli Stati Uniti d’America, in Contratto Impresa/Europa, 2006, p. 390 e S. CASSESE,
Per un’autorità nazionale della sicurezza alimentare, Milano, Il Sole 24 Ore, 2002.
     6
       In base al considerando n. 23 del regolamento n. 178/2002 la Comunità «contribuisce all’ela-
borazione di norme internazionali a sostegno della legislazione alimentare e sostiene i principi del
libero commercio di mangimi sicuri e di alimenti sani e sicuri in maniera non discriminatoria, al-
l’insegna di pratiche commerciali leali e moralmente corrette». In argomento A. ALEMANNO, Trade
in Food, cit. supra, nota 1, p. 227 ss. e J. I. CARREÑO GARCÌA, Agricultural in WTO Law, in B.
O’CONNOR, TBT and Agriculture, London, Cameron and May, 2005.
     7
       Relativamente al profilo dell’igiene delle produzioni alimentari, la disciplina applicabile dal
1° gennaio 2006 è contenuta in un insieme di regolamenti e alcune direttive, conosciuto anche co-
me «pacchetto igiene». Più precisamente le principali fonti comunitarie sull’igiene alimentare sono
le seguenti: il regolamento n. 852/2004/Ce, «sull’igiene dei prodotti alimentari», il regolamento n.
853/2004/Ce, «che stabilisce norme specifiche in materia d’igiene per gli alimenti di origine anima-
le», il regolamento n. 854/2004/Ce, «che stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di controlli
ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano», il regolamento n. 882/2004/Ce,
Articoli                                                                                             697



tro. Questa riformulazione della disciplina comunitaria in materia di produ-
zione e commercializzazione di prodotti alimentari non sarebbe stata pratica-
bile se il diritto comunitario non si fosse dotato di principi generali propri del-
la legislazione alimentare. Questi sono indicati chiaramente dal regolamento
n. 178/2002: l’analisi del rischio (art. 6), il principio di precauzione (art. 7), la
tutela degli interessi dei consumatori (art. 8), la trasparenza nella elaborazione
della legislazione alimentare (art. 9) e l’informazione del consumatore (art.
10). Pur in assenza di una scala gerarchica, l’analisi del rischio sembra assur-
gere ad un ruolo pregnante: il risk analysis diventa nel testo del regolamento
n. 178/2002 principio generale della legislazione alimentare; di più, esso è il
primo principio nell’elenco di cui alla sezione I («Principi generali della legi-
slazione alimentare»), del Capo II («Legislazione alimentare generale»), pri-
ma del principio di precauzione9 e di quello della «tutela degli interessi eco-
«relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi
e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali», la direttiva n. 2004/41/Ce del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, «che abroga alcune direttive recanti norme
sull’igiene dei prodotti alimentari e le disposizioni sanitarie per la produzione e la commercializza-
zione di determinati prodotti di origine animale destinati al consumo umano e che modifica le di-
rettive n. 89/662/Cee e n. 92/118/Cee del Consiglio e la decisione n. 95/408/Ce del Consiglio». Per
la trasposizione in diritto interno della direttiva n. 2004/41 e l’adeguamento nazionale al pacchetto
igiene si veda, sin d’ora, il dlgvo n. 193 del 6 novembre2007, recante «Attuazione della direttiva n.
2004/41/Ce relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti
comunitari nel medesimo settore», in Guri n. 261 del 9 novembre 2007, entrato in vigore il 24 no-
vembre 2007. Per completezza si ricorda che la nuova disciplina comunitaria in materia è altresì
composta dal regolamento n. 1935/2004/Ce «riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire
a contatto con i prodotti alimentari e che abroga le direttive n. 80/590/Cee e n. 89/109/Cee», dal
regolamento n. 183/2005/Ce, «che stabilisce requisiti per l’igiene dei mangimi» e il regolamento
(Ce) n. 1774/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 ottobre 2002 «recante norme sani-
tarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano» e dalla direttiva
n. 2002/99/Ce del Consiglio «che stabilisce norme di polizia sanitaria per la produzione, la tra-
sformazione, la distribuzione e l’introduzione di prodotti di origine animale destinati al consumo
umano», recepita nell’ordinamento italiano dal dlgvo n. 117 del 27 maggio 2005, recante «Attua-
zione della direttiva n. 2002/99/Ce che stabilisce norme di polizia sanitaria per la produzione, la tra-
sformazione, la distribuzione e l’introduzione di prodotti di origine animale destinati al consumo uma-
no», in Guri n. 152 del 2 luglio 2005. Per un primo inquadramento dei regolamenti comunitari
sull’igiene: L. COSTATO, Compendio di diritto alimentare, cit. supra, nota 1, p. 413; F. CAPELLI - V.
SILANO - B. KLAUS, Nuova disciplina del settore alimentare, cit. supra, nota 1 e F. CAPELLI, La diretti-
va "Killer" e le sue vittime, in questa Rivista, 2006, p. 95. Per una lettura tecnica: M. ASTUTI - F.
CASTOLDI, Pacchetto igiene, le nuove norme comunitarie, Lavis, Edagricole, 2006.
     8
       La disciplina orizzontale è data dalla direttiva n. 2000/13/Ce del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri con-
cernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (in
Guce n. L 109 del 6 maggio 2000, p. 29 ss. più volte modificata). Anche in questo ambito è dato
osservare un procedimento legislativo di revisione come risulta dal Proposal for a Regulation of
the European Parliament and of the Council on the provision of food information to consumers,
presentato dalla Commissione il 30 gennaio 2008 (Com(2008) 40 final). Sul tema dell’etichettatura
dei prodotti alimentari, senza pretesa di esaustività: L. COSTATO, Compendio di diritto alimentare,
loc. cit., p. 263 ss.; V. MAGLIO, La trasparenza dei prodotti alimentari: la funzione dell’etichettatura
nella tutela del consumatore, in Contratto e Impresa/Europa, 2001, p. 311 ss.; R. O’ROURKE, Europe-
an Food Law, cit. supra, nota 1, p. 55-74 e p. 129-138; V. PACILEO, II diritto degli alimenti, cit. supra,
nota 1, p. 320-323 e F. CAPELLI, La sentenza della Corte di Giustizia sul sistema di vendita "bag in the
box" per l’olio di oliva: una pronuncia incompleta per il carente apporto del Giudice nazionale e per
il mancato intervento dell’Avvocato Generale, in questa Rivista, 2007, p. 499 ss.
     9
       Senza pretesa di completezza: Comunicazione della Commissione sul principio di precauzio-
ne del 2 febbraio 2000 (doc. Com(2000)1 non pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Comunità
698                                                                                            Articoli



nomici dei consumatori».
     Chiarisce l’art. 6.1 che «la legislazione alimentare si basa sull’analisi del
rischio»10, intesa come una funzione di decision-making sistematica ed artico-
lata in tre momenti concettualmente distinguibili ed assegnati a soggetti di-
versi11. Si tratta della funzione fondante la legislazione alimentare – comuni-
taria e degli Stati membri – tanto nella fase ascendente (di elaborazione)


europee) e sentenze della Corte di giustizia del 5 maggio 1998 in causa n. C-157/96, National
Farmers Union, in Raccolta, 1998, I, p. 2211 ss. e, in pari data, in causa n. C-180/96, Regno Unito
c. Commissione, in Raccolta, 1998, I, p. 2265 ss., su cui ampiamente A. ALEMANNO, Trade in
Food, cit. supra, nota 1, p. 115-146. Si veda anche L. COSTATO, La Corte di giustizia, il ravvici-
namento delle legislazioni e il principio di precauzione nel diritto alimentare, in Dir. e giur. agr. e
amb. 2005, p. 649 e C. BLUMANN - V. ADAM, La politique agricole commune dans la tourmente: la
crise de la "vache folle", in Rev. trim. dr. eur., 1997, p. 270; M. P. CHITI, Il rischio sanitario e
l’evoluzione dall’amministrazione dell’emergenza all’amministrazione precauzionale, in Riv. it.
dir. pubbl. comun., 2006, p. 1 e F. TRIMARCHI, Principio di precauzione e qualità dell’azione am-
ministrativa, ivi, 2005, p. 1673; G. F. FERRARI, Biotecnologie e diritto costituzionale, in R.
FERRARA - I. M. MARINO (a cura di), Gli organismi geneticamente modificati, Padova, Cedam,
2003; M. P. GIRACCA, Responsabilità civile e OGM: quali prospettive?, ivi, p. 367. Per una intro-
duzione: H. JONAS, Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino, Ei-
naudi, 1993; U. BECK, La società del rischio. Verso una nuova modernità, Roma, Carocci, 2000;
N. LUHMANN, Sociologia del rischio, Milano, Mondadori, 1996; P. PELLEGRINO, Hans Jonas: natu-
ra e responsabilità, Lecce, Edizioni Milella, 1995; U. IZZO, La precauzione nella responsabilità
civile analisi di un concetto sul tema del danno da contagio per via trasfusionale, Padova, Cedam,
2004; N. IRTI - E. SEVERINO, Le domande del giurista e le risposte del filosofo (un dialogo su diritto
e tecnica), in Contratto e impresa, 2000, p. 665.
     L’organismo di risoluzione delle controversie in ambito WTO si è interessato più volte del ruo-
lo di questo principio all’interno delle fonti di diritto internazionale; tra le diverse, si rinvia alla
decisione resa tra USA e UE sul caso relativo alla carne agli ormoni: Appellate Body Report, EC
Measures Concerning Meat and Meat Products (Hormones), WT/DS26/AB/R, WT/DS48/AB/R,
del 13 febbraio 1998 e, più recentemente, in materia di moratoria sull’approvazione di "nuovi pro-
dotti" (novel food) contenenti e/o ottenuti da OGM la decisione del Panel Report - European
Communities - measures affecting the approval and marketing of biotech products - WT/DS291/R,
WT/DS292/R, WT/DS293/R del 29 settembre 2006, entrambi disponibili sul sito dell’OMC al se-
guente indirizzo web: www.wto.org. In argomento, una prima introduzione in P. T. STOLL - L.
STRACK, Article 5 SPS, in AA.VV., WTO - Techinical Barriers and SPS Measures, in R. WOLFRUM
- P. T. STOLL - A. S. FOHR (edited by), Boston, Marinus Nijhoff Pubblishers, 2007, p. 436 cui adde
D. BEVILACQUA, The EC-Biotech Case, Global v. Domestic Procedural Rules in Risk Regulation:
The Precautionary Principle, in European Food and Feed Law Review, 2006, p. 331, S. MALJEAN-
DUBOIS, Biodiversité, biotechnologies, biosécurité: Le droit international désarticulé, in Journ. dr.
int., 2000, p. 948; C. NOIVILLE, Principe de précaution et Organisation mondiale du commerce. Le
cas du commerce alimentaire, in Journ. dr. int., 2000, p. 263-297; R. PAVONI, Misure unilaterali di
precauzione, prove scientifiche e autorizzazioni comunitarie al commercio di organismi genetica-
mente modificati: riflessioni in margine al caso Greenpeace, in questa Rivista, 2000, p. 725-748.
     10
        La formulazione completa è la seguente: tranne «quando ciò non sia confacente alle circo-
stanze o alla natura del provvedimento». È stato giustamente notato che questo inciso vada riferito
alla situazioni di crisi e di allarme sanitario nelle quali il fattore "tempo" non permette l’esplicazio-
ne di una compiuta e puntuale analisi del rischio. Così L. GRADONI, in AA. Vv., La sicurezza ali-
mentare nell’Unione europea, cit. supra, nota 1, sub art. 6, p. 201.
     11
        I tre elementi del "processo" di analisi del rischio sono: a. la «valutazione del rischio», pro-
cesso su base scientifica costituito da quattro fasi: individuazione del pericolo; caratterizzazione
del pericolo; valutazione dell’esposizione al pericolo; caratterizzazione del rischio; b. «gestione del
rischio», processo, distinto dalla valutazione del rischio, consistente nell’esaminare alternative
d’intervento consultando le parti interessate, compiendo scelte di prevenzione e di controllo; c. co-
municazione del rischio: scambio interattivo, lungo l’intero arco dell’analisi del rischio, di infor-
mazioni e pareri riguardanti gli elementi di pericolo e i rischi, i fattori connessi al rischio e la per-
cezione del rischio, tra i responsabili della gestione, consumatori, imprese alimentari e del settore
dei mangimi, comunità accademica ed altri interessati.
Articoli                                                                                           699



quanto discendente, cioè di applicazione delle relative disposizioni12. Tale
collocazione sarebbe peraltro in linea con il ruolo che l’analisi del rischio ri-
ceve nella regolamentazione internazionale delle misure sanitarie e fitosanita-
rie come posta dall’Agreement on Sanitary and Phytosanitary Measures nella
cornice della Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Orga-
nization).
     Dal punto di vista generale, il regolamento n. 178/2002 ha inaugurato un
processo di concentrazione della responsabilità in capo all’operatore profes-
sionale per quanto attiene la sicurezza dei prodotti alimentari; infatti, in taluni
Stati membri e con riferimento ad alcuni settori della legislazione alimentare,
la responsabilità legale veniva assunta dalle autorità competenti dello Stato
membro attraverso lo svolgimento di attività di controllo e ciò in pregiudizio
dell’integrazione del mercato unico. Il regolamento n. 178/2002 rovescia tale
assetto, stabilendo che «spetta agli operatori del settore alimentare e dei man-
gimi garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti o i mangimi
soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro atti-
vità in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione
e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte» in quanto, si precisa, tali
soggetti sono «in grado, meglio di chiunque altro, di elaborare sistemi sicuri
per l’approvvigionamento alimentare e per garantire la sicurezza dei prodotti
forniti»13. A conferma di questo indirizzo il regolamento n. 882/2004, in tema
di controlli ufficiali, precisa, all’art. 1.4, che «l’esecuzione dei controlli uffi-
ciali ai sensi del presente regolamento lascia impregiudicata la responsabilità
legale, in via principale, degli operatori del settore per la sicurezza dei man-
gimi e degli alimenti, come previsto dal regolamento (Ce) n. 178/2002 e la
responsabilità civile o penale risultante dalla violazione dei loro obblighi».
     Corollario ne è il mutamento del ruolo stesso del controllo ufficiale che,
oltre alla vigilanza propriamente intesa, è chiamato dal citato regolamento n.
882/2004 allo svolgimento di attività di «audit» inteso come «esame sistema-

    12
       In questo senso si suggerisce di leggere l’art. 54 del regolamento n. 882/2004, cit. supra, no-
ta 7, a mente del quale «L’autorità competente che individui una non conformità interviene per as-
sicurare che l’operatore ponga rimedio alla situazione. Nel decidere l’azione da intraprendere,
l’autorità competente tiene conto della natura della non conformità e dei dati precedenti relativi a
detto operatore per quanto riguarda la non conformità». Tra i presupposti per l’esercizio del potere-
dovere che l’art. 54 ascrive al controllo ufficiale per il caso di non conformità, vi è il riferimento
alla «natura della non conformità» che sembra potersi intendere come un richiamo forte al princi-
pio base secondo cui la legislazione alimentare è basata sull’analisi del rischio e quindi la sua ap-
plicazione deve essere scientificamente fondata e, pare potersi dire, anche proporzionata allo sco-
po. Il secondo limite (dati precedenti) tende a valorizzare il comportamento virtuoso, legittimando
indirettamente un atteggiamento "premiale" del controllo ufficiale. In tal modo il quadro storico
dell’impresa diventa elemento di valutazione nel trattamento della non conformità e, come tale,
dovrebbe rappresentare uno stimolo per un agire diligente e conforme alla legislazione vigente nel
settore alimentare. Il confronto tra questa disposizione e quella corrispondente nella legislazione
previgente (art. 11 del dlgvo n. 123/1993, abrogato dall’art. 3 del dlgvo n. 193/2007, ad eccezione
degli artt. 4 e 2, comma 3) evidenzia la significativa evoluzione dei poteri dell’autorità di controllo.
    13
       Cfr. rispettivamente art. 17.1 e considerando n. 30 del regolamento n. 178/2002.
700                                                                                       Articoli



tico e indipendente per accertare se determinate attività e i risultati correlati
siano conformi alle disposizioni previste, se tali disposizioni siano attuate in
modo efficace e siano adeguate per raggiungere determinati obiettivi».
     In questa prospettiva non può trascurarsi di considerare come il potere as-
segnato al controllo ufficiale sia decisamente più ampio rispetto a quanto pre-
visto in precedenza: basta considerare che il regolamento n. 882/2004 (art.
54) assegna all’autorità competente (nazionale) la potestà di disporre azioni
correttive (rectius, atti amministrativi) per porre rimedio alla «non conformi-
tà». Conseguenza che si somma a quella più tradizionale e consistente nella
applicazione di sanzioni afflittive. Questo elemento conferma che l’autorità di
controllo è depositaria di poteri di controllo e anche di un ruolo di supporto
dell’impresa alimentare verso la piena conformità alla legislazione alimenta-
re. Ne deriva che il forte richiamo che il regolamento n. 882/2004 compie al-
l’aggiornamento ed alla professionalità del controllo ufficiale assume una di-
rezione ben precisa.
     È utile poi sottolineare che la nozione di «non conformità», al cui riscon-
tro sorge la sanzionabilità ex art. 55 ma anche l’adozione dei provvedimenti
ex art. 54 del regolamento n. 882/2004, non è riferita al solo profilo di sicu-
rezza alimentare ma è, al contrario, estesa anche al profilo della conformità
alla legislazione in tema di protezione del consumatore alimentare. In tal sen-
so l’art. 1.1. (Oggetto e campo di applicazione) del regolamento n. 882/2004
secondo cui «Il presente regolamento fissa le regole generali per l’esecuzione
dei controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alle normative volte, se-
gnatamente, a: a. prevenire, eliminare o ridurre a livelli accettabili i rischi per
gli esseri umani e gli animali, siano essi rischi diretti o veicolati dall’ambien-
te; e b. garantire pratiche commerciali leali per i mangimi e gli alimenti e tute-
lare gli interessi dei consumatori, comprese l’etichettatura dei mangimi e de-
gli alimenti e altre forme di informazione dei consumatori». Da tale disposi-
zione dovrebbe trarsi una conseguenza di non secondaria importanza: le azio-
ni correttive che l’Autorità competente deve predisporre ex art. 54 del rego-
lamento n. 882/2004 riguardano anche la disciplina dell’etichettatura, presen-
tazione e pubblicità dei prodotti alimentari14.
     Tornando alla posizione di garanzia gravante – come detto – in via prin-
cipale sull’operatore privato, le disposizioni della legislazione alimentare im-
portano un insieme di obblighi di conformità, tanto del prodotto quanto del
processo produttivo, posti a tutela della salute pubblica (ad esempio, la disci-
plina igienico-sanitaria) e/o a garanzia delle aspettative del consumatore.
     Più precisamente, gli obblighi desumibili dagli artt. 14 ss. del regolamen-

    14
       Per una riflessione sul punto: D. PISANELLO, Denominazioni di origine ed indicazioni geo-
grafiche protette tra diritto industriale e diritto alimentare: il caso Parmesan II¸ in Contratto e
Impresa/Europa, 2008, p. 389-414.
Articoli                                                                                             701



to sulla sicurezza alimentare, vigenti a far data dal 1° gennaio 200515, possono
essere sintetizzati nelle seguenti categorie generali: a. obbligo di conformità
del prodotto alimentare ai requisiti di sicurezza (artt. 14 e 17 del regolamento
n. 178/2002); b. obblighi di rintracciabilità (art. 18 del regolamento n.
178/2002)16; c. obblighi comportamentali nel caso di crisi alimentari (art. 19
del regolamento n. 178/2002).
    Primo obbligo incombente sui produttori e distributori di alimenti è quello
di garantire la conformità legale dei prodotti di cui essi fanno commercio.
All’interno di questo ampio dovere, assume primaria importanza l’obbligo di
immettere sul mercato solo «prodotti sicuri»17, spettando ad essi garantire che
     15
        Cfr. art. 65, comma 2°, del regolamento n. 178/2002. Tali obblighi sono presidiati nell’ordi-
namento italiano, con decorrenza dal 7 giugno 2006, dalle sanzioni amministrative previste dal
dlgvo n. 190 del 5 aprile 2006, recante «Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizio-
ni di cui al Regolamento (Ce) n. 178/2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legi-
slazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel
campo della sicurezza alimentare», in Guri n. 118 del 23 maggio 2006, applicabili laddove lo stes-
so fatto non dia luogo a profili di responsabilità penale; in ogni caso, le disposizioni degli articoli
del regolamento generale sulla sicurezza alimentare (o di altre fonti "verticali") valgono a definire
quelle buone prassi operative, finendo così per evidenziare eventuali condotte sanzionabili a titolo
di colpa. Sulle posizioni di garanzia proprie dell’operatore alimentare ed il quadro sanzionatorio di
cui al decreto da ultimo citato sia consentito il rinvio a D. PISANELLO, La disciplina sanzionatoria
per la violazione degli obblighi generali di sicurezza ex art. 18, 19 e 20 reg. 178/2002, in Alimenta
nn. 6/2006 e 7-8/2006. Sul tema della imputabilità delle sanzioni, penali e amministrative, previste
per le violazioni alla legislazione alimentare, per tutti, V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. su-
pra, nota 1, p. 525. In tema di sanzioni amministrative, da ultimo, A. CARATTO, L’opposizione alle
sanzioni amministrative, Profili tecnico-pratici, Lavis, Wolters Kluwer Italia, 2008.
     16
        Questo obbligo, fissato dall’art. 18 del regolamento n. 178/2002, è relativo alla c.d. "rintrac-
ciabilità", termine con il quale si indica la «possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un ali-
mento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza desti-
nata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime, attraverso tutte le fasi della pro-
duzione, della trasformazione e della distribuzione» (cfr. art. 3, n. 15 regolamento n. 178/2002).
Introdotta inizialmente per il solo comparto delle carni bovine, colpito dalla "crisi della mucca paz-
za" (regolamento n. 1760/2000/Ce, in Guce n. L 204 dell’11 agosto 2000), la funzione di "rintrac-
ciabilità", prevista dal regolamento n. 178/2002 come obbligo generale per tutti gli operatori pro-
fessionali del settore, costituisce uno strumento di sicurezza alimentare in quanto permette di poter
procedere a «ritiri» mirati e precisi o fornire informazioni ai consumatori o ai funzionari responsa-
bili dei controlli. La rintracciabilità è intesa dal regolamento sulla sicurezza alimentare secondo
l’approccio "un anello a monte e un anello a valle" (one step back, one step forward) ed implica
per l’impresa la predisposizione di sistemi e procedure per individuare "chi abbia loro fornito cosa"
e a quali imprese abbia a sua volta fornito i propri prodotti. Due sono i limiti della previsione della
rintracciabilità nel dettato del regolamento n. 178/2002: l’art. 18 non riguarda, almeno formalmen-
te, la rintracciabilità interna, cioè il flusso di materie prime e componenti all’interno del processo
produttivo di una singola impresa alimentare; sul versante a valle, poi, i sistemi e le procedure di
tracciabilità riguardano le imprese, e non anche il consumatore, ai quali si siano forniti i prodotti.
Norme speciali sono dettate per la tracciabilità dei prodotti costituenti o contenenti organismi gene-
ticamente modificati (OGM) dal regolamento (Ce) n. 1830/03 del Parlamento europeo e del Consi-
glio del 22 settembre 2003 concernente la tracciabilità e l’etichettatura di organismi geneticamente
modificati e la tracciabilità di alimenti e mangimi ottenuti da organismi geneticamente modificati,
nonché recante modifica della direttiva n. 2001/18/Ce, in Gu-Ue n. L 268 del 18 ottobre 2003.
     17
        Tale previsione è la specificazione, nella materia alimentare, del generale obbligo sancito
dalla direttiva n. 2001/95/Ce relativa alla sicurezza generale dei prodotti, in Guce n. L 11 del 15
gennaio 2002. La direttiva n. 2001/95, all’art. 22 abroga, sostituendola, la direttiva n. 92/59/Cee,
recepita in Italia con dlgvo n. 115/1995 «Attuazione della direttiva n. 92/59/Cee relativa alla sicu-
rezza generale dei prodotti», in Guri n. 92 del 20 aprile 1995, disciplina oggi confluita nel «Codice
del consumo, a norma dell’art. 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229» di cui al dlgvo n. 206/2005, in
Guri n. 235 dell’8 ottobre 2005. In argomento G. PONZANELLI, Regole economiche e principi giu-
702                                                                                           Articoli



gli alimenti o i mangimi soddisfino le disposizioni della legislazione alimen-
tare applicabile nelle diverse fasi ed attività di produzione, trasformazione,
trasporto, magazzinaggio, custodia e distribuzione finale. Si richiede, in altri
termini, che le imprese alimentari siano in grado di dimostrare all’autorità di
controllo che esse monitorano e controllano18 la conformità ai requisiti posti,
che sono à la fois legislativi, microbiologici, tecnologici, ecc.
     Il contenuto dell’obbligo di conformità qui in esame è da determinarsi a-
vendo come riferimento, da un lato, la legislazione orizzontale (precisamente, i
requisiti di sicurezza di cui all’art. 14 del regolamento n. 178/2002), dall’altro, i
requisiti specifici posti negli allegati tecnici del regolamento n. 852/2004 (sul-
l’igiene degli alimenti in generale) e del regolamento n. 853/2004 (sull’igiene
per gli alimenti di origine animale) o altre normative (ad esempio, le discipli-
ne sui residui).
     Dal punto della legislazione orizzontale, nozione centrale è, oltre alla de-
finizione di «alimento»19, quella di «alimento a rischio»: la presenza nel cir-

ridici a confronto: il caso della responsabilità del produttore e della tutela dei consumatori, in Riv.
crit. dir. priv., 1992, II, p. 545; A. ALBANESE, La sicurezza generale e la responsabilità del produt-
tore nel diritto italiano ed europeo, in Europa e dir. priv., 2005, p. 977 ed anche lo studio del
Centre de Droit de la Consommation, Louvain-la-Neuve, "Mise en oeuvre pratique de la Directive
92/59/CEE du Conseil relative à la sécurité générale des produits", febbraio 2002, condotto su in-
carico della Commissione ed ampiamente richiamato nella Relazione al Parlamento europeo e al
Consiglio sull’esperienza acquisita nell’applicazione della direttiva n. 92/59/Cee relativa alla sicu-
rezza generale dei prodotti, doc. Com(2000)140 def.
     18
        Sembra opportuno segnalare che il termine «controllo», in questa sede, debba essere inteso
come corrispondente al significato del termine inglese control che, nella terminologia propria del
settore, indica qualcosa di più del semplice monitoraggio comprendendo anche ciò che in lingua
italiana si suole indicare col termine «gestione».
     19
        La definizione di alimento è data dall’art. 2 del regolamento n. 178/2002 secondo la quale è
«alimento» «qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato,
destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri
umani», comprese, tra l’altro, «le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi sostanza, compresa
l’acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione
o trattamento». Oltre alla questione della qualificazione degli animali vivi come alimento, esclusa
dall’art. 2.3 lett. b. del regolamento n. 178/2002 ma ammessa in alcuni precedenti della giurispru-
denza penale italiana (in argomento, ampiamente, V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra,
nota 1, p. 8), nella pratica si pongono non di rado problemi di identificazione della disciplina appli-
cabile, in particolare quando oggetto d’indagine siano prodotti al confine tra l’alimento e il farmaco
("alicamento"). Sulla distinzione la giurisprudenza della Corte di giustizia ha avuto modo di preci-
sare che «per poter distinguere un medicinale da una derrata alimentare, l’autorità nazionale com-
petente procede a una decisione caso per caso, tenendo conto di tutte le caratteristiche del prodotto
tra le quali la composizione, le proprietà farmacologiche, le modalità d’uso, l’ampiezza e diffusio-
ne, la conoscenza presso i consumatori, i rischi eventualmente connessi», chiarendo che, dal punto
di vista comunitario «nulla vieta che uno stesso prodotto sia qualificato come alimento in uno Stato
membro e come medicinale in un altro e quindi necessariamente soggetto alla autorizzazione al
momento della importazione in questo secondo stato membro» precisando che nei casi di concorso
delle discipline «si applica solo la disciplina dei medicinali» (cfr. sentenza del 9 giugno 2005 in
cause riunite n. 211/03, n. 299/03, n. 316/03 e n. 318/03, HLH Warenvertriebs GmbH e altri, in
Raccolta, 2005, I, p. 5141). In senso analogo la direttiva n. 2001/83/Ce del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso
umano che all’art. 2.2 precisa che «In caso di dubbio, se un prodotto, tenuto conto dell’insieme del-
le sue caratteristiche, può rientrare contemporaneamente nella definizione di «medicinale» e nella
definizione di un prodotto disciplinato da un’altra normativa comunitaria, si applicano le disposi-
zioni della presente direttiva». Per una prima lettura della definizione generale di alimento si veda
Articoli                                                                                            703



cuito commerciale di un alimento che «non sia conforme ai requisiti di sicu-
rezza degli alimenti» (art. 19.1 del regolamento n. 178/2002) fa sorgere una
serie di obblighi in capo all’operatore alimentare20.
     L’art. 14.1 del regolamento n. 178/2002 stabilisce che «gli alimenti a ri-
schio non possono essere immessi sul mercato», dovendosi stimare la sicu-
rezza in base a due parametri: le condizioni d’uso normali dell’alimento da
parte del consumatore in ciascuna fase della produzione, della trasformazione
e della distribuzione e, secondo elemento, in base alle informazioni rese in e-
tichetta o altre informazioni generalmente accessibili al consumatore sul mo-
do di evitare specifici effetti nocivi per la salute provocati da un alimento o
categoria di alimenti21.
     Quest’ultima precisazione rende manifesto che, nell’ottica di una efficace
riduzione del rischio sanitario ma anche del rischio di responsabilità civile, la
progettazione del prodotto rientra a pieno titolo nella diligenza, perizia e pru-
denza esigibili nei confronti dell’operatore professionale. È inoltre di palmare
evidenza che il «prodotto» non può più essere considerato esclusivamente
nella sua nuda materialità ma anche nella componente di «servizio», inten-
dendosi per tale l’etichettatura e la documentazione di accompagnamento ob-
bligatoria ope legis, l’impiego di tecnologia e l’apposizione di segni distintivi,
le indicazioni nutrizionali, come pure i servizi post-vendita, in cui sono da ri-
comprendere i servizi di customer’s care, l’assistenza in garanzia ed anche i
servizi connessi al ritiro e/o all’allerta lungo la filiera.
     Più precisamente, la nozione di «alimento a rischio» è declinata dal rego-
lamento n. 178/2002 in due categorie generali: quella degli «alimenti dannosi
per la salute» (art. 14.4) e quella costituita dagli alimenti «inadatti al consumo
umano» (art. 14.5)22.

I. CANFORA, in AA. Vv., La sicurezza alimentare nell’Unione europea, cit. supra, nota 1, sub art. 2,
p. 147. Per una disamina della nozione di alimento e delle sottocategorie a questa afferenti (integra-
tori alimentari, alimenti destinati ad una alimentazione particolare, arricchiti, OGM, novel food, si
veda F. CAPELLI - V. SILANO - B. KLAUS, Nuova disciplina del settore alimentare, cit. supra, nota 1,
p. 238-266. Sul punto, già prima del regolamento n. 178/2002, la Corte di appello di Milano aveva
riservato la «qualificazione di alimento per l’uomo e la relativa disciplina non solo al prodotto rap-
presentativo di principi nutrizionali utili o indispensabili al sostentamento, ma a qualsiasi prodotto
naturale o industriale destinato ad essere ingerito, sotto qualsiasi forma, anche a prescindere dalla
rispondenza a finalità di nutrimento» (sent. C. App. del 29 ottobre 1999, Beccarini e altro, in Rass.
dir. farmaceutico, 2000, p. 26).
     20
        Per l’art. 3, n. 3, regolamento n. 178/2002 è «operatore del settore alimentare», «la persona
fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione alimentare
nell’impresa alimentare posta sotto il suo controllo». Per l’art. 3, n. 2, del regolamento n. 178/2002
è «impresa alimentare»: «ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che svolge
una qualsiasi delle attività connesse ad una delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione
degli alimenti». Può essere interessante anche sottolineare che molti degli obblighi di sicurezza, e
anche le previsioni sanzionatorie previste dalla legislazione italiana siano rivolte all’operatore del
settore alimentare come definito dal regolamento comunitario.
     21
        Cfr. art. 14.3, lett. a. e b. del regolamento n. 178/2002.
     22
        In entrambi i casi si tratta di categorie che necessitano evidentemente di ulteriori specifica-
zioni fornite dalla legislazione verticale (di prodotto), integrate con le decisioni che la Commissio-
ne europea può prendere a seguito dell’attività di valutazione del rischio svolta in seno all’EFSA.
704                                                                                            Articoli



     È stato osservato che la disposizione dell’art. 14.4 contiene elementi di
incertezza interpretativa nella misura in cui, fornendo la qualificazione di a-
limento dannoso, rinvia ai «probabili effetti immediati e/o a breve termine,
e/o a lungo termine dell’alimento sulla salute di una persona che lo consuma,
ma anche su quella dei discendenti» ma anche a «probabili effetti tossici cu-
mulativi di un alimento» e alla «particolare sensibilità, sotto il profilo della
salute, di una specifica categoria di consumatori, nel caso in cui l’alimento sia
destinato ad essa». Questi criteri sono stati ritenuti «assolutamente ambigui» e
il più delle volte sconosciuti all’operatore alimentare, giungendosi così alla
osservazione in forza della quale la diligenza richiesta all’operatore privato
andrebbe ben oltre la soglia della prevenzione per sconfinare nel campo della
precauzione23. Tale conclusione sconta però dei profili criticabili: in primo
luogo i canoni indicati dall’art. 14.4 del regolamento n. 178/2002 paiono più
correttamente destinati a fornire la cornice di riferimento alle autorità pubbli-
che incaricate del monitoraggio e del controllo dei rischi, anche emergenti,
nel consumo alimentare24. I canoni sopra richiamati avrebbero come destina-
tari naturali l’EFSA, in sede di valutazione del rischio (cioè nella fase prope-
deutica alla definizione dei requisiti che saranno poi specificati dalla normati-
va verticale di prodotto), e l’autorità competente del risk treatment a livello
nazionale o comunitario.
     Con riserva di verificare l’affermazione qui esaminata anche dal punto di
vista della responsabilità del produttore, la casistica giurisprudenziale consi-
glia di ritenere la diligenza richiesta all’operatore privato del settore alimenta-
re come rientrante pur sempre nell’alveo della prevenzione, connessa quindi

L’inadeguatezza all’uso si stima comparando le caratteristiche dell’alimento rispetto all’uso previ-
sto, valutandosene l’inaccettabilità per il consumo umano a seguito di contaminazione dovuta a
materiale estraneo o ad altri motivi, o in seguito a putrefazione, deterioramento o decomposizione.
Quest’ultima definizione non può non richiamare alla mente alcune ipotesi di reato previste dalla
legge n. 283 del 30 aprile 1962 «Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del t.u. delle leggi
sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265. Disciplina igienica della produzione e della
vendita delle sostanze alimentari e delle bevande» e il dpr n. 327 del 26 marzo 1980 recante il re-
golamento di attuazione. Come noto, le violazioni previste come reato da questa legge, ad eccezio-
ne degli artt. 5, 6 e 12, sono state trasformate in illeciti amministrativi soggetti alle sanzioni di cui
agli artt. 2 (Sanzioni amministrative pecuniarie) e 3 (Sanzioni amministrative accessorie) del dlgvo
n. 507 del 30 dicembre 1999. Per una prima introduzione alla depenalizzazione dei reati alimentari,
prime note in I. NACCI, Depenalizzazione: la l. n. 205/1999, un passo in avanti nella lunga opera di
snellimento del sistema sanzionatorio penale, in Resp. civ. e prev., 2000, 4-5, p. 1203; C.
PIERGALLINI, Depenalizzazione e riforma del sistema sanzionatorio nella materia degli alimenti, in
Riv. it. dir. e proc. pen., 2000, 4, p. 1450; O. DI GIOVINE, La nuova legge delega per la depenaliz-
zazione dei reati minori tra istanze deflattive e sperimentazione di nuovi modelli, in Riv. it. dir. e
proc. pen., 2000, 4, p. 1407; A. BERNARDI, Il diritto penale tra globalizzazione e multiculturalismo,
in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2002, p. 485; ID., La difficile integrazione tra diritto comunitario e
diritto penale: il caso della disciplina agroalimentare, in Cass. pen., 1996, 3, p. 995.
    23
        Così F. BRUNO, in La sicurezza alimentare nell’Unione europea, cit. supra, nota 1, sub art.
14, p. 245. Si vuol sin d’ora notare che l’accennata tesi finirebbe per comportare delle interferenze
con l’eccezione dei rischi di sviluppo prevista dalla direttiva europea n. 85/374.
    24
        Sul punto, in particolare. M. P. CHITI, Il rischio sanitario, cit. supra, nota 9, e F. TRIMARCHI,
Principio di precauzione, cit. supra, nota 9.
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ad uno stato definito e misurabile del rischio, nel quale le conseguenze
dell’agire umano sono comunque prevedibili secondo lo stato dell’arte e della
scienza proprio di un dato momento storico. Non a caso alla «prevenzione»
continua correttamente a far riferimento la giurisprudenza penale in tema di
reati alimentari25. Come si vedrà, anche sotto il profilo della responsabilità ci-
vile, si dovrebbe giungere a soluzione analoga.
     L’entrata in vigore del regolamento n. 178/2002, unitamente agli ulteriori
interventi legislativi in materia, ha comportato una concentrazione delle com-
petenze legislative in capo alle istituzioni comunitarie (Consiglio e Parlamen-
to da un lato, Commissione, Comitati in essa costituiti ed Autorità Europea
per la Sicurezza Alimentare, dall’altro)26. Ciò non esclude, tuttavia, che gli
Stati membri mantengano margini di intervento: il regolamento n. 178/2002,
in materia di sicurezza alimentare, è infatti basato sugli artt. 37, 95, 133 e
152, par. 4, lett. b., del Trattato e conseguentemente gli Stati membri possono
adottare misure di protezione della salute anche successivamente all’adozione
di un atto di armonizzazione comunitaria, ad esempio sospendendo la circola-
zione di un alimento a condizione che ciò non costituisca una discriminazione
nei confronti dei prodotti di altri Stati membri e che tale provvedimento na-
zionale sia notificato alla Commissione27.
     In secondo luogo, la nuova disciplina igienica degli alimenti demanda alla
legislazione nazionale la regolamentazione di numerosi aspetti: è il caso della
identificazione dell’autorità competente per i controlli ufficiali sugli alimenti
(art. 4 del regolamento n. 882/2004) e la definizione delle «regole in materia
di sanzioni» (art. 55 del regolamento n. 882/2004). In terzo luogo, la legisla-
zione comunitaria demanda espressamente alla competenza nazionale la di-
sciplina delle deroghe a favore delle "piccole attività", escluse dall’applica-
     25
        Da ultimo, v. sent. Cass. pen., sez. III, sentenza n. 547/08, pubblicata in Alimenta, 2/2008
con riferimento all’applicazione dell’art. 5, lett. g. e art. 6 della l. n. 283/1962 a carico di un distri-
butore finale di alimenti contaminati dal Sudan I, colorante non ammesso nelle derrate alimentari:
il giudice penale, respingendo il ricorso dell’operatore, ha precisato che «è dovere di chi pone in
commercio un prodotto accertarsi che questo non contenga additivi vietati e pericolosi» e che «il
rivenditore avrebbe dovuto provvedere al «recall» anche se venuto a conoscenza della pericolosità
del "Sudan I", possibilmente contenuto nel peperoncino, in un momento successivo allo smercio
del prodotto presso dettaglianti», confermando la costante giurisprudenza in materia di responsabi-
lità «con riferimento alla omissione dei controlli e della cautele che gravavano sull’imputato al fine
di garantire la corrispondenza del prodotto destinato alla distribuzione, alle norme di legge, ai sensi
dell’art. 5 L. n. 283/62» sussistendo esclusione di responsabilità solo allorquando le violazioni con-
testate siano dovute a «cause indipendenti dalla sua volontà e, cioè, quando risulti provato che lo
stesso ha compiuto quanto era necessario per la osservanza delle norme sicchè la violazione appaia
determinata da errore inevitabile, identificabile nella forza maggiore e nel caso fortuito (Cass. n.
5950/97; n. 2556/97), non ricorrenti, nella specie, per il solo fatto che il commerciante indiano
dell’additivo chimico in questione avesse rilasciato la dichiarazione 27 maggio 2003, come osser-
vato dal giudice di merito». Nel caso de quo il pericolo connesso al consumo del contaminante era
noto ben prima della contestazione ed oggetto di specifici provvedimenti nazionali e comunitari di
interdizione del relativo commercio e utilizzo nelle derrate alimentari.
     26
        T. BERNAUER - L. CADUFF, European Food Safety: Multilevel Governance, Re-Nationalization
or Centralization?, in CIS (Center for Comparative and International Studies), 3/2004.
     27
        Cfr. L. COSTATO, Compendio di diritto alimentare, cit. supra, nota 1, p. 27 s. e p. 144.
706                                                                                             Articoli



zione del pacchetto igiene, delle modalità di registrazione e riconoscimento
degli stabilimenti, della quantificazione delle tariffe da corrispondere per l’at-
tività di controllo ufficiale degli alimenti, della individuazione dei requisiti di
accesso dei laboratori di analisi, della stesura e dell’attuazione di un piano
nazionale di controllo, delle modalità di formazione del personale del settore.
     È comprensibile che il rapido succedersi di questo consistente insieme
normativo, imperniato su principi e regole in parte divergenti da quelli invalsi
a livello italiano, abbia posto sotto pressione gli organi deputati al controllo
ufficiale28. Dal punto di vista del diritto interno, l’attuale art. 117 della Costi-
tuzione assegna la materia dell’alimentazione e della tutela della salute alla
competenza concorrente di Stato e regioni di modo che il primo predispone la
normativa di principio mentre le regioni dovrebbero fissare le norme attuati-
ve29. In questo assetto "multicentrico", lo strumento di raccordo tra i due livel-
li, statale e regionale, è la Conferenza Permanente Stato-Regioni al cui inter-
no, infatti, diverse linee guida sono state elaborate con riferimento ai regola-
menti n. 852/2004, n. 853/2004, n. 854/2004, n. 882/2004 e n. 2073/2005. Ta-
li atti, come noto, non hanno forza di legge ma rappresentano una linea
d’indirizzo che le singole regioni s’impegnano a tradurre, ciascuno per le ri-
spettive competenze, in atti cogenti. In altri termini la disciplina vigente deve
essere desunta, mediante una non facile opera di coordinamento, dall’ordina-
mento comunitario, da quello statuale (per quanto riguarda i principi generali)
e dalla legislazione regionale30.
     A livello nazionale, ad esempio, l’applicazione del c.d. pacchetto igiene è
stata di fatto paralizzata dal ritardo del legislatore interno nel dare recepimen-
    28
        Numerose ed autorevoli sono le denuncie di un quadro legislativo nazionale che dai più non si
cessa di definire irrazionale. Per tutti E. CASETTA, Infrazioni e sanzioni in materia di etichettatura dei
prodotti alimentari, Rimini, Maggioli Editore, 1984, il quale osservava che «auspicare che il legisla-
tore provveda con urgenza a dare ad una materia così delicata ed importante, finalmente, una disci-
plina chiara, organica e razionale, è null’altro che esprimere una esigenza oramai indilazionabile».
     29
        Sul tema prime note in: C. PINELLI, I limiti generali della potestà legislativa statale e regio-
nale e i rapporti con l’ordinamento comunitario, in AA.VV., Le modifiche del titolo V della parte
seconda della Costituzione, in Foro it., 2001, V, c. 194; R. TOSI, La legge costituzionale n. 3/2001:
note sparse in tema di potestà legislativa e amministrativa, in Le Regioni, 2001, p. 1240; ID., Ri-
forma della riforma, potestà ripartita, interesse nazionale, ivi, 2003, p. 547; G. VERDE, Alcune
considerazioni sulla potestà legislativa statale e regionale nel nuovo art. 117 Cost., in Dir. soc.
2002, p. 581; L. MARINI, La Corte costituzionale nel labirinto delle "materie trasversali": dalla
sentenza n. 282 alla n. 407/2002, in Giur. cost., 2002, p. 2951; R. FERRARA, Unità dell’ordinamen-
to giuridico e principio di sussidiarietà: il punto di vista della Corte Costituzionale, in Foro it.,
2004, II, c. 1003.
     30
        Il principio in parola è ribadito, nella materia igienico-sanitaria, dall’art. 9 del dlgvo n.
193/2007, cit. supra, nota 7, recante la «clausola di cedevolezza» secondo la quale «in relazione a
quanto disposto dall’art. 117, quinto comma, della Costituzione e dall’art. 16, comma 3, della legge
4 febbraio 2005, n. 11, le disposizioni del presente decreto legislativo riguardanti ambiti di compe-
tenza legislativa delle regioni e delle province autonome si applicano, nell’esercizio del potere so-
stituivo dello Stato e con carattere di cedevolezza, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito
per l’attuazione della direttiva oggetto del presente decreto legislativo, nelle regioni e nelle provin-
ce autonome nelle quali non sia ancora stata adottata la normativa di attuazione regionale o provin-
ciale e perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore di quest’ultima, fermi restando i
principi fondamentali ai sensi dell’art. 117, comma terzo, della Costituzione».
Articoli                                                                                           707



to alla direttiva n. 2004/41 e nel prevedere le misure di raccordo necessarie
per la pratica applicazione dei regolamenti sull’igiene (in primis la designa-
zione della autorità competente). Con quasi un anno di ritardo, il già citato
dlgvo n. 193/2007 nel predisporre l’adeguamento alle disposizioni comunita-
rie in materia d’igiene alimentare, ha individuato come autorità competenti il
Ministero della salute, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolza-
no e le Aziende unità sanitarie locali, nell’ambito delle rispettive competenze.
     Inoltre il dlgvo n. 193/2007 ha abrogato l’art. 2 della l. n. 283/1962 sul-
l’autorizzazione sanitaria degli stabilimenti alimentari31 al fine di armonizzare
l’ordinamento nazionale alle disposizioni comunitarie sul riconoscimento e sul-
la registrazione delle imprese alimentari (art. 4 del regolamento n. 853/2004),
senza nulla prevedere in ordine alle disposizioni del dpr n. 327/1980 (recante
il regolamento attuativo della l. n. 283/1962) che all’istituto della autorizza-
zione fanno ancora riferimento.
     Un secondo insieme di problemi legati all’applicazione della legislazione
alimentare risiede sul piano dei rapporti tra diritto penale alimentare e regula-
tion comunitaria. Il tema assume contorni interessanti se analizzato con rife-
rimento al rischio microbiologico che, insieme a quello chimico, è forse la più
temuta criticità nelle operazioni di produzione e commercio di alimenti. Infat-
ti mentre per la comunità scientifica la pericolosità di una derrata alimentare
non è in funzione della sola e semplice presenza di batteri patogeni, quale ne
sia l’entità, sul piano squisitamente penalistico, invece, la presenza di batteri
patogeni, accertata nelle forme di legge e con le garanzie del diritto di difesa,
può dar luogo ad una pluralità di possibili incriminazioni rispetto alle quali un
vasto dibattito dottrinale e giurisprudenziale è, ancora oggi, in corso: l’art.
444 c.p., l’art. 5 nella configurazione contravvenzionale di cui alla lett. c. (su-
peramento cariche microbiche ove fissate) o d. (alimenti comunque nocivi)
della l. n. 283/1962 e, ancora, il reato di cui alla lett. b. (cattivo stato di con-
servazione)32.

     31
        In tema di autorizzazione sanitaria, prima dell’abrogazione del citato art. 2 della l. n.
283/1967, si veda V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra, nota 1, p. 571.
     32
        L’art. 444 c.p. punisce «chiunque detiene per il commercio, pone in commercio ovvero di-
stribuisce per il consumo sostanze destinate all’alimentazione, non contraffatte né adulterate, ma
pericolose alla salute pubblica». Il testo vigente dell’art. 5 della legge n. 283/1962 così è formulato:
«È vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o
somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze
alimentari: a. private anche in parte dei propri elementi nutritivi o mescolate a sostanze di qualità
inferiore o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale, salvo quanto disposto
da leggi e regolamenti speciali; b. in cattivo stato di conservazione; c. con cariche microbiche su-
periori ai limiti che saranno stabiliti dal regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali; d.
insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a la-
vorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione; e. (omissis); f. (o-
missis); g. con aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Mini-
stro per la sanità o, nel caso che siano stati autorizzati, senza l’osservanza delle norme prescritte
per il loro impiego. I decreti di autorizzazione sono soggetti a revisioni annuali; h. che contengano
residui di prodotti, usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze ali-
708                                                                                                 Articoli



    Dal punto di vista della regulation comunitaria, la definizione di «criteri
microbiologici», di cui al regolamento n. 2073/200533, è prevista come misura
igienica specifica rivolta agli operatori del settore alimentare i quali devono
attuare, negli stabilimenti posti sotto il loro controllo (art. 4, lett. a., del rego-
lamento n. 852/2004), adeguati piani di campionamento, analisi e valutazione
dei risultati relativamente a taluni patogeni34 al fine di dimostrare all’autorità
di controllo l’assolvimento degli obblighi previsti in quanto soggetti respon-
sabili della sicurezza del prodotto35.
    Invero, la previsione di limiti di accettabilità della presenza microbiolo-
gica non è nuova nella legislazione comunitaria36, ma con il regolamento n.
2073/2005 cambia l’approccio e, non a caso, anche la terminologia: il ter-
mine «criterio» indica «una regola per giudicare qualcosa o qualcuno»; il

mentari immagazzinate, tossici per l’uomo. Il Ministro per la sanità, con propria ordinanza, stabili-
sce per ciascun prodotto, autorizzato all’impiego per tali scopi, i limiti di tolleranza e l’intervallo
per tali scopi, i limiti di tolleranza e l’intervallo minimo che deve intercorrere tra l’ultimo tratta-
mento e la raccolta e, per le sostanze alimentari immagazzinate tra l’ultimo trattamento e l’immis-
sione al consumo». È pacifico che rientri nel campo di applicazione della citata disposizione codi-
cistica l’accertamento di cariche microbiche negli alimenti posti o detenuti per la vendita: così in
un caso di salmonelle di tipo B in campioni di carne, il giudice penale, accertato il pericolo in con-
creto, ha riconosciuto la responsabilità penale ai sensi del citato articolo argomentando che sia «pa-
togeno ciò che ha in sé capacità di generare fenomeni morbosi indipendentemente dalla sua entità,
ossia dalla sua virulenza, giacché il concetto di patogeno è pur sempre relativo, essendo esso deter-
minato da più fattori eziologici che si condizionano a vicenda» (cfr. sent. Cass. pen., sez. I, 13
maggio 1992 in DVD JurisData). Senza dire che l’attenzione del legislatore nazionale sulle contami-
nazioni microbiologiche non si arresta alle sole disposizioni del codice penale: la legge speciale in ma-
teria, legge n. 283/1962, all’art. 5, lett. c. vieta la produzione e commercializzazione di sostanze ali-
mentari con cariche microbiche superiori ai limiti fissati da norme di rango secondario, richiamate dal-
la stessa norma. Invero, detti limiti di accettabilità sono stati fissati con riferimento a pochi prodotti (è
il caso del latte, prodotti d’uovo, gelati e preparati per gelati) i quali, stante il principio di tassatività
delle fattispecie penali (art. 25 Cost.), non possono essere estesi oltre le ipotesi espressamente conside-
rate. Sul punto V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra, nota 1, p. 78-102.
     33
        Regolamento (Ce) n. 2073/2005 della Commissione del 15 novembre 2005 sui criteri micro-
biologici applicabili ai prodotti alimentari, in Gu-Ue n. L 338 del 22 dicembre 2001, p. 1 ss.
     34
        I patogeni disciplinati dal regolamento n. 2073/2005 sono: listeria monocytogenes, salmonel-
la spp., enterotossine stafilococciche, enterobacter sakazakii, escherichia coli e istamina. I prodotti
rispetto ai quali il regolamento n. 2073/2005 fissa i parametri di accettabilità microbiologica sono:
carni e prodotti a base di carne, latte e prodotti lattiero-caseari, prodotti della pesca e altri prodotti
ittici, ovoprodotti, frutta, ortaggi e altri vegetali, gelatine e collagene, alimenti pronti per l’infanzia
e per fini medici speciali e i "ready to eat" categoria, quest’ultima, di nuova formulazione.
     35
        Per un approfondimento del tema sul piano della regulation comunitaria, utili riferimenti in
European Commission, Discussion paper on strategy for setting microbiological criteria for food-
stuffs in Community legislation, SANCO/1252/2001, 8 marzo 2005 e Opinion of the Scientific
Panel on Biological Hazards on microbiological criteria and targets based on risk analysis, pub-
blicato in The EFSA Journal (2007), 462, 1-29.
     36
        Prima del 1° gennaio 2006 (data di entrata in vigore del regolamento n. 2073/2005), la Co-
munità europea si era attenuta ad un approccio diverso, settoriale, indicando limiti microbiologi
ammissibili per specifiche categorie di prodotti (approccio verticale): ad esempio la direttiva n.
89/437/Cee relativa alla salmonella, enterobatteriacee, staphylococcus aureus negli ovoprodotti; la
direttiva n. 91/492/Cee in tema di salmonella, coliformi fecali ed escherichia coli nei molluschi
bivalvi vivi; la direttiva n. 92/493/Cee sull’istamina nei prodotti freschi, la direttiva n. 92/46/Cee
circa la salmonella, listeria monocytogenes, escherichia coli¸ staphylococcus aureus, coliformi nel
latte crudo e prodotti a base di latte; la decisione n. 93/51/Cee della Commissione del 15 dicembre
1992 relativa alle cariche microbiche di salmonella, escherichia coli¸ staphylococcus aureus nei
crostacei e molluschi cotti.
Articoli                                                                                              709



suo impiego evidenzia che i «criteri» di cui al regolamento n. 2073/2005
sono qualcosa di più di una soglia di accettabilità, come previsto nella nor-
mativa precedente.
       Il principale obbligo dell’operatore privato previsto dal regolamento n.
2073/2005 è relativo alla conformità ai «criteri microbiologici stabiliti dall’al-
legato I» il quale annovera due tipologie di conformità: di prodotto («criteri di
sicurezza alimentare») e di processo «criteri di igiene di processo»)37. Dal
punto di vista pratico, ciò si deve tradurre nell’inserimento nei piani di auto-
controllo38 di procedure atte a garantire la conformità tanto dei prodotti ali-
mentari quanto del processo produttivo, da parte di ogni operatore del settore
alimentare, ivi inclusi, espressamente, quelli operanti nella fase di vendita al
dettaglio.
    Primo dato rilevante, ai fini della corretta definizione degli obblighi pre-
visti dal regolamento n. 2073/2005, è la considerazione per la quale i criteri di
sicurezza del prodotto attengono all’accettabilità della partita considerata in
base ad una dettagliata e motivata valutazione, che compete all’operatore pri-
vato, in ordine all’intera durata del periodo di conservabilità (c.d. shelf life) in
condizioni ragionevolmente prevedibili di distribuzione, conservazione e uso.
Questa affermazione rende ancor più evidente come la progettazione del pro-
dotto alimentare sia una fase cui dedicare attenzione e risorse in vista della
riduzione di eventuali contestazioni per non conformità. L’autocontrollo igie-
nico delle imprese alimentari dunque si completa di specifici obblighi pun-
    37
        Il regolamento infatti distingue tra «criteri di sicurezza alimentare» (di cui all’allegato 1), de-
finiti come «un criterio che definisce l’accettabilità di un prodotto o di una partita di prodotti ali-
mentari, applicabile ai prodotti immessi sul mercato» (art. 2, lett. c. del regolamento n. 2073/2005),
e i «criteri di igiene del processo» (di cui all’allegato 2), attinenti invece al «funzionamento accet-
tabile del processo di produzione»; questi ultimi dunque non si applicano ai prodotti immessi sul
mercato, ma riguardano le ipotesi in cui, superati i valori critici indicati, si rendono necessarie delle
misure correttive volte a mantenere l’igiene del processo di produzione in ottemperanza alla legi-
slazione in materia di prodotti alimentari (art. 2, lett. d. del regolamento n. 2073/2005).
     38
        Basati sui principi del c.d. HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points - Analisi
del pericolo e punti critici di controllo). La metodologia HACCP rappresenta un approccio di tipo
preventivo, sistematico e documentato alla sicurezza alimentare attraverso il quale si procede si-
stematicamente ad un’analisi dei potenziali pericoli insiti nelle trasformazioni alimentari, identifi-
cando i punti di processo in cui i pericoli possono essere tenuti sotto controllo, consentendo così di
definire quali di essi risultano determinanti per la salubrità dell’alimento e quindi a presidio della
tutela della salute del consumatore. Trattasi di una metodica elaborata negli Stati Uniti e ulterior-
mente sviluppata all’interno del Codex Alimentarius, l’organizzazione internazionale che, sotto
l’egida congiunta della World Health Organization (WHO) e della Food and Agricolture Organi-
zation (FAO), procede alla standardizzazione del commercio alimentare tra gli Stati. Prime indi-
cazioni sul metodo HACCP in Codex Alimentarius, Guidelines for application of the Hazard
Analysis Critical Control Point (HACCP), Alinorm, Rome 1993; WHO (World Health Organisa-
tion), Hazard Analysis Critical Control Point System, Concept and Application, doc.
WHO/FNU/FOS/95.7, Rome, 1995 e, pure, European Commission, Health & Consumer Protection
Directorate-General, Guidance document on the implementation of procedures based on the
HACCP principles, and on the facilitation of the implementation of the HACCP principles in cer-
tain food businesses del 16 novembre 2005, disponibile sul sito della Direzione generale "SANCO"
accessibile da: www.europa.eu.int. In merito al Codex Alimentarius ed i rapporti con l’ordinamento
comunitario: D. BEVILACQUA The Codex Alimentarius Commission and its Influence on European
and National Food Policy, in European Food and Feed Law Review, 2006, p. 3.
710                                                                                              Articoli



tualmente disciplinati in ordine alla sicurezza microbiologica.
     Come in altre parti della legislazione alimentare, anche il regolamento sui
criteri microbiologici presenta uno spiccato tasso di elasticità che, nella prati-
ca, si traduce spesso in motivi di difficoltà applicativa. A titolo d’esempio, si
prenda in esame l’allegato I, del regolamento n. 2073/2005, cap. 1 (criteri di
sicurezza alimentare), in particolare il punto 1.2 relativo agli alimenti pronti
che costituiscono terreno favorevole alla crescita di L. monocytogenes (ali-
menti diversi da quelli destinati ai lattanti e a fini medici speciali)39. In tali ca-
si, il limite di tolleranza è di 100 unità formanti colonia per grammo (ufc/g):
come chiaramente posto in evidenza nell’allegato I, il limite in questione tro-
verà applicazione solo se il produttore è in grado di dimostrare, «con soddi-
sfazione dell’Autorità competente», che il prodotto non supererà il limite di
100 ufc/g durante il periodo di conservabilità. In altri termini i criteri di sicu-
rezza non sono valori assoluti ma dipendono da una valutazione complessiva
della situazione concreta. Ciò conferma che la flessibilità, propria di molte di-
sposizioni igienico-sanitarie, richiede un confronto scientificamente fondato
tra l’operatore privato e il controllo ufficiale. Risulta infatti evidente che il
fattore condizionante la conformità non può più essere solo il rispetto del va-
lore numerico ma la "condivisione" della Autorità sanitaria al fine di validare
la correttezza del processo produttivo e del prodotto dal punto di vista micro-
biologico o, più in generale, dal punto di vista del raggiungimento degli ob-
biettivi di sicurezza alimentare fissati dalla legislazione alimentare.
     Non si può quindi escludere che nel caso di valutazione negativa da parte
delle Autorità sanitarie (non condivisione), la presenza di Listeria anche in
valori inferiori a 100 ufc/g, potrebbe legittimare l’Autorità sanitaria a proce-
dere alla segnalazione all’autorità giudiziaria in base ad una delle disposizioni
penali già indicate. Più problematico risulta il coordinamento tra il mancato
rispetto dei criteri di processo (allegato II del regolamento n. 2073/2005) e le
ipotesi penali di cui all’art. 5, lett. b. o d. della legge n. 283/196240. Il dlgvo n.
193/2007 nel sanzionare, all’art. 6, commi 7, 8 e 9 la mancata, inesatta o ina-
deguata applicazione (anche) del regolamento n. 2073/2005 non fornisce al-
cun elemento per stabilire se la conformità dei risultati ai criteri di processo
fissati dal regolamento escluda tout court l’applicazione delle norme penali
codicistiche o di leggi speciali (ad esempio, l’art. 5, l. n. 283/1962). La que-
stione può essere affrontata partendo dalla considerazione che rispetto ai cri-
teri disciplinati dal regolamento n. 2073/2005 sia stata attuata un’armonizza-
    39
       Con specifico riferimento ai prodotti ready to eat, il Ministero della salute italiano, di concerto
con le regioni, ha precisato che tali prodotti, allorquando siano definibili «deteriorabili» ai sensi della
disciplina interna, devono essere qualificati dal controllo ufficiale come terreno favorevole alla cresci-
ta della listeria, salva la prova contraria da parte dell’operatore del settore alimentare.
    40
        Per una riflessione sui rapporti tra diritto penale alimentare e nuova disciplina comunitaria
V. PACILEO, La genuinità alimentare, in F. AVERSANO - V. PACILEO, Prodotti alimentari e legisla-
zione¸ Bologna, Edagricole, 2006, p. 155-162.
Articoli                                                                                              711



zione totale a livello comunitario. In secondo luogo si deve precisare che la
normativa nazionale non in contrasto con il diritto comunitario è ancora in vi-
gore, anche se applicabile solo agli alimenti di produzione nazionale. In parti-
colare la legge n. 283/1962 ed il suo Regolamento di attuazione (dpr n.
327/1980) sono da ritenersi in vigore per gli aspetti non contrastanti la nuova
normativa e, conseguentemente, si ritiene che siano vigenti le procedure di
campionamento ed analisi sulle sostanze alimentari eseguite ai sensi della
legge n. 283/1962 e del dpr n. 327/80, con garanzia di contraddittorio e diritto
alla revisione delle analisi. Alla luce di questi dati apparirebbe condivisibile
la tesi in base alla quale la configurabilità di responsabilità penale non può
dirsi certamente esclusa anche quando le cariche microbiche previste come
criterio di processo dal regolamento n. 2073/2005 non siano state nel concreto
superate: il giudice e i suoi periti potrebbero contestare l’ipotesi del cattivo
stato di conservazione (art. 5, lett. b.) o, secondo alcuni, anche l’ipotesi di a-
limento «comunque nocivo» ai sensi dell’art. 5, lett. d.41. Il tema, decisamente
articolato, richiederà in ogni caso una attenta valutazione della normativa pe-
nale italiana alla luce della preminente disciplina e dei principi comunitari ed
esigerà una impegnativa motivazione sulla ricorrenza dei presupposti di ap-
plicazione delle disposizioni nazionali alla luce della armonizzazione comuni-
taria operata ex regolamento n. 2073/200542.
     Dal punto di vista degli obblighi gravanti sull’operatore privato si deve in
primo luogo osservare che, certamente, le norme comunitarie ampliano i do-
veri di sicurezza ben oltre la fase in cui il prodotto è sotto il controllo del pro-
duttore: chiaro è in tal senso l’art. 19 del regolamento n. 178/2002 ai sensi del
quale nel caso in cui un operatore del settore alimentare «ritiene o ha motivo
di ritenere che un alimento da lui importato, prodotto, trasformato, lavorato o
distribuito non sia conforme ai requisiti di sicurezza degli alimenti, e l’ali-
mento non si trova più sotto il controllo immediato di tale operatore del setto-
re alimentare»43, deve avviare immediatamente procedure per ritirare il lotto o
la partita non conforme ed informarne le autorità competenti44. Inoltre se il
     41
        Per ulteriori approfondimenti si veda C. CORRERA, La difesa del consumatore dalle frodi in
commercio, Milano, Giuffrè, 2002.
     42
        Per ulteriori approfondimenti si veda: L. COSTATO, Compendio di diritto alimentare, cit. su-
pra, nota 1, p. 335-360. Per i profili di responsabilità penale, connessa al superamento dei limiti di
tolleranza previsti dalla legislazione alimentare, si veda: V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit.
supra, nota 1, p. 129 ss.; V. PAONE, La responsabilità del rivenditore di alimenti deperibili, in Foro it.,
1998, II, c. 156 e D. PISANELLO, Aspetti di conformità legale ai criteri microbiologici. Rischio micro-
biologico e profili di responsabilità penale con particolare riferimento ai prodotti ready to eat, in
AA.VV., Cibi pronti (Supplemento n. 1 a Ingegneria alimentare - Le carni), Ecod, San Vittore Olo-
na, 2008.
     43
        Cfr. art. 19 del regolamento n. 178/2002. Con riferimento agli obblighi ivi previsti si ritiene
corretto l’uso della espressione "azioni di crisis management" per sottolineare una della novità del
regolamento sulla sicurezza alimentare relativa alla gestione delle crisi da parte degli operatori del
settore, pubblici e privati. Sul punto sia consentito rinviare a D. PISANELLO, La disciplina sanziona-
toria, cit. supra, nota 15.
     44
        Sul connesso tema dell’auto-denuncia e del nemo tenetur se detegere, V. PACILEO, Il diritto
712                                                                                              Articoli



prodotto pericoloso può essere arrivato al consumatore, si devono informare i
consumatori, in maniera efficace e accurata, del motivo del ritiro e, se necessa-
rio, si devono richiamare i prodotti già forniti ai consumatori quando altre misu-
re siano insufficienti a conseguire un livello elevato di tutela della salute45.
     I termini rigorosi coi quali il legislatore del 2002 si è interessato dell’ana-
lisi del rischio e l’assegnazione del ruolo di principale responsabile della sicu-
rezza alimentare all’operatore privato autorizzano un’ulteriore riflessione sul
versante degli obblighi di sicurezza imposti alle imprese alimentari.
     Si può infatti osservare che mentre nella direttiva n. 93/43 l’inserzione
obbligatoria di metodologie basate sull’analisi del rischio era concepita come
riferita principalmente al processo produttivo, con eccezionali riferimenti alla
funzione di gestione di situazioni di crisi alimentare, il regolamento n.
178/2002, sia nella parte generale (art. 6), sia nelle disposizioni di cui agli
artt. 50 ss. (sub Capo IV, Sistema di allarme rapido, gestione delle crisi e si-
tuazioni di emergenza) e, in maniera riflessa, nella sezione relativa agli obbli-
degli alimenti, cit. supra, nota 1, p. 421-425 e G. DURAZZO, Autocontrollo nelle aziende alimentari
e diritto di difesa, Roma, Libreria giuridica, 1995, p. 63-70. In questa sede si precisa che, in base
all’art. 14.6 del regolamento n. 178/2002, «se un alimento a rischio fa parte di una partita, lotto o
consegna di alimenti della stessa classe o descrizione, si presume che tutti gli alimenti contenuti in
quella partita, lotto o consegna siano a rischio a meno che, a seguito di una valutazione approfondita,
risulti infondato ritenere che il resto della partita, lotto o consegna sia a rischio». Questa disposizione
appare idonea, ben più che l’obbligo generale di rintracciabilità, a sensibilizzare i destinatari delle
connesse sanzioni (operatori alimentari) ad una implementazione oculata e ragionata della funzione
di tracciamento delle sostanze alimentari, sperando così di ridurre il "rischio" di un eventuale prov-
vedimento di sequestro da parte dell’autorità di controllo o, con maggior precisione, la estensione
dello stesso.
     45
        Cfr. art. 19.1 del regolamento n. 178/2002. Stando al dettato dell’art. 19, il presupposto per la
sussistenza dei tre distinti obblighi (ritiro/richiamo, notizia all’autorità competente, comunicazione
del rischio al consumatore) è che sia riscontrata una «non conformità ai requisiti di sicurezza». La
circostanza che questo articolo contenga un generico riferimento ai «requisiti di sicurezza» e non,
come invece altre fonti di legge, ad un «pericolo grave» per la salute umana, pone il quesito se gli
obblighi da esso previsti siano da ritenere sussistenti in tutti i casi di «non conformità» anche lad-
dove quest’ultima non comporti l’insorgenza di un pericolo diretto per la salute. Ci si chiede, ad
esempio, se integrino la mancanza di sicurezza, cui conseguono gli obblighi dell’art. 19 del rego-
lamento n. 178/2002 e le sanzioni già ricordate, le carenze informative relative alla presenza di un
ingrediente con potenzialità allergeniche di cui all’allegato II sez. III del dlgvo n. 109/1992, come
modificato da dlgvo n. 114 dell’8 febbraio 2006, in Guri n. 69 del 23 marzo 2006. Anche se una
lettura superficiale dell’art. 19 del regolamento n. 178/2002 e, in parallelo, degli artt. 3 e 4 del
dlgvo n. 190/2006, potrebbe prestarsi a favore della soluzione affermativa, per una interpretazione
restrittiva possono rilevarsi decisivi altri indici: ad esempio, l’art. 53 del regolamento n. 178/2002,
in tema di misure che l’autorità pubblica deve prendere rispetto a situazioni di emergenza (sanita-
ria), si riferisce ad ipotesi che «possono comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute
degli animali o per l’ambiente». A livello nazionale, poi, l’Intesa Stato-Regioni in tema di gestione
operativa del sistema di allerta rapida per gli alimenti destinati al consumo umano del 15 dicembre
2005, che costituisce l’implementazione in diritto italiano del Capo IV (Sistema di allarme rapido,
gestione delle crisi e situazioni di emergenza) del regolamento n. 178/2002, distingue tra «situazio-
ni di allerta» che si riscontrano a fronte della presenza in commercio di alimenti che rappresentano
un «grave rischio» per la salute del consumatore e nelle quali è richiesto un intervento immediato,
e «situazioni di non conformità» nelle quali, per le particolarità del caso specifico, non si configura
un immediato rischio sanitario e, pertanto, si attiva una procedura diversa dall’allerta (segnalazione
di non conformità di cui all’allegato "E" dell’accordo del 15 dicembre 2005). Da ultimo, il citato
regolamento n. 2073/2005 in tema di prodotti microbiologicamente non conformi prescrive, all’art.
7, una dettagliata disciplina del product-recall, autorizzando forme di riqualificazione dello stesso,
sotto il controllo dell’Autorità competente.
Articoli                                                                                                713



ghi di sicurezza gravanti sull’impresa (artt. 14-20), richiede lo sviluppo di un
savoir faire inerente la gestione del rischio e della «crisi»46. Dalla lettura degli
articoli sopramenzionati infatti è lecito desumere una direttrice verso lo svi-
luppo di metodologie di crisis management interessanti in primo luogo l’auto-
rità pubblica ma anche, seppure in termini meno stringenti, l’operatore eco-
nomico47.
     Con riferimento all’amministrazione pubblica, comunitaria e nazionale,
l’orientamento alla gestione delle crisi sanitarie si è tradotto, in attuazione dei
criteri previsti agli artt. 50 ss. del regolamento n. 178/2002 nella predisposizio-
ne di piani di emergenza operanti tanto a livello comunitario che nazionale48.
     Quanto all’operatore privato, invece, nessuna disposizione del regolamen-
to sulla sicurezza alimentare n. 178/2002, né del c.d. pacchetto igiene, esige
imperativamente un crisis management plan, cioè di un piano che identifichi
chi debba fare cosa, con quali modalità e tempistiche e con quali obbiettivi (le
cinque "q": qui, quid, quomodo, quando e quoniam)49. Tuttavia non si può tra-

     46
        Per «crisi alimentare» si intende in questa sede la presenza nel circuito commerciale di un a-
limento che, non rispettando i requisiti di sicurezza posti dalla legislazione alimentare, pone un ri-
schio per la salute pubblica (rischio sanitario). Dal punto di vista aziendale, la definizione di «crisi»
può individuarsi in quelle situazioni in cui, in ragione d’eventi prevedibili e non voluti (ad esempio
contaminazione microbiologica) ovvero imprevedibili e non voluti (ad esempio sabotaggio alimen-
tare), l’attività d’impresa si discosta dal continuity business plan con una variazione di segno nega-
tivo e con ripercussioni economiche di varia natura e gravità, esponendo l’impresa a profili di re-
sponsabilità di natura civile, penale o amministrativa.
     47
        Gli obblighi di sicurezza di cui agli artt. 14-20 del regolamento n. 178/2002 costituiscono la
trasposizione di alcuni elementi metodologici del risk management, disciplina questa che ha diver-
se declinazioni in funzione degli obbiettivi posti (assicurativi, gestionali, etc.). In questa sede, la
disciplina di riferimento è desunta dallo studio della norma AS/NZS 4369:99 di Australian Stan-
dards, integrato con specifici e pertinenti elementi di analisi del «rischio alimentare». Sul risk a-
nalysis all’interno della regulation A. ALEMANNO, Trade in Food, cit. supra, nota 1, p. 73-147. Sul
ruolo del risk management nella conduzione legale d’azienda: A. BORGHESI, La gestione dei rischi
di azienda. Economia e organizzazione, teoria e pratica, Padova, Cedam, 1985; AA.VV., Product
Liability in Europe, a practical guide for Industry, a cura di Orgalime Legal Affaire Committee,
Bruxelles, Orgalime, 1993 e G. CLERICO, Attività economica e rischio di danno. Come la struttura
del capitale e la priorità di rivalsa sul capitale sociale influenzano la precauzione dell’impresa, in
Riv. crit. dir. priv., 2000, p. 71-106.
     48
        Le disposizioni del Capo IV del regolamento n. 178/2002 sono state oggetto della «Intesa, ai
sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Ministero della salute, le regioni e
le province autonome sulle linee guida per la gestione operativa del sistema di allerta per alimenti de-
stinati al consumo umano (Accordo rep. N. 2395)» (provvedimento del 15 dicembre 2005, in Guri
del 12 gennaio 2006) recentemente modificate con la firma della «Intesa, ai sensi dell’art. 8, comma
6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Ministero della salute, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano sulla proposta del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali di
modifica dell’Intesa 15 dicembre 2005 (Rep. atti n. 2395) recante "Linee guida per la gestione operati-
va del sistema di allerta per alimenti destinati al consumo umano" (rep. atti n. 204/82 del 13 novembre
2008».
     49
        L’art. 18 del regolamento n. 178/2002, tuttavia, richiede una procedura, dunque di un piano do-
cumentato, operativo e aggiornato a livello aziendale, relativo alla rintracciabilità che rappresenta un
elemento costituivo della gestione delle crisi alimentari, come definite sub. nota 59. L’obbligo comu-
nitario è assistito dalle sanzioni amministrative previste dal dlgvo n. 190 del 5 aprile 2006 recante «Di-
sciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni di cui al Regolamento (Ce) n. 178/2002 che
stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per
la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare», in Guri n. 118 del 23
maggio 2006, su cui D. PISANELLO, La disciplina sanzionatoria, cit. supra, nota 15.
714                                                                                              Articoli



scurare la previsione dell’obbligo di ritiro, obbligo che deve essere adempiuto
in modo tempestivo, e l’art. 18 del regolamento n. 178/2002 il quale richiede
puntualmente una procedura, dunque di un piano documentato, operativo e
aggiornato a livello aziendale, relativo alla rintracciabilità dei prodotti alimen-
tari, la cui funzione è precisamente quella di consentire ritiri mirati dei pro-
dotti alimentari a rischio50. In limine può anche valere la considerazione se-
condo cui la transizione della food policy europea verso un approccio di risk
management, inclusivo anche della gestione del rischio e della sua comunica-
zione, fornisca la cornice di riferimento anche per la organizzazione aziendale
dell’impresa alimentare.
     Pertanto, sebbene allo stato attuale non sembra sussistere un obbligo di
predisporre un piano della crisi, è indubbio che la posizione di garanzia
dell’operatore privato dovrebbe comportare un’attenzione specifica sulla ge-
stione delle crisi alimentari.
     Gli obblighi di sicurezza previsti dalla legislazione alimentare sono carat-
terizzati da una pronunciata vis attractiva verso l’«intera catena alimentare»,
applicandosi gli obblighi di sicurezza anche alla produzione di mangimi ed
alla produzione agricola51. In realtà, anche alla luce del pacchetto igiene, i
produttori agricoli continuano a godere – almeno formalmente52 – di quel re-
gime di esenzione già in vigore con la direttiva n. 93/43/Cee sull’igiene dei pro-
dotti alimentari53, con la quale era fatto obbligo alle imprese del settore alimen-
tare, operanti nelle fasi successive alla produzione primaria54, di individuare
nelle loro attività ogni fase che avrebbe potuto rivelarsi critica per la sicurez-

     50
        È noto che la rintracciabilità abbia principalmente, se non esclusivamente, una valenza di si-
curezza alimentare. In dottrina si ritiene che la rintracciabilità svolga anche una funzione commer-
ciale. Sul punto F. AVERSANO, La rintracciabilità: trasparenza della filiera e sicurezza del consu-
matore, in F. AVERSANO - V. PACILEO, Prodotti alimentari, cit. supra, nota 40, p. 37.
     51
        Cfr. considerando n. 12 del regolamento n. 178/2002 secondo cui «per garantire la sicurezza
degli alimenti occorre considerare tutti gli aspetti della catena di produzione alimentare come un
unico processo, a partire dalla produzione primaria». Si osservi anche che, per il considerando n. 8
del regolamento n. 852/2004, «per garantire la sicurezza degli alimenti dal luogo di produzione pri-
maria al punto di commercializzazione o esportazione occorre una strategia integrata» e che, conse-
guentemente «ogni operatore del settore alimentare lungo la catena alimentare dovrebbe garantire che
tale sicurezza non sia compromessa».
     52
        È stato autorevolmente segnalato che, pur persistendo l’esenzione della produzione primaria
e delle operazioni connesse dal rispetto degli obblighi di HACCP, anche l’imprenditore agricolo vi
sia di fatto tenuto in forza di vincoli contrattuali. In tal senso L. COSTATO, Compendio di diritto
alimentare, cit. supra, nota 1, p. 413.
     53
        Direttiva n. 93/43/Cee del Consiglio del 14 giugno 1993 sull’igiene dei prodotti alimentari,
in Guce n. L 175 del 19 luglio 1993, abrogata dall’art. 17 del regolamento n. 852/2004, cit. supra,
nota 7. Per il recepimento italiano della direttiva si veda il dlgvo n. 155 del 26 maggio 1997, «At-
tuazione delle direttive n. 93/43/Cee e n. 96/3/Ce concernenti l’igiene dei prodotti alimentari» a-
brogato dall’art. 3 del dlgvo n. 193/2007. In tema di autocontrollo igienico: L. COSTATO, Compen-
dio di diritto alimentare, cit. supra, nota 1, p. 413, V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra,
nota 1, p. 406 e G. DURAZZO, Autocontrollo nelle aziende alimentari, cit. supra, nota 44.
     54
        In base all’art. 2 della direttiva n. 93/43 era da intendersi per produzione primaria: la raccolta,
la macellazione e la mungitura. Sul punto: L. COSTATO, Compendio di diritto alimentare, loc. cit.,
p. 426 ss.; ID., L’agricoltura e il nuovo regolamento sull’igiene delle produzioni alimentari, in Dir.
e giur. agr. e amb., 2004, p. 735 ss.
Articoli                                                                                            715



za degli alimenti e di garantire che fossero individuate, applicate, mantenute e
aggiornate le opportune procedure di sicurezza avvalendosi dei principi del
sistema HACCP55.
     Nonostante l’indirizzo espansivo professato dal regolamento sulla sicu-
rezza alimentare, l’eccezione agricola persiste, atteso che nei regolamenti n.
852/2004 e n. 853/2004 gli operatori della produzione primaria e delle «ope-
razioni connesse»56 continuano a beneficiare di un trattamento diversificato
che, lungi dall’uniformare la disciplina giuridica, prevede un’applicazione
parziale di alcuni requisiti legali in materia di igiene e, nella specie, quelli in-
dicati sub parte A dell’allegato I del regolamento n. 852/2004 e, nel caso di
produzioni animali, dei requisiti specifici previsti dal regolamento n.
853/200457. Non si tratta dunque di un’estensione tout court del sistema di
analisi del rischio basato sulla metodologia HACCP, obbligatoria per tutti gli
(altri) operatori alimentari, applicazione che la stessa Comunità giudica,
quanto al settore agricolo, «non ancora praticabile»58.
     L’estensione di un approccio preventivo di risk analysis, se effettivamen-
te realizzata in modo uniforme lungo tutta la catena alimentare (dalla produ-
zione primaria sino al consumatore), avrebbe armonizzato la legislazione ali-
mentare alla disciplina europea sulla responsabilità civile da prodotto difetto-
so (direttiva n. 85/374/Cee)59 che, a seguito della modifica di cui alla direttiva
    55
        Cfr. art. 3.2 della direttiva n. 93/43, abrogata con effetto dal 1° gennaio 2006.
    56
        La nozione di «attività connessa», parificata a quella primaria per quanto attiene alla partico-
lare applicazione delle norme sull’igiene, si trova indicata all’allegato I, Parte A del regolamento n.
852/2004 ed è rinvenibile con riferimento alle operazioni di: a. il trasporto, il magazzinaggio e la
manipolazione di prodotti primari sul luogo di produzione, a condizione che ciò non alteri sostan-
zialmente la loro natura; b. il trasporto di animali vivi, ove necessario per il raggiungimento degli
obiettivi del presente regolamento; c. in caso di prodotti di origine vegetale, prodotti della pesca e
della caccia, le operazioni di trasporto per la consegna di prodotti primari, la cui natura non sia an-
cora stata sostanzialmente modificata, dal luogo di produzione ad uno stabilimento.
     57
        Cfr. art. 4 del regolamento n. 852/2004, loc. cit. Gli operatori della fase primaria e delle fasi
connesse dovranno pertanto "assicurare", cioè dimostrare in sede di controllo ufficiale, che i pro-
dotti sono «protetti da contaminazioni» e che nel processo produttivo si «tiene conto di tutte le tra-
sformazioni successive cui saranno soggetti i prodotti primari», ponendo cura al «rispetto di tutte le
pertinenti disposizioni legislative comunitarie e nazionali relative al controllo dei rischi della pro-
duzione primaria e nelle operazioni associate, quali le misure di controllo della contaminazione
derivante dall’aria, dal suolo, dall’acqua, dai mangimi, dai fertilizzanti, dai medicinali veterinari,
dai prodotti fitosanitari e dai biocidi, nonché il magazzinaggio, la gestione e l’eliminazione dei ri-
fiuti, programmi per il monitoraggio e il controllo delle zoonosi e degli agenti zoonotici».
     58
        Cfr. considerando n. 11 del regolamento n. 852/2004 secondo cui «l’applicazione dei principi
del sistema dell’analisi dei pericoli e dei punti critici di controllo (HACCP) alla produzione primaria
non è ancora praticabile su base generalizzata». A suggerire che questo assetto sia frutto della persi-
stente eccezione agricola lo dimostra l’assenza di un termine temporale entro cui introdurre
l’applicazione generalizzata degli obblighi di sicurezza. Il considerando n. 14 del regolamento n.
852/2004, ad esempio, si limita a rinviare il riesame della questione alla luce dello "studio di fatti-
bilità" della eventuale estensione del sistema HACCP anche alla produzione primaria. Si osservi,
quanto all’ordinamento italiano, che le sanzioni pecuniarie previste, dall’art. 6, comma 4, dlgvo n.
193/2007, sono esattamente la metà di quelle comminabili agli altri operatori professionali per le
stesse violazioni.
     59
        Recepita nel nostro ordinamento con dpr n. 224 del 24 maggio 1988 «Attuazione della diretti-
va Cee numero 85/374 relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e ammi-
nistrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ai sensi
716                                                                                                 Articoli



n. 1999/34/Ce, trova applicazione anche con riferimento ai prodotti agricoli
del suolo e a quelli dell’allevamento, della pesca e della caccia, che non ab-
biano subito trasformazioni60.
    Che gli obblighi di sicurezza alimentare, di cui ai regolamenti n.
178/2002, n. 852/2004 e n. 853/2004, non siano identici per tutti i diversi o-
peratori della filiera61 trova conferma rispetto al ruolo assegnato al «distribu-
tore finale» di un prodotto alimentare o di un mangime: il regolamento n.
178/2002 prevede infatti un trattamento giuridico parzialmente differente in
ragione, si afferma, del diverso impatto dell’attività distributiva sulla gestione
della sicurezza alimentare. Posto che l’attività di «commercio al dettaglio»62
rientra sicuramente nel campo di applicazione del regolamento n. 178/2002,
gli obblighi di sicurezza alimentare previsti dagli artt. 14-20 si applicano nei

dell’art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183». La disciplina della responsabilità per danno da pro-
dotto difettoso, modificata dal dlgvo n. 25 del 2 febbraio 2001, attuazione della direttiva n. 1999/34,
è oggi confluita nel dlgvo n. 206 del 6 settembre 2005, «Codice del consumo, a norma dell’articolo 7
della legge 29 luglio 2003, n. 229», sub Titolo II della Parte IV, artt. 114-127.
     60
         Sull’estensione del regime di responsabilità civile per danno da prodotto difettoso anche ai
prodotti agricoli: A. GERMANÒ, La responsabilità del produttore agricolo e principio di precauzio-
ne, in L. COSTATO (a cura di), Trattato breve di diritto agrario italiano e comunitario, Padova, Ce-
dam, 2003, p. 743-750; G. PONZANELLI, Estensione della responsabilità oggettiva anche all’agri-
coltore, all’allevatore, al pescatore e al cacciatore, in Danno e resp., 2001, p. 792 e C. MARTO-
RANA, La responsabilità per prodotti agricoli difettosi, in Riv. dir. agr., 1992, I, p. 400.
     61
         Il termine «filiera» può definirsi come l’insieme, organizzato e coordinato, di attività econo-
miche finalizzate alla commercializzazione di un prodotto finito.
     62
        Per il regolamento n. 178/2002, art. 3, n. 7, il «commercio al dettaglio» è «la movimentazione
e/o trasformazione degli alimenti e lo stoccaggio nel punto di vendita o di consegna al consumatore
finale, compresi i terminali di distribuzione, gli esercizi di ristorazione, le mense di aziende e istituzio-
ni, i ristoranti e altre strutture di ristorazione analoghe, i negozi, i centri di distribuzione per supermer-
cati e i punti di vendita all’ingrosso». Definizione in parte diversa è prevista dalla legge italiana, a
mente della quale dovrebbe invece intendersi «l’attività svolta da chiunque professional-mente ac-
quista merci in nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre
forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale» (cfr. art. 4, lett. b., dlgvo n. 114/1998
recante «Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’art. 4, comma 4,
della l. 15 marzo 1997, n. 59»). La definizione dell’art. 3, n. 7 del regolamento n. 178/2002 è stata
criticata in quanto eccessivamente ampia e in parte contraddittoria, includendo non solo le attività
consistenti in «handling and/or processing of food and its storage at the point of sale or delivery to the
final consumer» ma, anche, «distribution terminals, catering operations, factory canteens, institutional
catering, restaurants and other similar food service operations, shops, supermarket distribution centres
and wholesale outlets». Al riguardo la Commissione, nella lineaguida al regolamento n. 853/2004,
ha sostenuto una lettura secondo cui «the interpretation of the term "retail" should only take into
account the first – unequivocal – part of the definition (contrary to the legal text as in force). However,
there is no point in attempting to correct a defective legal provision by way of a recommendation con-
tained in a guidance document, because when it comes to the crunch the (entire) binding text of the
Regulation as such will always prevail». L’evidenziata contraddittorietà della definizione, cui la li-
nee-guida della Commissione non può porre rimedio definitivo, è cruciale in quanto, si è sostenuto,
«The lack of a distinction between retail trade and wholesale trade and food production is a central
shortcoming of the new legislation on food safety since the scope of application of numerous legal
provisions – e.g. of Regulations (EC) Nos. 853/2004 and 854/2004 (EC, 2004b and 2004c) – depends
on whether or not the retail trade is involved. This means that the term "retail" governs which legal
provisions have to be observed by a food business, whether an establishment requires an approval or
only has to be registered, and in many cases which authority is competent for official controls (veteri-
nary authority or food inspectors)». Per queste considerazioni R. RIEDL - C. RIEDL, Shortcomings of
the new European Food Hygiene Legislation from the Viewpoint of a Competent Authority, in
European Food and Feed Law Review, 2/2008, p. 64.
OBBLIGHI DI SICUREZZA ALIMENTARE NEL MERCATO UNICO EUROPEO TRA GESTIONE DEL RISCHIO E RESPONSABILITÀ D’IMPRESA
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OBBLIGHI DI SICUREZZA ALIMENTARE NEL MERCATO UNICO EUROPEO TRA GESTIONE DEL RISCHIO E RESPONSABILITÀ D’IMPRESA

  • 1. OBBLIGHI DI SICUREZZA ALIMENTARE NEL MERCATO UNICO EUROPEO TRA GESTIONE DEL RISCHIO E RESPONSABILITÀ D’IMPRESA Sommario: I. Fonti e caratteri generali della legislazione alimentare - II. Rapporti tra legislazione alimentare e disciplina sulla sicurezza generale dei prodotti - III. Le relazioni tra il regolamento n. 178/2002 e la disciplina della responsabilità per dan- no da prodotto difettoso. I. Fonti, caratteri generali della legislazione alimentare A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, anche in risposta all’ac- cresciuta attenzione dell’opinione pubblica e dei mass-media sul tema della sicurezza alimentare, è stata attuata un’ampia opera di riforma della disciplina comunitaria in materia di produzione e commercializzazione degli alimenti e dei mangimi. La legislazione alimentare comunitaria, attualmente vigente, trova la sua base in un regolamento di carattere generale, il regolamento n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002 «che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istitui- sce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare»1, al quale si collegano altri atti legislativi, regola- menti, direttive e decisioni che disciplinano specifici ambiti della legislazione alimentare. Il regolamento n. 178/2002 costituisce il primo atto legislativo del nuovo approccio comunitario alla sicurezza nel consumo alimentare, maturato alla 1 In Guce n. L 31 del 1° febbraio 2002. Una prima lettura organica del regolamento in AA.VV., La sicurezza alimentare nell’Unione europea (reg. n. 178/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio), in Nuove leggi civ. Comm., 2003, p. 114. Per una prima introduzione alla legislazione alimentare: A. ALEMANNO, Trade in Food, Regulatory and Judicial Approaches in the EC and the WTO, London, Cameron and May, 2007; L. COSTATO, Compendio di diritto alimentare, Padova, Cedam, 2007; F. CAPELLI - V. SILANO - B. KLAUS, Nuova disciplina del settore alimentare e Autori- tà europea per la sicurezza alimentare, Milano, Giuffrè, 2006; O’ROURKE, European Food Law, Londra, Sweet and Maxwell, 2005; V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, profili civili, penali e am- ministrativi, Padova, Cedam, 2003; G. NICOLINI, Il prodotto alimentare: sicurezza e tutela del con- sumatore, Padova, Cedam, 2003; S. VENTURA, Principi di diritto dell’alimentazione, Milano, Fran- co Angeli, 2001 e S. FOÀ, Il fondamento europeo del diritto alla salute: competenze istituzionali e profili di tutela, Milano, Giuffè, 1998. DIRITTO COMUNITARIO E DEGLI SCAMBI INTERNAZIONALI, FASC. 4/2008, PP. 695-734 © EDITORIALE SCIENTIFICA SRL
  • 2. 696 Articoli luce del Trattato di Maastricht2 e impostosi nell’agenda politica comunitaria dopo gli scandali alimentari dell’ultimo decennio3. Con esso si sono formaliz- zati i principi generali della «legislazione alimentare»4 (artt. 5-10), definiti gli obblighi generali di sicurezza per gli operatori del settore (artt. 11-20), istitui- ta l’Autorità europea per la sicurezza alimentare5 (artt. 22-49) e si sono, inol- tre, delineate le regole generali in materia di importazione ed esportazione di alimenti e mangimi (artt. 11-13)6 e le procedure applicabili alle situazioni di emergenza alimentare (artt. 50-57). Il regolamento n. 178/2002 fornisce la cornice all’interno della quale le istituzioni comunitarie hanno intrapreso una profonda riforma della legisla- zione in materia di produzione e commercializzazione di alimenti, con parti- colare riferimento all’igiene e alla sicurezza dei prodotti alimentari e dei pro- cessi produttivi7, da un lato, ed all’etichettatura e alla presentazione8, dall’al- 2 Cfr. T. HERVEY, Mapping the Contours of European Union Health Law and Policy, in Eur. Publ. Law, 2002, p. 8. In argomento anche D. CHALMERS, Food for Thought: Reconciling Euro- pean Risks and Traditional Ways of Life, in Modern Law Review, 2003, 66, p. 532; L. COSTATO, Una ricognizione sui principi fondanti del diritto alimentare, in Riv. dir. agr., 2005, I, p. 206 ss. 3 Una dettagliata ricostruzione storica della genesi dell’attuale legislazione alimentare comuni- taria si può leggere in A. ALEMANNO, Trade in Food, cit. supra, nota 1, p. 33-72. La "nuova" poli- tica alimentare europea, a tutt’oggi ancora in itinere, è tratteggiata nel Libro verde della Commis- sione sui principi generali della legislazione in materia alimentare nell’Unione europea (Com (1997) 176 def.) e nel Libro Bianco sulla Sicurezza Alimentare del 12 gennaio 2000 (Com(1999)719 def.). 4 Il regolamento n. 178/2002 fornisce una definizione ad hoc di legislazione alimentare: in base all’art. 3, n. 1 del regolamento n. 178/2002, la legislazione alimentare è l’insieme delle «leggi, re- golamenti e disposizioni amministrative riguardanti gli alimenti in generale, e la sicurezza degli alimenti in particolare, sia nella Comunità che a livello nazionale» relativa a «tutte le fasi di produ- zione, trasformazione e distribuzione degli alimenti e anche dei mangimi prodotti per gli animali destinati alla produzione alimentare o ad essi somministrati». Per alcune conseguenze si veda L. COSTATO, Dal mutuo riconoscimento al sistema europeo di diritto alimentare: il Regolamento 178/2002 come regola e programma, in Riv. dir. agr., 2003, p. 289; ID., Il Regolamento 178/2002 e la protezione dei consumatori di alimenti, in Riv. dir. agr., 2002, p. 61. 5 All’Autorità per la sicurezza alimentare è assegnata la funzione di «valutazione del rischio» e non anche, come invece nel caso della U.S. Food and Drug Administration, quella di gestione dello stesso, funzione questa che, all’interno del mercato unico, compete all’autorità pubblica (princi- palmente alla Commissione ed alle autorità nazionali). In argomento: A. ALEMANNO, Trade in Food, cit. supra, nota 1, p. 83-104 e p. 161-295; M. POTO - E. ROLANDO e C. ROSSI, La sicurezza alimentare tra Unione Europea, Stato e Regioni dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, Torino, Giappi- chelli, 2006; M. BENOZZO, Tutela della salute, mercato interno e dinamiche internazionali: le regole della food safety negli Stati Uniti d’America, in Contratto Impresa/Europa, 2006, p. 390 e S. CASSESE, Per un’autorità nazionale della sicurezza alimentare, Milano, Il Sole 24 Ore, 2002. 6 In base al considerando n. 23 del regolamento n. 178/2002 la Comunità «contribuisce all’ela- borazione di norme internazionali a sostegno della legislazione alimentare e sostiene i principi del libero commercio di mangimi sicuri e di alimenti sani e sicuri in maniera non discriminatoria, al- l’insegna di pratiche commerciali leali e moralmente corrette». In argomento A. ALEMANNO, Trade in Food, cit. supra, nota 1, p. 227 ss. e J. I. CARREÑO GARCÌA, Agricultural in WTO Law, in B. O’CONNOR, TBT and Agriculture, London, Cameron and May, 2005. 7 Relativamente al profilo dell’igiene delle produzioni alimentari, la disciplina applicabile dal 1° gennaio 2006 è contenuta in un insieme di regolamenti e alcune direttive, conosciuto anche co- me «pacchetto igiene». Più precisamente le principali fonti comunitarie sull’igiene alimentare sono le seguenti: il regolamento n. 852/2004/Ce, «sull’igiene dei prodotti alimentari», il regolamento n. 853/2004/Ce, «che stabilisce norme specifiche in materia d’igiene per gli alimenti di origine anima- le», il regolamento n. 854/2004/Ce, «che stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano», il regolamento n. 882/2004/Ce,
  • 3. Articoli 697 tro. Questa riformulazione della disciplina comunitaria in materia di produ- zione e commercializzazione di prodotti alimentari non sarebbe stata pratica- bile se il diritto comunitario non si fosse dotato di principi generali propri del- la legislazione alimentare. Questi sono indicati chiaramente dal regolamento n. 178/2002: l’analisi del rischio (art. 6), il principio di precauzione (art. 7), la tutela degli interessi dei consumatori (art. 8), la trasparenza nella elaborazione della legislazione alimentare (art. 9) e l’informazione del consumatore (art. 10). Pur in assenza di una scala gerarchica, l’analisi del rischio sembra assur- gere ad un ruolo pregnante: il risk analysis diventa nel testo del regolamento n. 178/2002 principio generale della legislazione alimentare; di più, esso è il primo principio nell’elenco di cui alla sezione I («Principi generali della legi- slazione alimentare»), del Capo II («Legislazione alimentare generale»), pri- ma del principio di precauzione9 e di quello della «tutela degli interessi eco- «relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali», la direttiva n. 2004/41/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, «che abroga alcune direttive recanti norme sull’igiene dei prodotti alimentari e le disposizioni sanitarie per la produzione e la commercializza- zione di determinati prodotti di origine animale destinati al consumo umano e che modifica le di- rettive n. 89/662/Cee e n. 92/118/Cee del Consiglio e la decisione n. 95/408/Ce del Consiglio». Per la trasposizione in diritto interno della direttiva n. 2004/41 e l’adeguamento nazionale al pacchetto igiene si veda, sin d’ora, il dlgvo n. 193 del 6 novembre2007, recante «Attuazione della direttiva n. 2004/41/Ce relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore», in Guri n. 261 del 9 novembre 2007, entrato in vigore il 24 no- vembre 2007. Per completezza si ricorda che la nuova disciplina comunitaria in materia è altresì composta dal regolamento n. 1935/2004/Ce «riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari e che abroga le direttive n. 80/590/Cee e n. 89/109/Cee», dal regolamento n. 183/2005/Ce, «che stabilisce requisiti per l’igiene dei mangimi» e il regolamento (Ce) n. 1774/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 ottobre 2002 «recante norme sani- tarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano» e dalla direttiva n. 2002/99/Ce del Consiglio «che stabilisce norme di polizia sanitaria per la produzione, la tra- sformazione, la distribuzione e l’introduzione di prodotti di origine animale destinati al consumo umano», recepita nell’ordinamento italiano dal dlgvo n. 117 del 27 maggio 2005, recante «Attua- zione della direttiva n. 2002/99/Ce che stabilisce norme di polizia sanitaria per la produzione, la tra- sformazione, la distribuzione e l’introduzione di prodotti di origine animale destinati al consumo uma- no», in Guri n. 152 del 2 luglio 2005. Per un primo inquadramento dei regolamenti comunitari sull’igiene: L. COSTATO, Compendio di diritto alimentare, cit. supra, nota 1, p. 413; F. CAPELLI - V. SILANO - B. KLAUS, Nuova disciplina del settore alimentare, cit. supra, nota 1 e F. CAPELLI, La diretti- va "Killer" e le sue vittime, in questa Rivista, 2006, p. 95. Per una lettura tecnica: M. ASTUTI - F. CASTOLDI, Pacchetto igiene, le nuove norme comunitarie, Lavis, Edagricole, 2006. 8 La disciplina orizzontale è data dalla direttiva n. 2000/13/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri con- cernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (in Guce n. L 109 del 6 maggio 2000, p. 29 ss. più volte modificata). Anche in questo ambito è dato osservare un procedimento legislativo di revisione come risulta dal Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on the provision of food information to consumers, presentato dalla Commissione il 30 gennaio 2008 (Com(2008) 40 final). Sul tema dell’etichettatura dei prodotti alimentari, senza pretesa di esaustività: L. COSTATO, Compendio di diritto alimentare, loc. cit., p. 263 ss.; V. MAGLIO, La trasparenza dei prodotti alimentari: la funzione dell’etichettatura nella tutela del consumatore, in Contratto e Impresa/Europa, 2001, p. 311 ss.; R. O’ROURKE, Europe- an Food Law, cit. supra, nota 1, p. 55-74 e p. 129-138; V. PACILEO, II diritto degli alimenti, cit. supra, nota 1, p. 320-323 e F. CAPELLI, La sentenza della Corte di Giustizia sul sistema di vendita "bag in the box" per l’olio di oliva: una pronuncia incompleta per il carente apporto del Giudice nazionale e per il mancato intervento dell’Avvocato Generale, in questa Rivista, 2007, p. 499 ss. 9 Senza pretesa di completezza: Comunicazione della Commissione sul principio di precauzio- ne del 2 febbraio 2000 (doc. Com(2000)1 non pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Comunità
  • 4. 698 Articoli nomici dei consumatori». Chiarisce l’art. 6.1 che «la legislazione alimentare si basa sull’analisi del rischio»10, intesa come una funzione di decision-making sistematica ed artico- lata in tre momenti concettualmente distinguibili ed assegnati a soggetti di- versi11. Si tratta della funzione fondante la legislazione alimentare – comuni- taria e degli Stati membri – tanto nella fase ascendente (di elaborazione) europee) e sentenze della Corte di giustizia del 5 maggio 1998 in causa n. C-157/96, National Farmers Union, in Raccolta, 1998, I, p. 2211 ss. e, in pari data, in causa n. C-180/96, Regno Unito c. Commissione, in Raccolta, 1998, I, p. 2265 ss., su cui ampiamente A. ALEMANNO, Trade in Food, cit. supra, nota 1, p. 115-146. Si veda anche L. COSTATO, La Corte di giustizia, il ravvici- namento delle legislazioni e il principio di precauzione nel diritto alimentare, in Dir. e giur. agr. e amb. 2005, p. 649 e C. BLUMANN - V. ADAM, La politique agricole commune dans la tourmente: la crise de la "vache folle", in Rev. trim. dr. eur., 1997, p. 270; M. P. CHITI, Il rischio sanitario e l’evoluzione dall’amministrazione dell’emergenza all’amministrazione precauzionale, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2006, p. 1 e F. TRIMARCHI, Principio di precauzione e qualità dell’azione am- ministrativa, ivi, 2005, p. 1673; G. F. FERRARI, Biotecnologie e diritto costituzionale, in R. FERRARA - I. M. MARINO (a cura di), Gli organismi geneticamente modificati, Padova, Cedam, 2003; M. P. GIRACCA, Responsabilità civile e OGM: quali prospettive?, ivi, p. 367. Per una intro- duzione: H. JONAS, Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino, Ei- naudi, 1993; U. BECK, La società del rischio. Verso una nuova modernità, Roma, Carocci, 2000; N. LUHMANN, Sociologia del rischio, Milano, Mondadori, 1996; P. PELLEGRINO, Hans Jonas: natu- ra e responsabilità, Lecce, Edizioni Milella, 1995; U. IZZO, La precauzione nella responsabilità civile analisi di un concetto sul tema del danno da contagio per via trasfusionale, Padova, Cedam, 2004; N. IRTI - E. SEVERINO, Le domande del giurista e le risposte del filosofo (un dialogo su diritto e tecnica), in Contratto e impresa, 2000, p. 665. L’organismo di risoluzione delle controversie in ambito WTO si è interessato più volte del ruo- lo di questo principio all’interno delle fonti di diritto internazionale; tra le diverse, si rinvia alla decisione resa tra USA e UE sul caso relativo alla carne agli ormoni: Appellate Body Report, EC Measures Concerning Meat and Meat Products (Hormones), WT/DS26/AB/R, WT/DS48/AB/R, del 13 febbraio 1998 e, più recentemente, in materia di moratoria sull’approvazione di "nuovi pro- dotti" (novel food) contenenti e/o ottenuti da OGM la decisione del Panel Report - European Communities - measures affecting the approval and marketing of biotech products - WT/DS291/R, WT/DS292/R, WT/DS293/R del 29 settembre 2006, entrambi disponibili sul sito dell’OMC al se- guente indirizzo web: www.wto.org. In argomento, una prima introduzione in P. T. STOLL - L. STRACK, Article 5 SPS, in AA.VV., WTO - Techinical Barriers and SPS Measures, in R. WOLFRUM - P. T. STOLL - A. S. FOHR (edited by), Boston, Marinus Nijhoff Pubblishers, 2007, p. 436 cui adde D. BEVILACQUA, The EC-Biotech Case, Global v. Domestic Procedural Rules in Risk Regulation: The Precautionary Principle, in European Food and Feed Law Review, 2006, p. 331, S. MALJEAN- DUBOIS, Biodiversité, biotechnologies, biosécurité: Le droit international désarticulé, in Journ. dr. int., 2000, p. 948; C. NOIVILLE, Principe de précaution et Organisation mondiale du commerce. Le cas du commerce alimentaire, in Journ. dr. int., 2000, p. 263-297; R. PAVONI, Misure unilaterali di precauzione, prove scientifiche e autorizzazioni comunitarie al commercio di organismi genetica- mente modificati: riflessioni in margine al caso Greenpeace, in questa Rivista, 2000, p. 725-748. 10 La formulazione completa è la seguente: tranne «quando ciò non sia confacente alle circo- stanze o alla natura del provvedimento». È stato giustamente notato che questo inciso vada riferito alla situazioni di crisi e di allarme sanitario nelle quali il fattore "tempo" non permette l’esplicazio- ne di una compiuta e puntuale analisi del rischio. Così L. GRADONI, in AA. Vv., La sicurezza ali- mentare nell’Unione europea, cit. supra, nota 1, sub art. 6, p. 201. 11 I tre elementi del "processo" di analisi del rischio sono: a. la «valutazione del rischio», pro- cesso su base scientifica costituito da quattro fasi: individuazione del pericolo; caratterizzazione del pericolo; valutazione dell’esposizione al pericolo; caratterizzazione del rischio; b. «gestione del rischio», processo, distinto dalla valutazione del rischio, consistente nell’esaminare alternative d’intervento consultando le parti interessate, compiendo scelte di prevenzione e di controllo; c. co- municazione del rischio: scambio interattivo, lungo l’intero arco dell’analisi del rischio, di infor- mazioni e pareri riguardanti gli elementi di pericolo e i rischi, i fattori connessi al rischio e la per- cezione del rischio, tra i responsabili della gestione, consumatori, imprese alimentari e del settore dei mangimi, comunità accademica ed altri interessati.
  • 5. Articoli 699 quanto discendente, cioè di applicazione delle relative disposizioni12. Tale collocazione sarebbe peraltro in linea con il ruolo che l’analisi del rischio ri- ceve nella regolamentazione internazionale delle misure sanitarie e fitosanita- rie come posta dall’Agreement on Sanitary and Phytosanitary Measures nella cornice della Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Orga- nization). Dal punto di vista generale, il regolamento n. 178/2002 ha inaugurato un processo di concentrazione della responsabilità in capo all’operatore profes- sionale per quanto attiene la sicurezza dei prodotti alimentari; infatti, in taluni Stati membri e con riferimento ad alcuni settori della legislazione alimentare, la responsabilità legale veniva assunta dalle autorità competenti dello Stato membro attraverso lo svolgimento di attività di controllo e ciò in pregiudizio dell’integrazione del mercato unico. Il regolamento n. 178/2002 rovescia tale assetto, stabilendo che «spetta agli operatori del settore alimentare e dei man- gimi garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti o i mangimi soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro atti- vità in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte» in quanto, si precisa, tali soggetti sono «in grado, meglio di chiunque altro, di elaborare sistemi sicuri per l’approvvigionamento alimentare e per garantire la sicurezza dei prodotti forniti»13. A conferma di questo indirizzo il regolamento n. 882/2004, in tema di controlli ufficiali, precisa, all’art. 1.4, che «l’esecuzione dei controlli uffi- ciali ai sensi del presente regolamento lascia impregiudicata la responsabilità legale, in via principale, degli operatori del settore per la sicurezza dei man- gimi e degli alimenti, come previsto dal regolamento (Ce) n. 178/2002 e la responsabilità civile o penale risultante dalla violazione dei loro obblighi». Corollario ne è il mutamento del ruolo stesso del controllo ufficiale che, oltre alla vigilanza propriamente intesa, è chiamato dal citato regolamento n. 882/2004 allo svolgimento di attività di «audit» inteso come «esame sistema- 12 In questo senso si suggerisce di leggere l’art. 54 del regolamento n. 882/2004, cit. supra, no- ta 7, a mente del quale «L’autorità competente che individui una non conformità interviene per as- sicurare che l’operatore ponga rimedio alla situazione. Nel decidere l’azione da intraprendere, l’autorità competente tiene conto della natura della non conformità e dei dati precedenti relativi a detto operatore per quanto riguarda la non conformità». Tra i presupposti per l’esercizio del potere- dovere che l’art. 54 ascrive al controllo ufficiale per il caso di non conformità, vi è il riferimento alla «natura della non conformità» che sembra potersi intendere come un richiamo forte al princi- pio base secondo cui la legislazione alimentare è basata sull’analisi del rischio e quindi la sua ap- plicazione deve essere scientificamente fondata e, pare potersi dire, anche proporzionata allo sco- po. Il secondo limite (dati precedenti) tende a valorizzare il comportamento virtuoso, legittimando indirettamente un atteggiamento "premiale" del controllo ufficiale. In tal modo il quadro storico dell’impresa diventa elemento di valutazione nel trattamento della non conformità e, come tale, dovrebbe rappresentare uno stimolo per un agire diligente e conforme alla legislazione vigente nel settore alimentare. Il confronto tra questa disposizione e quella corrispondente nella legislazione previgente (art. 11 del dlgvo n. 123/1993, abrogato dall’art. 3 del dlgvo n. 193/2007, ad eccezione degli artt. 4 e 2, comma 3) evidenzia la significativa evoluzione dei poteri dell’autorità di controllo. 13 Cfr. rispettivamente art. 17.1 e considerando n. 30 del regolamento n. 178/2002.
  • 6. 700 Articoli tico e indipendente per accertare se determinate attività e i risultati correlati siano conformi alle disposizioni previste, se tali disposizioni siano attuate in modo efficace e siano adeguate per raggiungere determinati obiettivi». In questa prospettiva non può trascurarsi di considerare come il potere as- segnato al controllo ufficiale sia decisamente più ampio rispetto a quanto pre- visto in precedenza: basta considerare che il regolamento n. 882/2004 (art. 54) assegna all’autorità competente (nazionale) la potestà di disporre azioni correttive (rectius, atti amministrativi) per porre rimedio alla «non conformi- tà». Conseguenza che si somma a quella più tradizionale e consistente nella applicazione di sanzioni afflittive. Questo elemento conferma che l’autorità di controllo è depositaria di poteri di controllo e anche di un ruolo di supporto dell’impresa alimentare verso la piena conformità alla legislazione alimenta- re. Ne deriva che il forte richiamo che il regolamento n. 882/2004 compie al- l’aggiornamento ed alla professionalità del controllo ufficiale assume una di- rezione ben precisa. È utile poi sottolineare che la nozione di «non conformità», al cui riscon- tro sorge la sanzionabilità ex art. 55 ma anche l’adozione dei provvedimenti ex art. 54 del regolamento n. 882/2004, non è riferita al solo profilo di sicu- rezza alimentare ma è, al contrario, estesa anche al profilo della conformità alla legislazione in tema di protezione del consumatore alimentare. In tal sen- so l’art. 1.1. (Oggetto e campo di applicazione) del regolamento n. 882/2004 secondo cui «Il presente regolamento fissa le regole generali per l’esecuzione dei controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alle normative volte, se- gnatamente, a: a. prevenire, eliminare o ridurre a livelli accettabili i rischi per gli esseri umani e gli animali, siano essi rischi diretti o veicolati dall’ambien- te; e b. garantire pratiche commerciali leali per i mangimi e gli alimenti e tute- lare gli interessi dei consumatori, comprese l’etichettatura dei mangimi e de- gli alimenti e altre forme di informazione dei consumatori». Da tale disposi- zione dovrebbe trarsi una conseguenza di non secondaria importanza: le azio- ni correttive che l’Autorità competente deve predisporre ex art. 54 del rego- lamento n. 882/2004 riguardano anche la disciplina dell’etichettatura, presen- tazione e pubblicità dei prodotti alimentari14. Tornando alla posizione di garanzia gravante – come detto – in via prin- cipale sull’operatore privato, le disposizioni della legislazione alimentare im- portano un insieme di obblighi di conformità, tanto del prodotto quanto del processo produttivo, posti a tutela della salute pubblica (ad esempio, la disci- plina igienico-sanitaria) e/o a garanzia delle aspettative del consumatore. Più precisamente, gli obblighi desumibili dagli artt. 14 ss. del regolamen- 14 Per una riflessione sul punto: D. PISANELLO, Denominazioni di origine ed indicazioni geo- grafiche protette tra diritto industriale e diritto alimentare: il caso Parmesan II¸ in Contratto e Impresa/Europa, 2008, p. 389-414.
  • 7. Articoli 701 to sulla sicurezza alimentare, vigenti a far data dal 1° gennaio 200515, possono essere sintetizzati nelle seguenti categorie generali: a. obbligo di conformità del prodotto alimentare ai requisiti di sicurezza (artt. 14 e 17 del regolamento n. 178/2002); b. obblighi di rintracciabilità (art. 18 del regolamento n. 178/2002)16; c. obblighi comportamentali nel caso di crisi alimentari (art. 19 del regolamento n. 178/2002). Primo obbligo incombente sui produttori e distributori di alimenti è quello di garantire la conformità legale dei prodotti di cui essi fanno commercio. All’interno di questo ampio dovere, assume primaria importanza l’obbligo di immettere sul mercato solo «prodotti sicuri»17, spettando ad essi garantire che 15 Cfr. art. 65, comma 2°, del regolamento n. 178/2002. Tali obblighi sono presidiati nell’ordi- namento italiano, con decorrenza dal 7 giugno 2006, dalle sanzioni amministrative previste dal dlgvo n. 190 del 5 aprile 2006, recante «Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizio- ni di cui al Regolamento (Ce) n. 178/2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legi- slazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare», in Guri n. 118 del 23 maggio 2006, applicabili laddove lo stes- so fatto non dia luogo a profili di responsabilità penale; in ogni caso, le disposizioni degli articoli del regolamento generale sulla sicurezza alimentare (o di altre fonti "verticali") valgono a definire quelle buone prassi operative, finendo così per evidenziare eventuali condotte sanzionabili a titolo di colpa. Sulle posizioni di garanzia proprie dell’operatore alimentare ed il quadro sanzionatorio di cui al decreto da ultimo citato sia consentito il rinvio a D. PISANELLO, La disciplina sanzionatoria per la violazione degli obblighi generali di sicurezza ex art. 18, 19 e 20 reg. 178/2002, in Alimenta nn. 6/2006 e 7-8/2006. Sul tema della imputabilità delle sanzioni, penali e amministrative, previste per le violazioni alla legislazione alimentare, per tutti, V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. su- pra, nota 1, p. 525. In tema di sanzioni amministrative, da ultimo, A. CARATTO, L’opposizione alle sanzioni amministrative, Profili tecnico-pratici, Lavis, Wolters Kluwer Italia, 2008. 16 Questo obbligo, fissato dall’art. 18 del regolamento n. 178/2002, è relativo alla c.d. "rintrac- ciabilità", termine con il quale si indica la «possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un ali- mento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza desti- nata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime, attraverso tutte le fasi della pro- duzione, della trasformazione e della distribuzione» (cfr. art. 3, n. 15 regolamento n. 178/2002). Introdotta inizialmente per il solo comparto delle carni bovine, colpito dalla "crisi della mucca paz- za" (regolamento n. 1760/2000/Ce, in Guce n. L 204 dell’11 agosto 2000), la funzione di "rintrac- ciabilità", prevista dal regolamento n. 178/2002 come obbligo generale per tutti gli operatori pro- fessionali del settore, costituisce uno strumento di sicurezza alimentare in quanto permette di poter procedere a «ritiri» mirati e precisi o fornire informazioni ai consumatori o ai funzionari responsa- bili dei controlli. La rintracciabilità è intesa dal regolamento sulla sicurezza alimentare secondo l’approccio "un anello a monte e un anello a valle" (one step back, one step forward) ed implica per l’impresa la predisposizione di sistemi e procedure per individuare "chi abbia loro fornito cosa" e a quali imprese abbia a sua volta fornito i propri prodotti. Due sono i limiti della previsione della rintracciabilità nel dettato del regolamento n. 178/2002: l’art. 18 non riguarda, almeno formalmen- te, la rintracciabilità interna, cioè il flusso di materie prime e componenti all’interno del processo produttivo di una singola impresa alimentare; sul versante a valle, poi, i sistemi e le procedure di tracciabilità riguardano le imprese, e non anche il consumatore, ai quali si siano forniti i prodotti. Norme speciali sono dettate per la tracciabilità dei prodotti costituenti o contenenti organismi gene- ticamente modificati (OGM) dal regolamento (Ce) n. 1830/03 del Parlamento europeo e del Consi- glio del 22 settembre 2003 concernente la tracciabilità e l’etichettatura di organismi geneticamente modificati e la tracciabilità di alimenti e mangimi ottenuti da organismi geneticamente modificati, nonché recante modifica della direttiva n. 2001/18/Ce, in Gu-Ue n. L 268 del 18 ottobre 2003. 17 Tale previsione è la specificazione, nella materia alimentare, del generale obbligo sancito dalla direttiva n. 2001/95/Ce relativa alla sicurezza generale dei prodotti, in Guce n. L 11 del 15 gennaio 2002. La direttiva n. 2001/95, all’art. 22 abroga, sostituendola, la direttiva n. 92/59/Cee, recepita in Italia con dlgvo n. 115/1995 «Attuazione della direttiva n. 92/59/Cee relativa alla sicu- rezza generale dei prodotti», in Guri n. 92 del 20 aprile 1995, disciplina oggi confluita nel «Codice del consumo, a norma dell’art. 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229» di cui al dlgvo n. 206/2005, in Guri n. 235 dell’8 ottobre 2005. In argomento G. PONZANELLI, Regole economiche e principi giu-
  • 8. 702 Articoli gli alimenti o i mangimi soddisfino le disposizioni della legislazione alimen- tare applicabile nelle diverse fasi ed attività di produzione, trasformazione, trasporto, magazzinaggio, custodia e distribuzione finale. Si richiede, in altri termini, che le imprese alimentari siano in grado di dimostrare all’autorità di controllo che esse monitorano e controllano18 la conformità ai requisiti posti, che sono à la fois legislativi, microbiologici, tecnologici, ecc. Il contenuto dell’obbligo di conformità qui in esame è da determinarsi a- vendo come riferimento, da un lato, la legislazione orizzontale (precisamente, i requisiti di sicurezza di cui all’art. 14 del regolamento n. 178/2002), dall’altro, i requisiti specifici posti negli allegati tecnici del regolamento n. 852/2004 (sul- l’igiene degli alimenti in generale) e del regolamento n. 853/2004 (sull’igiene per gli alimenti di origine animale) o altre normative (ad esempio, le discipli- ne sui residui). Dal punto della legislazione orizzontale, nozione centrale è, oltre alla de- finizione di «alimento»19, quella di «alimento a rischio»: la presenza nel cir- ridici a confronto: il caso della responsabilità del produttore e della tutela dei consumatori, in Riv. crit. dir. priv., 1992, II, p. 545; A. ALBANESE, La sicurezza generale e la responsabilità del produt- tore nel diritto italiano ed europeo, in Europa e dir. priv., 2005, p. 977 ed anche lo studio del Centre de Droit de la Consommation, Louvain-la-Neuve, "Mise en oeuvre pratique de la Directive 92/59/CEE du Conseil relative à la sécurité générale des produits", febbraio 2002, condotto su in- carico della Commissione ed ampiamente richiamato nella Relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’esperienza acquisita nell’applicazione della direttiva n. 92/59/Cee relativa alla sicu- rezza generale dei prodotti, doc. Com(2000)140 def. 18 Sembra opportuno segnalare che il termine «controllo», in questa sede, debba essere inteso come corrispondente al significato del termine inglese control che, nella terminologia propria del settore, indica qualcosa di più del semplice monitoraggio comprendendo anche ciò che in lingua italiana si suole indicare col termine «gestione». 19 La definizione di alimento è data dall’art. 2 del regolamento n. 178/2002 secondo la quale è «alimento» «qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani», comprese, tra l’altro, «le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi sostanza, compresa l’acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento». Oltre alla questione della qualificazione degli animali vivi come alimento, esclusa dall’art. 2.3 lett. b. del regolamento n. 178/2002 ma ammessa in alcuni precedenti della giurispru- denza penale italiana (in argomento, ampiamente, V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra, nota 1, p. 8), nella pratica si pongono non di rado problemi di identificazione della disciplina appli- cabile, in particolare quando oggetto d’indagine siano prodotti al confine tra l’alimento e il farmaco ("alicamento"). Sulla distinzione la giurisprudenza della Corte di giustizia ha avuto modo di preci- sare che «per poter distinguere un medicinale da una derrata alimentare, l’autorità nazionale com- petente procede a una decisione caso per caso, tenendo conto di tutte le caratteristiche del prodotto tra le quali la composizione, le proprietà farmacologiche, le modalità d’uso, l’ampiezza e diffusio- ne, la conoscenza presso i consumatori, i rischi eventualmente connessi», chiarendo che, dal punto di vista comunitario «nulla vieta che uno stesso prodotto sia qualificato come alimento in uno Stato membro e come medicinale in un altro e quindi necessariamente soggetto alla autorizzazione al momento della importazione in questo secondo stato membro» precisando che nei casi di concorso delle discipline «si applica solo la disciplina dei medicinali» (cfr. sentenza del 9 giugno 2005 in cause riunite n. 211/03, n. 299/03, n. 316/03 e n. 318/03, HLH Warenvertriebs GmbH e altri, in Raccolta, 2005, I, p. 5141). In senso analogo la direttiva n. 2001/83/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano che all’art. 2.2 precisa che «In caso di dubbio, se un prodotto, tenuto conto dell’insieme del- le sue caratteristiche, può rientrare contemporaneamente nella definizione di «medicinale» e nella definizione di un prodotto disciplinato da un’altra normativa comunitaria, si applicano le disposi- zioni della presente direttiva». Per una prima lettura della definizione generale di alimento si veda
  • 9. Articoli 703 cuito commerciale di un alimento che «non sia conforme ai requisiti di sicu- rezza degli alimenti» (art. 19.1 del regolamento n. 178/2002) fa sorgere una serie di obblighi in capo all’operatore alimentare20. L’art. 14.1 del regolamento n. 178/2002 stabilisce che «gli alimenti a ri- schio non possono essere immessi sul mercato», dovendosi stimare la sicu- rezza in base a due parametri: le condizioni d’uso normali dell’alimento da parte del consumatore in ciascuna fase della produzione, della trasformazione e della distribuzione e, secondo elemento, in base alle informazioni rese in e- tichetta o altre informazioni generalmente accessibili al consumatore sul mo- do di evitare specifici effetti nocivi per la salute provocati da un alimento o categoria di alimenti21. Quest’ultima precisazione rende manifesto che, nell’ottica di una efficace riduzione del rischio sanitario ma anche del rischio di responsabilità civile, la progettazione del prodotto rientra a pieno titolo nella diligenza, perizia e pru- denza esigibili nei confronti dell’operatore professionale. È inoltre di palmare evidenza che il «prodotto» non può più essere considerato esclusivamente nella sua nuda materialità ma anche nella componente di «servizio», inten- dendosi per tale l’etichettatura e la documentazione di accompagnamento ob- bligatoria ope legis, l’impiego di tecnologia e l’apposizione di segni distintivi, le indicazioni nutrizionali, come pure i servizi post-vendita, in cui sono da ri- comprendere i servizi di customer’s care, l’assistenza in garanzia ed anche i servizi connessi al ritiro e/o all’allerta lungo la filiera. Più precisamente, la nozione di «alimento a rischio» è declinata dal rego- lamento n. 178/2002 in due categorie generali: quella degli «alimenti dannosi per la salute» (art. 14.4) e quella costituita dagli alimenti «inadatti al consumo umano» (art. 14.5)22. I. CANFORA, in AA. Vv., La sicurezza alimentare nell’Unione europea, cit. supra, nota 1, sub art. 2, p. 147. Per una disamina della nozione di alimento e delle sottocategorie a questa afferenti (integra- tori alimentari, alimenti destinati ad una alimentazione particolare, arricchiti, OGM, novel food, si veda F. CAPELLI - V. SILANO - B. KLAUS, Nuova disciplina del settore alimentare, cit. supra, nota 1, p. 238-266. Sul punto, già prima del regolamento n. 178/2002, la Corte di appello di Milano aveva riservato la «qualificazione di alimento per l’uomo e la relativa disciplina non solo al prodotto rap- presentativo di principi nutrizionali utili o indispensabili al sostentamento, ma a qualsiasi prodotto naturale o industriale destinato ad essere ingerito, sotto qualsiasi forma, anche a prescindere dalla rispondenza a finalità di nutrimento» (sent. C. App. del 29 ottobre 1999, Beccarini e altro, in Rass. dir. farmaceutico, 2000, p. 26). 20 Per l’art. 3, n. 3, regolamento n. 178/2002 è «operatore del settore alimentare», «la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione alimentare nell’impresa alimentare posta sotto il suo controllo». Per l’art. 3, n. 2, del regolamento n. 178/2002 è «impresa alimentare»: «ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che svolge una qualsiasi delle attività connesse ad una delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti». Può essere interessante anche sottolineare che molti degli obblighi di sicurezza, e anche le previsioni sanzionatorie previste dalla legislazione italiana siano rivolte all’operatore del settore alimentare come definito dal regolamento comunitario. 21 Cfr. art. 14.3, lett. a. e b. del regolamento n. 178/2002. 22 In entrambi i casi si tratta di categorie che necessitano evidentemente di ulteriori specifica- zioni fornite dalla legislazione verticale (di prodotto), integrate con le decisioni che la Commissio- ne europea può prendere a seguito dell’attività di valutazione del rischio svolta in seno all’EFSA.
  • 10. 704 Articoli È stato osservato che la disposizione dell’art. 14.4 contiene elementi di incertezza interpretativa nella misura in cui, fornendo la qualificazione di a- limento dannoso, rinvia ai «probabili effetti immediati e/o a breve termine, e/o a lungo termine dell’alimento sulla salute di una persona che lo consuma, ma anche su quella dei discendenti» ma anche a «probabili effetti tossici cu- mulativi di un alimento» e alla «particolare sensibilità, sotto il profilo della salute, di una specifica categoria di consumatori, nel caso in cui l’alimento sia destinato ad essa». Questi criteri sono stati ritenuti «assolutamente ambigui» e il più delle volte sconosciuti all’operatore alimentare, giungendosi così alla osservazione in forza della quale la diligenza richiesta all’operatore privato andrebbe ben oltre la soglia della prevenzione per sconfinare nel campo della precauzione23. Tale conclusione sconta però dei profili criticabili: in primo luogo i canoni indicati dall’art. 14.4 del regolamento n. 178/2002 paiono più correttamente destinati a fornire la cornice di riferimento alle autorità pubbli- che incaricate del monitoraggio e del controllo dei rischi, anche emergenti, nel consumo alimentare24. I canoni sopra richiamati avrebbero come destina- tari naturali l’EFSA, in sede di valutazione del rischio (cioè nella fase prope- deutica alla definizione dei requisiti che saranno poi specificati dalla normati- va verticale di prodotto), e l’autorità competente del risk treatment a livello nazionale o comunitario. Con riserva di verificare l’affermazione qui esaminata anche dal punto di vista della responsabilità del produttore, la casistica giurisprudenziale consi- glia di ritenere la diligenza richiesta all’operatore privato del settore alimenta- re come rientrante pur sempre nell’alveo della prevenzione, connessa quindi L’inadeguatezza all’uso si stima comparando le caratteristiche dell’alimento rispetto all’uso previ- sto, valutandosene l’inaccettabilità per il consumo umano a seguito di contaminazione dovuta a materiale estraneo o ad altri motivi, o in seguito a putrefazione, deterioramento o decomposizione. Quest’ultima definizione non può non richiamare alla mente alcune ipotesi di reato previste dalla legge n. 283 del 30 aprile 1962 «Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del t.u. delle leggi sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265. Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande» e il dpr n. 327 del 26 marzo 1980 recante il re- golamento di attuazione. Come noto, le violazioni previste come reato da questa legge, ad eccezio- ne degli artt. 5, 6 e 12, sono state trasformate in illeciti amministrativi soggetti alle sanzioni di cui agli artt. 2 (Sanzioni amministrative pecuniarie) e 3 (Sanzioni amministrative accessorie) del dlgvo n. 507 del 30 dicembre 1999. Per una prima introduzione alla depenalizzazione dei reati alimentari, prime note in I. NACCI, Depenalizzazione: la l. n. 205/1999, un passo in avanti nella lunga opera di snellimento del sistema sanzionatorio penale, in Resp. civ. e prev., 2000, 4-5, p. 1203; C. PIERGALLINI, Depenalizzazione e riforma del sistema sanzionatorio nella materia degli alimenti, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2000, 4, p. 1450; O. DI GIOVINE, La nuova legge delega per la depenaliz- zazione dei reati minori tra istanze deflattive e sperimentazione di nuovi modelli, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2000, 4, p. 1407; A. BERNARDI, Il diritto penale tra globalizzazione e multiculturalismo, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2002, p. 485; ID., La difficile integrazione tra diritto comunitario e diritto penale: il caso della disciplina agroalimentare, in Cass. pen., 1996, 3, p. 995. 23 Così F. BRUNO, in La sicurezza alimentare nell’Unione europea, cit. supra, nota 1, sub art. 14, p. 245. Si vuol sin d’ora notare che l’accennata tesi finirebbe per comportare delle interferenze con l’eccezione dei rischi di sviluppo prevista dalla direttiva europea n. 85/374. 24 Sul punto, in particolare. M. P. CHITI, Il rischio sanitario, cit. supra, nota 9, e F. TRIMARCHI, Principio di precauzione, cit. supra, nota 9.
  • 11. Articoli 705 ad uno stato definito e misurabile del rischio, nel quale le conseguenze dell’agire umano sono comunque prevedibili secondo lo stato dell’arte e della scienza proprio di un dato momento storico. Non a caso alla «prevenzione» continua correttamente a far riferimento la giurisprudenza penale in tema di reati alimentari25. Come si vedrà, anche sotto il profilo della responsabilità ci- vile, si dovrebbe giungere a soluzione analoga. L’entrata in vigore del regolamento n. 178/2002, unitamente agli ulteriori interventi legislativi in materia, ha comportato una concentrazione delle com- petenze legislative in capo alle istituzioni comunitarie (Consiglio e Parlamen- to da un lato, Commissione, Comitati in essa costituiti ed Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, dall’altro)26. Ciò non esclude, tuttavia, che gli Stati membri mantengano margini di intervento: il regolamento n. 178/2002, in materia di sicurezza alimentare, è infatti basato sugli artt. 37, 95, 133 e 152, par. 4, lett. b., del Trattato e conseguentemente gli Stati membri possono adottare misure di protezione della salute anche successivamente all’adozione di un atto di armonizzazione comunitaria, ad esempio sospendendo la circola- zione di un alimento a condizione che ciò non costituisca una discriminazione nei confronti dei prodotti di altri Stati membri e che tale provvedimento na- zionale sia notificato alla Commissione27. In secondo luogo, la nuova disciplina igienica degli alimenti demanda alla legislazione nazionale la regolamentazione di numerosi aspetti: è il caso della identificazione dell’autorità competente per i controlli ufficiali sugli alimenti (art. 4 del regolamento n. 882/2004) e la definizione delle «regole in materia di sanzioni» (art. 55 del regolamento n. 882/2004). In terzo luogo, la legisla- zione comunitaria demanda espressamente alla competenza nazionale la di- sciplina delle deroghe a favore delle "piccole attività", escluse dall’applica- 25 Da ultimo, v. sent. Cass. pen., sez. III, sentenza n. 547/08, pubblicata in Alimenta, 2/2008 con riferimento all’applicazione dell’art. 5, lett. g. e art. 6 della l. n. 283/1962 a carico di un distri- butore finale di alimenti contaminati dal Sudan I, colorante non ammesso nelle derrate alimentari: il giudice penale, respingendo il ricorso dell’operatore, ha precisato che «è dovere di chi pone in commercio un prodotto accertarsi che questo non contenga additivi vietati e pericolosi» e che «il rivenditore avrebbe dovuto provvedere al «recall» anche se venuto a conoscenza della pericolosità del "Sudan I", possibilmente contenuto nel peperoncino, in un momento successivo allo smercio del prodotto presso dettaglianti», confermando la costante giurisprudenza in materia di responsabi- lità «con riferimento alla omissione dei controlli e della cautele che gravavano sull’imputato al fine di garantire la corrispondenza del prodotto destinato alla distribuzione, alle norme di legge, ai sensi dell’art. 5 L. n. 283/62» sussistendo esclusione di responsabilità solo allorquando le violazioni con- testate siano dovute a «cause indipendenti dalla sua volontà e, cioè, quando risulti provato che lo stesso ha compiuto quanto era necessario per la osservanza delle norme sicchè la violazione appaia determinata da errore inevitabile, identificabile nella forza maggiore e nel caso fortuito (Cass. n. 5950/97; n. 2556/97), non ricorrenti, nella specie, per il solo fatto che il commerciante indiano dell’additivo chimico in questione avesse rilasciato la dichiarazione 27 maggio 2003, come osser- vato dal giudice di merito». Nel caso de quo il pericolo connesso al consumo del contaminante era noto ben prima della contestazione ed oggetto di specifici provvedimenti nazionali e comunitari di interdizione del relativo commercio e utilizzo nelle derrate alimentari. 26 T. BERNAUER - L. CADUFF, European Food Safety: Multilevel Governance, Re-Nationalization or Centralization?, in CIS (Center for Comparative and International Studies), 3/2004. 27 Cfr. L. COSTATO, Compendio di diritto alimentare, cit. supra, nota 1, p. 27 s. e p. 144.
  • 12. 706 Articoli zione del pacchetto igiene, delle modalità di registrazione e riconoscimento degli stabilimenti, della quantificazione delle tariffe da corrispondere per l’at- tività di controllo ufficiale degli alimenti, della individuazione dei requisiti di accesso dei laboratori di analisi, della stesura e dell’attuazione di un piano nazionale di controllo, delle modalità di formazione del personale del settore. È comprensibile che il rapido succedersi di questo consistente insieme normativo, imperniato su principi e regole in parte divergenti da quelli invalsi a livello italiano, abbia posto sotto pressione gli organi deputati al controllo ufficiale28. Dal punto di vista del diritto interno, l’attuale art. 117 della Costi- tuzione assegna la materia dell’alimentazione e della tutela della salute alla competenza concorrente di Stato e regioni di modo che il primo predispone la normativa di principio mentre le regioni dovrebbero fissare le norme attuati- ve29. In questo assetto "multicentrico", lo strumento di raccordo tra i due livel- li, statale e regionale, è la Conferenza Permanente Stato-Regioni al cui inter- no, infatti, diverse linee guida sono state elaborate con riferimento ai regola- menti n. 852/2004, n. 853/2004, n. 854/2004, n. 882/2004 e n. 2073/2005. Ta- li atti, come noto, non hanno forza di legge ma rappresentano una linea d’indirizzo che le singole regioni s’impegnano a tradurre, ciascuno per le ri- spettive competenze, in atti cogenti. In altri termini la disciplina vigente deve essere desunta, mediante una non facile opera di coordinamento, dall’ordina- mento comunitario, da quello statuale (per quanto riguarda i principi generali) e dalla legislazione regionale30. A livello nazionale, ad esempio, l’applicazione del c.d. pacchetto igiene è stata di fatto paralizzata dal ritardo del legislatore interno nel dare recepimen- 28 Numerose ed autorevoli sono le denuncie di un quadro legislativo nazionale che dai più non si cessa di definire irrazionale. Per tutti E. CASETTA, Infrazioni e sanzioni in materia di etichettatura dei prodotti alimentari, Rimini, Maggioli Editore, 1984, il quale osservava che «auspicare che il legisla- tore provveda con urgenza a dare ad una materia così delicata ed importante, finalmente, una disci- plina chiara, organica e razionale, è null’altro che esprimere una esigenza oramai indilazionabile». 29 Sul tema prime note in: C. PINELLI, I limiti generali della potestà legislativa statale e regio- nale e i rapporti con l’ordinamento comunitario, in AA.VV., Le modifiche del titolo V della parte seconda della Costituzione, in Foro it., 2001, V, c. 194; R. TOSI, La legge costituzionale n. 3/2001: note sparse in tema di potestà legislativa e amministrativa, in Le Regioni, 2001, p. 1240; ID., Ri- forma della riforma, potestà ripartita, interesse nazionale, ivi, 2003, p. 547; G. VERDE, Alcune considerazioni sulla potestà legislativa statale e regionale nel nuovo art. 117 Cost., in Dir. soc. 2002, p. 581; L. MARINI, La Corte costituzionale nel labirinto delle "materie trasversali": dalla sentenza n. 282 alla n. 407/2002, in Giur. cost., 2002, p. 2951; R. FERRARA, Unità dell’ordinamen- to giuridico e principio di sussidiarietà: il punto di vista della Corte Costituzionale, in Foro it., 2004, II, c. 1003. 30 Il principio in parola è ribadito, nella materia igienico-sanitaria, dall’art. 9 del dlgvo n. 193/2007, cit. supra, nota 7, recante la «clausola di cedevolezza» secondo la quale «in relazione a quanto disposto dall’art. 117, quinto comma, della Costituzione e dall’art. 16, comma 3, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, le disposizioni del presente decreto legislativo riguardanti ambiti di compe- tenza legislativa delle regioni e delle province autonome si applicano, nell’esercizio del potere so- stituivo dello Stato e con carattere di cedevolezza, a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della direttiva oggetto del presente decreto legislativo, nelle regioni e nelle provin- ce autonome nelle quali non sia ancora stata adottata la normativa di attuazione regionale o provin- ciale e perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore di quest’ultima, fermi restando i principi fondamentali ai sensi dell’art. 117, comma terzo, della Costituzione».
  • 13. Articoli 707 to alla direttiva n. 2004/41 e nel prevedere le misure di raccordo necessarie per la pratica applicazione dei regolamenti sull’igiene (in primis la designa- zione della autorità competente). Con quasi un anno di ritardo, il già citato dlgvo n. 193/2007 nel predisporre l’adeguamento alle disposizioni comunita- rie in materia d’igiene alimentare, ha individuato come autorità competenti il Ministero della salute, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolza- no e le Aziende unità sanitarie locali, nell’ambito delle rispettive competenze. Inoltre il dlgvo n. 193/2007 ha abrogato l’art. 2 della l. n. 283/1962 sul- l’autorizzazione sanitaria degli stabilimenti alimentari31 al fine di armonizzare l’ordinamento nazionale alle disposizioni comunitarie sul riconoscimento e sul- la registrazione delle imprese alimentari (art. 4 del regolamento n. 853/2004), senza nulla prevedere in ordine alle disposizioni del dpr n. 327/1980 (recante il regolamento attuativo della l. n. 283/1962) che all’istituto della autorizza- zione fanno ancora riferimento. Un secondo insieme di problemi legati all’applicazione della legislazione alimentare risiede sul piano dei rapporti tra diritto penale alimentare e regula- tion comunitaria. Il tema assume contorni interessanti se analizzato con rife- rimento al rischio microbiologico che, insieme a quello chimico, è forse la più temuta criticità nelle operazioni di produzione e commercio di alimenti. Infat- ti mentre per la comunità scientifica la pericolosità di una derrata alimentare non è in funzione della sola e semplice presenza di batteri patogeni, quale ne sia l’entità, sul piano squisitamente penalistico, invece, la presenza di batteri patogeni, accertata nelle forme di legge e con le garanzie del diritto di difesa, può dar luogo ad una pluralità di possibili incriminazioni rispetto alle quali un vasto dibattito dottrinale e giurisprudenziale è, ancora oggi, in corso: l’art. 444 c.p., l’art. 5 nella configurazione contravvenzionale di cui alla lett. c. (su- peramento cariche microbiche ove fissate) o d. (alimenti comunque nocivi) della l. n. 283/1962 e, ancora, il reato di cui alla lett. b. (cattivo stato di con- servazione)32. 31 In tema di autorizzazione sanitaria, prima dell’abrogazione del citato art. 2 della l. n. 283/1967, si veda V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra, nota 1, p. 571. 32 L’art. 444 c.p. punisce «chiunque detiene per il commercio, pone in commercio ovvero di- stribuisce per il consumo sostanze destinate all’alimentazione, non contraffatte né adulterate, ma pericolose alla salute pubblica». Il testo vigente dell’art. 5 della legge n. 283/1962 così è formulato: «È vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari: a. private anche in parte dei propri elementi nutritivi o mescolate a sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale, salvo quanto disposto da leggi e regolamenti speciali; b. in cattivo stato di conservazione; c. con cariche microbiche su- periori ai limiti che saranno stabiliti dal regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali; d. insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a la- vorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione; e. (omissis); f. (o- missis); g. con aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Mini- stro per la sanità o, nel caso che siano stati autorizzati, senza l’osservanza delle norme prescritte per il loro impiego. I decreti di autorizzazione sono soggetti a revisioni annuali; h. che contengano residui di prodotti, usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze ali-
  • 14. 708 Articoli Dal punto di vista della regulation comunitaria, la definizione di «criteri microbiologici», di cui al regolamento n. 2073/200533, è prevista come misura igienica specifica rivolta agli operatori del settore alimentare i quali devono attuare, negli stabilimenti posti sotto il loro controllo (art. 4, lett. a., del rego- lamento n. 852/2004), adeguati piani di campionamento, analisi e valutazione dei risultati relativamente a taluni patogeni34 al fine di dimostrare all’autorità di controllo l’assolvimento degli obblighi previsti in quanto soggetti respon- sabili della sicurezza del prodotto35. Invero, la previsione di limiti di accettabilità della presenza microbiolo- gica non è nuova nella legislazione comunitaria36, ma con il regolamento n. 2073/2005 cambia l’approccio e, non a caso, anche la terminologia: il ter- mine «criterio» indica «una regola per giudicare qualcosa o qualcuno»; il mentari immagazzinate, tossici per l’uomo. Il Ministro per la sanità, con propria ordinanza, stabili- sce per ciascun prodotto, autorizzato all’impiego per tali scopi, i limiti di tolleranza e l’intervallo per tali scopi, i limiti di tolleranza e l’intervallo minimo che deve intercorrere tra l’ultimo tratta- mento e la raccolta e, per le sostanze alimentari immagazzinate tra l’ultimo trattamento e l’immis- sione al consumo». È pacifico che rientri nel campo di applicazione della citata disposizione codi- cistica l’accertamento di cariche microbiche negli alimenti posti o detenuti per la vendita: così in un caso di salmonelle di tipo B in campioni di carne, il giudice penale, accertato il pericolo in con- creto, ha riconosciuto la responsabilità penale ai sensi del citato articolo argomentando che sia «pa- togeno ciò che ha in sé capacità di generare fenomeni morbosi indipendentemente dalla sua entità, ossia dalla sua virulenza, giacché il concetto di patogeno è pur sempre relativo, essendo esso deter- minato da più fattori eziologici che si condizionano a vicenda» (cfr. sent. Cass. pen., sez. I, 13 maggio 1992 in DVD JurisData). Senza dire che l’attenzione del legislatore nazionale sulle contami- nazioni microbiologiche non si arresta alle sole disposizioni del codice penale: la legge speciale in ma- teria, legge n. 283/1962, all’art. 5, lett. c. vieta la produzione e commercializzazione di sostanze ali- mentari con cariche microbiche superiori ai limiti fissati da norme di rango secondario, richiamate dal- la stessa norma. Invero, detti limiti di accettabilità sono stati fissati con riferimento a pochi prodotti (è il caso del latte, prodotti d’uovo, gelati e preparati per gelati) i quali, stante il principio di tassatività delle fattispecie penali (art. 25 Cost.), non possono essere estesi oltre le ipotesi espressamente conside- rate. Sul punto V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra, nota 1, p. 78-102. 33 Regolamento (Ce) n. 2073/2005 della Commissione del 15 novembre 2005 sui criteri micro- biologici applicabili ai prodotti alimentari, in Gu-Ue n. L 338 del 22 dicembre 2001, p. 1 ss. 34 I patogeni disciplinati dal regolamento n. 2073/2005 sono: listeria monocytogenes, salmonel- la spp., enterotossine stafilococciche, enterobacter sakazakii, escherichia coli e istamina. I prodotti rispetto ai quali il regolamento n. 2073/2005 fissa i parametri di accettabilità microbiologica sono: carni e prodotti a base di carne, latte e prodotti lattiero-caseari, prodotti della pesca e altri prodotti ittici, ovoprodotti, frutta, ortaggi e altri vegetali, gelatine e collagene, alimenti pronti per l’infanzia e per fini medici speciali e i "ready to eat" categoria, quest’ultima, di nuova formulazione. 35 Per un approfondimento del tema sul piano della regulation comunitaria, utili riferimenti in European Commission, Discussion paper on strategy for setting microbiological criteria for food- stuffs in Community legislation, SANCO/1252/2001, 8 marzo 2005 e Opinion of the Scientific Panel on Biological Hazards on microbiological criteria and targets based on risk analysis, pub- blicato in The EFSA Journal (2007), 462, 1-29. 36 Prima del 1° gennaio 2006 (data di entrata in vigore del regolamento n. 2073/2005), la Co- munità europea si era attenuta ad un approccio diverso, settoriale, indicando limiti microbiologi ammissibili per specifiche categorie di prodotti (approccio verticale): ad esempio la direttiva n. 89/437/Cee relativa alla salmonella, enterobatteriacee, staphylococcus aureus negli ovoprodotti; la direttiva n. 91/492/Cee in tema di salmonella, coliformi fecali ed escherichia coli nei molluschi bivalvi vivi; la direttiva n. 92/493/Cee sull’istamina nei prodotti freschi, la direttiva n. 92/46/Cee circa la salmonella, listeria monocytogenes, escherichia coli¸ staphylococcus aureus, coliformi nel latte crudo e prodotti a base di latte; la decisione n. 93/51/Cee della Commissione del 15 dicembre 1992 relativa alle cariche microbiche di salmonella, escherichia coli¸ staphylococcus aureus nei crostacei e molluschi cotti.
  • 15. Articoli 709 suo impiego evidenzia che i «criteri» di cui al regolamento n. 2073/2005 sono qualcosa di più di una soglia di accettabilità, come previsto nella nor- mativa precedente. Il principale obbligo dell’operatore privato previsto dal regolamento n. 2073/2005 è relativo alla conformità ai «criteri microbiologici stabiliti dall’al- legato I» il quale annovera due tipologie di conformità: di prodotto («criteri di sicurezza alimentare») e di processo «criteri di igiene di processo»)37. Dal punto di vista pratico, ciò si deve tradurre nell’inserimento nei piani di auto- controllo38 di procedure atte a garantire la conformità tanto dei prodotti ali- mentari quanto del processo produttivo, da parte di ogni operatore del settore alimentare, ivi inclusi, espressamente, quelli operanti nella fase di vendita al dettaglio. Primo dato rilevante, ai fini della corretta definizione degli obblighi pre- visti dal regolamento n. 2073/2005, è la considerazione per la quale i criteri di sicurezza del prodotto attengono all’accettabilità della partita considerata in base ad una dettagliata e motivata valutazione, che compete all’operatore pri- vato, in ordine all’intera durata del periodo di conservabilità (c.d. shelf life) in condizioni ragionevolmente prevedibili di distribuzione, conservazione e uso. Questa affermazione rende ancor più evidente come la progettazione del pro- dotto alimentare sia una fase cui dedicare attenzione e risorse in vista della riduzione di eventuali contestazioni per non conformità. L’autocontrollo igie- nico delle imprese alimentari dunque si completa di specifici obblighi pun- 37 Il regolamento infatti distingue tra «criteri di sicurezza alimentare» (di cui all’allegato 1), de- finiti come «un criterio che definisce l’accettabilità di un prodotto o di una partita di prodotti ali- mentari, applicabile ai prodotti immessi sul mercato» (art. 2, lett. c. del regolamento n. 2073/2005), e i «criteri di igiene del processo» (di cui all’allegato 2), attinenti invece al «funzionamento accet- tabile del processo di produzione»; questi ultimi dunque non si applicano ai prodotti immessi sul mercato, ma riguardano le ipotesi in cui, superati i valori critici indicati, si rendono necessarie delle misure correttive volte a mantenere l’igiene del processo di produzione in ottemperanza alla legi- slazione in materia di prodotti alimentari (art. 2, lett. d. del regolamento n. 2073/2005). 38 Basati sui principi del c.d. HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points - Analisi del pericolo e punti critici di controllo). La metodologia HACCP rappresenta un approccio di tipo preventivo, sistematico e documentato alla sicurezza alimentare attraverso il quale si procede si- stematicamente ad un’analisi dei potenziali pericoli insiti nelle trasformazioni alimentari, identifi- cando i punti di processo in cui i pericoli possono essere tenuti sotto controllo, consentendo così di definire quali di essi risultano determinanti per la salubrità dell’alimento e quindi a presidio della tutela della salute del consumatore. Trattasi di una metodica elaborata negli Stati Uniti e ulterior- mente sviluppata all’interno del Codex Alimentarius, l’organizzazione internazionale che, sotto l’egida congiunta della World Health Organization (WHO) e della Food and Agricolture Organi- zation (FAO), procede alla standardizzazione del commercio alimentare tra gli Stati. Prime indi- cazioni sul metodo HACCP in Codex Alimentarius, Guidelines for application of the Hazard Analysis Critical Control Point (HACCP), Alinorm, Rome 1993; WHO (World Health Organisa- tion), Hazard Analysis Critical Control Point System, Concept and Application, doc. WHO/FNU/FOS/95.7, Rome, 1995 e, pure, European Commission, Health & Consumer Protection Directorate-General, Guidance document on the implementation of procedures based on the HACCP principles, and on the facilitation of the implementation of the HACCP principles in cer- tain food businesses del 16 novembre 2005, disponibile sul sito della Direzione generale "SANCO" accessibile da: www.europa.eu.int. In merito al Codex Alimentarius ed i rapporti con l’ordinamento comunitario: D. BEVILACQUA The Codex Alimentarius Commission and its Influence on European and National Food Policy, in European Food and Feed Law Review, 2006, p. 3.
  • 16. 710 Articoli tualmente disciplinati in ordine alla sicurezza microbiologica. Come in altre parti della legislazione alimentare, anche il regolamento sui criteri microbiologici presenta uno spiccato tasso di elasticità che, nella prati- ca, si traduce spesso in motivi di difficoltà applicativa. A titolo d’esempio, si prenda in esame l’allegato I, del regolamento n. 2073/2005, cap. 1 (criteri di sicurezza alimentare), in particolare il punto 1.2 relativo agli alimenti pronti che costituiscono terreno favorevole alla crescita di L. monocytogenes (ali- menti diversi da quelli destinati ai lattanti e a fini medici speciali)39. In tali ca- si, il limite di tolleranza è di 100 unità formanti colonia per grammo (ufc/g): come chiaramente posto in evidenza nell’allegato I, il limite in questione tro- verà applicazione solo se il produttore è in grado di dimostrare, «con soddi- sfazione dell’Autorità competente», che il prodotto non supererà il limite di 100 ufc/g durante il periodo di conservabilità. In altri termini i criteri di sicu- rezza non sono valori assoluti ma dipendono da una valutazione complessiva della situazione concreta. Ciò conferma che la flessibilità, propria di molte di- sposizioni igienico-sanitarie, richiede un confronto scientificamente fondato tra l’operatore privato e il controllo ufficiale. Risulta infatti evidente che il fattore condizionante la conformità non può più essere solo il rispetto del va- lore numerico ma la "condivisione" della Autorità sanitaria al fine di validare la correttezza del processo produttivo e del prodotto dal punto di vista micro- biologico o, più in generale, dal punto di vista del raggiungimento degli ob- biettivi di sicurezza alimentare fissati dalla legislazione alimentare. Non si può quindi escludere che nel caso di valutazione negativa da parte delle Autorità sanitarie (non condivisione), la presenza di Listeria anche in valori inferiori a 100 ufc/g, potrebbe legittimare l’Autorità sanitaria a proce- dere alla segnalazione all’autorità giudiziaria in base ad una delle disposizioni penali già indicate. Più problematico risulta il coordinamento tra il mancato rispetto dei criteri di processo (allegato II del regolamento n. 2073/2005) e le ipotesi penali di cui all’art. 5, lett. b. o d. della legge n. 283/196240. Il dlgvo n. 193/2007 nel sanzionare, all’art. 6, commi 7, 8 e 9 la mancata, inesatta o ina- deguata applicazione (anche) del regolamento n. 2073/2005 non fornisce al- cun elemento per stabilire se la conformità dei risultati ai criteri di processo fissati dal regolamento escluda tout court l’applicazione delle norme penali codicistiche o di leggi speciali (ad esempio, l’art. 5, l. n. 283/1962). La que- stione può essere affrontata partendo dalla considerazione che rispetto ai cri- teri disciplinati dal regolamento n. 2073/2005 sia stata attuata un’armonizza- 39 Con specifico riferimento ai prodotti ready to eat, il Ministero della salute italiano, di concerto con le regioni, ha precisato che tali prodotti, allorquando siano definibili «deteriorabili» ai sensi della disciplina interna, devono essere qualificati dal controllo ufficiale come terreno favorevole alla cresci- ta della listeria, salva la prova contraria da parte dell’operatore del settore alimentare. 40 Per una riflessione sui rapporti tra diritto penale alimentare e nuova disciplina comunitaria V. PACILEO, La genuinità alimentare, in F. AVERSANO - V. PACILEO, Prodotti alimentari e legisla- zione¸ Bologna, Edagricole, 2006, p. 155-162.
  • 17. Articoli 711 zione totale a livello comunitario. In secondo luogo si deve precisare che la normativa nazionale non in contrasto con il diritto comunitario è ancora in vi- gore, anche se applicabile solo agli alimenti di produzione nazionale. In parti- colare la legge n. 283/1962 ed il suo Regolamento di attuazione (dpr n. 327/1980) sono da ritenersi in vigore per gli aspetti non contrastanti la nuova normativa e, conseguentemente, si ritiene che siano vigenti le procedure di campionamento ed analisi sulle sostanze alimentari eseguite ai sensi della legge n. 283/1962 e del dpr n. 327/80, con garanzia di contraddittorio e diritto alla revisione delle analisi. Alla luce di questi dati apparirebbe condivisibile la tesi in base alla quale la configurabilità di responsabilità penale non può dirsi certamente esclusa anche quando le cariche microbiche previste come criterio di processo dal regolamento n. 2073/2005 non siano state nel concreto superate: il giudice e i suoi periti potrebbero contestare l’ipotesi del cattivo stato di conservazione (art. 5, lett. b.) o, secondo alcuni, anche l’ipotesi di a- limento «comunque nocivo» ai sensi dell’art. 5, lett. d.41. Il tema, decisamente articolato, richiederà in ogni caso una attenta valutazione della normativa pe- nale italiana alla luce della preminente disciplina e dei principi comunitari ed esigerà una impegnativa motivazione sulla ricorrenza dei presupposti di ap- plicazione delle disposizioni nazionali alla luce della armonizzazione comuni- taria operata ex regolamento n. 2073/200542. Dal punto di vista degli obblighi gravanti sull’operatore privato si deve in primo luogo osservare che, certamente, le norme comunitarie ampliano i do- veri di sicurezza ben oltre la fase in cui il prodotto è sotto il controllo del pro- duttore: chiaro è in tal senso l’art. 19 del regolamento n. 178/2002 ai sensi del quale nel caso in cui un operatore del settore alimentare «ritiene o ha motivo di ritenere che un alimento da lui importato, prodotto, trasformato, lavorato o distribuito non sia conforme ai requisiti di sicurezza degli alimenti, e l’ali- mento non si trova più sotto il controllo immediato di tale operatore del setto- re alimentare»43, deve avviare immediatamente procedure per ritirare il lotto o la partita non conforme ed informarne le autorità competenti44. Inoltre se il 41 Per ulteriori approfondimenti si veda C. CORRERA, La difesa del consumatore dalle frodi in commercio, Milano, Giuffrè, 2002. 42 Per ulteriori approfondimenti si veda: L. COSTATO, Compendio di diritto alimentare, cit. su- pra, nota 1, p. 335-360. Per i profili di responsabilità penale, connessa al superamento dei limiti di tolleranza previsti dalla legislazione alimentare, si veda: V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra, nota 1, p. 129 ss.; V. PAONE, La responsabilità del rivenditore di alimenti deperibili, in Foro it., 1998, II, c. 156 e D. PISANELLO, Aspetti di conformità legale ai criteri microbiologici. Rischio micro- biologico e profili di responsabilità penale con particolare riferimento ai prodotti ready to eat, in AA.VV., Cibi pronti (Supplemento n. 1 a Ingegneria alimentare - Le carni), Ecod, San Vittore Olo- na, 2008. 43 Cfr. art. 19 del regolamento n. 178/2002. Con riferimento agli obblighi ivi previsti si ritiene corretto l’uso della espressione "azioni di crisis management" per sottolineare una della novità del regolamento sulla sicurezza alimentare relativa alla gestione delle crisi da parte degli operatori del settore, pubblici e privati. Sul punto sia consentito rinviare a D. PISANELLO, La disciplina sanziona- toria, cit. supra, nota 15. 44 Sul connesso tema dell’auto-denuncia e del nemo tenetur se detegere, V. PACILEO, Il diritto
  • 18. 712 Articoli prodotto pericoloso può essere arrivato al consumatore, si devono informare i consumatori, in maniera efficace e accurata, del motivo del ritiro e, se necessa- rio, si devono richiamare i prodotti già forniti ai consumatori quando altre misu- re siano insufficienti a conseguire un livello elevato di tutela della salute45. I termini rigorosi coi quali il legislatore del 2002 si è interessato dell’ana- lisi del rischio e l’assegnazione del ruolo di principale responsabile della sicu- rezza alimentare all’operatore privato autorizzano un’ulteriore riflessione sul versante degli obblighi di sicurezza imposti alle imprese alimentari. Si può infatti osservare che mentre nella direttiva n. 93/43 l’inserzione obbligatoria di metodologie basate sull’analisi del rischio era concepita come riferita principalmente al processo produttivo, con eccezionali riferimenti alla funzione di gestione di situazioni di crisi alimentare, il regolamento n. 178/2002, sia nella parte generale (art. 6), sia nelle disposizioni di cui agli artt. 50 ss. (sub Capo IV, Sistema di allarme rapido, gestione delle crisi e si- tuazioni di emergenza) e, in maniera riflessa, nella sezione relativa agli obbli- degli alimenti, cit. supra, nota 1, p. 421-425 e G. DURAZZO, Autocontrollo nelle aziende alimentari e diritto di difesa, Roma, Libreria giuridica, 1995, p. 63-70. In questa sede si precisa che, in base all’art. 14.6 del regolamento n. 178/2002, «se un alimento a rischio fa parte di una partita, lotto o consegna di alimenti della stessa classe o descrizione, si presume che tutti gli alimenti contenuti in quella partita, lotto o consegna siano a rischio a meno che, a seguito di una valutazione approfondita, risulti infondato ritenere che il resto della partita, lotto o consegna sia a rischio». Questa disposizione appare idonea, ben più che l’obbligo generale di rintracciabilità, a sensibilizzare i destinatari delle connesse sanzioni (operatori alimentari) ad una implementazione oculata e ragionata della funzione di tracciamento delle sostanze alimentari, sperando così di ridurre il "rischio" di un eventuale prov- vedimento di sequestro da parte dell’autorità di controllo o, con maggior precisione, la estensione dello stesso. 45 Cfr. art. 19.1 del regolamento n. 178/2002. Stando al dettato dell’art. 19, il presupposto per la sussistenza dei tre distinti obblighi (ritiro/richiamo, notizia all’autorità competente, comunicazione del rischio al consumatore) è che sia riscontrata una «non conformità ai requisiti di sicurezza». La circostanza che questo articolo contenga un generico riferimento ai «requisiti di sicurezza» e non, come invece altre fonti di legge, ad un «pericolo grave» per la salute umana, pone il quesito se gli obblighi da esso previsti siano da ritenere sussistenti in tutti i casi di «non conformità» anche lad- dove quest’ultima non comporti l’insorgenza di un pericolo diretto per la salute. Ci si chiede, ad esempio, se integrino la mancanza di sicurezza, cui conseguono gli obblighi dell’art. 19 del rego- lamento n. 178/2002 e le sanzioni già ricordate, le carenze informative relative alla presenza di un ingrediente con potenzialità allergeniche di cui all’allegato II sez. III del dlgvo n. 109/1992, come modificato da dlgvo n. 114 dell’8 febbraio 2006, in Guri n. 69 del 23 marzo 2006. Anche se una lettura superficiale dell’art. 19 del regolamento n. 178/2002 e, in parallelo, degli artt. 3 e 4 del dlgvo n. 190/2006, potrebbe prestarsi a favore della soluzione affermativa, per una interpretazione restrittiva possono rilevarsi decisivi altri indici: ad esempio, l’art. 53 del regolamento n. 178/2002, in tema di misure che l’autorità pubblica deve prendere rispetto a situazioni di emergenza (sanita- ria), si riferisce ad ipotesi che «possono comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l’ambiente». A livello nazionale, poi, l’Intesa Stato-Regioni in tema di gestione operativa del sistema di allerta rapida per gli alimenti destinati al consumo umano del 15 dicembre 2005, che costituisce l’implementazione in diritto italiano del Capo IV (Sistema di allarme rapido, gestione delle crisi e situazioni di emergenza) del regolamento n. 178/2002, distingue tra «situazio- ni di allerta» che si riscontrano a fronte della presenza in commercio di alimenti che rappresentano un «grave rischio» per la salute del consumatore e nelle quali è richiesto un intervento immediato, e «situazioni di non conformità» nelle quali, per le particolarità del caso specifico, non si configura un immediato rischio sanitario e, pertanto, si attiva una procedura diversa dall’allerta (segnalazione di non conformità di cui all’allegato "E" dell’accordo del 15 dicembre 2005). Da ultimo, il citato regolamento n. 2073/2005 in tema di prodotti microbiologicamente non conformi prescrive, all’art. 7, una dettagliata disciplina del product-recall, autorizzando forme di riqualificazione dello stesso, sotto il controllo dell’Autorità competente.
  • 19. Articoli 713 ghi di sicurezza gravanti sull’impresa (artt. 14-20), richiede lo sviluppo di un savoir faire inerente la gestione del rischio e della «crisi»46. Dalla lettura degli articoli sopramenzionati infatti è lecito desumere una direttrice verso lo svi- luppo di metodologie di crisis management interessanti in primo luogo l’auto- rità pubblica ma anche, seppure in termini meno stringenti, l’operatore eco- nomico47. Con riferimento all’amministrazione pubblica, comunitaria e nazionale, l’orientamento alla gestione delle crisi sanitarie si è tradotto, in attuazione dei criteri previsti agli artt. 50 ss. del regolamento n. 178/2002 nella predisposizio- ne di piani di emergenza operanti tanto a livello comunitario che nazionale48. Quanto all’operatore privato, invece, nessuna disposizione del regolamen- to sulla sicurezza alimentare n. 178/2002, né del c.d. pacchetto igiene, esige imperativamente un crisis management plan, cioè di un piano che identifichi chi debba fare cosa, con quali modalità e tempistiche e con quali obbiettivi (le cinque "q": qui, quid, quomodo, quando e quoniam)49. Tuttavia non si può tra- 46 Per «crisi alimentare» si intende in questa sede la presenza nel circuito commerciale di un a- limento che, non rispettando i requisiti di sicurezza posti dalla legislazione alimentare, pone un ri- schio per la salute pubblica (rischio sanitario). Dal punto di vista aziendale, la definizione di «crisi» può individuarsi in quelle situazioni in cui, in ragione d’eventi prevedibili e non voluti (ad esempio contaminazione microbiologica) ovvero imprevedibili e non voluti (ad esempio sabotaggio alimen- tare), l’attività d’impresa si discosta dal continuity business plan con una variazione di segno nega- tivo e con ripercussioni economiche di varia natura e gravità, esponendo l’impresa a profili di re- sponsabilità di natura civile, penale o amministrativa. 47 Gli obblighi di sicurezza di cui agli artt. 14-20 del regolamento n. 178/2002 costituiscono la trasposizione di alcuni elementi metodologici del risk management, disciplina questa che ha diver- se declinazioni in funzione degli obbiettivi posti (assicurativi, gestionali, etc.). In questa sede, la disciplina di riferimento è desunta dallo studio della norma AS/NZS 4369:99 di Australian Stan- dards, integrato con specifici e pertinenti elementi di analisi del «rischio alimentare». Sul risk a- nalysis all’interno della regulation A. ALEMANNO, Trade in Food, cit. supra, nota 1, p. 73-147. Sul ruolo del risk management nella conduzione legale d’azienda: A. BORGHESI, La gestione dei rischi di azienda. Economia e organizzazione, teoria e pratica, Padova, Cedam, 1985; AA.VV., Product Liability in Europe, a practical guide for Industry, a cura di Orgalime Legal Affaire Committee, Bruxelles, Orgalime, 1993 e G. CLERICO, Attività economica e rischio di danno. Come la struttura del capitale e la priorità di rivalsa sul capitale sociale influenzano la precauzione dell’impresa, in Riv. crit. dir. priv., 2000, p. 71-106. 48 Le disposizioni del Capo IV del regolamento n. 178/2002 sono state oggetto della «Intesa, ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Ministero della salute, le regioni e le province autonome sulle linee guida per la gestione operativa del sistema di allerta per alimenti de- stinati al consumo umano (Accordo rep. N. 2395)» (provvedimento del 15 dicembre 2005, in Guri del 12 gennaio 2006) recentemente modificate con la firma della «Intesa, ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Ministero della salute, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sulla proposta del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali di modifica dell’Intesa 15 dicembre 2005 (Rep. atti n. 2395) recante "Linee guida per la gestione operati- va del sistema di allerta per alimenti destinati al consumo umano" (rep. atti n. 204/82 del 13 novembre 2008». 49 L’art. 18 del regolamento n. 178/2002, tuttavia, richiede una procedura, dunque di un piano do- cumentato, operativo e aggiornato a livello aziendale, relativo alla rintracciabilità che rappresenta un elemento costituivo della gestione delle crisi alimentari, come definite sub. nota 59. L’obbligo comu- nitario è assistito dalle sanzioni amministrative previste dal dlgvo n. 190 del 5 aprile 2006 recante «Di- sciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni di cui al Regolamento (Ce) n. 178/2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare», in Guri n. 118 del 23 maggio 2006, su cui D. PISANELLO, La disciplina sanzionatoria, cit. supra, nota 15.
  • 20. 714 Articoli scurare la previsione dell’obbligo di ritiro, obbligo che deve essere adempiuto in modo tempestivo, e l’art. 18 del regolamento n. 178/2002 il quale richiede puntualmente una procedura, dunque di un piano documentato, operativo e aggiornato a livello aziendale, relativo alla rintracciabilità dei prodotti alimen- tari, la cui funzione è precisamente quella di consentire ritiri mirati dei pro- dotti alimentari a rischio50. In limine può anche valere la considerazione se- condo cui la transizione della food policy europea verso un approccio di risk management, inclusivo anche della gestione del rischio e della sua comunica- zione, fornisca la cornice di riferimento anche per la organizzazione aziendale dell’impresa alimentare. Pertanto, sebbene allo stato attuale non sembra sussistere un obbligo di predisporre un piano della crisi, è indubbio che la posizione di garanzia dell’operatore privato dovrebbe comportare un’attenzione specifica sulla ge- stione delle crisi alimentari. Gli obblighi di sicurezza previsti dalla legislazione alimentare sono carat- terizzati da una pronunciata vis attractiva verso l’«intera catena alimentare», applicandosi gli obblighi di sicurezza anche alla produzione di mangimi ed alla produzione agricola51. In realtà, anche alla luce del pacchetto igiene, i produttori agricoli continuano a godere – almeno formalmente52 – di quel re- gime di esenzione già in vigore con la direttiva n. 93/43/Cee sull’igiene dei pro- dotti alimentari53, con la quale era fatto obbligo alle imprese del settore alimen- tare, operanti nelle fasi successive alla produzione primaria54, di individuare nelle loro attività ogni fase che avrebbe potuto rivelarsi critica per la sicurez- 50 È noto che la rintracciabilità abbia principalmente, se non esclusivamente, una valenza di si- curezza alimentare. In dottrina si ritiene che la rintracciabilità svolga anche una funzione commer- ciale. Sul punto F. AVERSANO, La rintracciabilità: trasparenza della filiera e sicurezza del consu- matore, in F. AVERSANO - V. PACILEO, Prodotti alimentari, cit. supra, nota 40, p. 37. 51 Cfr. considerando n. 12 del regolamento n. 178/2002 secondo cui «per garantire la sicurezza degli alimenti occorre considerare tutti gli aspetti della catena di produzione alimentare come un unico processo, a partire dalla produzione primaria». Si osservi anche che, per il considerando n. 8 del regolamento n. 852/2004, «per garantire la sicurezza degli alimenti dal luogo di produzione pri- maria al punto di commercializzazione o esportazione occorre una strategia integrata» e che, conse- guentemente «ogni operatore del settore alimentare lungo la catena alimentare dovrebbe garantire che tale sicurezza non sia compromessa». 52 È stato autorevolmente segnalato che, pur persistendo l’esenzione della produzione primaria e delle operazioni connesse dal rispetto degli obblighi di HACCP, anche l’imprenditore agricolo vi sia di fatto tenuto in forza di vincoli contrattuali. In tal senso L. COSTATO, Compendio di diritto alimentare, cit. supra, nota 1, p. 413. 53 Direttiva n. 93/43/Cee del Consiglio del 14 giugno 1993 sull’igiene dei prodotti alimentari, in Guce n. L 175 del 19 luglio 1993, abrogata dall’art. 17 del regolamento n. 852/2004, cit. supra, nota 7. Per il recepimento italiano della direttiva si veda il dlgvo n. 155 del 26 maggio 1997, «At- tuazione delle direttive n. 93/43/Cee e n. 96/3/Ce concernenti l’igiene dei prodotti alimentari» a- brogato dall’art. 3 del dlgvo n. 193/2007. In tema di autocontrollo igienico: L. COSTATO, Compen- dio di diritto alimentare, cit. supra, nota 1, p. 413, V. PACILEO, Il diritto degli alimenti, cit. supra, nota 1, p. 406 e G. DURAZZO, Autocontrollo nelle aziende alimentari, cit. supra, nota 44. 54 In base all’art. 2 della direttiva n. 93/43 era da intendersi per produzione primaria: la raccolta, la macellazione e la mungitura. Sul punto: L. COSTATO, Compendio di diritto alimentare, loc. cit., p. 426 ss.; ID., L’agricoltura e il nuovo regolamento sull’igiene delle produzioni alimentari, in Dir. e giur. agr. e amb., 2004, p. 735 ss.
  • 21. Articoli 715 za degli alimenti e di garantire che fossero individuate, applicate, mantenute e aggiornate le opportune procedure di sicurezza avvalendosi dei principi del sistema HACCP55. Nonostante l’indirizzo espansivo professato dal regolamento sulla sicu- rezza alimentare, l’eccezione agricola persiste, atteso che nei regolamenti n. 852/2004 e n. 853/2004 gli operatori della produzione primaria e delle «ope- razioni connesse»56 continuano a beneficiare di un trattamento diversificato che, lungi dall’uniformare la disciplina giuridica, prevede un’applicazione parziale di alcuni requisiti legali in materia di igiene e, nella specie, quelli in- dicati sub parte A dell’allegato I del regolamento n. 852/2004 e, nel caso di produzioni animali, dei requisiti specifici previsti dal regolamento n. 853/200457. Non si tratta dunque di un’estensione tout court del sistema di analisi del rischio basato sulla metodologia HACCP, obbligatoria per tutti gli (altri) operatori alimentari, applicazione che la stessa Comunità giudica, quanto al settore agricolo, «non ancora praticabile»58. L’estensione di un approccio preventivo di risk analysis, se effettivamen- te realizzata in modo uniforme lungo tutta la catena alimentare (dalla produ- zione primaria sino al consumatore), avrebbe armonizzato la legislazione ali- mentare alla disciplina europea sulla responsabilità civile da prodotto difetto- so (direttiva n. 85/374/Cee)59 che, a seguito della modifica di cui alla direttiva 55 Cfr. art. 3.2 della direttiva n. 93/43, abrogata con effetto dal 1° gennaio 2006. 56 La nozione di «attività connessa», parificata a quella primaria per quanto attiene alla partico- lare applicazione delle norme sull’igiene, si trova indicata all’allegato I, Parte A del regolamento n. 852/2004 ed è rinvenibile con riferimento alle operazioni di: a. il trasporto, il magazzinaggio e la manipolazione di prodotti primari sul luogo di produzione, a condizione che ciò non alteri sostan- zialmente la loro natura; b. il trasporto di animali vivi, ove necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente regolamento; c. in caso di prodotti di origine vegetale, prodotti della pesca e della caccia, le operazioni di trasporto per la consegna di prodotti primari, la cui natura non sia an- cora stata sostanzialmente modificata, dal luogo di produzione ad uno stabilimento. 57 Cfr. art. 4 del regolamento n. 852/2004, loc. cit. Gli operatori della fase primaria e delle fasi connesse dovranno pertanto "assicurare", cioè dimostrare in sede di controllo ufficiale, che i pro- dotti sono «protetti da contaminazioni» e che nel processo produttivo si «tiene conto di tutte le tra- sformazioni successive cui saranno soggetti i prodotti primari», ponendo cura al «rispetto di tutte le pertinenti disposizioni legislative comunitarie e nazionali relative al controllo dei rischi della pro- duzione primaria e nelle operazioni associate, quali le misure di controllo della contaminazione derivante dall’aria, dal suolo, dall’acqua, dai mangimi, dai fertilizzanti, dai medicinali veterinari, dai prodotti fitosanitari e dai biocidi, nonché il magazzinaggio, la gestione e l’eliminazione dei ri- fiuti, programmi per il monitoraggio e il controllo delle zoonosi e degli agenti zoonotici». 58 Cfr. considerando n. 11 del regolamento n. 852/2004 secondo cui «l’applicazione dei principi del sistema dell’analisi dei pericoli e dei punti critici di controllo (HACCP) alla produzione primaria non è ancora praticabile su base generalizzata». A suggerire che questo assetto sia frutto della persi- stente eccezione agricola lo dimostra l’assenza di un termine temporale entro cui introdurre l’applicazione generalizzata degli obblighi di sicurezza. Il considerando n. 14 del regolamento n. 852/2004, ad esempio, si limita a rinviare il riesame della questione alla luce dello "studio di fatti- bilità" della eventuale estensione del sistema HACCP anche alla produzione primaria. Si osservi, quanto all’ordinamento italiano, che le sanzioni pecuniarie previste, dall’art. 6, comma 4, dlgvo n. 193/2007, sono esattamente la metà di quelle comminabili agli altri operatori professionali per le stesse violazioni. 59 Recepita nel nostro ordinamento con dpr n. 224 del 24 maggio 1988 «Attuazione della diretti- va Cee numero 85/374 relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e ammi- nistrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ai sensi
  • 22. 716 Articoli n. 1999/34/Ce, trova applicazione anche con riferimento ai prodotti agricoli del suolo e a quelli dell’allevamento, della pesca e della caccia, che non ab- biano subito trasformazioni60. Che gli obblighi di sicurezza alimentare, di cui ai regolamenti n. 178/2002, n. 852/2004 e n. 853/2004, non siano identici per tutti i diversi o- peratori della filiera61 trova conferma rispetto al ruolo assegnato al «distribu- tore finale» di un prodotto alimentare o di un mangime: il regolamento n. 178/2002 prevede infatti un trattamento giuridico parzialmente differente in ragione, si afferma, del diverso impatto dell’attività distributiva sulla gestione della sicurezza alimentare. Posto che l’attività di «commercio al dettaglio»62 rientra sicuramente nel campo di applicazione del regolamento n. 178/2002, gli obblighi di sicurezza alimentare previsti dagli artt. 14-20 si applicano nei dell’art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183». La disciplina della responsabilità per danno da pro- dotto difettoso, modificata dal dlgvo n. 25 del 2 febbraio 2001, attuazione della direttiva n. 1999/34, è oggi confluita nel dlgvo n. 206 del 6 settembre 2005, «Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229», sub Titolo II della Parte IV, artt. 114-127. 60 Sull’estensione del regime di responsabilità civile per danno da prodotto difettoso anche ai prodotti agricoli: A. GERMANÒ, La responsabilità del produttore agricolo e principio di precauzio- ne, in L. COSTATO (a cura di), Trattato breve di diritto agrario italiano e comunitario, Padova, Ce- dam, 2003, p. 743-750; G. PONZANELLI, Estensione della responsabilità oggettiva anche all’agri- coltore, all’allevatore, al pescatore e al cacciatore, in Danno e resp., 2001, p. 792 e C. MARTO- RANA, La responsabilità per prodotti agricoli difettosi, in Riv. dir. agr., 1992, I, p. 400. 61 Il termine «filiera» può definirsi come l’insieme, organizzato e coordinato, di attività econo- miche finalizzate alla commercializzazione di un prodotto finito. 62 Per il regolamento n. 178/2002, art. 3, n. 7, il «commercio al dettaglio» è «la movimentazione e/o trasformazione degli alimenti e lo stoccaggio nel punto di vendita o di consegna al consumatore finale, compresi i terminali di distribuzione, gli esercizi di ristorazione, le mense di aziende e istituzio- ni, i ristoranti e altre strutture di ristorazione analoghe, i negozi, i centri di distribuzione per supermer- cati e i punti di vendita all’ingrosso». Definizione in parte diversa è prevista dalla legge italiana, a mente della quale dovrebbe invece intendersi «l’attività svolta da chiunque professional-mente ac- quista merci in nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale» (cfr. art. 4, lett. b., dlgvo n. 114/1998 recante «Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’art. 4, comma 4, della l. 15 marzo 1997, n. 59»). La definizione dell’art. 3, n. 7 del regolamento n. 178/2002 è stata criticata in quanto eccessivamente ampia e in parte contraddittoria, includendo non solo le attività consistenti in «handling and/or processing of food and its storage at the point of sale or delivery to the final consumer» ma, anche, «distribution terminals, catering operations, factory canteens, institutional catering, restaurants and other similar food service operations, shops, supermarket distribution centres and wholesale outlets». Al riguardo la Commissione, nella lineaguida al regolamento n. 853/2004, ha sostenuto una lettura secondo cui «the interpretation of the term "retail" should only take into account the first – unequivocal – part of the definition (contrary to the legal text as in force). However, there is no point in attempting to correct a defective legal provision by way of a recommendation con- tained in a guidance document, because when it comes to the crunch the (entire) binding text of the Regulation as such will always prevail». L’evidenziata contraddittorietà della definizione, cui la li- nee-guida della Commissione non può porre rimedio definitivo, è cruciale in quanto, si è sostenuto, «The lack of a distinction between retail trade and wholesale trade and food production is a central shortcoming of the new legislation on food safety since the scope of application of numerous legal provisions – e.g. of Regulations (EC) Nos. 853/2004 and 854/2004 (EC, 2004b and 2004c) – depends on whether or not the retail trade is involved. This means that the term "retail" governs which legal provisions have to be observed by a food business, whether an establishment requires an approval or only has to be registered, and in many cases which authority is competent for official controls (veteri- nary authority or food inspectors)». Per queste considerazioni R. RIEDL - C. RIEDL, Shortcomings of the new European Food Hygiene Legislation from the Viewpoint of a Competent Authority, in European Food and Feed Law Review, 2/2008, p. 64.