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Matteo Lancini
Malessere a scuola: tra compiti
 scolastici e compiti evolutivi
Focalizzare l’attenzione sul benessere e sul malessere in ambito scolastico è
un’esigenza fondamentale e un compito irrinunciabile per gli adulti impegnati
a presidiare il processo di crescita, socializzazione e acculturazione degli
adolescenti. Si tratta di un impegno ormai inevitabile a causa di diverse
motivazioni, tra le quali due di particolare importanza. La prima riguarda le
norme legislative in materia, le quali prevedono un compito istituzionale
scolastico focalizzato anche sul versante della prevenzione del disagio
giovanile. La seconda si riferisce alla stretta correlazione esistente tra benessere
scolastico e rendimento scolastico. Due elementi in relazione circolare tra loro,
che interagiscono e si influenzano continuamente e reciprocamente.
In questo quadro la qualità del clima di lavoro nel quale si svolge la
quotidianità scolastica degli adolescenti si delinea come fattore di primaria
importanza nel determinare il buon andamento del processo di apprendimento
dei ragazzi. Appare ormai evidente che se si vive bene a scuola è più facile
riuscire ad andare bene a scuola, è più facile apprendere, è più facile imparare.
Anche se una buona qualità del clima di lavoro all’interno dell’istituzione
scolastica non determina necessariamente la buona riuscita della carriera
scolastica dell’individuo, e non può essere dunque indicata come condizione
sufficiente a garantire una lineare realizzazione del percorso formativo dello
studente.
Il problema principale del sistema scolastico italiano riguarda l’elevata presenza
di percorsi formativi non lineari, caratterizzati cioè da qualche forma di
insuccesso. La carriera formativa dello studente italiano è spesso accidentata,
contraddistinta da irregolarità. Se per carriera formativa irregolare e accidentata
intendiamo un percorso scolastico e universitario caratterizzato da almeno uno
dei seguenti avvenimenti- abbandono degli studi, interruzione prolungata degli
studi, trasferimento, ripetenza- ci troviamo di fronte ad un fenomeno che
riguarda quasi la metà dei giovani italiani (44,9%: quarto rapporto Iard sulla
condizione giovanile in Italia). Inoltre la dispersione scolastica sul territorio
nazionale italiano appare un fenomeno tendenzialmente più elevato rispetto a
quello di altre nazioni europee e le più recenti indagini mettono in luce che
circa un terzo (30%: quarto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia)
degli individui di età superiore ai venti anni non ha mai terminato un ciclo di
istruzione secondaria superiore.
Ferma restando la tendenza generale che vede le ragazze andare meglio a
scuola rispetto ai loro coetanei di sesso maschile e una più diffusa
scolarizzazione dei ragazzi provenienti da condizioni socio-economiche e
culturali più elevate, appare sempre più evidente la necessità di sviluppare la
capacità di meglio comprendere i fattori che determinano il problema della
dispersione e della ripetenza scolastica. Gli studi e i dati sociologici, pur se
illuminanti rispetto ad alcuni fattori, non sembrano infatti in grado di disvelare
i significati profondi che si celano dietro il malessere scolastico di molti ragazzi
in età adolescenziale. Un malessere e un basso rendimento scolastico che
riguardano, in modo trasversale, ragazzi di entrambi i sessi e di diversa
provenienza socio-economica e culturale.
I ragazzi, come emerge da diverse recenti ricerche, sembrano soffrire più come
adolescenti che come studenti, ed è questa sofferenza evolutiva, riferibile alla
realizzazione dei compiti fase specifici adolescenziali, che si riversa sui compiti
scolastici e sul processo di apprendimento. Tutto ciò richiede alla scuola e a chi
è impegnato nell’istituzione scolastica una sempre più approfondita e
aggiornata conoscenza e competenza sul significato e sulle caratteristiche di
questa sofferenza adolescenziale. Si tratta di una difficoltà fase specifica,
strettamente correlata alla profonda trasformazione dell’ideologia affettiva in
atto durante il periodo di crescita adolescenziale. Una fatica evolutiva che
quando si innesta in un clima relazionale e istituzionale scolastico inadatto, o
comunque incapace di organizzare percorsi e obiettivi formativi adeguati e
risposte educative appropriate, può dar vita a blocchi dell’apprendimento e del
rendimento scolastico, determinando fenomeni quali la ripetenza e la
dispersione. Eventi che possono acuire il dolore mentale del soggetto
adolescente, provocare in lui una ferita narcisistica, contribuire ad un processo
di mortificazione del Sé e favorire, di conseguenza, fenomeni di disagio e
devianza giovanile, se non addirittura condotte suicidali, allorché l’insuccesso
scolastico rappresenti un ulteriore trauma che si inserisce in una condizione
compromessa da altre vicissitudini e da ferite più profonde.
Nell’ambito delle numerose ricerche svolte dal Minotauro nel corso degli ultimi
anni ce ne sono alcune realizzate con l’obiettivo specifico di individuare le
cause e le espressioni del disagio giovanile in ambito scolastico, i motivi
dell’insuccesso cognitivo, e la loro correlazione con la dimensione affettiva e
relazionale del soggetto adolescente. Gli esiti di queste indagini e le esperienze
quotidianamente svolte in qualità di psicologi o psicopedagogisti impegnati
all’interno delle istituzioni scolastiche rilevano, innanzitutto, una dimensione
decisamente meno conflittuale della relazione che l’adolescente intrattiene con
il contesto scolastico e con gli adulti che lo presidiano. Lontani gli anni della
contestazione alla scuola come luogo di riproduzione del sapere e della cultura
borghese di regime, attualmente prevale una situazione di bassa tensione
conflittuale nei riguardi dei valori e degli insegnamenti proposti in ambito
scolastico e verso coloro che li promuovono. Si tratta di una condizione
sintonica e conforme a quanto sta avvenendo anche fuori dalle classi e dagli
istituti scolastici. In genere, il clima relazionale tra mondo adolescenziale e
mondo adulto è infatti orientato in senso decisamente più pacifico rispetto ai
periodi precedenti. La diffusione di alcune mode ed espressioni giovanili, in
passato cariche di messaggi trasgressivi, sembra non rivestire, se non
blandamente, significati provocatori o di protesta verso il mondo adulto. Lo
stesso nucleo familiare attuale, nel quale la dimensione affettiva sembra
prevalere su quella etica e normativa dei decenni passati, è tendenzialmente
caratterizzato da una relazione democratica e pacifica tra i suoi membri, più che
da un conflitto e una contrapposizione generazionale. Nel contesto odierno
sembra dunque prevalere una nuova cultura più pacifica tra adolescenti e
figure adulte di riferimento.
In questo quadro anche la tipologia del disagio e del malessere scolastico
sembra essersi modificata. La dimensione conflittuale dell’adolescente a scuola
sembra aver lasciato progressivamente il passo alla dimensione della
demotivazione scolastica. I dati delle ricerche più recenti mettono in luce come
le espressioni di disagio prevalenti in ambito scolastico riguardino la noia,
l’apatia e l’indifferenza del ragazzo adolescente piuttosto che la protesta e la
contrapposizione dello studente adolescente. L’analisi degli atteggiamenti, dei
vissuti e delle rappresentazione dei ragazzi sembrano dimostrare una diffusa
tendenza dell’adolescente ad uscire dal ruolo di studente delle scuola media
superiore. Gran parte dei ragazzi delle superiori sono alle prese con un
progressivo processo di dimissione dal ruolo di studente che li porta ad
assumere, anche in ambito scolastico, quasi esclusivamente i panni
dell’adolescente. Si tratta di ragazzi che vedono e vivono la scuola
prevalentemente come ambito di socializzazione tra pari età, che giacciono
annoiati tra sedia e banco durante le ore di lezione e che dimostrano una
marcata sofferenza nel sedersi pomeridianamente davanti al tavolo della
propria camera per affrontare il proprio dovere di studente. Abbiamo insomma
a che fare con una moltitudine di adolescenti che dimostrano una forte difficoltà
ad instaurare una relazione significativa con l’apprendimento e con il proprio
ruolo di studente. Come già emerso attraverso altre ricerche (Censis, 1986;
Vezzani B., Tartarotti L., 1988), l’esperienza scolastica sembra rappresentare
per questi ragazzi una condizione inevitabile alla quale adattarsi, una specie di
dovere naturale e ineluttabile al quale aderire, di solito passivamente.
Molti docenti delle scuole superiori hanno ben presente questa situazione se è
vero che denunciano di essere stati progressivamente costretti, nel corso degli
anni, a modificare le proprie pretese didattiche e a rivedere i propri parametri
di valutazione del rendimento scolastico.
I fattori che hanno contribuito e contribuiscono a determinare questo stato di
cose sono molteplici. L’universo dei mass media è spesso impegnato a fornire
esempi e interpretazioni di vario genere, che molto spesso conducono più ad
una spettacolarizzazione e ad una stereotipizzazione delle tendenze giovanili
piuttosto che alla comprensione dei significati profondi delle condotte
adolescenziali. Individuare e analizzare le ragioni affettive degli atteggiamenti e
dei comportamenti adolescenziali è a nostro avviso importante perché consente
di meglio presidiare il percorso evolutivo adolescenziale, e di studente, tramite
interventi educativi e formativi adeguati.
I dati a nostra disposizione e il nostro osservatorio clinico e psicopedagogico
rivelano che queste espressioni di disagio e malessere scolastico sono in
correlazione con le principali difficoltà evolutive dell’adolescente odierno.
Attualmente i ragazzi esprimono prevalentemente un marcato disagio sul
versante della definizione della propria identità e della nascita come soggetti
sociali. Le più diffuse difficoltà evolutive adolescenziali sembrano fare capo a
domande del tipo: “chi sono?”, “cosa posso essere?”, “chi o cosa sto
diventando?”. Gli adolescenti attuali dimostrano di essere alle prese soprattutto
con problemi di definizione del Sé e del proprio ruolo sociale. Il loro disagio più
marcato riguarda l’identità e la difficoltà a nascere socialmente e questo aspetto
ha a che fare con la presenza e la messa in scena, in ambito scolastico, di un
personaggio annoiato, incapace di valorizzarsi socialmente nel proprio ruolo di
studente.
Cosa chiedono i ragazzi in difficoltà nella definizione della propria identità alla
scuola e agli adulti di riferimento che presidiano la loro crescita? Gli adolescenti
esprimono sicuramente il bisogno di accedere ad un sapere che li veda
protagonisti più attivi, un sapere che sia più vicino al soggetto che fa, che
decide, che prende delle scelte, piuttosto che al soggetto che impara e
memorizza. Ma gli adolescenti attuali esprimono soprattutto l’esigenza di
relazioni significative con l’adulto a scuola. I ragazzi chiedono, attraverso
istanze più o meno consapevoli, alla scuola di “rispecchiare” la loro difficoltà
nel processo di definizione della propria identità, del proprio Sé. L’intento
comunicativo che abita il nuovo disagio adolescenziale riguarda l’esigenza di
nuove ed importanti relazioni con il mondo adulto, caratterizzate da
“rispecchiamento”. Se lo stare e l’andare male a scuola hanno a che fare con
problemi di identità, di definizione del Sé e del “chi e che cosa si può essere”, la
risposta adulta non può che declinarsi attraverso l’offerta di relazioni
significative e importanti di “rispecchiamento” a questa difficoltà fase specifica
adolescenziale.
I dati delle nostre più recenti ricerche in area milanese, mettono in luce come la
qualità delle relazioni personali che l’adolescente intrattiene a scuola sia uno
degli aspetti più importanti per lo sviluppo di sensazioni di benessere e agio in
ambiente scolastico. L’esistenza di una buona relazione con i compagni e con i
docenti è un fattore in forte correlazione con lo stare bene a scuola e, in modo
anche sorprendente, è proprio la qualità della relazione con gli insegnanti ad
influire maggiormente sul benessere o malessere scolastico dell’adolescente.
Emerge, ad esempio, una correlazione significativa tra le sensazioni mattutine
sperimentate dai ragazzi prima di recarsi a scuola e il giudizio espresso circa
l’atteggiamento tenuto dagli insegnanti nei loro confronti. Allorquando
l’atteggiamento dei docenti verso i ragazzi afferisce alla cortesia o alla
cordialità, si assiste infatti ad una brusca diminuzione della quota di adolescenti
che affrontano la quotidianità scolastica con tristezza o addirittura con
sensazione di disgusto.
Proprio la rilevazione delle risposte date dai ragazzi alla domanda “Come mi
trattano gli insegnati a scuola?” costituisce uno dei dati più interessanti e ricchi
di spunti di riflessione delle nostre ricerche. Solo una quota decisamente ridotta
del campione dichiara di sentirsi trattato “con antipatia” e “con freddezza” da
parte degli insegnanti, mentre una quota considerevole di ragazzi esprime la
sensazione di essere trattato “con cortesia” e “con cordialità” dai propri docenti.
A questa prima lettura complessivamente confortante bisogna però aggiungere
un dato decisamente più problematico. La risposta più frequente data dai
ragazzi in risposta alla domanda “Come mi trattano gli insegnati a scuola?” è la
seguente: “con indifferenza”. In questo senso possiamo dire che, anche in
relazioni ad analoghe rilevazioni effettuate in altre nazioni europee, tra gli
adolescenti italiani a scuola prevale decisamente la sensazione di essere trattati
con indifferenza dai propri insegnanti. Un dato che, pur riguardando i vissuti e
le rappresentazioni dei ragazzi, e dunque non necessariamente la realtà delle
relazioni instaurate dai docenti con i propri studenti, ci deve indurre a riflettere.
Se è vero infatti che la maggiore esigenza espressa dai ragazzi, in relazione alla
difficoltà fase specifica di definizione della propria identità, è quella di poter
accedere a relazioni importanti e significative di “rispecchiamento”, appare
evidente come il dato della “relazione indifferente” ci ponga un problema serio.
Molti ragazzi a scuola sentono di non essere importanti per i loro adulti di
riferimento. Prevalentemente non pensano di essere trattati male, non sentono
una mancanza di rispetto nei loro confronti, ma semplicemente pensano e
sentono di non contare molto, sperimentano sensazioni di anonimato,
esprimono la sensazione che la loro presenza abbia poco valore e significato per
gli adulti della scuola. La loro percezione più diffusa è quella di essere soggetti
scolastici trasparenti, che passano quasi inosservati agli occhi di coloro che
presidiano quotidianamente il loro percorso formativo e culturale. Noi
sappiamo che in molti casi ciò non aderisce al vero, alla realtà, a quanto accade
nella quotidianità relazionale in ambito scolastico. Tuttavia sappiamo anche che
questo dato è oggettivo in quanto espressione di ciò che sente, vive e si
rappresenta attualmente il soggetto adolescente a scuola. I ragazzi percepiscono
prevalentemente indifferenza e non sentono di far parte di un contesto
caratterizzato da relazioni significative tra loro e gli adulti di riferimento.
Una conferma di questo tratto caratteristico del malessere scolastico
adolescenziale odierno ci giunge anche dai dati emersi nell’ambito di un’altra
indagine effettuata dal nostro istituto in collaborazione con la Provincia di
Milano. Si tratta di una ricerca sui “danneggiamenti a scuola” realizzata, in
alcuni Istituti superiori di Milano e provincia, allo scopo di individuare le
motivazioni prevalenti degli atteggiamenti di incuria e dei comportamenti
vandalici nei riguardi dell’ambiente scolastico. Ci riferiamo a quelle espressioni
di disagio che prendono forma attraverso: l’abbandono di cartacce e residui di
matita temperata per terra, o di cicche sotto i banchi e le sedie; lo sputare; il
lasciare l’impronta del piede sui muri; la rottura di vetri, porte, sanitari e
attrezzature; lo scrivere e il disegnare sulle pareti dell’istituto, delle classi, dei
bagni e degli spogliatoi. Manifestazioni espressive ben note e visibili a chiunque
frequenti un istituzione scolastica.
I dati dell’indagine mettono in luce come l’assunzione di questi comportamenti
sia solo marginalmente interpretabile come espressione di protesta rispetto ai
valori proposti in ambito scolastico o come espressione di conflitto nei riguardi
dell’autoritarismo adulto. Piuttosto l’agito violento nei riguardi delle strutture
scolastiche è riferibile, in alcuni casi, ai sentimenti di frustrazione e rabbia
successivi ad un interrogazione andata male o alla percezione di aver subito
un’ingiustizia nella valutazione del proprio operato da parte dell’insegnante. In
altri casi, questi comportamenti sembrano avere più a che fare con l’espressione
di bisogni pulsionali, espressivi, creativi e competitivi tipicamente
adolescenziali. Tuttavia le motivazioni profonde del danneggiamento più
frequentemente rilevate hanno ancora una volta a che fare con l’area
dell’indifferenza relazionale. La spinta a danneggiare è soprattutto riferibile ad
un vissuto di mancanza di senso di appartenenza e a sensazioni di abbandono e
svalorizzazione rispetto all’esperienza scolastica. Gli adolescenti a scuola non si
riconoscono nel proprio istituto poiché non si sentono sufficientemente
considerati e ascoltati, non sentono di essere individui sufficientemente
significativi all’interno della struttura. I ragazzi non instaurano un buon
rapporto con la struttura e con gli arredi in quanto non hanno un rapporto
sufficientemente buono con gli adulti che le presidiano, non hanno una
relazione sufficientemente significativa con i docenti. In questo senso è come se
gli studenti non trovassero riferimenti adulti che considerino un valore
importante il vivere e l’operare all’interno della struttura scolastica. Prevale un
senso di disgregazione, di vuoto, di abbandono e di indifferenza che conduce
ad un meccanismo profondo che può essere sintetizzato attraverso questo
ragionamento: “è inutile prestare attenzione, avere a cuore un’istituzione nella
quale non ci si può identificare”. Emerge con decisione la sensazione di una
sorta di abbandono e trascuratezza da parte degli adulti, di docenti poco
interessati agli studenti, e a volte anche alla materia di insegnamento, di bidelli
che non svolgono con impegno sufficiente il proprio lavoro, di presidi poco
propensi a svolgere il ruolo di coordinatore autorevole dell’istituto.
Nelle scuole che funzionano meglio la situazione dei danneggiamenti tende a
migliorare con la crescita degli studenti. Questo perché progressivamente
aumenta il senso di appartenenza e poiché una relazione personale significativa
e orientata al dialogo, tra docenti e studenti, favorisce un’espressione più
matura e adulta degli eventuali disagi dell’adolescente a scuola. Negli istituti in
cui la situazione è complessivamente più degradata si assiste ad una tendenza
nell’assunzione di comportamenti vandalici opposta. Da una condizione
iniziale caratterizzata da un atteggiamento fiducioso si passa progressivamente
ad un più profondo sconforto che favorisce l’incremento di agiti vandalici nei
riguardi dell’edificio scolastico.
L’analisi dei vissuti e degli atteggiamenti profondi degli studenti adolescenti
mette dunque in luce la complessiva mancanza di una cultura del
danneggiamento per protesta, sottolineando invece la presenza di sentimenti
maggiormente afferenti all’area della noia, dell’apatia e dell’indifferenza.
Prevale un senso di vuoto e di scarsa significatività relazionale che non
consente di investire di attenzioni un oggetto, la scuola appunto, nella quale
non ci si può identificare. La contrapposizione nodale, anche in questo caso,
non è dunque quella tra autoritarismo e antiautoritarismo, né tra repressione e
permissivismo, ma quella tra inserimento ed emarginazione, tra presenza e
abbandono, tra relazioni significative di rispecchiamento e relazioni di
indifferenza.
Questo è dunque il quadro profondo, mentale, affettivo, evolutivo e simbolico
al quale riferirsi come educatori e formatori. E’ questo il panorama di
riferimento nel quale si devono inserire le nostre azioni di recupero della
motivazione scolastica, i nostri tentativi di riattivare il desiderio e la passione
che ora giacciono nell’adolescente annoiato, seduto in fondo alla classe, in attesa
che un’altra giornata scolastica all’insegna dell’indifferenza abbia termine.
Cosa fare dunque per attuare interventi formativi caratterizzati da un
rispecchiamento adulto che risponda alle difficoltà adolescenziali odierne nel
processo di definizione della propria identità individuale e del proprio ruolo
sociale? La risposta non è semplice e richiede analisi differenziate in funzione
delle diverse realtà e organizzazioni scolastiche, in funzione delle diverse
risorse e opportunità educative a disposizione. Tuttavia, i dati in nostro
possesso sottolineano come gli interventi più efficaci siano tutti caratterizzati da
un orientamento relazionale volto a rispecchiare la difficoltà adolescenziale
attraverso una maggiore valorizzazione del soggetto a scuola, come
protagonista attivo sia a livello personale, sia a livello sociale. Si tratta di
progetti educativi che mirano a fare in modo che l’apprendimento consenta lo
sviluppo e l’utilizzo di modalità espressive e creative dell’adolescente a scuola
piuttosto che di modalità ripetitive e standardizzate. Un apprendimento che
passi attraverso una maggiore possibilità di fare, muoversi, decidere, essere
originali piuttosto che tramite richieste esclusivamente orientate allo stare,
ascoltare e memorizzare nell’uniformità del gruppo. Un apprendimento più per
interessi che per trasmissione, che sappia offrire spazi scolastici, non
necessariamente limitati alle ore di lezione mattutine, dove l’adolescente possa
sviluppare passioni e progetti, utili e funzionali alla definizione della propria
identità. Si tratta di progetti educativi dove il soggetto adolescente è valorizzato
anche nel suo ruolo sociale di studente attraverso il ricorso a regolamenti e a
carte di servizio di istituto, che si basano sul nuovo statuto degli studenti della
scuola secondaria superiore. Il riferimento comune allo statuto consente, infatti,
una più efficace identificazione dell’adolescente con il proprio ruolo sociale di
studente rispetto ad una gestione del ruolo percepita come autodeterminata
dalle singole scuole, dai singoli consigli di classe o, addirittura, dai singoli
insegnanti.
Non si tratta di modificare il ruolo della scuola e dei docenti in direzione di
altre professionalità ma solo di attivare con maggior peso e decisione nella
relazione educativa delle dimensioni che, in molte istituzioni scolastiche anche
se in modo sporadico, sono già state introdotte con successo. In base alle nostre
ricerche è questa la risposta istituzionale più adatta, è questo che possiamo
intendere come offerta di relazioni significative e importanti di
“rispecchiamento” funzionali alla risoluzione della crisi evolutiva e scolastica
dell’adolescente attuale.
Il benessere e il rendimento scolastico sono in stretta correlazione tra loro e,
come abbiamo visto, questa correlazione ha a che fare in modo significativo con
la qualità delle relazioni personali che l’adolescente intrattiene con gli altri.
Ovviamente ciò non riguarda esclusivamente quanto avviene all’interno del
contesto scolastico. Si pensi ad esempio all’importanza del rapporto tra
adolescenti e genitori e all’intensa relazione che i genitori instaurano con il
successo e i voti scolastici dei figli. Una relazione spesso eccessivamente carica
di aspettative e che rischia di incidere anche negativamente sul benessere e sul
rendimento scolastico dell’adolescente. Tuttavia l’aspetto relazionale del
contesto scolastico assume un ruolo decisivo nell’ambito della prevenzione del
disagio giovanile e della promozione del benessere scolastico adolescenziale.
Allorquando queste relazioni siano caratterizzate in senso positivo e
significativo si assiste infatti ad una decisa diminuzione delle espressioni di
disagio e di malessere dei ragazzi. Ma soprattutto si contribuisce a creare le
condizioni più adatte a favorire il superamento di crisi evolutive adolescenziali
fase specifiche, che, attualmente, sembrano prevalentemente afferire ad una
marcata difficoltà nel processo di definizione della propria identità individuale
e sociale. L’importante contributo portato da Franco Giori a proposito della
relazione affettiva del gruppo classe e i contributi dei colleghi che parleranno
successivamente mi sembra che siano tutti ispirati dalla stessa intenzione:
creare in ambiente scolastico le migliori condizioni possibili per favorire la
realizzazione dei compiti evolutivi e dei compiti scolastici dell’adolescente.

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Matteo Lancini - Malessere a scuola: tra compiti scolastici e compiti evolutivi

  • 1. Matteo Lancini Malessere a scuola: tra compiti scolastici e compiti evolutivi
  • 2. Focalizzare l’attenzione sul benessere e sul malessere in ambito scolastico è un’esigenza fondamentale e un compito irrinunciabile per gli adulti impegnati a presidiare il processo di crescita, socializzazione e acculturazione degli adolescenti. Si tratta di un impegno ormai inevitabile a causa di diverse motivazioni, tra le quali due di particolare importanza. La prima riguarda le norme legislative in materia, le quali prevedono un compito istituzionale scolastico focalizzato anche sul versante della prevenzione del disagio giovanile. La seconda si riferisce alla stretta correlazione esistente tra benessere scolastico e rendimento scolastico. Due elementi in relazione circolare tra loro, che interagiscono e si influenzano continuamente e reciprocamente. In questo quadro la qualità del clima di lavoro nel quale si svolge la quotidianità scolastica degli adolescenti si delinea come fattore di primaria importanza nel determinare il buon andamento del processo di apprendimento dei ragazzi. Appare ormai evidente che se si vive bene a scuola è più facile riuscire ad andare bene a scuola, è più facile apprendere, è più facile imparare. Anche se una buona qualità del clima di lavoro all’interno dell’istituzione scolastica non determina necessariamente la buona riuscita della carriera scolastica dell’individuo, e non può essere dunque indicata come condizione sufficiente a garantire una lineare realizzazione del percorso formativo dello studente. Il problema principale del sistema scolastico italiano riguarda l’elevata presenza di percorsi formativi non lineari, caratterizzati cioè da qualche forma di insuccesso. La carriera formativa dello studente italiano è spesso accidentata, contraddistinta da irregolarità. Se per carriera formativa irregolare e accidentata intendiamo un percorso scolastico e universitario caratterizzato da almeno uno dei seguenti avvenimenti- abbandono degli studi, interruzione prolungata degli studi, trasferimento, ripetenza- ci troviamo di fronte ad un fenomeno che riguarda quasi la metà dei giovani italiani (44,9%: quarto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia). Inoltre la dispersione scolastica sul territorio nazionale italiano appare un fenomeno tendenzialmente più elevato rispetto a quello di altre nazioni europee e le più recenti indagini mettono in luce che circa un terzo (30%: quarto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia) degli individui di età superiore ai venti anni non ha mai terminato un ciclo di istruzione secondaria superiore. Ferma restando la tendenza generale che vede le ragazze andare meglio a scuola rispetto ai loro coetanei di sesso maschile e una più diffusa scolarizzazione dei ragazzi provenienti da condizioni socio-economiche e culturali più elevate, appare sempre più evidente la necessità di sviluppare la capacità di meglio comprendere i fattori che determinano il problema della
  • 3. dispersione e della ripetenza scolastica. Gli studi e i dati sociologici, pur se illuminanti rispetto ad alcuni fattori, non sembrano infatti in grado di disvelare i significati profondi che si celano dietro il malessere scolastico di molti ragazzi in età adolescenziale. Un malessere e un basso rendimento scolastico che riguardano, in modo trasversale, ragazzi di entrambi i sessi e di diversa provenienza socio-economica e culturale. I ragazzi, come emerge da diverse recenti ricerche, sembrano soffrire più come adolescenti che come studenti, ed è questa sofferenza evolutiva, riferibile alla realizzazione dei compiti fase specifici adolescenziali, che si riversa sui compiti scolastici e sul processo di apprendimento. Tutto ciò richiede alla scuola e a chi è impegnato nell’istituzione scolastica una sempre più approfondita e aggiornata conoscenza e competenza sul significato e sulle caratteristiche di questa sofferenza adolescenziale. Si tratta di una difficoltà fase specifica, strettamente correlata alla profonda trasformazione dell’ideologia affettiva in atto durante il periodo di crescita adolescenziale. Una fatica evolutiva che quando si innesta in un clima relazionale e istituzionale scolastico inadatto, o comunque incapace di organizzare percorsi e obiettivi formativi adeguati e risposte educative appropriate, può dar vita a blocchi dell’apprendimento e del rendimento scolastico, determinando fenomeni quali la ripetenza e la dispersione. Eventi che possono acuire il dolore mentale del soggetto adolescente, provocare in lui una ferita narcisistica, contribuire ad un processo di mortificazione del Sé e favorire, di conseguenza, fenomeni di disagio e devianza giovanile, se non addirittura condotte suicidali, allorché l’insuccesso scolastico rappresenti un ulteriore trauma che si inserisce in una condizione compromessa da altre vicissitudini e da ferite più profonde. Nell’ambito delle numerose ricerche svolte dal Minotauro nel corso degli ultimi anni ce ne sono alcune realizzate con l’obiettivo specifico di individuare le cause e le espressioni del disagio giovanile in ambito scolastico, i motivi dell’insuccesso cognitivo, e la loro correlazione con la dimensione affettiva e relazionale del soggetto adolescente. Gli esiti di queste indagini e le esperienze quotidianamente svolte in qualità di psicologi o psicopedagogisti impegnati all’interno delle istituzioni scolastiche rilevano, innanzitutto, una dimensione decisamente meno conflittuale della relazione che l’adolescente intrattiene con il contesto scolastico e con gli adulti che lo presidiano. Lontani gli anni della contestazione alla scuola come luogo di riproduzione del sapere e della cultura borghese di regime, attualmente prevale una situazione di bassa tensione conflittuale nei riguardi dei valori e degli insegnamenti proposti in ambito scolastico e verso coloro che li promuovono. Si tratta di una condizione sintonica e conforme a quanto sta avvenendo anche fuori dalle classi e dagli
  • 4. istituti scolastici. In genere, il clima relazionale tra mondo adolescenziale e mondo adulto è infatti orientato in senso decisamente più pacifico rispetto ai periodi precedenti. La diffusione di alcune mode ed espressioni giovanili, in passato cariche di messaggi trasgressivi, sembra non rivestire, se non blandamente, significati provocatori o di protesta verso il mondo adulto. Lo stesso nucleo familiare attuale, nel quale la dimensione affettiva sembra prevalere su quella etica e normativa dei decenni passati, è tendenzialmente caratterizzato da una relazione democratica e pacifica tra i suoi membri, più che da un conflitto e una contrapposizione generazionale. Nel contesto odierno sembra dunque prevalere una nuova cultura più pacifica tra adolescenti e figure adulte di riferimento. In questo quadro anche la tipologia del disagio e del malessere scolastico sembra essersi modificata. La dimensione conflittuale dell’adolescente a scuola sembra aver lasciato progressivamente il passo alla dimensione della demotivazione scolastica. I dati delle ricerche più recenti mettono in luce come le espressioni di disagio prevalenti in ambito scolastico riguardino la noia, l’apatia e l’indifferenza del ragazzo adolescente piuttosto che la protesta e la contrapposizione dello studente adolescente. L’analisi degli atteggiamenti, dei vissuti e delle rappresentazione dei ragazzi sembrano dimostrare una diffusa tendenza dell’adolescente ad uscire dal ruolo di studente delle scuola media superiore. Gran parte dei ragazzi delle superiori sono alle prese con un progressivo processo di dimissione dal ruolo di studente che li porta ad assumere, anche in ambito scolastico, quasi esclusivamente i panni dell’adolescente. Si tratta di ragazzi che vedono e vivono la scuola prevalentemente come ambito di socializzazione tra pari età, che giacciono annoiati tra sedia e banco durante le ore di lezione e che dimostrano una marcata sofferenza nel sedersi pomeridianamente davanti al tavolo della propria camera per affrontare il proprio dovere di studente. Abbiamo insomma a che fare con una moltitudine di adolescenti che dimostrano una forte difficoltà ad instaurare una relazione significativa con l’apprendimento e con il proprio ruolo di studente. Come già emerso attraverso altre ricerche (Censis, 1986; Vezzani B., Tartarotti L., 1988), l’esperienza scolastica sembra rappresentare per questi ragazzi una condizione inevitabile alla quale adattarsi, una specie di dovere naturale e ineluttabile al quale aderire, di solito passivamente. Molti docenti delle scuole superiori hanno ben presente questa situazione se è vero che denunciano di essere stati progressivamente costretti, nel corso degli anni, a modificare le proprie pretese didattiche e a rivedere i propri parametri di valutazione del rendimento scolastico.
  • 5. I fattori che hanno contribuito e contribuiscono a determinare questo stato di cose sono molteplici. L’universo dei mass media è spesso impegnato a fornire esempi e interpretazioni di vario genere, che molto spesso conducono più ad una spettacolarizzazione e ad una stereotipizzazione delle tendenze giovanili piuttosto che alla comprensione dei significati profondi delle condotte adolescenziali. Individuare e analizzare le ragioni affettive degli atteggiamenti e dei comportamenti adolescenziali è a nostro avviso importante perché consente di meglio presidiare il percorso evolutivo adolescenziale, e di studente, tramite interventi educativi e formativi adeguati. I dati a nostra disposizione e il nostro osservatorio clinico e psicopedagogico rivelano che queste espressioni di disagio e malessere scolastico sono in correlazione con le principali difficoltà evolutive dell’adolescente odierno. Attualmente i ragazzi esprimono prevalentemente un marcato disagio sul versante della definizione della propria identità e della nascita come soggetti sociali. Le più diffuse difficoltà evolutive adolescenziali sembrano fare capo a domande del tipo: “chi sono?”, “cosa posso essere?”, “chi o cosa sto diventando?”. Gli adolescenti attuali dimostrano di essere alle prese soprattutto con problemi di definizione del Sé e del proprio ruolo sociale. Il loro disagio più marcato riguarda l’identità e la difficoltà a nascere socialmente e questo aspetto ha a che fare con la presenza e la messa in scena, in ambito scolastico, di un personaggio annoiato, incapace di valorizzarsi socialmente nel proprio ruolo di studente. Cosa chiedono i ragazzi in difficoltà nella definizione della propria identità alla scuola e agli adulti di riferimento che presidiano la loro crescita? Gli adolescenti esprimono sicuramente il bisogno di accedere ad un sapere che li veda protagonisti più attivi, un sapere che sia più vicino al soggetto che fa, che decide, che prende delle scelte, piuttosto che al soggetto che impara e memorizza. Ma gli adolescenti attuali esprimono soprattutto l’esigenza di relazioni significative con l’adulto a scuola. I ragazzi chiedono, attraverso istanze più o meno consapevoli, alla scuola di “rispecchiare” la loro difficoltà nel processo di definizione della propria identità, del proprio Sé. L’intento comunicativo che abita il nuovo disagio adolescenziale riguarda l’esigenza di nuove ed importanti relazioni con il mondo adulto, caratterizzate da “rispecchiamento”. Se lo stare e l’andare male a scuola hanno a che fare con problemi di identità, di definizione del Sé e del “chi e che cosa si può essere”, la risposta adulta non può che declinarsi attraverso l’offerta di relazioni significative e importanti di “rispecchiamento” a questa difficoltà fase specifica adolescenziale.
  • 6. I dati delle nostre più recenti ricerche in area milanese, mettono in luce come la qualità delle relazioni personali che l’adolescente intrattiene a scuola sia uno degli aspetti più importanti per lo sviluppo di sensazioni di benessere e agio in ambiente scolastico. L’esistenza di una buona relazione con i compagni e con i docenti è un fattore in forte correlazione con lo stare bene a scuola e, in modo anche sorprendente, è proprio la qualità della relazione con gli insegnanti ad influire maggiormente sul benessere o malessere scolastico dell’adolescente. Emerge, ad esempio, una correlazione significativa tra le sensazioni mattutine sperimentate dai ragazzi prima di recarsi a scuola e il giudizio espresso circa l’atteggiamento tenuto dagli insegnanti nei loro confronti. Allorquando l’atteggiamento dei docenti verso i ragazzi afferisce alla cortesia o alla cordialità, si assiste infatti ad una brusca diminuzione della quota di adolescenti che affrontano la quotidianità scolastica con tristezza o addirittura con sensazione di disgusto. Proprio la rilevazione delle risposte date dai ragazzi alla domanda “Come mi trattano gli insegnati a scuola?” costituisce uno dei dati più interessanti e ricchi di spunti di riflessione delle nostre ricerche. Solo una quota decisamente ridotta del campione dichiara di sentirsi trattato “con antipatia” e “con freddezza” da parte degli insegnanti, mentre una quota considerevole di ragazzi esprime la sensazione di essere trattato “con cortesia” e “con cordialità” dai propri docenti. A questa prima lettura complessivamente confortante bisogna però aggiungere un dato decisamente più problematico. La risposta più frequente data dai ragazzi in risposta alla domanda “Come mi trattano gli insegnati a scuola?” è la seguente: “con indifferenza”. In questo senso possiamo dire che, anche in relazioni ad analoghe rilevazioni effettuate in altre nazioni europee, tra gli adolescenti italiani a scuola prevale decisamente la sensazione di essere trattati con indifferenza dai propri insegnanti. Un dato che, pur riguardando i vissuti e le rappresentazioni dei ragazzi, e dunque non necessariamente la realtà delle relazioni instaurate dai docenti con i propri studenti, ci deve indurre a riflettere. Se è vero infatti che la maggiore esigenza espressa dai ragazzi, in relazione alla difficoltà fase specifica di definizione della propria identità, è quella di poter accedere a relazioni importanti e significative di “rispecchiamento”, appare evidente come il dato della “relazione indifferente” ci ponga un problema serio. Molti ragazzi a scuola sentono di non essere importanti per i loro adulti di riferimento. Prevalentemente non pensano di essere trattati male, non sentono una mancanza di rispetto nei loro confronti, ma semplicemente pensano e sentono di non contare molto, sperimentano sensazioni di anonimato, esprimono la sensazione che la loro presenza abbia poco valore e significato per gli adulti della scuola. La loro percezione più diffusa è quella di essere soggetti
  • 7. scolastici trasparenti, che passano quasi inosservati agli occhi di coloro che presidiano quotidianamente il loro percorso formativo e culturale. Noi sappiamo che in molti casi ciò non aderisce al vero, alla realtà, a quanto accade nella quotidianità relazionale in ambito scolastico. Tuttavia sappiamo anche che questo dato è oggettivo in quanto espressione di ciò che sente, vive e si rappresenta attualmente il soggetto adolescente a scuola. I ragazzi percepiscono prevalentemente indifferenza e non sentono di far parte di un contesto caratterizzato da relazioni significative tra loro e gli adulti di riferimento. Una conferma di questo tratto caratteristico del malessere scolastico adolescenziale odierno ci giunge anche dai dati emersi nell’ambito di un’altra indagine effettuata dal nostro istituto in collaborazione con la Provincia di Milano. Si tratta di una ricerca sui “danneggiamenti a scuola” realizzata, in alcuni Istituti superiori di Milano e provincia, allo scopo di individuare le motivazioni prevalenti degli atteggiamenti di incuria e dei comportamenti vandalici nei riguardi dell’ambiente scolastico. Ci riferiamo a quelle espressioni di disagio che prendono forma attraverso: l’abbandono di cartacce e residui di matita temperata per terra, o di cicche sotto i banchi e le sedie; lo sputare; il lasciare l’impronta del piede sui muri; la rottura di vetri, porte, sanitari e attrezzature; lo scrivere e il disegnare sulle pareti dell’istituto, delle classi, dei bagni e degli spogliatoi. Manifestazioni espressive ben note e visibili a chiunque frequenti un istituzione scolastica. I dati dell’indagine mettono in luce come l’assunzione di questi comportamenti sia solo marginalmente interpretabile come espressione di protesta rispetto ai valori proposti in ambito scolastico o come espressione di conflitto nei riguardi dell’autoritarismo adulto. Piuttosto l’agito violento nei riguardi delle strutture scolastiche è riferibile, in alcuni casi, ai sentimenti di frustrazione e rabbia successivi ad un interrogazione andata male o alla percezione di aver subito un’ingiustizia nella valutazione del proprio operato da parte dell’insegnante. In altri casi, questi comportamenti sembrano avere più a che fare con l’espressione di bisogni pulsionali, espressivi, creativi e competitivi tipicamente adolescenziali. Tuttavia le motivazioni profonde del danneggiamento più frequentemente rilevate hanno ancora una volta a che fare con l’area dell’indifferenza relazionale. La spinta a danneggiare è soprattutto riferibile ad un vissuto di mancanza di senso di appartenenza e a sensazioni di abbandono e svalorizzazione rispetto all’esperienza scolastica. Gli adolescenti a scuola non si riconoscono nel proprio istituto poiché non si sentono sufficientemente considerati e ascoltati, non sentono di essere individui sufficientemente significativi all’interno della struttura. I ragazzi non instaurano un buon rapporto con la struttura e con gli arredi in quanto non hanno un rapporto
  • 8. sufficientemente buono con gli adulti che le presidiano, non hanno una relazione sufficientemente significativa con i docenti. In questo senso è come se gli studenti non trovassero riferimenti adulti che considerino un valore importante il vivere e l’operare all’interno della struttura scolastica. Prevale un senso di disgregazione, di vuoto, di abbandono e di indifferenza che conduce ad un meccanismo profondo che può essere sintetizzato attraverso questo ragionamento: “è inutile prestare attenzione, avere a cuore un’istituzione nella quale non ci si può identificare”. Emerge con decisione la sensazione di una sorta di abbandono e trascuratezza da parte degli adulti, di docenti poco interessati agli studenti, e a volte anche alla materia di insegnamento, di bidelli che non svolgono con impegno sufficiente il proprio lavoro, di presidi poco propensi a svolgere il ruolo di coordinatore autorevole dell’istituto. Nelle scuole che funzionano meglio la situazione dei danneggiamenti tende a migliorare con la crescita degli studenti. Questo perché progressivamente aumenta il senso di appartenenza e poiché una relazione personale significativa e orientata al dialogo, tra docenti e studenti, favorisce un’espressione più matura e adulta degli eventuali disagi dell’adolescente a scuola. Negli istituti in cui la situazione è complessivamente più degradata si assiste ad una tendenza nell’assunzione di comportamenti vandalici opposta. Da una condizione iniziale caratterizzata da un atteggiamento fiducioso si passa progressivamente ad un più profondo sconforto che favorisce l’incremento di agiti vandalici nei riguardi dell’edificio scolastico. L’analisi dei vissuti e degli atteggiamenti profondi degli studenti adolescenti mette dunque in luce la complessiva mancanza di una cultura del danneggiamento per protesta, sottolineando invece la presenza di sentimenti maggiormente afferenti all’area della noia, dell’apatia e dell’indifferenza. Prevale un senso di vuoto e di scarsa significatività relazionale che non consente di investire di attenzioni un oggetto, la scuola appunto, nella quale non ci si può identificare. La contrapposizione nodale, anche in questo caso, non è dunque quella tra autoritarismo e antiautoritarismo, né tra repressione e permissivismo, ma quella tra inserimento ed emarginazione, tra presenza e abbandono, tra relazioni significative di rispecchiamento e relazioni di indifferenza. Questo è dunque il quadro profondo, mentale, affettivo, evolutivo e simbolico al quale riferirsi come educatori e formatori. E’ questo il panorama di riferimento nel quale si devono inserire le nostre azioni di recupero della motivazione scolastica, i nostri tentativi di riattivare il desiderio e la passione che ora giacciono nell’adolescente annoiato, seduto in fondo alla classe, in attesa che un’altra giornata scolastica all’insegna dell’indifferenza abbia termine.
  • 9. Cosa fare dunque per attuare interventi formativi caratterizzati da un rispecchiamento adulto che risponda alle difficoltà adolescenziali odierne nel processo di definizione della propria identità individuale e del proprio ruolo sociale? La risposta non è semplice e richiede analisi differenziate in funzione delle diverse realtà e organizzazioni scolastiche, in funzione delle diverse risorse e opportunità educative a disposizione. Tuttavia, i dati in nostro possesso sottolineano come gli interventi più efficaci siano tutti caratterizzati da un orientamento relazionale volto a rispecchiare la difficoltà adolescenziale attraverso una maggiore valorizzazione del soggetto a scuola, come protagonista attivo sia a livello personale, sia a livello sociale. Si tratta di progetti educativi che mirano a fare in modo che l’apprendimento consenta lo sviluppo e l’utilizzo di modalità espressive e creative dell’adolescente a scuola piuttosto che di modalità ripetitive e standardizzate. Un apprendimento che passi attraverso una maggiore possibilità di fare, muoversi, decidere, essere originali piuttosto che tramite richieste esclusivamente orientate allo stare, ascoltare e memorizzare nell’uniformità del gruppo. Un apprendimento più per interessi che per trasmissione, che sappia offrire spazi scolastici, non necessariamente limitati alle ore di lezione mattutine, dove l’adolescente possa sviluppare passioni e progetti, utili e funzionali alla definizione della propria identità. Si tratta di progetti educativi dove il soggetto adolescente è valorizzato anche nel suo ruolo sociale di studente attraverso il ricorso a regolamenti e a carte di servizio di istituto, che si basano sul nuovo statuto degli studenti della scuola secondaria superiore. Il riferimento comune allo statuto consente, infatti, una più efficace identificazione dell’adolescente con il proprio ruolo sociale di studente rispetto ad una gestione del ruolo percepita come autodeterminata dalle singole scuole, dai singoli consigli di classe o, addirittura, dai singoli insegnanti. Non si tratta di modificare il ruolo della scuola e dei docenti in direzione di altre professionalità ma solo di attivare con maggior peso e decisione nella relazione educativa delle dimensioni che, in molte istituzioni scolastiche anche se in modo sporadico, sono già state introdotte con successo. In base alle nostre ricerche è questa la risposta istituzionale più adatta, è questo che possiamo intendere come offerta di relazioni significative e importanti di “rispecchiamento” funzionali alla risoluzione della crisi evolutiva e scolastica dell’adolescente attuale. Il benessere e il rendimento scolastico sono in stretta correlazione tra loro e, come abbiamo visto, questa correlazione ha a che fare in modo significativo con la qualità delle relazioni personali che l’adolescente intrattiene con gli altri. Ovviamente ciò non riguarda esclusivamente quanto avviene all’interno del
  • 10. contesto scolastico. Si pensi ad esempio all’importanza del rapporto tra adolescenti e genitori e all’intensa relazione che i genitori instaurano con il successo e i voti scolastici dei figli. Una relazione spesso eccessivamente carica di aspettative e che rischia di incidere anche negativamente sul benessere e sul rendimento scolastico dell’adolescente. Tuttavia l’aspetto relazionale del contesto scolastico assume un ruolo decisivo nell’ambito della prevenzione del disagio giovanile e della promozione del benessere scolastico adolescenziale. Allorquando queste relazioni siano caratterizzate in senso positivo e significativo si assiste infatti ad una decisa diminuzione delle espressioni di disagio e di malessere dei ragazzi. Ma soprattutto si contribuisce a creare le condizioni più adatte a favorire il superamento di crisi evolutive adolescenziali fase specifiche, che, attualmente, sembrano prevalentemente afferire ad una marcata difficoltà nel processo di definizione della propria identità individuale e sociale. L’importante contributo portato da Franco Giori a proposito della relazione affettiva del gruppo classe e i contributi dei colleghi che parleranno successivamente mi sembra che siano tutti ispirati dalla stessa intenzione: creare in ambiente scolastico le migliori condizioni possibili per favorire la realizzazione dei compiti evolutivi e dei compiti scolastici dell’adolescente.