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I processi di integrazione di tre generazioni di italiani
a Delft*.
Laura Briganti


   Nella Dichiarazione universale dei Diritti umani è scritto: «Ogni
uomo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza, entro i confini
di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese,
incluso il proprio e di ritornare nel suo paese».
    La mia ricerca si è svolta sulla generazione di italiani arrivata in
Olanda alla fine degli anni Cinquanta e presente ancora oggi nella città
di Delft.
    Nello svolgere il mio lavoro ho raccolto la documentazione sull’emi-
grazione italiana in Olanda, vastissima, anche se non così vasta come
quella sull’emigrazione italiana negli altri Paesi europei; in particolare
ho consultato quella relativa alla città di Delft.
    Dopo essermi documentata sull’argomento, ho iniziato la ricerca sul
campo, incontrando e intervistando un campione di italiani della prima
e della seconda generazione, residenti oggi a Delft. Il progetto iniziale
era quello di basarmi sullo stesso numero di italiani per la prima e per la
seconda generazione. Ben presto, però, mi sono resa conto che dagli ita-
liani della prima generazione comincia il processo successivo. Il numero


    *
      L’Associazione Italiana di Delft mi ha affidato una ricerca sul tema: «I processi di inte-
grazione di tre generazioni di italiani a Delft». Nell’incontro del 24 febbraio 2006, svoltosi
nella sede dell’Associazione, alla presenza del Console italiano e di una rappresentanza di
emigranti di varie generazioni, ho avuto modo di presentarne i primi risultati. Delle tre gene-
razioni di italiani a Delft, mi sono soffermata, per ora, soprattutto sulle prime due.
La conferenza è stata corredata da una serie di fotografie gentilmente messe a disposizione
dagli italiani della prima generazione intervistati.


                                                                                           247
maggiore di intervistati viene dunque dalla prima generazione, proprio
per l’importanza della loro testimonianza.
    La registrazione delle interviste è stata un’esperienza bellissima e la
parte più divertente di questo lavoro. Sicuramente l’emigrazione in
Olanda è stato un fenomeno collettivo, ma gli emigranti hanno una sto-
ria personale molto più interessante e i dettagli che sono emersi dalle
interviste hanno arricchito la mia ricerca.
    Il lavoro di trascrizione è stato molto difficile, perché le interviste
possono durare anche più di un’ora. Se la conversazione si faceva parti-
colarmente interessante – e questo succedeva regolarmente – poteva
durare anche tre ore.
    Il passaggio dalla registrazione alla trascrizione dell’intervista è stato
senza dubbio il lavoro più duro. Ad esso si accompagna la selezione del
materiale, ossia dei contenuti dell’intervista, che è delicata e richiede
molta attenzione e cura, perché può compromettere l’originalità della
testimonianza.
    Grazie alle interviste ho potuto trarre alcune conclusioni sui processi
di integrazione.
    Partendo dall’emigrazione italiana in Olanda nel dopoguerra mi
sono domandata perché gli italiani si siano recati proprio in questo
Paese.
    I motivi principali sono i seguenti:
1) l’Olanda procedeva a una rapida ricostruzione del paese. Era in un
    momento in cui voleva investire su nuove leve che contribuissero alla
    crescita del paese;
2) l’Olanda disponeva di una fonte interna di risorse costituita dalle
    miniere del Limburgo. Del lavoro nelle miniere si è parlato nelle
    interviste alla prima generazione di italiani giunti in Olanda. Il
    gruppo dei sardi è stato, infatti, il primo ad essere chiamato al lavoro
    nel Limburgo già negli anni Cinquanta;
3) in Olanda c’era una notevole scarsità di manodopera giovane a causa
    della guerra. Si cercavano dunque giovani provenienti da altri paesi.
   L’Olanda fu costretta a sopperire a questa carenza di manodopera
interna reclutando lavoratori stranieri destinati all’edilizia, al lavoro in
miniera, all’industria tessile e metallurgica. Nelle interviste si parla
soprattutto di queste ultime due categorie.

248
Tutto inizia nel 1949, quando i responsabili delle miniere di Stato del
Limburgo si recano in Italia per reclutare lavoratori giovani. Lo slogan
era: « C’è lavoro per voi in Olanda».
    Lo slogan giunge nel nostro paese in un momento di grande crisi e l’of-
ferta di lavoro attira subito l’attenzione. Moltissime persone provenienti
soprattutto dalla Sardegna rispondono a questo richiamo. Secondo
l’Ufficio centrale di statistica olandese nel 1956 giunsero in Olanda 4000
italiani. Nel 1970 gli italiani in Olanda diventano 5200. C’è dunque una
crescita. Di questi 5200, 2500 si recano a lavorare nel Limburgo. Gli altri
fanno lavori stagionali, come gli spazzacamini e i gelatai.
    I 2500 giunti alla fine degli anni Cinquanta saranno i primi lavoratori
che si recheranno in Olanda come operai.

I parametri
    « Con quali parametri i lavoratori italiani venivano selezionati dalla
Commissione olandese?» Nel rispondere a questa domanda molti degli
intervistati si sono soffermati sulla descrizione della selezione fatta dalla
Commissione olandese a Milano.
    Il primo requisito che occorreva possedere per risultare idoneo era lo
stato di salute: i lavoratori dovevano essere in perfette condizioni. Qui si
creava tensione perché venivano facilmente scartati. Prima di arrivare alla
Commissione olandese, però, bisognava superare il controllo di una
Commissione italiana regionale. Attraverso le interviste mi sembra sia
emerso che non fosse una commissione rigida come quella successiva.
    Dopo lo stato di salute risultava fondamentale l’età: dovevano essere
giovani, tra i 22 ed i 32 anni. In più dovevano avere la fedina penale pulita
ed essere celibi. Il celibato, infatti, garantiva la mobilità e allo stesso tempo
era indice di stabilità in Olanda. Il non avere legami con l’Italia li rendeva
più affidabili. Infine, dovevano aver già prestato servizio militare.

La provenienza
    La provenienza dei giovani è diversa, ma già dalle interviste si può
capire la percentuale.
    Il 40% viene dalla Sicilia e dalla Sardegna, il 37% dal Nord d’Italia,
il 20% dal Sud d’Italia.

                                                                            249
La maggior parte degli intervistati della prima generazione è origina-
ria della Sicilia, mentre una piccola percentuale viene dal Molise e un
certo numero dalla Sardegna. Non ho avuto la possibilità di intervistare
emigrati italiani provenienti dal Nord. Il tipo di emigrazione che coin-
volge gli italiani del Nord è precedente a questi anni ed è legata ai
mestieri di spazzacamino, terrazziere, gelataio.
    Tra l’Olanda e l’Italia si crea una convergenza d’interesse. L’una è
utile all’altra. Questo si chiama anche stato di provvisorietà. Lo stato di
provvisorietà fa sì che l’Italia fornisca manodopera ricevendo in cambio
una serie di vantaggi.

L’offerta delle aziende

     Le aziende olandesi offrono al lavoratore straniero una serie di van-
taggi per un anno. Prima di tutto possono usufruire di vitto e alloggio
nelle pensioni, le cosiddette case a pagamento, in olandese Kosten-
huizen, che consentono il primo contatto degli italiani con il mondo
olandese. Nelle case avviene il primo passo verso la conoscenza e la suc-
cessiva integrazione nel paese, come si capisce dai racconti degli intervi-
stati. La prima difficoltà riscontrata è data naturalmente dal cibo che
viene servito. Molti lo criticano, ricordando l’odore di cavolo che aleg-
giava nelle case appena si entrava. Molti, però, avendo alle spalle condi-
zioni sociali disagiate, lo apprezzano. Il fatto di essere giovani e inesperti
li rende inoltre meno nostalgici rispetto ad abitudini alimentari italiane.
     Non dimentichiamo che per molti era la prima esperienza di viaggio,
perché quasi tutti non si erano mai mossi dal loro paese o dalla loro città.
     Nelle pensioni sono nate le prime amicizie con gli olandesi.
     I racconti più divertenti sono legati proprio alle uscite con i giovani
olandesi che abitavano nelle case. Con le uscite, però, avvenivano anche le
liti nei bar. Tra i motivi, le gelosie dei giovani locali per l’eleganza con cui si
presentavano i ragazzi italiani, sempre impeccabili e di bell’aspetto.
     Un vantaggio notevole era costituito dall’organizzazione e dai costi
di trasporto di eventuali viaggi Italia-Olanda, offerti dalle aziende olan-
desi.
     C’era inoltre l’offerta di quattro settimane di vacanza gratis, a spese del-
l’azienda, per poter andare a trovare i familiari. Mi è stato raccontato da

250
Ernesto Ditella che proprio in quei momenti di ferie era molto grato
all’Olanda per ciò che gli offriva. Molti operai avevano dichiarato di
essere in malattia per poter rimanere più a lungo in Italia ed essere
pagati lo stesso. Lui però aveva chiesto all’azienda di poter rimanere
ancora in Italia pur non essendo malato. L’azienda aveva accettato di
pagarlo, mostrando comprensione per la sua nostalgia. Questo gesto di
rispetto verso un lavoratore onesto lo aveva profondamente colpito.
    C’erano dunque tutti i presupposti per un impatto positivo. Mi è
stato raccontato che al loro arrivo in Olanda prima di essere portati
nelle pensioni, gli operai andavano a visitare la fabbrica. Lì rimanevano
fortemente impressionati dall’eleganza delle sale riunioni, dove veni-
vano loro offerti sigari di ogni provenienza. C’erano orari più flessibili
rispetto alle fabbriche italiane, nelle quali alcuni operai avevano lavo-
rato. Per alcuni, dunque, l’esperienza olandese era molto positiva.

Gli svantaggi

    Tuttavia c’erano anche svantaggi. C’era infatti un’autoemargina-
zione, dovuta allo stato di provvisorietà in cui gli italiani vivevano.
Sapendo di dover, prima o poi, ritornare in Italia, non si investiva nella
conoscenza della lingua olandese. Non si riteneva necessario l’appren-
dimento della lingua soprattutto perché l’olandese si presentava molto
ostico al primo approccio. Questo non aiutava l’integrazione in un pae-
se già di per sé diverso culturalmente da quello di provenienza. Le diffi-
coltà iniziali portavano dunque a un forte allontanamento.
    Nella fase iniziale non c’erano inoltre offerte per l’integrazione da
parte dello Stato olandese. Questo valeva soprattutto per i primi italiani
giunti a lavorare nelle miniere negli anni Cinquanta.
    A queste difficoltà si aggiungevano i pregiudizi e l’ostilità dimostrata
dagli olandesi, a causa delle frequenti liti tra i giovani italiani, definiti
dai giornali locali «persone dal sangue caldo» che facilmente litigavano
nei bar e nelle sale da ballo perché conquistavano facilmente le donne
olandesi. Gli stessi italiani intervistati hanno ammesso di riscuotere una
certa popolarità in Olanda. A Delft, nei giornali locali, si parlava spesso
di liti tra italiani e studenti olandesi.

                                                                         251
I primi passi verso l’integrazione
    Dopo gli anni Sessanta si verifica una progressiva integrazione degli
italiani della prima generazione. Il motivo principale è senza dubbio la
massiccia presenza di matrimoni misti tra uomini italiani e donne olan-
desi. E’ presente però, in quegli anni, anche una piccola percentuale di
matrimoni tra italiani.
    Il tipo di integrazione che viene favorita dai matrimoni misti è prima
di tutto quella linguistica. Nasce dal desiderio di conoscere la lingua
olandese parlata dalla moglie ed è un modo per entrare nella cultura del
paese ospitante.
    In più c’è l’inserimento totale dei figli nella realtà scolastica locale.
Questo dato è confermato da tutti gli intervistati. Conoscere il sistema
scolastico, le famiglie dei compagni di classe del proprio figlio, è un
modo immediato per entrare nella cultura olandese. Questo vale anche
per l’integrazione delle donne italiane, sposate con italiani che vivono in
Olanda. In Olanda è previsto per le mamme un notevole coinvolgi-
mento nelle attività scolastiche ed extra scolastiche, come l’organizza-
zione di recite, spettacoli e gite.

Lo spostamento verso il Nord
    La chiusura delle miniere di carbone nel Limburgo causò uno spo-
stamento geografico dei lavoratori stranieri verso zone dell’Est e del
Nord del Paese.
    In più ci fu, da parte degli italiani, il passaggio a un’attività lavorativa
diversa, perché molti di essi passarono dal lavoro nelle miniere al lavoro
nel settore tessile e nell’edilizia. In questo periodo, infatti, in Olanda il
lavoro viene richiesto non più nel Limburgo, Sud dell’Olanda, quanto
nei Paesi del Nord.
    La maggior parte degli intervistati racconta di essere arrivata dalla
lontana Sicilia alla terraferma e poi in treno nel Nord Italia per giungere
a Utrecht, dove avveniva la divisione dei ruoli. I lavoratori venivano
presi per un determinato settore e poi mandati nel paese dov’era l’indu-
stria. In questa occasione molti venivano mandati all’industria tessile,
molti all’industria metallurgica per lo smistamento dei lavoratori.

252
La Nederlandse Kabel Fabriek di Delft (NKF)
    A partire dal 1959 cinquanta lavoratori italiani vengono mandati dalle
miniere del Limburgo a lavorare alla Nederlandse Kabelfabriek di Delft (La
fabbrica di cavi elettrici di Delft). La maggior parte di essi proviene dalla
Sardegna, precisamente dalla provincia di Sassari. Non è un caso che tutti i
sardi che ho intervistato provengano da questa provincia. Proprio questo
passaggio alla Kabelfabriek segna l’arrivo degli italiani nella città di Delft.
    Secondo l’Ufficio centrale di statistica olandese tra il 1956 ed il 1961
gli italiani presenti sono 6000, di cui 2500 nel Limburgo per i successivi
dieci anni.
    Nel 1972 il numero degli italiani è salito a 8500. Dal 1961 al 1975 la
Nederlandse Kabelfabriek di Delft, dopo aver reclutato gruppi di lavora-
tori provenienti dalla Sardegna, si reca anche in Sicilia dove volantini e
manifesti annunciano, ancora una volta: «C’è lavoro per voi in Olanda!»
    Tutti gli intervistati confermano che la pubblicità sull’offerta di lavoro
in Olanda era ovunque, in Sicilia, ed era inevitabile rimanere incuriositi
dalla portata di tale proposta e presentarsi al colloquio di lavoro. L’inter-
vistato Gaetano Giumento mi ha confessato che da parte sua all’inizio
non c’era la volontà di trasferirsi, ma per curiosità aveva fatto domanda e
così si era trovato coinvolto, come anche molti altri.
    Nel 1975 abitano a Delft circa 137 italiani. Presso la NKF (Neder-
landse Kabelfabriek) hanno lavorato circa 300 italiani.
    In queste immagini, che mi sono state gentilmente concesse, si pos-
sono vedere i lavoratori in mensa e nella fabbrica. Sono foto abbastanza
rare. Anche attraverso una ricerca
su Internet è quasi impossibile
trovare materiale fotografico e
video relativo a quegli anni. Tutto
il materiale è messo a disposizione
dagli emigrati di prima genera-
zione e grazie a loro sarà possibile
creare un archivio fotografico sul-
l’emigrazione italiana in Olanda.
La loro testimonianza è dunque
necessaria e fondamentale per pro-
seguire questo tipo di ricerca.          Operai della fabbrica NKF in mensa

                                                                           253
C’erano comunque numerose possibilità di svago per gli italiani. Nel
1962 esisteva Casa Nostra, un luogo di incontro, soprattutto a sfondo
religioso. Poi c’era la Casa Internazionale a De Poort e infine il Caffè De
Klompe della famosa Tante Lena. Tante Lena era una donna olandese di
cui ho sentito parlare moltissimo e di cui purtroppo non ho trovato
fotografie. È stata una vera zia, che li ha difesi in mille occasioni e il cui
bar costituiva un punto di incontro. Ci si recava anche per sentirsi pro-
tetti. Non si poteva litigare e la regola era bere una birra sola.

Scuola tecnica
    Nel 1975 si forma la Scuola Tecnica Centrale. Questo è un momento
molto importante perché è il risultato di una battaglia vinta da alcuni
nostri emigranti. Viene data infatti la possibilità agli italiani di ricevere
un’istruzione all’interno della Fabbrica nella propria lingua madre. Un
evento importante sia per gli operai italiani che avevano intenzione di
rimanere in Olanda sia per gli operai che, dopo un periodo di lavoro
all’estero, pianificavano il loro ritorno in Italia.
    Non dobbiamo dimenticare che la maggior parte degli italiani giunti in
questi anni possedeva solo la licenza elementare. All’epoca era ancora pos-
sibile aprire un negozio o un’attività con la licenza elementare, però, una
volta ritornati in Italia, dopo gli anni Settanta, questa non era più suffi-
ciente. Era possibile iniziare un’attività commerciale solo con il possesso
della licenza media. Per gli italiani che intendevano ritornare in Italia signi-
ficava essere esclusi automaticamente da ogni possibilità lavorativa.
    Questo momento segna un passaggio fondamentale perché permette
agli operai di sentirsi arrivati dal punto di vista professionale.

La scuola italiana
    Dal 1978 al 1983 c’è una grande lotta per ottenere l’istruzione nella lin-
gua madre fuori dall’orario scolastico, al contrario di quello che voleva il
Regionaal Centrum voor Buitenlanders (il Centro regionale per stranieri).
    Quest’altra battaglia si è conclusa con una grande vittoria. Nel
momento in cui i figli degli emigranti della prima generazione andavano
a scuola c’era la possibilità di far loro apprendere anche la lingua ita-
liana, e non solo la lingua olandese parlata a scuola.

254
Il RCB voleva che le lezioni si tenessero durante l’orario scolastico.
Questo non facilitava i giovani che non si recavano volentieri alle lezioni
di italiano. Gino Scalzo ed Ernesto Ditella sono solo alcuni dei protago-
nisti di questa battaglia.

L’Associazione italiana
    Da questo momento il ruolo dell’Associazione italiana – che viveva
inizialmente dei sussidi del Consolato e del RCB (Il Centro regionale
per stranieri) – diventa sempre più importante.
    Lo scopo iniziale era quello di organizzare feste secondo le tradizioni
popolari italiane, la più importante delle quali era l’Epifania del 6 gen-
naio.




L’Associazione italiana nasce nel 1972.


    L’evento aveva soprattutto lo scopo di attrarre la terza generazione,
perfettamente integrata nel sistema olandese, ma legata, grazie alla fami-
glia, alle tradizioni del luogo d’origine dei familiari.
    Nel 1974 il ruolo dell’Associazione diventa ancora più attivo. Viene
organizzata una serie di eventi. Alcune attività svolte dai presidenti
dell’Associazione hanno attirato l’attenzione della politica olandese
sulle problematiche dell’integrazione degli stranieri. Tra le foto è rico-
noscibile l’ex primo ministro olandese Koch.
    Molti degli italiani hanno ottenuto la cittadinanza onoraria a Delft
perché si sentono fortemente integrati nel sistema di vita olandese.
Questo è naturalmente un motivo di grande orgoglio per loro e conferma
l’ipotesi che, dopo la prima generazione, l’integrazione nel paese ospi-
tante sia avvenuta in maniera positiva.

                                                                       255
L’Associazione italiana dal 1985 è iscritta alla Camera del Commercio
e ha un suo statuto, organizza attività sociali, ricreative, culturali e spor-
tive. Il suo scopo principale è quello di mantenere viva la cultura italiana
e di favorire l’integrazione nella società olandese.
    Viene finanziata da sussidi comunali e dai contributi annuali dei soci.
    Dal 1993 è situata a Bieslandsekade 68, nei locali S.I.L.A., assieme
all’Associazione spagnola e a quella sudamericana.
    Un’altra battaglia importante vinta dall’Associazione italiana è stata
quella che ha portato alla fondazione di un’Associazione di Bocce (Jeu




                                                         L’ex premier olandese
                                                         Koch insieme a Gino
                                                         Scalzo.




                                                        L’Associazione italiana
                                                        oggi e il centro di
                                                        bocce.

256
de beules). Dalle interviste rivolte ai giovani della seconda generazione
l’associazione di bocce è risultata essere per i loro padri «la piazza», il
loro punto di incontro; il bar dove ci si incontra, si ride e scherza, si
fanno due chiacchiere insieme nella propria lingua. Tra le attività
dell’associazione c’erano serate dedicate alle feste popolari, ma anche
molte gite in pullman per recarsi tutti insieme a conoscere l’Olanda.
Molti hanno conosciuto l’Olanda anche grazie alle gite che regolar-
mente venivano organizzate. Si passava del tempo in compagnia, ma il
pretesto era anche approfondire la conoscenza del paese.
    Tra le attività sportive c’è naturalmente il calcio, un’occasione per
incontrarsi con una certa regolarità e giocare con la propria squadra. La
squadra italiana vanta una numerosa serie di vittorie e continua con suc-
cesso, con il coinvolgimento delle nuove generazioni.
    Altre immagini mostrano l’at-
tenzione dedicata agli allora bam-
bini, la seconda generazione, che
si cercava di coinvolgere, il più
possibile, nelle attività dell’Asso-
ciazione, organizzando eventi co-
me le feste di Carnevale e l’arrivo
della Befana, forse il più significa-
tivo. Ci si divertiva anche tra gli
adulti, mettendo su qualche spet-
tacolino teatrale, qualche sketch
da presentare durante le serate.
                                       La squadra italiana di calcio.
Il Bollettino dell’Informazione
    Dall’aprile 1978 al marzo 1979 l’Associazione italiana pubblica una
rivista, «Il Bollettino dell’Informazione». «Il Bollettino» è scritto in lin-
gua olandese e in italiano, per favorire lo scambio culturale tra l’Olanda e
l’Italia, ma soprattutto per dare informazioni sull’Italia. Sfogliandolo si
trovano numerosi articoli scritti da inviati dall’Italia. Molto spesso sono
presenti informazioni sull’economia e la politica dei paesi da cui la mag-
gior parte degli italiani in Olanda proviene, come quelli siciliani. Si rac-
conta ciò che viene organizzato nel paese, i festeggiamenti per le feste
popolari. Lo scopo è di mantenere vivo il contatto con il paese di origine.

                                                                         257
Ancora qualche dato sugli ita-
                                       liani a Delft: nel 1975 c’erano 324
                                       italiani, nel 1995 circa 249, di cui
                                       192 nati in Italia. Gli altri sono ita-
                                       liani, ma nati in Olanda.
                                           Come si vede da questi dati, un
                                       certo numero di italiani è rientrato
                                       nel proprio paese.



Il Bollettino dell’Informazione



LA PRIMA GENERAZIONE




   Gli italiani della prima generazione a Delft oggi sono circa un centi-
naio (foto). Questa è l’Associazione italiana oggi.
   Le interviste agli italiani della prima generazione sono state fatte non
secondo un criterio di preferenza, ma in base alla disponibilità del
momento. Avrei intervistato volentieri tutti, ma per questioni di tempo
questo non è stato possibile.

258
Gli intervistati della prima generazione sono: Gino Scalzo, Gino
Infosino, Ernesto Ditella, Gaetano Giumento, Antonio Manchia, Anto-
nio Pirisi. Nel momento in cui pubblico questo articolo è venuto da poco
a mancare Antonio Manchia, il cui contributo è stato fondamentale per
comprendere le tradizioni culinarie e regionali degli italiani giunti in
Olanda. Sono tutti provenienti dalla Sicilia, e due dalla Sardegna.

Gino Scalzo
    Il primo intervistato è Gino Scalzo. La testimonianza di Gino è iso-
lata rispetto agli altri. Lui è il primo straniero a essere riuscito a intra-
prendere una carriera politica. Ha cominciato nei sindacati, mentre
lavorava in fabbrica, per poi entrare nel consiglio comunale di Delft.
    È tra i primi stranieri a essere entrato nella politica olandese. Come
mi ha ripetuto molto spesso durante l’intervista, sin dal lavoro in fab-
brica aveva capito come fosse fondamentale far sentire la propria voce.
Il suo motto è infatti: «Dire la propria opinione sempre. Se è necessario
cambiare qualcosa, bisogna dirlo».
    Durante le interviste fatte alla prima generazione ho trascorso lun-
ghissime giornate a casa degli intervistati. Lì mi sono sentita come in
Italia. Ci ritrovavamo a chiacchierare con grande facilità ed era molto
difficile contenere la conversazione entro il numero di ore previsto dal
mio lavoro. Era molto piacevole.




Gino Scalzo, allora presidente,   Gino Scalzo durante una gita fuori porta.
durante la festa dell’Epifania.

                                                                              259
Tra i testi che ho selezionato ecco qualche brano, che sintetizza lo
spirito dell’operaio giunto da lontano a lavorare in una paese straniero.
Nel caso di Gino Scalzo si può parlare anche di emigrazione europea.
All’inizio, infatti, era andato a lavorare in Svizzera, in seguito in Ger-
mania, per poi approdare definitivamente in Olanda.
   In questo brano mi racconta la sua esperienza in Germania:
       G.S. Ad un certo punto c’era un amico mio che lavorava in Germania.
   Insieme andavamo qualche volta a Basilea. E lui mi ha detto che c’era un
   posto dove si poteva superare illegalmente la frontiera. Prima non era come
   ora dove basta entrare nel Mercato Comune. Perciò ci siamo messi d’ac-
   cordo che lui mi aspettava alla stazione di Basilea. Io mi sono licenziato alla
   direzione dell’albergo. E il direttore voleva che io a qualsiasi costo rima-
   nessi. Mi hanno promesso anche che se rimanevo non c’era più bisogno che
   lavorassi in cucina e che mi avrebbero mandato a studiare in una scuola di
   Basilea per diventare cuoco. Però io la decisione l’avevo già presa e sono
   andato lo stesso via. Sono arrivato alla stazione. L’appuntamento era alle
   dieci e questo mio amico, compaesano, non è venuto. Arrivato alle dodici e
   mezzo, pensavo, e che devo fare ora? C’era un treno che partiva per la
   Sicilia…
       L.B.: Hai avuto la tentazione di prenderlo e di ritornare?
       G.S.: Ho preso il treno e sono ritornato in Sicilia.
       L.B.: L’hai preso il treno?
       G.S.: Sì, sì, l’ho preso e sono tornato in Sicilia. Arrivare in Sicilia dopo
   che me ne ero andato... per me è stata una delusione enorme, ma soprat-
   tutto una vergogna nei confronti degli altri compaesani. Perché tutti se ne
   vanno e dicono tante belle parole e tu ritorni qui. Mi ricordo che sono arri-
   vato con l’autobus in città per poi andare al mio paese.
       L.B.: Da che provincia vieni?
       G.S.: Provincia di Palermo. Con quelle valigie di cartone camminavo a
   testa bassa. Speravo che non mi vedesse nessuno perché mi vergognavo
   troppo che tutti andavano e tornavano pieni di successi ed io no. Ma in
   realtà non era vero niente di quello che si raccontava.
       L.B.: E c’era la tua famiglia in Sicilia che ti aspettava?
       G.S.: Sì, c’era. Mio fratello, invece, era emigrato in Olanda, però io sono
   andato in Svizzera. Però poi serviva manodopera in Germania ed io sono
   andato legalmente, attraverso l’Ufficio del Lavoro, prima a Napoli, dove si
   dovevano far trascorrere mesi per dimostrare di essere idoneo, e poi sono
   partito per la Germania.

260
L.B.: E dormivi tu da solo?
       G.S.: Sì da solo. Che poi in quell’inverno del ’62-’63 c’erano fino a 30
   gradi sotto zero. Perciò ogni mattina andavo a otturare i buchi che avevano
   fatto i topi la notte. I topi entravano naturalmente dentro perché faceva più
   caldo ed io dormivo con la testa sotto le coperte. Al mattino facevo come le
   talpe, tiravo la testa fuori perché la notte i topi avevano ballato sopra il letto
   e la coperta. Perciò mi sono detto che un inverno così non lo volevo passare
   più. Ho chiesto a mio fratello se era possibile venire a lavorare qui in
   Olanda, dove lavorava lui, e quelli gli hanno detto di sì.
        L.B.: Che anno era?
       G.S.: L’inizio del ’62 sono andato ad abitare in Germania e nel novem-
   bre del ’63 sono venuto a lavorare in Olanda.


Gino Infosino
   Una coppia che ho intervistato è composta da Carmela e Gino
Infosino. Da loro mi sono sentita subito a casa. Sono stata accolta molto
bene. Durante l’intervista Gino mi ha fornito la maggior parte delle
informazioni che ho trovato sull’Associazione e sul suo ruolo, dal
momento che ne è stato presidente. La maggior parte del materiale foto-
grafico proviene dall’archivio privato della coppia.
   Grazie a Gino Infosino ho ricevuto la sua foto, ventunenne, mentre
lavorava in fabbrica, alla Frederick Steen Fabriek, per la precisione.




                                           Gino Infosino alla Frederick Steen
                                           Fabriek

                                                                                261
Gaetano Giumento
   Altri intervistati sono Gaetano Giumento e sua moglie Maria. Loro
rappresentano la fusione di due culture, poiché la moglie di Gaetano
Giumento è olandese. Con lei mi sono intrattenuta a parlare e rappre-
sentava un po’ la memoria della coppia nel corso dell’intervista, ricor-
dando le date e aggiungendo dettagli del loro passato.




Gaetano Giumento mentre lavora alla       Gaetano Giumento con le valigie di car-
regia                                     tone in partenza dalla Sicilia

    La presenza, a volte silenziosa, a volte partecipe della donna nelle inter-
viste ha arricchito di dettagli interessanti il valore delle interviste, fornendo
un punto di vista molto diverso dal solito. Grazie a Gaetano ho avuto
informazioni utili sull’emigrazione
della prima generazione di italiani.
Gaetano è un grande appassionato
di regia. Grazie ai numerosi video,
prima amatoriali, poi sempre più
professionali, al punto da fargli vin-
cere una serie infinita di premi, ho
potuto arricchire la mia ricerca sul-
l’argomento.
    Mi ha aperto molte porte, dan-
domi anche del materiale.

Gaetano Giumento durante il lavoro in
fabbrica

262
Ernesto Ditella
    Ernesto Ditella è un altro intervistato. Subito dopo l’intervista si è
ammalato.
    Grazie a lui ho avuto molti dettagli sulla storia dell’emigrazione e sui
problemi di integrazione. Ernesto è sposato con una donna olandese.
    Anche lui, come Gino Scalzo e Gino Infosino, è stato presidente
dell’Associazione.
    A proposito di scambio culturale, mi ha raccontato che in casa si par-
lava olandese con i figli. Alla mia domanda su come si facesse a inse-
gnare ai figli l’italiano, mi ha detto che durante la settimana non era pos-
sibile, lavorando fino a tardi la sera, passare molte ore con loro parlando
italiano. Per questo motivo l’educazione era affidata alla donna, che
naturalmente parlava con il proprio figlio la lingua madre. Era difficile
per lui far mantenere la lingua italiana al figlio. Tuttavia colpiva molto
questo particolare, confermato dagli altri italiani, che c’è proprio un
Gevoel, « un sentimento» molto forte per la lingua e la cultura italiana
da parte dei giovani della seconda generazione. Quindi è stato facile per
loro andare in Italia, anche senza parlare la lingua, ed imparare subito a
capirla e parlarla, a «sentirla la lingua». Per dirla all’olandese: il Taalgevoel,
il sentimento per la lingua.
    Il ruolo dei genitori italiani, soprattutto degli uomini, era quello di
trasferire l’amore per l’Italia ai propri figli, attraverso racconti sulla
famiglia, sul luogo in cui erano cresciuti, sul paese.




Ernesto Ditella riceve la cittadinanza onoraria di   Ernesto Ditella durante una gita
Delft                                                organizzata dall’Associazione

                                                                                 263
Ernesto mi ha raccontato con grande soddisfazione che suo figlio cerca
una casa proprio a Capracotta, nel paese da cui la sua famiglia proviene.
    A proposito delle descrizioni della famiglia e dell’Italia fatte dai genitori
italiani ai propri figli, ecco un brano tratto dall’intervista a Ernesto, in cui
racconta la capacità del figlio di riconoscere suo nonno, sebbene non l’a-
vesse mai incontrato prima. Questo per me è significativo per capire cosa
provano i giovani della seconda generazione nei confronti dell’Italia.
        L.B.: Ha trasmesso l’amore per l’Italia a suo figlio?
        E.D.: È successo un fatto davvero strano quando lui aveva quattro anni.
   Dalla descrizione che gli avevo fatto io di mio padre è riuscito a ricono-
   scerlo quando siamo andati insieme a Capracotta.
        Eravamo nella piazza. Da lontano vede scendere un signore con le vacche e
   lui comincia a urlare: “Nonno! Nonno!”. Era un signore con le vacche, ed era
   mio padre.
        C’erano sulle montagne alcuni signori con le vacche, ma lui quello con il
   bastone, con il cappello lo aveva riconosciuto subito. Si mise a correre, e gli
   infilò la manina dentro la sua mano. Mio padre lo guardava sorpreso. Si
   diceva: “E chi è questo bambino, questo rosso?”. Lui diceva “Daniel Daniel”,
   l’altro “Nonno nonno” e si capirono. Mio figlio parlava olandese e mio padre
   capracottese. L’istinto di mio figlio in quell’occasione è stato incredibile.

Antonio Pirisi
    Antonio Pirisi, proveniente da Sassari, mi ha fornito una preziosa
testimonianza sul lavoro nelle miniere del Limburgo. Fa parte, infatti, di
quel gruppo giunto dal Limburgo per lavorare alla Kabelfabriek. La sua
intervista è ricca perché regala pezzi di entrambe le esperienze. Grazie a
lui sono venuta in possesso delle fotografie del gruppo di sardi, un
gruppo molto compatto qui in Olanda, che si riunisce spesso per man-
tenere vive le tradizioni culinarie e popolari.
    La maggior parte dei sardi in Olanda ha vissuto la doppia esperienza
della miniera e dell’industria.




264
Il gruppo dei sardi                  Antonio Pirisi durante il lavoro in fabbrica


Antonio Manchia
   Antonio Manchia mi ha ospitato nel suo grande terrazzo dove pos-
siede un piccolo orto e coltiva pomodori, zucca, prezzemolo, basilico.
                                    La sua testimonianza mi ha arric-
                                    chito di dettagli culinari sul man-
                                    tenimento delle tradizioni italiane
                                    in Olanda. Mi ha raccontato, in-
                                    fatti, che in Sardegna c’è una lavo-
                                    razione del porcellino che il grup-
                                    po dei sardi ripete ogni anno,
                                    fedele alla tradizione.
                                        Dalle foto si può vedere che
                                    l’evento riunisce numerosi amici,
                                    ognuno con un compito diverso
                                    da svolgere. Nel suo terrazzo, in-
                                    fatti, ha montato un forno origi-
                                    nale proveniente dalla Sardegna,
                                    adatto proprio a cucinare il por-
                                    cellino secondo la ricetta sarda.




                                     La lavorazione del porcellino sardo

                                                                            265
LA SECONDA GENERAZIONE

    Passiamo alla seconda generazione. Il bilancio è positivo. La seconda
generazione si è integrata completamente nel sistema olandese. La loro
integrazione diventa assimilazione della cultura olandese e di quella ita-
liana. Per la prima generazione si parla di integrazione nella cultura
olandese, ma senza completa assimilazione della stessa. Si parla infatti di
mantenimento della cultura italiana. Per la seconda generazione si parla
invece di assimilazione di entrambe le culture.

Graziella Vitale
    Graziella è di padre italiano e madre olandese. La sorella di sua
madre, però, ha sposato anch’essa un italiano, Gino Scalzo.
    Vivendo così a contatto con la cultura italiana, Graziella è stata in
grado di apprendere perfettamente l’italiano e di studiarlo. Ammette di
non sentirsi e di non essere italiana. Lei è nata e cresciuta in Olanda,
parla olandese con i suoi genitori e suo fratello. Ha vissuto in Italia solo
per un brevissimo periodo, per studio. Tuttavia è riuscita a mantenere
vivo l’amore per l’Italia attraverso lo studio della lingua e la ricerca, che
svolge a tempo perso, sull’emigrazione italiana in Olanda, che la appas-
siona molto. Come per la maggior parte dei giovani della seconda gene-
razione, l’apprendimento della lingua italiana è un fatto quasi automa-
tico, naturale. La scelta delle costruzioni in italiano si presenta sempre
automatica, come anche l’uso del congiuntivo e delle forme verbali più
ostiche per un semplice studente olandese di italiano. L’intervista si è
svolta in olandese ma con passaggi continui alla lingua italiana.
    Nel suo caso si può confermare il dato secondo il quale per la
seconda generazione si parla di assimilazione al sistema olandese, senza
mantenimento delle tradizioni italiane, inizialmente presenti, soprat-
tutto nell’infanzia, ma destinate a perdersi.
    Graziella, come molti altri italiani di seconda generazione, ha sempre
parlato olandese con il padre. Questo comportamento è comune a tutti
gli uomini italiani sposati con donne olandesi. Il motivo è che per tutti i
lavoratori giunti in Olanda le difficoltà di apprendimento della lingua
olandese erano tali da far prevalere il desiderio che almeno i figli la padro-

266
neggiassero completamente, così come loro stessi forse avrebbero voluto.
L’utilità della lingua olandese per il loro futuro è sembrata, ai padri ita-
liani, più importante dell’apprendimento della lingua italiana, che passi-
vamente si sarebbe appresa comunque andando in Italia. Questo ragio-
namento è unito ad altre motivazioni, come la mancanza di tempo da
parte dei padri di dedicarsi all’insegnamento della lingua italiana ai figli, a
causa del lavoro in fabbrica, che li teneva occupati durante tutta la setti-
mana. Che l’educazione materna, in questo caso delle donne olandesi,
abbia prevalso su quella paterna è confermato anche da un altro dato
curioso. Le donne italiane giunte in Olanda con i mariti hanno sempre
parlato con i propri figli in italiano, sin dall’infanzia.

    Il legame con l’Italia permane in questo caso, ma in maniera note-
volmente diversa rispetto alla precedente generazione. Il loro legame
non è diretto, ma è stato trasmesso in modo trasversale dai genitori o dai
nonni. Le immagini di Agira, il paese da cui proviene la famiglia del
padre di Graziella, sono per lei l’Italia: la natura, la campagna, il pae-
saggio delle stradine con le mucche e i contadini. Per lei tornare lì signi-
fica ritrovare le sue radici.

Eddy Marinacci
    L’attaccamento alla cultura di origine si può sviluppare anche attra-
verso l’amore per le tradizioni culinarie, come dimostra l’intervistato
Eddy Marinacci. Eddy, di genitori italiani, mi ha confermato che l’a-
more per l’Italia continua anche attraverso il tramandarsi delle ricette
culinarie della famiglia. Lui è
cresciuto qui in Olanda con pa-
dre, madre e nonna italiane, una
famiglia abbastanza tradiziona-
le, e ha vissuto come un italiano.
Dai suoi racconti si capisce subi-
to che il pranzo e la cena erano
momenti importanti per la fami-
glia e soprattutto per la nonna,
venuta in Olanda per seguire la
figlia e non rimanere da sola in

                                                                           267
Italia. Come segno d’amore per gli insegnamenti trasmessigli dalla
nonna, Eddy ha comprato con sua moglie un ristorante italiano, La
Fontanella, a Delft. Il ristorante fa parte anche della storia degli italiani
di Delft. La sua storia è presente in moltissimi libri, perché è il primo
ristorante a essere stato aperto nella città di Delft, il primo ad avere un
forno a legna, mandato direttamente dall’Italia. Eddy ha comprato il
locale nel 2002, ma apparteneva a una famiglia italiana; i genitori di
Eddy non erano ristoratori. Divenendo proprietario e gestore del risto-
rante ha fatto di una sua passione, la cucina italiana, una professione.
Dopo gli studi di economia gli è sembrato giusto unire le sue due pas-
sioni. Il contatto continuo con i clienti italiani, il raccontare aneddoti
legati al paese abruzzese da cui proviene, il recarsi in Italia per procu-
rarsi i prodotti italiani rimangono per lui la strada migliore per sentirsi
legato al paese della sua famiglia, che sente vicinissimo e di cui sente la
nostalgia quando è lontano da troppo tempo.
        L.B.: Come nasce il tuo rapporto con l’Italia?
        E.M.: Papà e mamma sono italiani e sono vissuto sempre in un ambiente
   italiano, anzi italianissimo. A casa con mio padre, mia madre e mia nonna,
   che è sempre stata con noi e che quindi mi ha cresciuto.
        L.B.: I tuoi genitori sono venuti in Olanda insieme?
        E.M: Sì, sono venuti qua insieme. Tutto è cominciato perché mia madre
   aveva una sorella e un fratello. E lei era la più piccola. Mio zio è venuto in
   Olanda per primo a lavorare nelle miniere del Limburgo molti anni fa; poi
   si è spostato a Delft quando hanno aperto tutte le grandi fabbriche dove
   hanno lavorato gli altri italiani. E lui è andato a lavorare alla Kabel Fabriek.
   Poi è venuta anche la sorella di mia madre perché nelle zone nostre in
   Abruzzo c’era poco lavoro, c’erano solo le montagne, poca attività. Anche
   lei è venuta qui a lavorare e poi si è sposata con un signore olandese, mio
   zio. Mia madre era rimasta da sola in Italia con mia nonna. Il nonno era
   morto già tanti anni prima.
        Mio padre, che veniva dallo stesso paese, andava invece sempre a lavo-
   rare in Germania ed andava avanti e indietro tramite un incarico a con-
   tratto. Mia madre aveva pensato al fatto che la sorella e il fratello vivevano
   già in Olanda e si diceva che, dovendo scegliere tra lo stare da sola in
   Germania con mio padre e la possibilità di venire in Olanda, tanto valeva
   venire a vivere in Olanda! E così hanno deciso di fare e si sono spostati tutti
   e tre, perché si sono portati anche mia nonna. Così ci troviamo qua.
        L.B.: Quanti anni avevano i tuoi genitori quando sono arrivati qui?

268
E.M.: Vediamo, io ho 36 anni adesso. Sarà stato circa 40 anni fa. Nel ’63-’65.
    L.B.: Da dove venivano precisamente i tuoi genitori?
    E.M.: Dall’Abruzzo. Da un paesino in provincia di L’Aquila.
    L.B.: E all’inizio tuo padre dove ha lavorato?
    E.M.: Prima lavorava nei cantieri. Perché questa era l’esperienza che
mio padre aveva fatto in Germania. Poi è andato anche lui a lavorare in fab-
brica alla Kabel Fabriek di Delft.
    L.B.: E tua madre?
    E.M.: Mamma ha sempre lavorato anche lei. Si è dato il caso che loro
non è che fossero fortunati ma che forse si sono impegnati, come poi tutti
di quella generazione, per trovare lavoro. Perché capivano che per vivere
bisognava lavorare. E loro abbastanza in fretta l’hanno trovato. Mia madre
ha lavorato alla fabbrica farmaceutica Gipsbrokkade, una delle più grandi
fabbriche a livello mondiale di antibiotici e medicine. E lì ci ha lavorato
tutta la vita fino a qualche anno fa.
    L.B.: Mentre tuo padre?
    E.M..: Lui ha lavorato prima ai cantieri e poi alla Kabel Fabriek. Da lì
poi non si è mai più spostato.
    L.B.: Tu sei un caso singolare perché hai entrambi i genitori italiani.
    E.M.: È vero!
    L.B.: Gli uomini italiani che venivano qui molto spesso sposavano un’o-
landese.
    E.M.: Sì è vero, ma non ho solo i genitori italiani. Avevo anche nonna
qui, sempre con me. Non è che mi ha cresciuto solo lei, però tante cose le
ha fatte lei.
    L.B.: Ed ora?
    E.M.: Ora è morta.
    L.B.: E come si trovava lei qui quando è arrivata?
    E.M.: Bene perché aveva i figli qua. Il figlio e le due figlie. Era una cosa
carina per lei. Poi era un’altra epoca; Delft era molto diversa. Si passeg-
giava, si chiacchierava. Non era proprio un paese ma era più gezellig, come
dire in italiano?
    L.B.: Piacevole! E con la lingua come si è trovata?
    E.M.: No, con la lingua non si è mai trovata bene.
    L.B.: È sempre la parte più difficile.
    E.M.: Doveva sempre andare o con mamma o con papà o con uno dei
figli. Qualcuno l’accompagnava sempre. Di solito mia madre, perché abi-
tava con noi. E l’accompagnava dal dottore, all’ospedale. Però dico, all’e-
poca, c’erano i piccoli negozietti. Non era come ora dove ci sono i grandi
supermercati che hanno dieci commesse, dove ogni volta c’è un’altra. C’era

                                                                             269
il piccolo kruidenier (erbivendolo), dove c’era sempre la stessa signora che
   era l’eigenaresse van de winkel (la proprietaria del negozietto) e che cono-
   sceva nonna Diomira. Si capivano; era un rapporto molto diverso da ora.
        L.B.: Peccato che la situazione sia cambiata.
        E.M.: All’epoca si trovava molto bene.
        L.B.: Quindi tu hai sempre parlato italiano in casa.
        E.M.: Sempre, proprio sempre. Io mi ricordo che avevo avuto un pro-
   blema a imparare l’olandese. Alla Kleuterschool (scuola materna) erano le
   prime scuole per me, c’è voluto un attimo per imparare l’olandese. All’inizio
   piangevo, piangevo. E non riuscivo proprio a esprimermi. A casa parlavo solo
   italiano.


Marianna Marras
    Ma anche attraverso l’amore per la musica, l’opera italiana per la preci-
sione, è possibile mantenere vivo il legame con l’Italia.
    Attraverso la descrizione dei racconti del padre sardo, Marianna Marras
è riuscita a conoscere e ad amare la terra sarda. È riuscita a fare del suo
amore per la musica italiana la sua professione, perché oggi è musicista.
    Il legame continua, ma attraverso altre forme. Attraverso il racconto
di Marianna mi è stato possibile capire meglio le difficoltà incontrate
dal padre nel paese straniero. Mi ha parlato molto del padre e della
madre. Grazie ai dettagli della sua storia familiare ho capito che il pro-
cesso di integrazione da parte del gruppo sardo è stato molto complesso
e spesso non ha portato a una conclusione positiva. Non si è sempre
potuto parlare di integrazione.

LA TERZA GENERAZIONE
    Tramite le attività ricreative organizzate dall’Associazione si cerca di
insegnare ai bambini la storia del paese italiano. La cerimonia più
festeggiata e amata è quella dell’Epifania. L’arrivo della Befana al centro
è sempre accolto da grandi feste e giochi.
    Ma oggi i figli della seconda generazione di italiani non si possono
definire italiani. Sono perfettamente integrati nel sistema olandese, si
sentono olandesi. Il processo di integrazione italiano, cominciato e cer-
cato volutamente negli anni Cinquanta e Sessanta dai loro nonni, volge

270
alla conclusione positiva. L’assimilazione della cultura del paese ospi-
tante è avvenuta.
    Ai loro genitori resta il compito di insegnare ai bambini la cultura
italiana, cercando di far conoscere la storia del proprio paese d’origine,
insegnando loro la lingua italiana e coinvolgendoli nei viaggi in Italia.
   Oggi l’Associazione non svolge lo stesso compito dell’inizio, quando
era necessaria la sua mediazione per capire il sistema olandese. La
seconda e la terza generazione non vanno al centro per passare il tempo,
non cercano la piazza. Se hanno bisogno di divertirsi girano per le città
olandesi, in compagnia di amici. Sanno dove trovare gli svaghi e le infor-
mazioni che cercano.
   Il futuro dell’Associazione però è in mano loro. Forse oggi non ha
più la stessa funzione di un tempo, ma a lei spetta il compito di rimanere
centro di diffusione culturale italiano. Alle terze generazioni quello di
continuare a frequentarla durante le numerose attività organizzate.




                                                                      271

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  • 1. I processi di integrazione di tre generazioni di italiani a Delft*. Laura Briganti Nella Dichiarazione universale dei Diritti umani è scritto: «Ogni uomo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza, entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio e di ritornare nel suo paese». La mia ricerca si è svolta sulla generazione di italiani arrivata in Olanda alla fine degli anni Cinquanta e presente ancora oggi nella città di Delft. Nello svolgere il mio lavoro ho raccolto la documentazione sull’emi- grazione italiana in Olanda, vastissima, anche se non così vasta come quella sull’emigrazione italiana negli altri Paesi europei; in particolare ho consultato quella relativa alla città di Delft. Dopo essermi documentata sull’argomento, ho iniziato la ricerca sul campo, incontrando e intervistando un campione di italiani della prima e della seconda generazione, residenti oggi a Delft. Il progetto iniziale era quello di basarmi sullo stesso numero di italiani per la prima e per la seconda generazione. Ben presto, però, mi sono resa conto che dagli ita- liani della prima generazione comincia il processo successivo. Il numero * L’Associazione Italiana di Delft mi ha affidato una ricerca sul tema: «I processi di inte- grazione di tre generazioni di italiani a Delft». Nell’incontro del 24 febbraio 2006, svoltosi nella sede dell’Associazione, alla presenza del Console italiano e di una rappresentanza di emigranti di varie generazioni, ho avuto modo di presentarne i primi risultati. Delle tre gene- razioni di italiani a Delft, mi sono soffermata, per ora, soprattutto sulle prime due. La conferenza è stata corredata da una serie di fotografie gentilmente messe a disposizione dagli italiani della prima generazione intervistati. 247
  • 2. maggiore di intervistati viene dunque dalla prima generazione, proprio per l’importanza della loro testimonianza. La registrazione delle interviste è stata un’esperienza bellissima e la parte più divertente di questo lavoro. Sicuramente l’emigrazione in Olanda è stato un fenomeno collettivo, ma gli emigranti hanno una sto- ria personale molto più interessante e i dettagli che sono emersi dalle interviste hanno arricchito la mia ricerca. Il lavoro di trascrizione è stato molto difficile, perché le interviste possono durare anche più di un’ora. Se la conversazione si faceva parti- colarmente interessante – e questo succedeva regolarmente – poteva durare anche tre ore. Il passaggio dalla registrazione alla trascrizione dell’intervista è stato senza dubbio il lavoro più duro. Ad esso si accompagna la selezione del materiale, ossia dei contenuti dell’intervista, che è delicata e richiede molta attenzione e cura, perché può compromettere l’originalità della testimonianza. Grazie alle interviste ho potuto trarre alcune conclusioni sui processi di integrazione. Partendo dall’emigrazione italiana in Olanda nel dopoguerra mi sono domandata perché gli italiani si siano recati proprio in questo Paese. I motivi principali sono i seguenti: 1) l’Olanda procedeva a una rapida ricostruzione del paese. Era in un momento in cui voleva investire su nuove leve che contribuissero alla crescita del paese; 2) l’Olanda disponeva di una fonte interna di risorse costituita dalle miniere del Limburgo. Del lavoro nelle miniere si è parlato nelle interviste alla prima generazione di italiani giunti in Olanda. Il gruppo dei sardi è stato, infatti, il primo ad essere chiamato al lavoro nel Limburgo già negli anni Cinquanta; 3) in Olanda c’era una notevole scarsità di manodopera giovane a causa della guerra. Si cercavano dunque giovani provenienti da altri paesi. L’Olanda fu costretta a sopperire a questa carenza di manodopera interna reclutando lavoratori stranieri destinati all’edilizia, al lavoro in miniera, all’industria tessile e metallurgica. Nelle interviste si parla soprattutto di queste ultime due categorie. 248
  • 3. Tutto inizia nel 1949, quando i responsabili delle miniere di Stato del Limburgo si recano in Italia per reclutare lavoratori giovani. Lo slogan era: « C’è lavoro per voi in Olanda». Lo slogan giunge nel nostro paese in un momento di grande crisi e l’of- ferta di lavoro attira subito l’attenzione. Moltissime persone provenienti soprattutto dalla Sardegna rispondono a questo richiamo. Secondo l’Ufficio centrale di statistica olandese nel 1956 giunsero in Olanda 4000 italiani. Nel 1970 gli italiani in Olanda diventano 5200. C’è dunque una crescita. Di questi 5200, 2500 si recano a lavorare nel Limburgo. Gli altri fanno lavori stagionali, come gli spazzacamini e i gelatai. I 2500 giunti alla fine degli anni Cinquanta saranno i primi lavoratori che si recheranno in Olanda come operai. I parametri « Con quali parametri i lavoratori italiani venivano selezionati dalla Commissione olandese?» Nel rispondere a questa domanda molti degli intervistati si sono soffermati sulla descrizione della selezione fatta dalla Commissione olandese a Milano. Il primo requisito che occorreva possedere per risultare idoneo era lo stato di salute: i lavoratori dovevano essere in perfette condizioni. Qui si creava tensione perché venivano facilmente scartati. Prima di arrivare alla Commissione olandese, però, bisognava superare il controllo di una Commissione italiana regionale. Attraverso le interviste mi sembra sia emerso che non fosse una commissione rigida come quella successiva. Dopo lo stato di salute risultava fondamentale l’età: dovevano essere giovani, tra i 22 ed i 32 anni. In più dovevano avere la fedina penale pulita ed essere celibi. Il celibato, infatti, garantiva la mobilità e allo stesso tempo era indice di stabilità in Olanda. Il non avere legami con l’Italia li rendeva più affidabili. Infine, dovevano aver già prestato servizio militare. La provenienza La provenienza dei giovani è diversa, ma già dalle interviste si può capire la percentuale. Il 40% viene dalla Sicilia e dalla Sardegna, il 37% dal Nord d’Italia, il 20% dal Sud d’Italia. 249
  • 4. La maggior parte degli intervistati della prima generazione è origina- ria della Sicilia, mentre una piccola percentuale viene dal Molise e un certo numero dalla Sardegna. Non ho avuto la possibilità di intervistare emigrati italiani provenienti dal Nord. Il tipo di emigrazione che coin- volge gli italiani del Nord è precedente a questi anni ed è legata ai mestieri di spazzacamino, terrazziere, gelataio. Tra l’Olanda e l’Italia si crea una convergenza d’interesse. L’una è utile all’altra. Questo si chiama anche stato di provvisorietà. Lo stato di provvisorietà fa sì che l’Italia fornisca manodopera ricevendo in cambio una serie di vantaggi. L’offerta delle aziende Le aziende olandesi offrono al lavoratore straniero una serie di van- taggi per un anno. Prima di tutto possono usufruire di vitto e alloggio nelle pensioni, le cosiddette case a pagamento, in olandese Kosten- huizen, che consentono il primo contatto degli italiani con il mondo olandese. Nelle case avviene il primo passo verso la conoscenza e la suc- cessiva integrazione nel paese, come si capisce dai racconti degli intervi- stati. La prima difficoltà riscontrata è data naturalmente dal cibo che viene servito. Molti lo criticano, ricordando l’odore di cavolo che aleg- giava nelle case appena si entrava. Molti, però, avendo alle spalle condi- zioni sociali disagiate, lo apprezzano. Il fatto di essere giovani e inesperti li rende inoltre meno nostalgici rispetto ad abitudini alimentari italiane. Non dimentichiamo che per molti era la prima esperienza di viaggio, perché quasi tutti non si erano mai mossi dal loro paese o dalla loro città. Nelle pensioni sono nate le prime amicizie con gli olandesi. I racconti più divertenti sono legati proprio alle uscite con i giovani olandesi che abitavano nelle case. Con le uscite, però, avvenivano anche le liti nei bar. Tra i motivi, le gelosie dei giovani locali per l’eleganza con cui si presentavano i ragazzi italiani, sempre impeccabili e di bell’aspetto. Un vantaggio notevole era costituito dall’organizzazione e dai costi di trasporto di eventuali viaggi Italia-Olanda, offerti dalle aziende olan- desi. C’era inoltre l’offerta di quattro settimane di vacanza gratis, a spese del- l’azienda, per poter andare a trovare i familiari. Mi è stato raccontato da 250
  • 5. Ernesto Ditella che proprio in quei momenti di ferie era molto grato all’Olanda per ciò che gli offriva. Molti operai avevano dichiarato di essere in malattia per poter rimanere più a lungo in Italia ed essere pagati lo stesso. Lui però aveva chiesto all’azienda di poter rimanere ancora in Italia pur non essendo malato. L’azienda aveva accettato di pagarlo, mostrando comprensione per la sua nostalgia. Questo gesto di rispetto verso un lavoratore onesto lo aveva profondamente colpito. C’erano dunque tutti i presupposti per un impatto positivo. Mi è stato raccontato che al loro arrivo in Olanda prima di essere portati nelle pensioni, gli operai andavano a visitare la fabbrica. Lì rimanevano fortemente impressionati dall’eleganza delle sale riunioni, dove veni- vano loro offerti sigari di ogni provenienza. C’erano orari più flessibili rispetto alle fabbriche italiane, nelle quali alcuni operai avevano lavo- rato. Per alcuni, dunque, l’esperienza olandese era molto positiva. Gli svantaggi Tuttavia c’erano anche svantaggi. C’era infatti un’autoemargina- zione, dovuta allo stato di provvisorietà in cui gli italiani vivevano. Sapendo di dover, prima o poi, ritornare in Italia, non si investiva nella conoscenza della lingua olandese. Non si riteneva necessario l’appren- dimento della lingua soprattutto perché l’olandese si presentava molto ostico al primo approccio. Questo non aiutava l’integrazione in un pae- se già di per sé diverso culturalmente da quello di provenienza. Le diffi- coltà iniziali portavano dunque a un forte allontanamento. Nella fase iniziale non c’erano inoltre offerte per l’integrazione da parte dello Stato olandese. Questo valeva soprattutto per i primi italiani giunti a lavorare nelle miniere negli anni Cinquanta. A queste difficoltà si aggiungevano i pregiudizi e l’ostilità dimostrata dagli olandesi, a causa delle frequenti liti tra i giovani italiani, definiti dai giornali locali «persone dal sangue caldo» che facilmente litigavano nei bar e nelle sale da ballo perché conquistavano facilmente le donne olandesi. Gli stessi italiani intervistati hanno ammesso di riscuotere una certa popolarità in Olanda. A Delft, nei giornali locali, si parlava spesso di liti tra italiani e studenti olandesi. 251
  • 6. I primi passi verso l’integrazione Dopo gli anni Sessanta si verifica una progressiva integrazione degli italiani della prima generazione. Il motivo principale è senza dubbio la massiccia presenza di matrimoni misti tra uomini italiani e donne olan- desi. E’ presente però, in quegli anni, anche una piccola percentuale di matrimoni tra italiani. Il tipo di integrazione che viene favorita dai matrimoni misti è prima di tutto quella linguistica. Nasce dal desiderio di conoscere la lingua olandese parlata dalla moglie ed è un modo per entrare nella cultura del paese ospitante. In più c’è l’inserimento totale dei figli nella realtà scolastica locale. Questo dato è confermato da tutti gli intervistati. Conoscere il sistema scolastico, le famiglie dei compagni di classe del proprio figlio, è un modo immediato per entrare nella cultura olandese. Questo vale anche per l’integrazione delle donne italiane, sposate con italiani che vivono in Olanda. In Olanda è previsto per le mamme un notevole coinvolgi- mento nelle attività scolastiche ed extra scolastiche, come l’organizza- zione di recite, spettacoli e gite. Lo spostamento verso il Nord La chiusura delle miniere di carbone nel Limburgo causò uno spo- stamento geografico dei lavoratori stranieri verso zone dell’Est e del Nord del Paese. In più ci fu, da parte degli italiani, il passaggio a un’attività lavorativa diversa, perché molti di essi passarono dal lavoro nelle miniere al lavoro nel settore tessile e nell’edilizia. In questo periodo, infatti, in Olanda il lavoro viene richiesto non più nel Limburgo, Sud dell’Olanda, quanto nei Paesi del Nord. La maggior parte degli intervistati racconta di essere arrivata dalla lontana Sicilia alla terraferma e poi in treno nel Nord Italia per giungere a Utrecht, dove avveniva la divisione dei ruoli. I lavoratori venivano presi per un determinato settore e poi mandati nel paese dov’era l’indu- stria. In questa occasione molti venivano mandati all’industria tessile, molti all’industria metallurgica per lo smistamento dei lavoratori. 252
  • 7. La Nederlandse Kabel Fabriek di Delft (NKF) A partire dal 1959 cinquanta lavoratori italiani vengono mandati dalle miniere del Limburgo a lavorare alla Nederlandse Kabelfabriek di Delft (La fabbrica di cavi elettrici di Delft). La maggior parte di essi proviene dalla Sardegna, precisamente dalla provincia di Sassari. Non è un caso che tutti i sardi che ho intervistato provengano da questa provincia. Proprio questo passaggio alla Kabelfabriek segna l’arrivo degli italiani nella città di Delft. Secondo l’Ufficio centrale di statistica olandese tra il 1956 ed il 1961 gli italiani presenti sono 6000, di cui 2500 nel Limburgo per i successivi dieci anni. Nel 1972 il numero degli italiani è salito a 8500. Dal 1961 al 1975 la Nederlandse Kabelfabriek di Delft, dopo aver reclutato gruppi di lavora- tori provenienti dalla Sardegna, si reca anche in Sicilia dove volantini e manifesti annunciano, ancora una volta: «C’è lavoro per voi in Olanda!» Tutti gli intervistati confermano che la pubblicità sull’offerta di lavoro in Olanda era ovunque, in Sicilia, ed era inevitabile rimanere incuriositi dalla portata di tale proposta e presentarsi al colloquio di lavoro. L’inter- vistato Gaetano Giumento mi ha confessato che da parte sua all’inizio non c’era la volontà di trasferirsi, ma per curiosità aveva fatto domanda e così si era trovato coinvolto, come anche molti altri. Nel 1975 abitano a Delft circa 137 italiani. Presso la NKF (Neder- landse Kabelfabriek) hanno lavorato circa 300 italiani. In queste immagini, che mi sono state gentilmente concesse, si pos- sono vedere i lavoratori in mensa e nella fabbrica. Sono foto abbastanza rare. Anche attraverso una ricerca su Internet è quasi impossibile trovare materiale fotografico e video relativo a quegli anni. Tutto il materiale è messo a disposizione dagli emigrati di prima genera- zione e grazie a loro sarà possibile creare un archivio fotografico sul- l’emigrazione italiana in Olanda. La loro testimonianza è dunque necessaria e fondamentale per pro- seguire questo tipo di ricerca. Operai della fabbrica NKF in mensa 253
  • 8. C’erano comunque numerose possibilità di svago per gli italiani. Nel 1962 esisteva Casa Nostra, un luogo di incontro, soprattutto a sfondo religioso. Poi c’era la Casa Internazionale a De Poort e infine il Caffè De Klompe della famosa Tante Lena. Tante Lena era una donna olandese di cui ho sentito parlare moltissimo e di cui purtroppo non ho trovato fotografie. È stata una vera zia, che li ha difesi in mille occasioni e il cui bar costituiva un punto di incontro. Ci si recava anche per sentirsi pro- tetti. Non si poteva litigare e la regola era bere una birra sola. Scuola tecnica Nel 1975 si forma la Scuola Tecnica Centrale. Questo è un momento molto importante perché è il risultato di una battaglia vinta da alcuni nostri emigranti. Viene data infatti la possibilità agli italiani di ricevere un’istruzione all’interno della Fabbrica nella propria lingua madre. Un evento importante sia per gli operai italiani che avevano intenzione di rimanere in Olanda sia per gli operai che, dopo un periodo di lavoro all’estero, pianificavano il loro ritorno in Italia. Non dobbiamo dimenticare che la maggior parte degli italiani giunti in questi anni possedeva solo la licenza elementare. All’epoca era ancora pos- sibile aprire un negozio o un’attività con la licenza elementare, però, una volta ritornati in Italia, dopo gli anni Settanta, questa non era più suffi- ciente. Era possibile iniziare un’attività commerciale solo con il possesso della licenza media. Per gli italiani che intendevano ritornare in Italia signi- ficava essere esclusi automaticamente da ogni possibilità lavorativa. Questo momento segna un passaggio fondamentale perché permette agli operai di sentirsi arrivati dal punto di vista professionale. La scuola italiana Dal 1978 al 1983 c’è una grande lotta per ottenere l’istruzione nella lin- gua madre fuori dall’orario scolastico, al contrario di quello che voleva il Regionaal Centrum voor Buitenlanders (il Centro regionale per stranieri). Quest’altra battaglia si è conclusa con una grande vittoria. Nel momento in cui i figli degli emigranti della prima generazione andavano a scuola c’era la possibilità di far loro apprendere anche la lingua ita- liana, e non solo la lingua olandese parlata a scuola. 254
  • 9. Il RCB voleva che le lezioni si tenessero durante l’orario scolastico. Questo non facilitava i giovani che non si recavano volentieri alle lezioni di italiano. Gino Scalzo ed Ernesto Ditella sono solo alcuni dei protago- nisti di questa battaglia. L’Associazione italiana Da questo momento il ruolo dell’Associazione italiana – che viveva inizialmente dei sussidi del Consolato e del RCB (Il Centro regionale per stranieri) – diventa sempre più importante. Lo scopo iniziale era quello di organizzare feste secondo le tradizioni popolari italiane, la più importante delle quali era l’Epifania del 6 gen- naio. L’Associazione italiana nasce nel 1972. L’evento aveva soprattutto lo scopo di attrarre la terza generazione, perfettamente integrata nel sistema olandese, ma legata, grazie alla fami- glia, alle tradizioni del luogo d’origine dei familiari. Nel 1974 il ruolo dell’Associazione diventa ancora più attivo. Viene organizzata una serie di eventi. Alcune attività svolte dai presidenti dell’Associazione hanno attirato l’attenzione della politica olandese sulle problematiche dell’integrazione degli stranieri. Tra le foto è rico- noscibile l’ex primo ministro olandese Koch. Molti degli italiani hanno ottenuto la cittadinanza onoraria a Delft perché si sentono fortemente integrati nel sistema di vita olandese. Questo è naturalmente un motivo di grande orgoglio per loro e conferma l’ipotesi che, dopo la prima generazione, l’integrazione nel paese ospi- tante sia avvenuta in maniera positiva. 255
  • 10. L’Associazione italiana dal 1985 è iscritta alla Camera del Commercio e ha un suo statuto, organizza attività sociali, ricreative, culturali e spor- tive. Il suo scopo principale è quello di mantenere viva la cultura italiana e di favorire l’integrazione nella società olandese. Viene finanziata da sussidi comunali e dai contributi annuali dei soci. Dal 1993 è situata a Bieslandsekade 68, nei locali S.I.L.A., assieme all’Associazione spagnola e a quella sudamericana. Un’altra battaglia importante vinta dall’Associazione italiana è stata quella che ha portato alla fondazione di un’Associazione di Bocce (Jeu L’ex premier olandese Koch insieme a Gino Scalzo. L’Associazione italiana oggi e il centro di bocce. 256
  • 11. de beules). Dalle interviste rivolte ai giovani della seconda generazione l’associazione di bocce è risultata essere per i loro padri «la piazza», il loro punto di incontro; il bar dove ci si incontra, si ride e scherza, si fanno due chiacchiere insieme nella propria lingua. Tra le attività dell’associazione c’erano serate dedicate alle feste popolari, ma anche molte gite in pullman per recarsi tutti insieme a conoscere l’Olanda. Molti hanno conosciuto l’Olanda anche grazie alle gite che regolar- mente venivano organizzate. Si passava del tempo in compagnia, ma il pretesto era anche approfondire la conoscenza del paese. Tra le attività sportive c’è naturalmente il calcio, un’occasione per incontrarsi con una certa regolarità e giocare con la propria squadra. La squadra italiana vanta una numerosa serie di vittorie e continua con suc- cesso, con il coinvolgimento delle nuove generazioni. Altre immagini mostrano l’at- tenzione dedicata agli allora bam- bini, la seconda generazione, che si cercava di coinvolgere, il più possibile, nelle attività dell’Asso- ciazione, organizzando eventi co- me le feste di Carnevale e l’arrivo della Befana, forse il più significa- tivo. Ci si divertiva anche tra gli adulti, mettendo su qualche spet- tacolino teatrale, qualche sketch da presentare durante le serate. La squadra italiana di calcio. Il Bollettino dell’Informazione Dall’aprile 1978 al marzo 1979 l’Associazione italiana pubblica una rivista, «Il Bollettino dell’Informazione». «Il Bollettino» è scritto in lin- gua olandese e in italiano, per favorire lo scambio culturale tra l’Olanda e l’Italia, ma soprattutto per dare informazioni sull’Italia. Sfogliandolo si trovano numerosi articoli scritti da inviati dall’Italia. Molto spesso sono presenti informazioni sull’economia e la politica dei paesi da cui la mag- gior parte degli italiani in Olanda proviene, come quelli siciliani. Si rac- conta ciò che viene organizzato nel paese, i festeggiamenti per le feste popolari. Lo scopo è di mantenere vivo il contatto con il paese di origine. 257
  • 12. Ancora qualche dato sugli ita- liani a Delft: nel 1975 c’erano 324 italiani, nel 1995 circa 249, di cui 192 nati in Italia. Gli altri sono ita- liani, ma nati in Olanda. Come si vede da questi dati, un certo numero di italiani è rientrato nel proprio paese. Il Bollettino dell’Informazione LA PRIMA GENERAZIONE Gli italiani della prima generazione a Delft oggi sono circa un centi- naio (foto). Questa è l’Associazione italiana oggi. Le interviste agli italiani della prima generazione sono state fatte non secondo un criterio di preferenza, ma in base alla disponibilità del momento. Avrei intervistato volentieri tutti, ma per questioni di tempo questo non è stato possibile. 258
  • 13. Gli intervistati della prima generazione sono: Gino Scalzo, Gino Infosino, Ernesto Ditella, Gaetano Giumento, Antonio Manchia, Anto- nio Pirisi. Nel momento in cui pubblico questo articolo è venuto da poco a mancare Antonio Manchia, il cui contributo è stato fondamentale per comprendere le tradizioni culinarie e regionali degli italiani giunti in Olanda. Sono tutti provenienti dalla Sicilia, e due dalla Sardegna. Gino Scalzo Il primo intervistato è Gino Scalzo. La testimonianza di Gino è iso- lata rispetto agli altri. Lui è il primo straniero a essere riuscito a intra- prendere una carriera politica. Ha cominciato nei sindacati, mentre lavorava in fabbrica, per poi entrare nel consiglio comunale di Delft. È tra i primi stranieri a essere entrato nella politica olandese. Come mi ha ripetuto molto spesso durante l’intervista, sin dal lavoro in fab- brica aveva capito come fosse fondamentale far sentire la propria voce. Il suo motto è infatti: «Dire la propria opinione sempre. Se è necessario cambiare qualcosa, bisogna dirlo». Durante le interviste fatte alla prima generazione ho trascorso lun- ghissime giornate a casa degli intervistati. Lì mi sono sentita come in Italia. Ci ritrovavamo a chiacchierare con grande facilità ed era molto difficile contenere la conversazione entro il numero di ore previsto dal mio lavoro. Era molto piacevole. Gino Scalzo, allora presidente, Gino Scalzo durante una gita fuori porta. durante la festa dell’Epifania. 259
  • 14. Tra i testi che ho selezionato ecco qualche brano, che sintetizza lo spirito dell’operaio giunto da lontano a lavorare in una paese straniero. Nel caso di Gino Scalzo si può parlare anche di emigrazione europea. All’inizio, infatti, era andato a lavorare in Svizzera, in seguito in Ger- mania, per poi approdare definitivamente in Olanda. In questo brano mi racconta la sua esperienza in Germania: G.S. Ad un certo punto c’era un amico mio che lavorava in Germania. Insieme andavamo qualche volta a Basilea. E lui mi ha detto che c’era un posto dove si poteva superare illegalmente la frontiera. Prima non era come ora dove basta entrare nel Mercato Comune. Perciò ci siamo messi d’ac- cordo che lui mi aspettava alla stazione di Basilea. Io mi sono licenziato alla direzione dell’albergo. E il direttore voleva che io a qualsiasi costo rima- nessi. Mi hanno promesso anche che se rimanevo non c’era più bisogno che lavorassi in cucina e che mi avrebbero mandato a studiare in una scuola di Basilea per diventare cuoco. Però io la decisione l’avevo già presa e sono andato lo stesso via. Sono arrivato alla stazione. L’appuntamento era alle dieci e questo mio amico, compaesano, non è venuto. Arrivato alle dodici e mezzo, pensavo, e che devo fare ora? C’era un treno che partiva per la Sicilia… L.B.: Hai avuto la tentazione di prenderlo e di ritornare? G.S.: Ho preso il treno e sono ritornato in Sicilia. L.B.: L’hai preso il treno? G.S.: Sì, sì, l’ho preso e sono tornato in Sicilia. Arrivare in Sicilia dopo che me ne ero andato... per me è stata una delusione enorme, ma soprat- tutto una vergogna nei confronti degli altri compaesani. Perché tutti se ne vanno e dicono tante belle parole e tu ritorni qui. Mi ricordo che sono arri- vato con l’autobus in città per poi andare al mio paese. L.B.: Da che provincia vieni? G.S.: Provincia di Palermo. Con quelle valigie di cartone camminavo a testa bassa. Speravo che non mi vedesse nessuno perché mi vergognavo troppo che tutti andavano e tornavano pieni di successi ed io no. Ma in realtà non era vero niente di quello che si raccontava. L.B.: E c’era la tua famiglia in Sicilia che ti aspettava? G.S.: Sì, c’era. Mio fratello, invece, era emigrato in Olanda, però io sono andato in Svizzera. Però poi serviva manodopera in Germania ed io sono andato legalmente, attraverso l’Ufficio del Lavoro, prima a Napoli, dove si dovevano far trascorrere mesi per dimostrare di essere idoneo, e poi sono partito per la Germania. 260
  • 15. L.B.: E dormivi tu da solo? G.S.: Sì da solo. Che poi in quell’inverno del ’62-’63 c’erano fino a 30 gradi sotto zero. Perciò ogni mattina andavo a otturare i buchi che avevano fatto i topi la notte. I topi entravano naturalmente dentro perché faceva più caldo ed io dormivo con la testa sotto le coperte. Al mattino facevo come le talpe, tiravo la testa fuori perché la notte i topi avevano ballato sopra il letto e la coperta. Perciò mi sono detto che un inverno così non lo volevo passare più. Ho chiesto a mio fratello se era possibile venire a lavorare qui in Olanda, dove lavorava lui, e quelli gli hanno detto di sì. L.B.: Che anno era? G.S.: L’inizio del ’62 sono andato ad abitare in Germania e nel novem- bre del ’63 sono venuto a lavorare in Olanda. Gino Infosino Una coppia che ho intervistato è composta da Carmela e Gino Infosino. Da loro mi sono sentita subito a casa. Sono stata accolta molto bene. Durante l’intervista Gino mi ha fornito la maggior parte delle informazioni che ho trovato sull’Associazione e sul suo ruolo, dal momento che ne è stato presidente. La maggior parte del materiale foto- grafico proviene dall’archivio privato della coppia. Grazie a Gino Infosino ho ricevuto la sua foto, ventunenne, mentre lavorava in fabbrica, alla Frederick Steen Fabriek, per la precisione. Gino Infosino alla Frederick Steen Fabriek 261
  • 16. Gaetano Giumento Altri intervistati sono Gaetano Giumento e sua moglie Maria. Loro rappresentano la fusione di due culture, poiché la moglie di Gaetano Giumento è olandese. Con lei mi sono intrattenuta a parlare e rappre- sentava un po’ la memoria della coppia nel corso dell’intervista, ricor- dando le date e aggiungendo dettagli del loro passato. Gaetano Giumento mentre lavora alla Gaetano Giumento con le valigie di car- regia tone in partenza dalla Sicilia La presenza, a volte silenziosa, a volte partecipe della donna nelle inter- viste ha arricchito di dettagli interessanti il valore delle interviste, fornendo un punto di vista molto diverso dal solito. Grazie a Gaetano ho avuto informazioni utili sull’emigrazione della prima generazione di italiani. Gaetano è un grande appassionato di regia. Grazie ai numerosi video, prima amatoriali, poi sempre più professionali, al punto da fargli vin- cere una serie infinita di premi, ho potuto arricchire la mia ricerca sul- l’argomento. Mi ha aperto molte porte, dan- domi anche del materiale. Gaetano Giumento durante il lavoro in fabbrica 262
  • 17. Ernesto Ditella Ernesto Ditella è un altro intervistato. Subito dopo l’intervista si è ammalato. Grazie a lui ho avuto molti dettagli sulla storia dell’emigrazione e sui problemi di integrazione. Ernesto è sposato con una donna olandese. Anche lui, come Gino Scalzo e Gino Infosino, è stato presidente dell’Associazione. A proposito di scambio culturale, mi ha raccontato che in casa si par- lava olandese con i figli. Alla mia domanda su come si facesse a inse- gnare ai figli l’italiano, mi ha detto che durante la settimana non era pos- sibile, lavorando fino a tardi la sera, passare molte ore con loro parlando italiano. Per questo motivo l’educazione era affidata alla donna, che naturalmente parlava con il proprio figlio la lingua madre. Era difficile per lui far mantenere la lingua italiana al figlio. Tuttavia colpiva molto questo particolare, confermato dagli altri italiani, che c’è proprio un Gevoel, « un sentimento» molto forte per la lingua e la cultura italiana da parte dei giovani della seconda generazione. Quindi è stato facile per loro andare in Italia, anche senza parlare la lingua, ed imparare subito a capirla e parlarla, a «sentirla la lingua». Per dirla all’olandese: il Taalgevoel, il sentimento per la lingua. Il ruolo dei genitori italiani, soprattutto degli uomini, era quello di trasferire l’amore per l’Italia ai propri figli, attraverso racconti sulla famiglia, sul luogo in cui erano cresciuti, sul paese. Ernesto Ditella riceve la cittadinanza onoraria di Ernesto Ditella durante una gita Delft organizzata dall’Associazione 263
  • 18. Ernesto mi ha raccontato con grande soddisfazione che suo figlio cerca una casa proprio a Capracotta, nel paese da cui la sua famiglia proviene. A proposito delle descrizioni della famiglia e dell’Italia fatte dai genitori italiani ai propri figli, ecco un brano tratto dall’intervista a Ernesto, in cui racconta la capacità del figlio di riconoscere suo nonno, sebbene non l’a- vesse mai incontrato prima. Questo per me è significativo per capire cosa provano i giovani della seconda generazione nei confronti dell’Italia. L.B.: Ha trasmesso l’amore per l’Italia a suo figlio? E.D.: È successo un fatto davvero strano quando lui aveva quattro anni. Dalla descrizione che gli avevo fatto io di mio padre è riuscito a ricono- scerlo quando siamo andati insieme a Capracotta. Eravamo nella piazza. Da lontano vede scendere un signore con le vacche e lui comincia a urlare: “Nonno! Nonno!”. Era un signore con le vacche, ed era mio padre. C’erano sulle montagne alcuni signori con le vacche, ma lui quello con il bastone, con il cappello lo aveva riconosciuto subito. Si mise a correre, e gli infilò la manina dentro la sua mano. Mio padre lo guardava sorpreso. Si diceva: “E chi è questo bambino, questo rosso?”. Lui diceva “Daniel Daniel”, l’altro “Nonno nonno” e si capirono. Mio figlio parlava olandese e mio padre capracottese. L’istinto di mio figlio in quell’occasione è stato incredibile. Antonio Pirisi Antonio Pirisi, proveniente da Sassari, mi ha fornito una preziosa testimonianza sul lavoro nelle miniere del Limburgo. Fa parte, infatti, di quel gruppo giunto dal Limburgo per lavorare alla Kabelfabriek. La sua intervista è ricca perché regala pezzi di entrambe le esperienze. Grazie a lui sono venuta in possesso delle fotografie del gruppo di sardi, un gruppo molto compatto qui in Olanda, che si riunisce spesso per man- tenere vive le tradizioni culinarie e popolari. La maggior parte dei sardi in Olanda ha vissuto la doppia esperienza della miniera e dell’industria. 264
  • 19. Il gruppo dei sardi Antonio Pirisi durante il lavoro in fabbrica Antonio Manchia Antonio Manchia mi ha ospitato nel suo grande terrazzo dove pos- siede un piccolo orto e coltiva pomodori, zucca, prezzemolo, basilico. La sua testimonianza mi ha arric- chito di dettagli culinari sul man- tenimento delle tradizioni italiane in Olanda. Mi ha raccontato, in- fatti, che in Sardegna c’è una lavo- razione del porcellino che il grup- po dei sardi ripete ogni anno, fedele alla tradizione. Dalle foto si può vedere che l’evento riunisce numerosi amici, ognuno con un compito diverso da svolgere. Nel suo terrazzo, in- fatti, ha montato un forno origi- nale proveniente dalla Sardegna, adatto proprio a cucinare il por- cellino secondo la ricetta sarda. La lavorazione del porcellino sardo 265
  • 20. LA SECONDA GENERAZIONE Passiamo alla seconda generazione. Il bilancio è positivo. La seconda generazione si è integrata completamente nel sistema olandese. La loro integrazione diventa assimilazione della cultura olandese e di quella ita- liana. Per la prima generazione si parla di integrazione nella cultura olandese, ma senza completa assimilazione della stessa. Si parla infatti di mantenimento della cultura italiana. Per la seconda generazione si parla invece di assimilazione di entrambe le culture. Graziella Vitale Graziella è di padre italiano e madre olandese. La sorella di sua madre, però, ha sposato anch’essa un italiano, Gino Scalzo. Vivendo così a contatto con la cultura italiana, Graziella è stata in grado di apprendere perfettamente l’italiano e di studiarlo. Ammette di non sentirsi e di non essere italiana. Lei è nata e cresciuta in Olanda, parla olandese con i suoi genitori e suo fratello. Ha vissuto in Italia solo per un brevissimo periodo, per studio. Tuttavia è riuscita a mantenere vivo l’amore per l’Italia attraverso lo studio della lingua e la ricerca, che svolge a tempo perso, sull’emigrazione italiana in Olanda, che la appas- siona molto. Come per la maggior parte dei giovani della seconda gene- razione, l’apprendimento della lingua italiana è un fatto quasi automa- tico, naturale. La scelta delle costruzioni in italiano si presenta sempre automatica, come anche l’uso del congiuntivo e delle forme verbali più ostiche per un semplice studente olandese di italiano. L’intervista si è svolta in olandese ma con passaggi continui alla lingua italiana. Nel suo caso si può confermare il dato secondo il quale per la seconda generazione si parla di assimilazione al sistema olandese, senza mantenimento delle tradizioni italiane, inizialmente presenti, soprat- tutto nell’infanzia, ma destinate a perdersi. Graziella, come molti altri italiani di seconda generazione, ha sempre parlato olandese con il padre. Questo comportamento è comune a tutti gli uomini italiani sposati con donne olandesi. Il motivo è che per tutti i lavoratori giunti in Olanda le difficoltà di apprendimento della lingua olandese erano tali da far prevalere il desiderio che almeno i figli la padro- 266
  • 21. neggiassero completamente, così come loro stessi forse avrebbero voluto. L’utilità della lingua olandese per il loro futuro è sembrata, ai padri ita- liani, più importante dell’apprendimento della lingua italiana, che passi- vamente si sarebbe appresa comunque andando in Italia. Questo ragio- namento è unito ad altre motivazioni, come la mancanza di tempo da parte dei padri di dedicarsi all’insegnamento della lingua italiana ai figli, a causa del lavoro in fabbrica, che li teneva occupati durante tutta la setti- mana. Che l’educazione materna, in questo caso delle donne olandesi, abbia prevalso su quella paterna è confermato anche da un altro dato curioso. Le donne italiane giunte in Olanda con i mariti hanno sempre parlato con i propri figli in italiano, sin dall’infanzia. Il legame con l’Italia permane in questo caso, ma in maniera note- volmente diversa rispetto alla precedente generazione. Il loro legame non è diretto, ma è stato trasmesso in modo trasversale dai genitori o dai nonni. Le immagini di Agira, il paese da cui proviene la famiglia del padre di Graziella, sono per lei l’Italia: la natura, la campagna, il pae- saggio delle stradine con le mucche e i contadini. Per lei tornare lì signi- fica ritrovare le sue radici. Eddy Marinacci L’attaccamento alla cultura di origine si può sviluppare anche attra- verso l’amore per le tradizioni culinarie, come dimostra l’intervistato Eddy Marinacci. Eddy, di genitori italiani, mi ha confermato che l’a- more per l’Italia continua anche attraverso il tramandarsi delle ricette culinarie della famiglia. Lui è cresciuto qui in Olanda con pa- dre, madre e nonna italiane, una famiglia abbastanza tradiziona- le, e ha vissuto come un italiano. Dai suoi racconti si capisce subi- to che il pranzo e la cena erano momenti importanti per la fami- glia e soprattutto per la nonna, venuta in Olanda per seguire la figlia e non rimanere da sola in 267
  • 22. Italia. Come segno d’amore per gli insegnamenti trasmessigli dalla nonna, Eddy ha comprato con sua moglie un ristorante italiano, La Fontanella, a Delft. Il ristorante fa parte anche della storia degli italiani di Delft. La sua storia è presente in moltissimi libri, perché è il primo ristorante a essere stato aperto nella città di Delft, il primo ad avere un forno a legna, mandato direttamente dall’Italia. Eddy ha comprato il locale nel 2002, ma apparteneva a una famiglia italiana; i genitori di Eddy non erano ristoratori. Divenendo proprietario e gestore del risto- rante ha fatto di una sua passione, la cucina italiana, una professione. Dopo gli studi di economia gli è sembrato giusto unire le sue due pas- sioni. Il contatto continuo con i clienti italiani, il raccontare aneddoti legati al paese abruzzese da cui proviene, il recarsi in Italia per procu- rarsi i prodotti italiani rimangono per lui la strada migliore per sentirsi legato al paese della sua famiglia, che sente vicinissimo e di cui sente la nostalgia quando è lontano da troppo tempo. L.B.: Come nasce il tuo rapporto con l’Italia? E.M.: Papà e mamma sono italiani e sono vissuto sempre in un ambiente italiano, anzi italianissimo. A casa con mio padre, mia madre e mia nonna, che è sempre stata con noi e che quindi mi ha cresciuto. L.B.: I tuoi genitori sono venuti in Olanda insieme? E.M: Sì, sono venuti qua insieme. Tutto è cominciato perché mia madre aveva una sorella e un fratello. E lei era la più piccola. Mio zio è venuto in Olanda per primo a lavorare nelle miniere del Limburgo molti anni fa; poi si è spostato a Delft quando hanno aperto tutte le grandi fabbriche dove hanno lavorato gli altri italiani. E lui è andato a lavorare alla Kabel Fabriek. Poi è venuta anche la sorella di mia madre perché nelle zone nostre in Abruzzo c’era poco lavoro, c’erano solo le montagne, poca attività. Anche lei è venuta qui a lavorare e poi si è sposata con un signore olandese, mio zio. Mia madre era rimasta da sola in Italia con mia nonna. Il nonno era morto già tanti anni prima. Mio padre, che veniva dallo stesso paese, andava invece sempre a lavo- rare in Germania ed andava avanti e indietro tramite un incarico a con- tratto. Mia madre aveva pensato al fatto che la sorella e il fratello vivevano già in Olanda e si diceva che, dovendo scegliere tra lo stare da sola in Germania con mio padre e la possibilità di venire in Olanda, tanto valeva venire a vivere in Olanda! E così hanno deciso di fare e si sono spostati tutti e tre, perché si sono portati anche mia nonna. Così ci troviamo qua. L.B.: Quanti anni avevano i tuoi genitori quando sono arrivati qui? 268
  • 23. E.M.: Vediamo, io ho 36 anni adesso. Sarà stato circa 40 anni fa. Nel ’63-’65. L.B.: Da dove venivano precisamente i tuoi genitori? E.M.: Dall’Abruzzo. Da un paesino in provincia di L’Aquila. L.B.: E all’inizio tuo padre dove ha lavorato? E.M.: Prima lavorava nei cantieri. Perché questa era l’esperienza che mio padre aveva fatto in Germania. Poi è andato anche lui a lavorare in fab- brica alla Kabel Fabriek di Delft. L.B.: E tua madre? E.M.: Mamma ha sempre lavorato anche lei. Si è dato il caso che loro non è che fossero fortunati ma che forse si sono impegnati, come poi tutti di quella generazione, per trovare lavoro. Perché capivano che per vivere bisognava lavorare. E loro abbastanza in fretta l’hanno trovato. Mia madre ha lavorato alla fabbrica farmaceutica Gipsbrokkade, una delle più grandi fabbriche a livello mondiale di antibiotici e medicine. E lì ci ha lavorato tutta la vita fino a qualche anno fa. L.B.: Mentre tuo padre? E.M..: Lui ha lavorato prima ai cantieri e poi alla Kabel Fabriek. Da lì poi non si è mai più spostato. L.B.: Tu sei un caso singolare perché hai entrambi i genitori italiani. E.M.: È vero! L.B.: Gli uomini italiani che venivano qui molto spesso sposavano un’o- landese. E.M.: Sì è vero, ma non ho solo i genitori italiani. Avevo anche nonna qui, sempre con me. Non è che mi ha cresciuto solo lei, però tante cose le ha fatte lei. L.B.: Ed ora? E.M.: Ora è morta. L.B.: E come si trovava lei qui quando è arrivata? E.M.: Bene perché aveva i figli qua. Il figlio e le due figlie. Era una cosa carina per lei. Poi era un’altra epoca; Delft era molto diversa. Si passeg- giava, si chiacchierava. Non era proprio un paese ma era più gezellig, come dire in italiano? L.B.: Piacevole! E con la lingua come si è trovata? E.M.: No, con la lingua non si è mai trovata bene. L.B.: È sempre la parte più difficile. E.M.: Doveva sempre andare o con mamma o con papà o con uno dei figli. Qualcuno l’accompagnava sempre. Di solito mia madre, perché abi- tava con noi. E l’accompagnava dal dottore, all’ospedale. Però dico, all’e- poca, c’erano i piccoli negozietti. Non era come ora dove ci sono i grandi supermercati che hanno dieci commesse, dove ogni volta c’è un’altra. C’era 269
  • 24. il piccolo kruidenier (erbivendolo), dove c’era sempre la stessa signora che era l’eigenaresse van de winkel (la proprietaria del negozietto) e che cono- sceva nonna Diomira. Si capivano; era un rapporto molto diverso da ora. L.B.: Peccato che la situazione sia cambiata. E.M.: All’epoca si trovava molto bene. L.B.: Quindi tu hai sempre parlato italiano in casa. E.M.: Sempre, proprio sempre. Io mi ricordo che avevo avuto un pro- blema a imparare l’olandese. Alla Kleuterschool (scuola materna) erano le prime scuole per me, c’è voluto un attimo per imparare l’olandese. All’inizio piangevo, piangevo. E non riuscivo proprio a esprimermi. A casa parlavo solo italiano. Marianna Marras Ma anche attraverso l’amore per la musica, l’opera italiana per la preci- sione, è possibile mantenere vivo il legame con l’Italia. Attraverso la descrizione dei racconti del padre sardo, Marianna Marras è riuscita a conoscere e ad amare la terra sarda. È riuscita a fare del suo amore per la musica italiana la sua professione, perché oggi è musicista. Il legame continua, ma attraverso altre forme. Attraverso il racconto di Marianna mi è stato possibile capire meglio le difficoltà incontrate dal padre nel paese straniero. Mi ha parlato molto del padre e della madre. Grazie ai dettagli della sua storia familiare ho capito che il pro- cesso di integrazione da parte del gruppo sardo è stato molto complesso e spesso non ha portato a una conclusione positiva. Non si è sempre potuto parlare di integrazione. LA TERZA GENERAZIONE Tramite le attività ricreative organizzate dall’Associazione si cerca di insegnare ai bambini la storia del paese italiano. La cerimonia più festeggiata e amata è quella dell’Epifania. L’arrivo della Befana al centro è sempre accolto da grandi feste e giochi. Ma oggi i figli della seconda generazione di italiani non si possono definire italiani. Sono perfettamente integrati nel sistema olandese, si sentono olandesi. Il processo di integrazione italiano, cominciato e cer- cato volutamente negli anni Cinquanta e Sessanta dai loro nonni, volge 270
  • 25. alla conclusione positiva. L’assimilazione della cultura del paese ospi- tante è avvenuta. Ai loro genitori resta il compito di insegnare ai bambini la cultura italiana, cercando di far conoscere la storia del proprio paese d’origine, insegnando loro la lingua italiana e coinvolgendoli nei viaggi in Italia. Oggi l’Associazione non svolge lo stesso compito dell’inizio, quando era necessaria la sua mediazione per capire il sistema olandese. La seconda e la terza generazione non vanno al centro per passare il tempo, non cercano la piazza. Se hanno bisogno di divertirsi girano per le città olandesi, in compagnia di amici. Sanno dove trovare gli svaghi e le infor- mazioni che cercano. Il futuro dell’Associazione però è in mano loro. Forse oggi non ha più la stessa funzione di un tempo, ma a lei spetta il compito di rimanere centro di diffusione culturale italiano. Alle terze generazioni quello di continuare a frequentarla durante le numerose attività organizzate. 271