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Dossetti alla Costituente
                                                di Leopoldo Elia


Giornata di studio su “Giuseppe Dossetti all’Assemblea Costituente e nella politica italiana”
Sala della Lupa – Palazzo Montecitorio 5 dicembre 2006.
pubblicato in “Storia e memoria”, 2007- Vol.16 - Fasc.1 – pp. 53 - 62

         E' necessario, ma è molto difficile prendere quel tanto di distanza dal personaggio, che
serve per considerare storicamente un'esperienza così singolare come quella vissuta da
Giuseppe Dossetti in rapporto alla Costituzione repubblicana. Rimane intorno a lui quell'
alone di mistero che protegge una vocazione religiosa tanto intensamente realizzata e che dà
ancora oggi al suo carisma un fascino particolare.
         Certo è che ora possiamo comprendere il suo rapporto con la Costituzione non
esaurendolo nella sua fase più importante, che si sviluppò nell'Assemblea Costituente e negli
organi addetti alla elaborazione del progetto, ma è continuato per altre due fasi di cui tenterò
di segnare qualche tratto di sicuro interesse.
         Tuttavia, anche il profilo così importante del Dossetti costruttore della identità
costituzionale italiana non potrebbe essere pienamente compreso se non si risalisse alla sua
fortissima personalità politica: egli era in grado di alternare momenti di freddo realismo, nelle
analisi e nelle iniziative condotte durante un decisivo quinquennio, con intuizioni che
sfioravano l’utopia. De Gasperi gli riconosceva una temibile capacità “suggestiva”1 sui
democristiani di seconda e di terza generazione; ed essa si è esercitata a lungo, anche dopo
l’estate del 1951, proiettando su una parte notevole del suo partito la tensione alla ricerca e
l’esigente richiesta di un “tono morale” confacente al nome cristiano.
         Dossetti entrò nell'Assemblea eletta il 2 giugno 1946 dopo una breve esperienza nella
direzione del partito democristiano in cui aveva preso parte ai primi scontri sulla linea
degasperiana; motivo non ultimo che lo indusse a preferire un forte impegno nel lavoro
costituente. A questa missione il parlamentare di Reggio Emilia giunse preparato da una
esperienza di giurista che eccedeva di molto il diritto canonico e quello ecclesiastico (le
materie da lui insegnate), con una visuale storica, anche di storia contemporanea, resa più
acuta dalla partecipazione diretta alla resistenza, in qualità di Presidente del Comitato di
liberazione della sua provincia. Assegnato alla prima Sottocommissione della Commissione
dei 75, Dossetti si trovò a svolgere fin dalle prime sedute un ruolo di iniziativa sia per dare
all'attività dei Commissari una procedura più funzionale sia, soprattutto, per contribuire in
misura determinante al disegno della nuova forma di Stato e della relazione autorità-libertà. In
questa prospettiva egli esercitò innanzitutto la capacità di convincere i membri della
Sottocommissione, ed in particolare gli esponenti dei partiti di sinistra, Togliatti e Basso, che
era possibile trovare una ideologia comune e non di parte (né cattolica né marxista, secondo
l'impegno reciproco di Dossetti e Togliatti), su cui fondare il nuovo edificio costituzionale:
una concezione umanistica, caratterizzata dalla centralità della persona, o meglio, dei suoi
diritti fondamentali, riconosciuti e non creati dalla Repubblica: tale presupposto comportava il
superamento del rapporto "Stato-individuo" che aveva caratterizzato la precedente forma di
Stato e cioè il regime fascista.
         E' fuori dubbio che l'idea personalista era stata particolarmente approfondita ed
elaborata in ambiente cattolico e che tale origine traspariva con chiarezza dalla motivazione e

1
    P. CRAVERI, De Gasperi, Il Mulino, Bologna, 2006, pp. 438-39, n.98.


                                                                                                1
dall'articolato redatto dal relatore La Pira2, frutto di un serio travaglio intellettuale personale e
di gruppo, durato almeno un decennio e compiutamente analizzato da Ugo De Siervo3; di
fronte alle reazioni di non gradimento manifestate dai componenti “laici” della
Sottocommissione, Dossetti non diplomatizzò il testo lapiriano, ma lo inserì, con il suo
notissimo ordine del giorno del 9 settembre ’464, nel solco della politica costituzionale
moderna e non solo nel linguaggio: sicché il concetto di persona poté passare nel testo
definitivo degli articoli 2 e 3 Cost., con la ricchezza di significati che il relatore aveva
elaborato: e perciò, diritti della comunità in cui si svolge la personalità umana; non
modificabilità, nemmeno mediante revisione costituzionale, dei principi fondamentali;
attenzione alla concretezza dell’“uomo situato” con l'arricchimento dei diritti, nel passaggio
dall'uomo astratto all'uomo concreto, come ha poi notato Bobbio nella sua opera dedicata
all'età dei diritti5. Così l'accoglimento del testo presentato da Basso (con il contributo di
Massimo Severo Giannini) sull'eguaglianza sostanziale - allora, come ancora oggi in altro
contesto, di futura effettività - non ha rappresentato un compromesso raggiunto tra i due
relatori per i principi relativi ai diritti civili, ma una integrazione davvero arricchente del
concetto di “uomo situato” nella storia del nostro Paese. In questa prospettiva è stato possibile
superare le esitazioni iniziali di alcuni costituenti e dello stesso Togliatti a proposito di norme
programmatiche da non stemperare in un preambolo: lo scontro in sede di Commissione
plenaria dei 75 fu vinto con l'apporto determinante degli argomenti di Costantino Mortati6.
         Diverso esito ebbe invece il tentativo di La Pira (sostenuto, oltreché da Moro e da
Dossetti, anche da Togliatti) di finalizzare in positivo l'esercizio dei diritti di libertà (art.6
della proposta del relatore), rendendolo funzionale “al bene supremo e personale di ciascuno
ed a quello comune, solidale e fraterno di tutti”. L'idea e la formula erano ripresi dall'art. 6 del
progetto di dichiarazione dei diritti di Emmanuel Mounier, riportato da La Pira tra le fonti
tenute presenti nella redazione dei testi: secondo Mounier, “La libertà deve servire nelle sue
varie forme alla dignità personale di ciascuno e al bene di tutti”. Malgrado alcuni tentativi di
migliorare l'art. 6 di La Pira la disposizione fu lasciata cadere, anche per il saggio
ostruzionismo del Presidente democristiano della Sottocommissione, Umberto Tupini, il
quale, con altri commissari, valutò la pericolosità di quella formulazione così contrastante con
la concezione individualistica delle libertà, prevalente nell'area occidentale: senza dire della
vaghezza dei fini, troppo aperta alle scelte interpretative da parte dei giudici. Tuttavia una
traccia di quel tentativo rimane, oltreché nella funzione sociale della proprietà (art. 42 e 44
Cost), nell'art.4 Cost., comma secondo, dedicato al dovere del lavoro, con la scelta di una
attività o di una funzione “che concorra al progresso materiale o spirituale della società”;
anche se la formula sembra più orientata ad esprimere il carattere non soltanto manuale del
lavoro e a tutelare l'esistenza degli ordini religiosi contemplativi.
         Per ciò che attiene alla costituzione economica, dopo la relazione Togliatti (3 ottobre
1946) in prima Sottocommissione, Dossetti disse che un “controllo sociale dell’economia,
[era] una necessità assoluta alla quale non ci si [poteva] in alcun modo sottrarre”7; sulla stessa
linea si esprimeva Fanfani nella terza Sottocommissione, affermando: “è certo però che nella
2
  Ass. Cost.. Atti della Commissione per la Costituzione. Bozze di stampa, s.d., vol.II. Relazioni e proposte,pp.
14-28. Per le citazioni si sono utilizzati in queste note gli atti coevi a stampa (o anche bozze di stampa) piuttosto
che la riedizione selettiva del 1971.
3
  G. LA PIRA, La casa comune. Una costituzione per l’uomo, Cultura ed., Firenze, 1979. Introduzione di U. DE
SIERVO, pp.7-67
4
  Ass. Cost. Commissione per la Costituzione. Discussioni, I e III Sottocommissioni, pp. 21-22.
5
  N. BOBBIO, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1977, p.IX.
6
  Ass. Cost..Commissione per la Costituzione. Adunanza plenaria. Discussioni dal 20 luglio 1946 al 1° febbraio
1947, pp. 72 e 73. Naturalmente grande peso ebbe anche la posizione contraria al preambolo assunta in quella
sede da Togliatti.
7
  Ass. Cost .Comm. Cost., I Sottocomm., p. 183 e188.


                                                                                                                   2
Costituzione uno o più articoli, i quali stabiliscano che senza un controllo sociale dell’attività
economica non è possibile realizzare il benessere di tutti i cittadini, è bene che vi siano”8.
        Questi propositi, alquanto virtuali, di cui è rimasta traccia nei controlli e programmi
dell’art.41 Cost., furono in realtà contraddetti dalla efficacissima controffensiva liberista di
Corbino e soprattutto di Einaudi che il 9 maggio 1947 nell’Assemblea Costituente motivarono
la reiezione dell’emendamento Montagnana a favore della pianificazione. In quel serrato
confronto, vividamente sintetizzato in una rievocazione di Piero Barucci9, né Dossetti, né
Togliatti, né Fanfani scesero in campo per difendere se non il testo dell’emendamento,
almeno il senso della loro preferenza per il controllo sociale dell’economia. In realtà per la
DC intervenne Taviani10 schierandosi contro la formula Montagnana: ma l’aria era veramente
cambiata rispetto all’autunno 1946 perché De Gasperi si era già espresso per il peso da
attribuire al “quarto partito” e nei giorni del dibattito sulla pianificazione si approssimava la
fine del tripartito e la formazione di un nuovo governo senza le sinistre. E’ un vero peccato
che essendo Einaudi e Vanoni componenti della seconda Sottocommissione dei 75 per
l’ordinamento della Repubblica, non si sia potuto svolgere un confronto sulla
programmazione economica tra Dossetti, Togliatti, Fanfani, Einaudi e Vanoni che avrebbe
potuto chiarire tempestivamente alcuni problemi poi risolti con disposizioni non esenti da
ambiguità.
        Un tema che divise la prima Sottocommissione ed anche la Commissione plenaria dei
75 fu quello dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa; non tanto perché si volesse da qualcuno
l'abbandono del principio concordatario o la modifica hic et nunc del Concordato vigente
(correvano a rassicurare la Segreteria di Stato il liberale prof. Astuti e il comunista On. Reale)
ma perché il Vaticano e Pio XII in persona pretendevano la menzione esplicita dei Patti
Lateranensi in una disposizione della nuova Carta costituzionale: significando così il loro
interesse per "quel" Concordato e per il suo mantenimento. Dossetti, stavolta relatore in prima
persona, ebbe di sua personale iniziativa contatti diretti con un fiduciario pontificio (mons.
Dell’Acqua) e con Togliatti nella sede del PCI; ed il risultato raggiunto scavalcò in parte
qualche discutibile articolo da lui elaborato in sede di relazione11 ma anche l'autorevole seppur
coperto tentativo del Capo provvisorio dello Stato, De Nicola, di far passare un emendamento
che sancisse la continuità della disciplina allora vigente, evitando la menzione dei patti firmati
da Mussolini12. Si arrivò in Assemblea con il testo dell'art.5 del progetto quasi identico a
quello poi approvato in aula il 25 marzo 1947 e divenuto successivamente l'art.7. Il fatto che
De Gasperi (eccezionalmente intervenuto da semplice deputato per dichiarazione di voto)
approvasse con Dossetti e Togliatti quella disposizione secondo cui i rapporti tra Stato e
8
   Ass. Cost. III Sottocomm. 15 ottobre 1946, pp.206-207. Peraltro il relatore aveva ribadito, come già Dossetti,
che condizione imprescindibile del controllo era la libertà politica.
9
   P. BARUCCI, Il dibattito sulla “Costituzione economica” in Democrazia cristiana e costituente a cura di G.
Rossini, Edizioni Cinque Lune, Roma, 1980, II, p. 709 e ss.
10
   Ass. Cost. 9 maggio p.m. 1947, p.3787.
11
   Ass. Cost.. Atti Comm. Cost., II cit., pp. 61-63, relazione e proposte di Dossetti su lo Stato come ordinamento
giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti e sulla libertà di opinione, di coscienza e di culto. In questo
testo non mancano iniziative di grande e positivo rilievo come quelle sul principio di sussidiarietà, sulla rinunzia
alla guerra e le limitazioni di sovranità statuale, sulla impossibilità per le leggi di contraddire alle norme
internazionali pattizie nonché sulle applicazioni del pluralismo confessionale; meno felice era invece la
proposizione secondo cui “Fermi restando i principi della libertà di coscienza e della eguaglianza religiosa dei
cittadini , la religione cattolica – religione della quasi totalità del popolo italiano - è la religione dello Stato”.
Questa proposta era coerente con l’opinione di Dossetti che le norme del trattato (e del concordato) non erano
inserite nella Costituzione e che perciò poteva apparire necessario costituzionalizzare proprio quella già presente
nell’art. 1 dello Statuto albertino; ma era chiaro fin da allora l’anacronismo di quel principio, poi considerato non
più in vigore nel protocollo addizionale all’accordo di modifica al Concordato Lateranense (18 febbraio 1984).
12
    G: Sale, De Gasperi, gli USA e il Vaticano all’inizio della Guerra fredda, Jaca BooK, Milano, 2005, p. 138 e
ss.


                                                                                                                    3
Chiesa cattolica “sono regolati dai Patti Lateranensi” rappresentava davvero un cedimento
così grave alle pretese vaticane? La domanda si giustifica perché, a parte la comune finalità di
mantenere la pace religiosa impedendo, tra l'altro, l'insorgenza di tentazioni legittimiste
nell'episcopato e nel clero italiano, nelle affermazioni di Dossetti restava esclusa la
costituzionalizzazione del contenuto normativo dei patti, trattandosi di norme materiali
mentre il secondo comma dell’art.7 era da considerare una norma strumentale o sulla
produzione giuridica, con la conseguenza che, se la modifica unilaterale delle norme dei patti
poteva avvenire solo con il ricorso alla procedura di revisione costituzionale, per le modifiche
intervenute con il consenso bilaterale era sufficiente la legge ordinaria di ratifica ed
esecuzione dell’accordo, come poi è accaduto per le modifiche al Concordato nel 1984. E’
soprattutto su questo punto che le posizioni di Calamandrei e di Dossetti risultarono
contrapposte13. Ma nessuna forza politica, ripeto, era intenzionata a proporre la denunzia dei
patti o la modifica unilaterale dei suoi contenuti; sicché i costituenti favorevoli
all’approvazione dell’art 5 nel testo del progetto (in particolare democristiani e comunisti)
erano autorizzati a ritenere che la menzione degli Accordi Lateranensi non producesse
conseguenze giuridiche effettive e che la richiesta vaticana fosse motivata da esigenze di
prestigio e dalla volontà di dimostrare una coerenza di atteggiamenti pur nel mutare del
regime italiano. Non valeva dunque la pena di aprire un conflitto con la S. Sede per una
formulazione che prendeva atto di un evento storico. Comunque, i contatti di Dossetti,
conclusi con il voto comunista a favore dell’art.7, ebbero un esito che dette a De Gasperi una
straordinaria soddisfazione, come testimonia Andreotti14; e soprattutto dette agli italiani una
prova di unità dei maggiori partiti nell’interesse del Paese.
        La condotta dei sostenitori dell’art.7 va dunque inquadrata nel contesto storicamente
circoscritto dalla tesi giuridica sulla non costituzionalizzazione delle norme pattizie, fatta
propria in seguito dai maggiori costituzionalisti italiani. Inoltre, per completare il quadro, va
detto che Dossetti, nella sua onestà intellettuale, ammise più tardi che in alcuni passaggi del
suo intervento aveva svolto un ruolo di avvocato di parte 15 sforzandosi di dimostrare la
compatibilità con la costituzione in fieri di alcune norme concordatarie che solo nel 1984
sarebbero state cancellate. In effetti la linea del non inserimento delle norme pattizie nella
nuova Costituzione non risolveva tutti i problemi di compatibilità come dimostra la lettura del
discorso di Dossetti e della dichiarazione di voto di Togliatti che presentano significative
diversità16. Degli articoli 10 e 11 della Costituzione si tratterà in altre relazioni.
        Di notevole interesse mi sembra il breve dibattito in sottocommissione sul
riconoscimento costituzionale dei partiti. Dossetti dichiarò di considerare fondamentale la
norma proposta dal relatore Basso, ritenendo necessario che i partiti stessi “diventino rilevanti
per il diritto mentre praticamente in questo momento non lo sono”. In realtà, secondo lui, “la
democrazia si orienta verso un indirizzo diverso dalla struttura formalistica della democrazia
parlamentare di cinquant’anni fa, indirizzo che è necessario interpretare e convogliare perché
dalla possibilità di disciplina e di consolidamento di questa nuova realtà democratica
dipenderà la sussistenza della democrazia”17. Peraltro la discussione non andò oltre e
l’Assemblea si accontentò della formula (non esplicita quanto al metodo democratico interno)

13
   Gli interventi di Calamandrei,si leggono nel resoconto della seduta del 4 marzo (specie pp. 1749 e 1750) e del
20 marzo 1947 (pp. 2283-2290); quello di Dossetti nel resoconto della seduta del 21 marzo 1947 (pp. 2319-
2334)
14
   G. ANDREOTTI, 1947.L’anno delle grandi svolte nel diario di un protagonista. Rizzoli, Milano, p.58.
15
   Cfr. A colloquio con Dossetti e Lazzati. Intervista di Leopoldo Elia e Pietro Scoppola, Il Mulino, Bologna,
2003, pp. 74-76 e in particolare p. 77.
16
   La copertura costituzionale dei Patti Lateranensi operò, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale,
nel senso di consentire deroghe alle norme costituzionali purché non violassero i principi costituzionali supremi.
17
   Ass. Cost. I Sottocommissione. 20 novembre 1946, p. 411.


                                                                                                                4
contenuta nell’art.49 Cost..
         Tuttavia le affermazioni di Dossetti dimostrano che, a differenza di De Gasperi, egli
assegnava ai partiti popolari, o di massa, il compito di promuovere le grandi riforme
economico-sociali che allora non pochi consideravano la vera attuazione della nuova
Costituzione.
         Per la seconda parte della Costituzione, relativa all'ordinamento della Repubblica,
Dossetti lasciò a Mortati il compito impossibile di realizzare un assetto di governo forte,
capace di far approvare le grandi riforme economico-sociali promesse nelle norme sulla
costituzione economica. In realtà, com'è noto, né De Gasperi, né Togliatti, nella incertezza sui
risultati del grande confronto elettorale per il primo Parlamento repubblicano, vollero
rischiare un rafforzamento dell'esecutivo. D'altra parte rimane oscuro come Dossetti
conciliasse il suo desiderio di un governo efficientissimo come quello Attlee-Morrison con un
sostegno costantemente offerto al sistema proporzionale di allora, addirittura esteso, per sua
iniziativa, anche alle elezioni per il Senato repubblicano.
         Comunque Dossetti rimase comprensibilmente molto legato ai risultati raggiunti,
specie in tema di principi fondamentali, affermando che Togliatti18 e Basso avevano dato il
meglio di sé in quella esperienza; e sia concesso a noi di pensare che anche Dossetti, La Pira e
Moro avevano dato la miglior parte di se stessi nella medesima vicenda.
         Assai finemente Pietro Scoppola ha notato come all’equilibrio raggiunto in sede
costituente tra Dossetti, Togliatti e Basso facesse pendant l’equilibrio del tripartito
degasperiano in sede di governo19. Questa giusta osservazione, che vale specialmente per il
periodo in cui si è formato il progetto della nuova Costituzione, non va però fraintesa nel
senso di ritenere che le posizioni dei giovani della seconda generazione democristiana
trovassero un pieno apprezzamento da parte di De Gasperi. In un colloquio con il Nunzio in
Italia, mons. Borgoncini Duca, il Presidente del Consiglio avrebbe affermato: “Questi
professori hanno combinato qualche guaio”. E’ difficile dire se si riferisse con questa battuta
alla circostanza, appena richiamata, del sostegno di Moro agli “articoli sociali della sinistra” o
a Dossetti, citato subito dopo per i contatti con Togliatti sull’art.7. Ma è certo che De Gasperi
giudicava eccessiva l’autonomia dal partito che si erano presi Dossetti e i suoi amici20.
         La seconda fase è piuttosto triste, perché non più animata dalla speranza di Dossetti
che “il soffio potente del Cristianesimo”21 fosse in grado di produrre la renovatio della società
e dello Stato italiano anche dopo la rottura della coalizione tripartita nel 1947. Anzi, il ricordo
pur così vivo della stagione costituente si cangiava in un amaro giudizio sul disegno
costituzionale inattuato: “la Costituzione è stata messa in un cassetto – ritenevano Dossetti e
Lazzati22.-.perché le riforme di struttura non si fanno, nemmeno quelle incisive ma non
palingenetiche del laburismo inglese”. Così trascorse molto tempo, fino ai primi anni '90; con
questo tormentone delle riforme di struttura sognate da cattolici e laici della sinistra
democratica. In Dossetti qualche spiraglio si aprì quando, con la caratteristica intuizione
profetica di cui era dotato, nel corso della sua esperienza singolarissima di capo
dell'opposizione nel Consiglio comunale di Bologna (biennio '56-'57), dopo la condanna
durissima della repressione ungherese nel novembre del '56, giudicò esaurito

18
   G: DOSSETTI, La ricerca costituente, a cura di A. Melloni, Il Mulino, Bologna, 1994, p.58.
19
   P. SCOPPOLA, Introduzione alla parte seconda (Il mondo cattolico e la Democrazia Cristiana) in Cultura
politica e partiti nell’età della Costituente, a cura di R. Ruffilli, Il Mulino, Bologna, 1979, I, p. 155.
20
   G. SALE, De Gasperi cit., p. 144. Peraltro Dossetti affermerà poi riferendosi a De Gasperi: “ha partecipato con
una certa cordialità e ha patrocinato il nostro incontro con Togliatti”, così in A colloquio con Dossetti e Lazzati
cit., p. 59.
21
   Così in una sua relazione del 12 gennaio 1947 ora in Dossetti giovane. Scritti reggiani:1944-1948, a cura di G.
Campanini e P. Fiorini, Edizioni Cinque Lune, Roma, 1982, p. 69
22
   A colloquio con Dossetti e Lazzati cit., p. 55-57.


                                                                                                                 5
irrimediabilmente il sistema del comunismo reale; ma insieme nel 1957 (diciassette anni
prima del referendum sul divorzio!) affermò che i cattolici erano ormai una minoranza in
Italia23. Del suo catastrofismo presbite nei confronti della Democrazia Cristiana è inutile dire:
in tanto deserto, tuttavia, cominciava a rivalutarsi nella sua mente la Costituzione, come ha
acutamente notato Paolo Pombeni24. In una polemica seduta del Consiglio comunale (25
novembre 1957) Dossetti si chiedeva se un provvedimento del Governo corrispondesse “a
quello che è stato il risultato, questo sì, di tutta la Nazione, e cioè al Patto Costituzionale che è
venuto a sanzionare la fisionomia del nostro Stato, del nostro popolo, ad un determinato
momento della nostra storia. In quello noi riconosciamo, e riconfermiamo solennemente in
questo momento, il nostro impegno; è rispetto a quello, semmai, che noi sentiamo e non lo
dissimuliamo che nei provvedimenti testé presi c'è qualcosa che ci mette profondamente a
disagio”25. D'altra parte l'ipotesi che aveva unito alcuni protagonisti della Costituente tra cui
Dossetti, La Pira e Mortati era quella di una crisi irreversibile del capitalismo iniziata con le
tempeste economiche degli anni trenta; ma il capitalismo, in tutta l'area occidentale, aveva
avuto un grande ritorno specie dopo l'esaurimento del c.d. compromesso socialdemocratico.
         Così si giunge alla terza ed ultima fase del ciclo Dossetti e la Costituzione, questa
molto nota, del monaco che lascia dietro le spalle il silenzio e l'intimità segreta della Piccola
Famiglia dell'Annunziata. La sua sfida a coloro che “mirerebbero a una modificazione
frettolosa e inconsulta del patto fondamentale del nostro popolo, nei suoi presupposti supremi
in nessun modo modificabili” è espressa in una lettera al sindaco di Bologna Walter Vitali del
15 aprile 1994. Su questo periodo l'accusa ricorrente è quella di conservatorismo, mentre
all'opposto, il ritorno in campo di Dossetti è ispirato ad una rivisitazione del costituzionalismo
italiano più aggiornato e più maturo. Egli unisce in una mirabile sintesi la difesa dei principi
fondamentali della forma di Stato e di governo contro gli “avventati presidenzialismi” ed
insieme l'apertura a quelle revisioni puntuali che possano porre rimedio a difetti vecchi e
nuovi della nostra organizzazione costituzionale. L'esperienza gli fa vedere gli aspetti positivi
del pluralismo istituzionale e degli equilibri realizzati con un sistema di freni e contrappesi.
         Questo ritorno di Dossetti, sia pure per un obbiettivo mirato come la difesa della
Costituzione, ha rappresentato anche una grande prova di vitalità intellettuale. Egli ha
cambiato in profondità le sue posizioni precedenti: si è rammaricato delle riforme economico-
sociali mancate ma ciò non gli ha impedito di valutare i meriti della Costituzione vivente; di
riconoscere l’importanza degli organi di garanzia e in particolare del Presidente della
Repubblica e della Corte costituzionale, prima temuta come possibile ostacolo o ritardo al
moto riformatore; di ripensare la Costituzione non più come un programma di riforme di
struttura ma come un patto di convivenza, adottato dal popolo italiano con un consenso
comune, moderato ed equo26. Inoltre, Dossetti ricerca, da storico più che da protagonista, le
origini della Costituzione repubblicana aprendone per l’avvenire tutte le potenzialità di
integrazione di forze assenti alla sua nascita .
         Quest'ultima battaglia dell'antico Costituente ha avuto un lieto fine, sopravvenuto dopo
la sua morte, con il responso referendario del 25 giugno scorso.
         Infine, è degna di ricordo la convergenza di due personalità così diverse come Dossetti
e Calamandrei in un moto profondo di pietas per gli amici caduti nel dramma della
23
   G. DOSSETTI, Due anni a Palazzo d’Accursio. Discorsi a Bologna 1956 – 1958, a cura di R. Villa, Aliberti
editore, Reggio Emilia, 2004, in particolare p. 59 per la vicenda ungherese e p. 35 per la situazione minoritaria
dei cattolici “in genere”.
24
   Giuseppe Dossetti consigliere comunale. Una riconsiderazione. Introduzione in Due anni cit., p. XXIX
25
   Due anni cit., p. 199; ma si veda l’intero intervento La Resistenza e il patto costituzionale, pp. 196-200.
26
   Si veda in particolare la relazione tenuta all’Università di Parma il 26 aprile 1995 ora in G. DOSSETTI, La
Costituzione. Le radici I valori Le riforme. (con introduzione di G. Simoneschi), ed. Lavoro, Roma, 1996, p. 51
e ss.


                                                                                                               6
Resistenza; entrambi, alla fine dei loro più importanti interventi nell’Assemblea Costituente,
rievocano, quasi con le stesse parole “il sogno di una comunità politica sostanzialmente e non
solo formalmente rinnovata” come dice Dossetti; il sogno dei morti, “di una società più giusta
e più umana”, come dice Calamandrei27. La Costituzione e le leggi per attuarla nascono come
l’adempimento di un mandato ricevuto da quei resistenti. Ma se la parola della legge si
distacca dalla bocca del legislatore, la Costituzione, destinata a diventare un Verbo
atemporale, si allontana ancor più dal Costituente e dal contesto in cui esso ha operato. La
Costituzione - ha affermato Dossetti nel suo discorso di Monteveglio del 16 settembre 1994 28
- trascende le sue origini e si proietta in un futuro di generazioni che devono ad ogni
passaggio ridare vita a questa nostra rinsaldata tradizione costituzionale. Così sia.




27
 Cfr. interventi citati alla nota 13 e più precisamente per Dossetti p. 2333 e per Calamandei p. 1755.
28
  Il testo del discorso di Monteveglio intitolato I valori della Costituzione è pubblicato nella raccolta La
Costituzione cit., pp.21-32.


                                                                                                          7

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Dossetti alla Costituente

  • 1. Dossetti alla Costituente di Leopoldo Elia Giornata di studio su “Giuseppe Dossetti all’Assemblea Costituente e nella politica italiana” Sala della Lupa – Palazzo Montecitorio 5 dicembre 2006. pubblicato in “Storia e memoria”, 2007- Vol.16 - Fasc.1 – pp. 53 - 62 E' necessario, ma è molto difficile prendere quel tanto di distanza dal personaggio, che serve per considerare storicamente un'esperienza così singolare come quella vissuta da Giuseppe Dossetti in rapporto alla Costituzione repubblicana. Rimane intorno a lui quell' alone di mistero che protegge una vocazione religiosa tanto intensamente realizzata e che dà ancora oggi al suo carisma un fascino particolare. Certo è che ora possiamo comprendere il suo rapporto con la Costituzione non esaurendolo nella sua fase più importante, che si sviluppò nell'Assemblea Costituente e negli organi addetti alla elaborazione del progetto, ma è continuato per altre due fasi di cui tenterò di segnare qualche tratto di sicuro interesse. Tuttavia, anche il profilo così importante del Dossetti costruttore della identità costituzionale italiana non potrebbe essere pienamente compreso se non si risalisse alla sua fortissima personalità politica: egli era in grado di alternare momenti di freddo realismo, nelle analisi e nelle iniziative condotte durante un decisivo quinquennio, con intuizioni che sfioravano l’utopia. De Gasperi gli riconosceva una temibile capacità “suggestiva”1 sui democristiani di seconda e di terza generazione; ed essa si è esercitata a lungo, anche dopo l’estate del 1951, proiettando su una parte notevole del suo partito la tensione alla ricerca e l’esigente richiesta di un “tono morale” confacente al nome cristiano. Dossetti entrò nell'Assemblea eletta il 2 giugno 1946 dopo una breve esperienza nella direzione del partito democristiano in cui aveva preso parte ai primi scontri sulla linea degasperiana; motivo non ultimo che lo indusse a preferire un forte impegno nel lavoro costituente. A questa missione il parlamentare di Reggio Emilia giunse preparato da una esperienza di giurista che eccedeva di molto il diritto canonico e quello ecclesiastico (le materie da lui insegnate), con una visuale storica, anche di storia contemporanea, resa più acuta dalla partecipazione diretta alla resistenza, in qualità di Presidente del Comitato di liberazione della sua provincia. Assegnato alla prima Sottocommissione della Commissione dei 75, Dossetti si trovò a svolgere fin dalle prime sedute un ruolo di iniziativa sia per dare all'attività dei Commissari una procedura più funzionale sia, soprattutto, per contribuire in misura determinante al disegno della nuova forma di Stato e della relazione autorità-libertà. In questa prospettiva egli esercitò innanzitutto la capacità di convincere i membri della Sottocommissione, ed in particolare gli esponenti dei partiti di sinistra, Togliatti e Basso, che era possibile trovare una ideologia comune e non di parte (né cattolica né marxista, secondo l'impegno reciproco di Dossetti e Togliatti), su cui fondare il nuovo edificio costituzionale: una concezione umanistica, caratterizzata dalla centralità della persona, o meglio, dei suoi diritti fondamentali, riconosciuti e non creati dalla Repubblica: tale presupposto comportava il superamento del rapporto "Stato-individuo" che aveva caratterizzato la precedente forma di Stato e cioè il regime fascista. E' fuori dubbio che l'idea personalista era stata particolarmente approfondita ed elaborata in ambiente cattolico e che tale origine traspariva con chiarezza dalla motivazione e 1 P. CRAVERI, De Gasperi, Il Mulino, Bologna, 2006, pp. 438-39, n.98. 1
  • 2. dall'articolato redatto dal relatore La Pira2, frutto di un serio travaglio intellettuale personale e di gruppo, durato almeno un decennio e compiutamente analizzato da Ugo De Siervo3; di fronte alle reazioni di non gradimento manifestate dai componenti “laici” della Sottocommissione, Dossetti non diplomatizzò il testo lapiriano, ma lo inserì, con il suo notissimo ordine del giorno del 9 settembre ’464, nel solco della politica costituzionale moderna e non solo nel linguaggio: sicché il concetto di persona poté passare nel testo definitivo degli articoli 2 e 3 Cost., con la ricchezza di significati che il relatore aveva elaborato: e perciò, diritti della comunità in cui si svolge la personalità umana; non modificabilità, nemmeno mediante revisione costituzionale, dei principi fondamentali; attenzione alla concretezza dell’“uomo situato” con l'arricchimento dei diritti, nel passaggio dall'uomo astratto all'uomo concreto, come ha poi notato Bobbio nella sua opera dedicata all'età dei diritti5. Così l'accoglimento del testo presentato da Basso (con il contributo di Massimo Severo Giannini) sull'eguaglianza sostanziale - allora, come ancora oggi in altro contesto, di futura effettività - non ha rappresentato un compromesso raggiunto tra i due relatori per i principi relativi ai diritti civili, ma una integrazione davvero arricchente del concetto di “uomo situato” nella storia del nostro Paese. In questa prospettiva è stato possibile superare le esitazioni iniziali di alcuni costituenti e dello stesso Togliatti a proposito di norme programmatiche da non stemperare in un preambolo: lo scontro in sede di Commissione plenaria dei 75 fu vinto con l'apporto determinante degli argomenti di Costantino Mortati6. Diverso esito ebbe invece il tentativo di La Pira (sostenuto, oltreché da Moro e da Dossetti, anche da Togliatti) di finalizzare in positivo l'esercizio dei diritti di libertà (art.6 della proposta del relatore), rendendolo funzionale “al bene supremo e personale di ciascuno ed a quello comune, solidale e fraterno di tutti”. L'idea e la formula erano ripresi dall'art. 6 del progetto di dichiarazione dei diritti di Emmanuel Mounier, riportato da La Pira tra le fonti tenute presenti nella redazione dei testi: secondo Mounier, “La libertà deve servire nelle sue varie forme alla dignità personale di ciascuno e al bene di tutti”. Malgrado alcuni tentativi di migliorare l'art. 6 di La Pira la disposizione fu lasciata cadere, anche per il saggio ostruzionismo del Presidente democristiano della Sottocommissione, Umberto Tupini, il quale, con altri commissari, valutò la pericolosità di quella formulazione così contrastante con la concezione individualistica delle libertà, prevalente nell'area occidentale: senza dire della vaghezza dei fini, troppo aperta alle scelte interpretative da parte dei giudici. Tuttavia una traccia di quel tentativo rimane, oltreché nella funzione sociale della proprietà (art. 42 e 44 Cost), nell'art.4 Cost., comma secondo, dedicato al dovere del lavoro, con la scelta di una attività o di una funzione “che concorra al progresso materiale o spirituale della società”; anche se la formula sembra più orientata ad esprimere il carattere non soltanto manuale del lavoro e a tutelare l'esistenza degli ordini religiosi contemplativi. Per ciò che attiene alla costituzione economica, dopo la relazione Togliatti (3 ottobre 1946) in prima Sottocommissione, Dossetti disse che un “controllo sociale dell’economia, [era] una necessità assoluta alla quale non ci si [poteva] in alcun modo sottrarre”7; sulla stessa linea si esprimeva Fanfani nella terza Sottocommissione, affermando: “è certo però che nella 2 Ass. Cost.. Atti della Commissione per la Costituzione. Bozze di stampa, s.d., vol.II. Relazioni e proposte,pp. 14-28. Per le citazioni si sono utilizzati in queste note gli atti coevi a stampa (o anche bozze di stampa) piuttosto che la riedizione selettiva del 1971. 3 G. LA PIRA, La casa comune. Una costituzione per l’uomo, Cultura ed., Firenze, 1979. Introduzione di U. DE SIERVO, pp.7-67 4 Ass. Cost. Commissione per la Costituzione. Discussioni, I e III Sottocommissioni, pp. 21-22. 5 N. BOBBIO, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1977, p.IX. 6 Ass. Cost..Commissione per la Costituzione. Adunanza plenaria. Discussioni dal 20 luglio 1946 al 1° febbraio 1947, pp. 72 e 73. Naturalmente grande peso ebbe anche la posizione contraria al preambolo assunta in quella sede da Togliatti. 7 Ass. Cost .Comm. Cost., I Sottocomm., p. 183 e188. 2
  • 3. Costituzione uno o più articoli, i quali stabiliscano che senza un controllo sociale dell’attività economica non è possibile realizzare il benessere di tutti i cittadini, è bene che vi siano”8. Questi propositi, alquanto virtuali, di cui è rimasta traccia nei controlli e programmi dell’art.41 Cost., furono in realtà contraddetti dalla efficacissima controffensiva liberista di Corbino e soprattutto di Einaudi che il 9 maggio 1947 nell’Assemblea Costituente motivarono la reiezione dell’emendamento Montagnana a favore della pianificazione. In quel serrato confronto, vividamente sintetizzato in una rievocazione di Piero Barucci9, né Dossetti, né Togliatti, né Fanfani scesero in campo per difendere se non il testo dell’emendamento, almeno il senso della loro preferenza per il controllo sociale dell’economia. In realtà per la DC intervenne Taviani10 schierandosi contro la formula Montagnana: ma l’aria era veramente cambiata rispetto all’autunno 1946 perché De Gasperi si era già espresso per il peso da attribuire al “quarto partito” e nei giorni del dibattito sulla pianificazione si approssimava la fine del tripartito e la formazione di un nuovo governo senza le sinistre. E’ un vero peccato che essendo Einaudi e Vanoni componenti della seconda Sottocommissione dei 75 per l’ordinamento della Repubblica, non si sia potuto svolgere un confronto sulla programmazione economica tra Dossetti, Togliatti, Fanfani, Einaudi e Vanoni che avrebbe potuto chiarire tempestivamente alcuni problemi poi risolti con disposizioni non esenti da ambiguità. Un tema che divise la prima Sottocommissione ed anche la Commissione plenaria dei 75 fu quello dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa; non tanto perché si volesse da qualcuno l'abbandono del principio concordatario o la modifica hic et nunc del Concordato vigente (correvano a rassicurare la Segreteria di Stato il liberale prof. Astuti e il comunista On. Reale) ma perché il Vaticano e Pio XII in persona pretendevano la menzione esplicita dei Patti Lateranensi in una disposizione della nuova Carta costituzionale: significando così il loro interesse per "quel" Concordato e per il suo mantenimento. Dossetti, stavolta relatore in prima persona, ebbe di sua personale iniziativa contatti diretti con un fiduciario pontificio (mons. Dell’Acqua) e con Togliatti nella sede del PCI; ed il risultato raggiunto scavalcò in parte qualche discutibile articolo da lui elaborato in sede di relazione11 ma anche l'autorevole seppur coperto tentativo del Capo provvisorio dello Stato, De Nicola, di far passare un emendamento che sancisse la continuità della disciplina allora vigente, evitando la menzione dei patti firmati da Mussolini12. Si arrivò in Assemblea con il testo dell'art.5 del progetto quasi identico a quello poi approvato in aula il 25 marzo 1947 e divenuto successivamente l'art.7. Il fatto che De Gasperi (eccezionalmente intervenuto da semplice deputato per dichiarazione di voto) approvasse con Dossetti e Togliatti quella disposizione secondo cui i rapporti tra Stato e 8 Ass. Cost. III Sottocomm. 15 ottobre 1946, pp.206-207. Peraltro il relatore aveva ribadito, come già Dossetti, che condizione imprescindibile del controllo era la libertà politica. 9 P. BARUCCI, Il dibattito sulla “Costituzione economica” in Democrazia cristiana e costituente a cura di G. Rossini, Edizioni Cinque Lune, Roma, 1980, II, p. 709 e ss. 10 Ass. Cost. 9 maggio p.m. 1947, p.3787. 11 Ass. Cost.. Atti Comm. Cost., II cit., pp. 61-63, relazione e proposte di Dossetti su lo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti e sulla libertà di opinione, di coscienza e di culto. In questo testo non mancano iniziative di grande e positivo rilievo come quelle sul principio di sussidiarietà, sulla rinunzia alla guerra e le limitazioni di sovranità statuale, sulla impossibilità per le leggi di contraddire alle norme internazionali pattizie nonché sulle applicazioni del pluralismo confessionale; meno felice era invece la proposizione secondo cui “Fermi restando i principi della libertà di coscienza e della eguaglianza religiosa dei cittadini , la religione cattolica – religione della quasi totalità del popolo italiano - è la religione dello Stato”. Questa proposta era coerente con l’opinione di Dossetti che le norme del trattato (e del concordato) non erano inserite nella Costituzione e che perciò poteva apparire necessario costituzionalizzare proprio quella già presente nell’art. 1 dello Statuto albertino; ma era chiaro fin da allora l’anacronismo di quel principio, poi considerato non più in vigore nel protocollo addizionale all’accordo di modifica al Concordato Lateranense (18 febbraio 1984). 12 G: Sale, De Gasperi, gli USA e il Vaticano all’inizio della Guerra fredda, Jaca BooK, Milano, 2005, p. 138 e ss. 3
  • 4. Chiesa cattolica “sono regolati dai Patti Lateranensi” rappresentava davvero un cedimento così grave alle pretese vaticane? La domanda si giustifica perché, a parte la comune finalità di mantenere la pace religiosa impedendo, tra l'altro, l'insorgenza di tentazioni legittimiste nell'episcopato e nel clero italiano, nelle affermazioni di Dossetti restava esclusa la costituzionalizzazione del contenuto normativo dei patti, trattandosi di norme materiali mentre il secondo comma dell’art.7 era da considerare una norma strumentale o sulla produzione giuridica, con la conseguenza che, se la modifica unilaterale delle norme dei patti poteva avvenire solo con il ricorso alla procedura di revisione costituzionale, per le modifiche intervenute con il consenso bilaterale era sufficiente la legge ordinaria di ratifica ed esecuzione dell’accordo, come poi è accaduto per le modifiche al Concordato nel 1984. E’ soprattutto su questo punto che le posizioni di Calamandrei e di Dossetti risultarono contrapposte13. Ma nessuna forza politica, ripeto, era intenzionata a proporre la denunzia dei patti o la modifica unilaterale dei suoi contenuti; sicché i costituenti favorevoli all’approvazione dell’art 5 nel testo del progetto (in particolare democristiani e comunisti) erano autorizzati a ritenere che la menzione degli Accordi Lateranensi non producesse conseguenze giuridiche effettive e che la richiesta vaticana fosse motivata da esigenze di prestigio e dalla volontà di dimostrare una coerenza di atteggiamenti pur nel mutare del regime italiano. Non valeva dunque la pena di aprire un conflitto con la S. Sede per una formulazione che prendeva atto di un evento storico. Comunque, i contatti di Dossetti, conclusi con il voto comunista a favore dell’art.7, ebbero un esito che dette a De Gasperi una straordinaria soddisfazione, come testimonia Andreotti14; e soprattutto dette agli italiani una prova di unità dei maggiori partiti nell’interesse del Paese. La condotta dei sostenitori dell’art.7 va dunque inquadrata nel contesto storicamente circoscritto dalla tesi giuridica sulla non costituzionalizzazione delle norme pattizie, fatta propria in seguito dai maggiori costituzionalisti italiani. Inoltre, per completare il quadro, va detto che Dossetti, nella sua onestà intellettuale, ammise più tardi che in alcuni passaggi del suo intervento aveva svolto un ruolo di avvocato di parte 15 sforzandosi di dimostrare la compatibilità con la costituzione in fieri di alcune norme concordatarie che solo nel 1984 sarebbero state cancellate. In effetti la linea del non inserimento delle norme pattizie nella nuova Costituzione non risolveva tutti i problemi di compatibilità come dimostra la lettura del discorso di Dossetti e della dichiarazione di voto di Togliatti che presentano significative diversità16. Degli articoli 10 e 11 della Costituzione si tratterà in altre relazioni. Di notevole interesse mi sembra il breve dibattito in sottocommissione sul riconoscimento costituzionale dei partiti. Dossetti dichiarò di considerare fondamentale la norma proposta dal relatore Basso, ritenendo necessario che i partiti stessi “diventino rilevanti per il diritto mentre praticamente in questo momento non lo sono”. In realtà, secondo lui, “la democrazia si orienta verso un indirizzo diverso dalla struttura formalistica della democrazia parlamentare di cinquant’anni fa, indirizzo che è necessario interpretare e convogliare perché dalla possibilità di disciplina e di consolidamento di questa nuova realtà democratica dipenderà la sussistenza della democrazia”17. Peraltro la discussione non andò oltre e l’Assemblea si accontentò della formula (non esplicita quanto al metodo democratico interno) 13 Gli interventi di Calamandrei,si leggono nel resoconto della seduta del 4 marzo (specie pp. 1749 e 1750) e del 20 marzo 1947 (pp. 2283-2290); quello di Dossetti nel resoconto della seduta del 21 marzo 1947 (pp. 2319- 2334) 14 G. ANDREOTTI, 1947.L’anno delle grandi svolte nel diario di un protagonista. Rizzoli, Milano, p.58. 15 Cfr. A colloquio con Dossetti e Lazzati. Intervista di Leopoldo Elia e Pietro Scoppola, Il Mulino, Bologna, 2003, pp. 74-76 e in particolare p. 77. 16 La copertura costituzionale dei Patti Lateranensi operò, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, nel senso di consentire deroghe alle norme costituzionali purché non violassero i principi costituzionali supremi. 17 Ass. Cost. I Sottocommissione. 20 novembre 1946, p. 411. 4
  • 5. contenuta nell’art.49 Cost.. Tuttavia le affermazioni di Dossetti dimostrano che, a differenza di De Gasperi, egli assegnava ai partiti popolari, o di massa, il compito di promuovere le grandi riforme economico-sociali che allora non pochi consideravano la vera attuazione della nuova Costituzione. Per la seconda parte della Costituzione, relativa all'ordinamento della Repubblica, Dossetti lasciò a Mortati il compito impossibile di realizzare un assetto di governo forte, capace di far approvare le grandi riforme economico-sociali promesse nelle norme sulla costituzione economica. In realtà, com'è noto, né De Gasperi, né Togliatti, nella incertezza sui risultati del grande confronto elettorale per il primo Parlamento repubblicano, vollero rischiare un rafforzamento dell'esecutivo. D'altra parte rimane oscuro come Dossetti conciliasse il suo desiderio di un governo efficientissimo come quello Attlee-Morrison con un sostegno costantemente offerto al sistema proporzionale di allora, addirittura esteso, per sua iniziativa, anche alle elezioni per il Senato repubblicano. Comunque Dossetti rimase comprensibilmente molto legato ai risultati raggiunti, specie in tema di principi fondamentali, affermando che Togliatti18 e Basso avevano dato il meglio di sé in quella esperienza; e sia concesso a noi di pensare che anche Dossetti, La Pira e Moro avevano dato la miglior parte di se stessi nella medesima vicenda. Assai finemente Pietro Scoppola ha notato come all’equilibrio raggiunto in sede costituente tra Dossetti, Togliatti e Basso facesse pendant l’equilibrio del tripartito degasperiano in sede di governo19. Questa giusta osservazione, che vale specialmente per il periodo in cui si è formato il progetto della nuova Costituzione, non va però fraintesa nel senso di ritenere che le posizioni dei giovani della seconda generazione democristiana trovassero un pieno apprezzamento da parte di De Gasperi. In un colloquio con il Nunzio in Italia, mons. Borgoncini Duca, il Presidente del Consiglio avrebbe affermato: “Questi professori hanno combinato qualche guaio”. E’ difficile dire se si riferisse con questa battuta alla circostanza, appena richiamata, del sostegno di Moro agli “articoli sociali della sinistra” o a Dossetti, citato subito dopo per i contatti con Togliatti sull’art.7. Ma è certo che De Gasperi giudicava eccessiva l’autonomia dal partito che si erano presi Dossetti e i suoi amici20. La seconda fase è piuttosto triste, perché non più animata dalla speranza di Dossetti che “il soffio potente del Cristianesimo”21 fosse in grado di produrre la renovatio della società e dello Stato italiano anche dopo la rottura della coalizione tripartita nel 1947. Anzi, il ricordo pur così vivo della stagione costituente si cangiava in un amaro giudizio sul disegno costituzionale inattuato: “la Costituzione è stata messa in un cassetto – ritenevano Dossetti e Lazzati22.-.perché le riforme di struttura non si fanno, nemmeno quelle incisive ma non palingenetiche del laburismo inglese”. Così trascorse molto tempo, fino ai primi anni '90; con questo tormentone delle riforme di struttura sognate da cattolici e laici della sinistra democratica. In Dossetti qualche spiraglio si aprì quando, con la caratteristica intuizione profetica di cui era dotato, nel corso della sua esperienza singolarissima di capo dell'opposizione nel Consiglio comunale di Bologna (biennio '56-'57), dopo la condanna durissima della repressione ungherese nel novembre del '56, giudicò esaurito 18 G: DOSSETTI, La ricerca costituente, a cura di A. Melloni, Il Mulino, Bologna, 1994, p.58. 19 P. SCOPPOLA, Introduzione alla parte seconda (Il mondo cattolico e la Democrazia Cristiana) in Cultura politica e partiti nell’età della Costituente, a cura di R. Ruffilli, Il Mulino, Bologna, 1979, I, p. 155. 20 G. SALE, De Gasperi cit., p. 144. Peraltro Dossetti affermerà poi riferendosi a De Gasperi: “ha partecipato con una certa cordialità e ha patrocinato il nostro incontro con Togliatti”, così in A colloquio con Dossetti e Lazzati cit., p. 59. 21 Così in una sua relazione del 12 gennaio 1947 ora in Dossetti giovane. Scritti reggiani:1944-1948, a cura di G. Campanini e P. Fiorini, Edizioni Cinque Lune, Roma, 1982, p. 69 22 A colloquio con Dossetti e Lazzati cit., p. 55-57. 5
  • 6. irrimediabilmente il sistema del comunismo reale; ma insieme nel 1957 (diciassette anni prima del referendum sul divorzio!) affermò che i cattolici erano ormai una minoranza in Italia23. Del suo catastrofismo presbite nei confronti della Democrazia Cristiana è inutile dire: in tanto deserto, tuttavia, cominciava a rivalutarsi nella sua mente la Costituzione, come ha acutamente notato Paolo Pombeni24. In una polemica seduta del Consiglio comunale (25 novembre 1957) Dossetti si chiedeva se un provvedimento del Governo corrispondesse “a quello che è stato il risultato, questo sì, di tutta la Nazione, e cioè al Patto Costituzionale che è venuto a sanzionare la fisionomia del nostro Stato, del nostro popolo, ad un determinato momento della nostra storia. In quello noi riconosciamo, e riconfermiamo solennemente in questo momento, il nostro impegno; è rispetto a quello, semmai, che noi sentiamo e non lo dissimuliamo che nei provvedimenti testé presi c'è qualcosa che ci mette profondamente a disagio”25. D'altra parte l'ipotesi che aveva unito alcuni protagonisti della Costituente tra cui Dossetti, La Pira e Mortati era quella di una crisi irreversibile del capitalismo iniziata con le tempeste economiche degli anni trenta; ma il capitalismo, in tutta l'area occidentale, aveva avuto un grande ritorno specie dopo l'esaurimento del c.d. compromesso socialdemocratico. Così si giunge alla terza ed ultima fase del ciclo Dossetti e la Costituzione, questa molto nota, del monaco che lascia dietro le spalle il silenzio e l'intimità segreta della Piccola Famiglia dell'Annunziata. La sua sfida a coloro che “mirerebbero a una modificazione frettolosa e inconsulta del patto fondamentale del nostro popolo, nei suoi presupposti supremi in nessun modo modificabili” è espressa in una lettera al sindaco di Bologna Walter Vitali del 15 aprile 1994. Su questo periodo l'accusa ricorrente è quella di conservatorismo, mentre all'opposto, il ritorno in campo di Dossetti è ispirato ad una rivisitazione del costituzionalismo italiano più aggiornato e più maturo. Egli unisce in una mirabile sintesi la difesa dei principi fondamentali della forma di Stato e di governo contro gli “avventati presidenzialismi” ed insieme l'apertura a quelle revisioni puntuali che possano porre rimedio a difetti vecchi e nuovi della nostra organizzazione costituzionale. L'esperienza gli fa vedere gli aspetti positivi del pluralismo istituzionale e degli equilibri realizzati con un sistema di freni e contrappesi. Questo ritorno di Dossetti, sia pure per un obbiettivo mirato come la difesa della Costituzione, ha rappresentato anche una grande prova di vitalità intellettuale. Egli ha cambiato in profondità le sue posizioni precedenti: si è rammaricato delle riforme economico- sociali mancate ma ciò non gli ha impedito di valutare i meriti della Costituzione vivente; di riconoscere l’importanza degli organi di garanzia e in particolare del Presidente della Repubblica e della Corte costituzionale, prima temuta come possibile ostacolo o ritardo al moto riformatore; di ripensare la Costituzione non più come un programma di riforme di struttura ma come un patto di convivenza, adottato dal popolo italiano con un consenso comune, moderato ed equo26. Inoltre, Dossetti ricerca, da storico più che da protagonista, le origini della Costituzione repubblicana aprendone per l’avvenire tutte le potenzialità di integrazione di forze assenti alla sua nascita . Quest'ultima battaglia dell'antico Costituente ha avuto un lieto fine, sopravvenuto dopo la sua morte, con il responso referendario del 25 giugno scorso. Infine, è degna di ricordo la convergenza di due personalità così diverse come Dossetti e Calamandrei in un moto profondo di pietas per gli amici caduti nel dramma della 23 G. DOSSETTI, Due anni a Palazzo d’Accursio. Discorsi a Bologna 1956 – 1958, a cura di R. Villa, Aliberti editore, Reggio Emilia, 2004, in particolare p. 59 per la vicenda ungherese e p. 35 per la situazione minoritaria dei cattolici “in genere”. 24 Giuseppe Dossetti consigliere comunale. Una riconsiderazione. Introduzione in Due anni cit., p. XXIX 25 Due anni cit., p. 199; ma si veda l’intero intervento La Resistenza e il patto costituzionale, pp. 196-200. 26 Si veda in particolare la relazione tenuta all’Università di Parma il 26 aprile 1995 ora in G. DOSSETTI, La Costituzione. Le radici I valori Le riforme. (con introduzione di G. Simoneschi), ed. Lavoro, Roma, 1996, p. 51 e ss. 6
  • 7. Resistenza; entrambi, alla fine dei loro più importanti interventi nell’Assemblea Costituente, rievocano, quasi con le stesse parole “il sogno di una comunità politica sostanzialmente e non solo formalmente rinnovata” come dice Dossetti; il sogno dei morti, “di una società più giusta e più umana”, come dice Calamandrei27. La Costituzione e le leggi per attuarla nascono come l’adempimento di un mandato ricevuto da quei resistenti. Ma se la parola della legge si distacca dalla bocca del legislatore, la Costituzione, destinata a diventare un Verbo atemporale, si allontana ancor più dal Costituente e dal contesto in cui esso ha operato. La Costituzione - ha affermato Dossetti nel suo discorso di Monteveglio del 16 settembre 1994 28 - trascende le sue origini e si proietta in un futuro di generazioni che devono ad ogni passaggio ridare vita a questa nostra rinsaldata tradizione costituzionale. Così sia. 27 Cfr. interventi citati alla nota 13 e più precisamente per Dossetti p. 2333 e per Calamandei p. 1755. 28 Il testo del discorso di Monteveglio intitolato I valori della Costituzione è pubblicato nella raccolta La Costituzione cit., pp.21-32. 7