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Anselmo Botte
Grazie mila - Eboli, San Nicola Varco:
cronaca di uno sgombero
Titolo: Grazie mila - Eboli, San Nicola Varco: cronaca di uno sgombero.
Autore: Anselmo Botte
Editore: Ediesse
Pubblicazione: Ottobre 2010
Pagine: 114
Biografia
Anselmo Botte è nato a Barile (Pz) nel 1953. Ha aderito al gruppo politico
extraparlamentare del Manifesto ed è stato tra i protagonisti del movimento studentesco
del ‘77, partecipando all’occupazione dell’Università. Nel 1980 si è laureato discutendo
una tesi sperimentale sull’analisi delle classi sociali in agricoltura, relatore Prof. Enrico
Pugliese. Ha svolto una delle prime ricerche sul campo sulla presenza degli immigrati in
Campania. Per alcuni anni ha lavorato nei laboratori di ceramica di Vietri sul Mare,
nelle fabbriche conserviere dell’Agro Sarnese-Nocerino e in quelle metalmeccaniche
del bresciano. Alla fine degli anni ‘80 è stato tra gli organizzatori del movimento dei
disoccupati di Salerno: suo è il progetto di assistenza domiciliare agli anziani che ha
trovato uno sbocco occupazionale per centinaia di disoccupati. Nel 1988 la Cgil di
Salerno gli affida la responsabilità della direzione del C.I.D. (Centro Informazione
Disoccupati). L’anno successivo entra nella segreteria della FLAI (Federazione
Lavoratori dell’Agro Industria), nella quale resterà, con diversi incarichi, fino al 2009,
quando verrà eletto nella segreteria della Camera del Lavoro di Salerno. Mannaggia la
miserìa. Storie di braccianti stranieri e caporali nella Piana del Sele è il suo primo
libro.
Abstract
Con lo sgombero del ghetto di San Nicola Varco di Eboli, dove da anni erano costretti a
vivere, in un assoluto degrado, più di ottocento braccianti marocchini impiegati
nell’agricoltura della Piana del Sele, si scrive un’altra pagina nera della storia dei
migranti nel nostro paese. Le ragioni che mi spingono ad esporre quegli eventi derivano
dal profondo dolore che ho avvertito quel giorno. Sarà solo quello a guidare la penna
nel racconto tormentato di chi l’ha subito, attingendo alle sensazioni che ho vissuto.
Quel giorno, tra i più tristi della mia vita, ho sentito un peso che mi ha travolto
2
interamente e sotto il quale gemevo impotente. Oggi, mentre percorro pensieroso le
strade della Piana, li rivedo ancora tutti, i ragazzi di San Nicola Varco. Stanno ancora
qui, non si sono mossi. Vivono in baracche, ruderi rurali, stalle, qualcuno ha trovato
casa nei centri urbani, qualcuno dorme sotto le serre e sotto gli alberi. Tutti sono più
deboli, spremuti e sfruttati nel lavoro dei campi, come e più di prima, dai caporali. Cosa
possono aspettarsi dalla vita questi girovaghi instancabili a cui nessuno presta aiuto?
Porte chiuse in faccia e malasorte. Il peso di una vita che vita non è, e ad ogni passo lo
spirito maligno che mostra la via della salvezza nella fuga da volti duri e gente ostile.
Anselmo Botte
Grazie mila
Grazie mila è la storia dello sgombero del ghetto di San Nicola Varco di Eboli,
avvenuto la sera del 10 novembre 2009. Anselmo Botte, autore dello scritto e testimone
diretto dell’accaduto, mediante l’espediente narrativo dell’immedesimazione, espone
con estrema accuratezza e dovizia di particolari il succedersi delle fasi che hanno
portato alla diaspora di centinaia di marocchini impiegati come braccianti agricoli al
servizio dei caporali nella Piana del Sele. L’utilizzo di un lessico caldo, ricco di
riferimenti alle condizioni disumane in cui versavano i protagonisti della vicenda,
incentrato su di una descrizione attenta del loro stato d’animo, sono prova del pieno
coinvolgimento emotivo da parte di chi scrive e palesano l’obiettivo perseguito durante
tutto il corso della narrazione: sensibilizzare il lettore spingendolo ad assumere un
atteggiamento solidale nei riguardi dei migranti, ai fini di una costruzione collettiva di
un presente vivibile per le classi subalterne della società contemporanea. Due prefazioni
introducono la tematica trattata nei capitoli successivi, fornendo una chiara esposizione
degli antefatti e dei precedenti storico-politici che hanno condotto ad una sempre
maggiore degenerazione delle condizioni esistenziali dei braccianti nel contesto
geografico della Piana del Sele e non solo.
La prima, di Stefania Crogi, segretario generale della Flai-Cgil, si configura come
quadro teorico in relazione al quale interpretare il fenomeno analizzato, descrivendo gli
antefatti in termini di provvedimenti disciplinari attuati dal governo e di inefficacia
degli stessi alla luce degli esiti registrati a Rosarno.
3
La seconda, di Franco Tavella, segretario generale della Cgil Salerno, contiene
un’aspra critica nei riguardi della tendenza attuale dei cittadini all’indifferenza rispetto a
problematiche di tale gravità ed implicazione sociale. Segue un prologo, scritto da
Anselmo Botte stesso, che consiste nella trascrizione di un suo articolo pubblicato su “Il
Manifesto” del 12 novembre 2009, nel quale si riporta sommariamente ciò che nelle
pagine successive sarà oggetto di una più approfondita riflessione di stampo
sociologico. Si apre quindi la narrazione effettiva della vicenda oggetto d’indagine
critico-analitica, che si articola in undici sezioni differenti. L’autore rende narratore dei
fatti Dris Quastalani, bracciante marocchino quarantottenne della Piana del Sele, il
quale, sin dall’inizio, si pone l’obiettivo di esporre dal punto di vista procedurale la
vicenda dello sgombero, congiuntamente alla caratterizzazione fisionomica e
psicologica dei suoi compagni di sventura, attraverso un’analisi introspettiva della
propria condizione emotiva nelle fasi precedenti e successive rispetto all’intervento
delle forze dell’ordine.
Inizialmente, gli interventi coercitivi erano sporadici e non invadevano il “ghetto”
nella sua integralità: generalmente gli arresti riguardavano solo coloro che si erano
rifugiati nella prima palazzina in prossimità del cancello d’ingresso. Eloquente è la
similitudine della quale il narratore si serve per descrivere, in modo incisivo ed efficace,
la condizione in cui versavano i marocchini del ghetto, sempre più rassegnati al loro
ineluttabile destino: “Come in uno stormo di passeri che sul calare della sera volava
compatto come una nuvola, rassegnato alle scorribande dei rapaci che attaccavano dai
lati, beccandone sempre alcuni, imponendo allo sciame brusche e repentine deviazioni
che disegnavano nel cielo sagome ovoidali”. Successivamente, la situazione subisce un
radicale mutamento.
Iniziano a giungere testimonianze dell’avvistamento di numerosi mezzi e uomini
delle forze dell’ordine: circolava da tempo la notizia che quello sarebbe stato l’anno
dello sgombero definitivo del “ghetto”. Era la sera del 10 novembre 2009. “Cupo
destino”, “scompiglio totale”, “singolare inquietudine”: sono alcune delle espressioni
utilizzate in questa fase della narrazione per trasmettere al lettore l’incupirsi ulteriore
dello stato d’animo dei braccianti. Il registro linguistico si tinge di tonalità scure, tristi,
cupe. Inizia il racconto effettivo della vicenda con una prima descrizione
4
dell’indecisione degli abitanti del ghetto circa l’alternativa di abbandonare lo stesso
prima dello sgombero effettivo, rispetto a quella di restare.
La terza sezione è dedicata ad un monologo interiore del protagonista che, in un
momento di isolamento dal trambusto circostante, ripercorre il succedersi delle fasi più
importanti del suo percorso di vita. Inquietudine e paura, tormento e indecisione, ansia e
nervosismo: in un climax ascendete di stampo emozionale, Dris avverte sempre più
intensamente quel sentore di pericolo che si sarebbe poi concretizzato in un crudele atto
di invasione. Un lungo flashback che coinvolge il lettore emotivamente, inducendolo ad
una riflessione sulle difficoltà concrete degli immigrati in termini di precarie condizioni
di vivibilità del presente ed assenza di migliori possibilità per il futuro.
Segue una descrizione particolareggiata del passato del protagonista-narratore che,
a partire dalla nascita, fino agli anni della formazione, per arrivare a quelli della scelta
migratoria, dipinge un quadro situazionale di degrado sociale ed abbandono della
comunità di provenienza. L’insostenibilità delle condizioni economiche e sociali in cui
si ritrova a dover vivere, induce Dris a seguire le orme di molti suoi connazionali,
decidendo per la soluzione della migrazione. La narrazione delle fasi preliminari di
attuazione delle procedure burocratiche di regolamentazione inizia con l’esposizione dei
fatti relativi all’affidamento, da parte del protagonista, della sua ormai intollerabile
situazione a Lakbir, marocchino “ben vestito” incontrato in un bar, che si rivelerà poi
uno sconsiderato truffatore. Dris, dopo aver consegnato cinquemila euro, cifra
necessaria per il rilascio del visto d’ingresso e per essere successivamente assunti presso
un’azienda agricola nel salernitano, a quello che credeva essere un provvidenziale
datore di lavoro, assieme ad altri suoi compagni di sventura, nella primavera del 2007,
giunge in Italia, più precisamente a Salerno.
Dopo aver più volte tentato di contattare telefonicamente la sua pseudo-agenzia di
collocamento senza alcun risultato, avendo compreso di essere stato letteralmente
truffato, decide di affidarsi ad un gruppo di suoi connazionali incontrati in stazione, che
come lui avevano seguito lo stesso percorso verso un futuro migliore in realtà
inesistente. Dopo un lungo tragitto, Dris arriva nel campo dove si sarebbe potuto
momentaneamente rifugiare. “La prima impressione fu quella di un posto abbandonato,
lontano da tutti i luoghi civili, smarrito nell’immensità della campagna”, da queste
parole prende avvio una descrizione dettagliata e minuziosa del “ghetto” di San Nicola
5
Varco: il registro linguistico subisce un radicale mutamento, adattandosi alle
caratteristiche negative proprie del luogo in cui si sviluppa la vicenda. Il protagonista,
introdotto in un “enorme capannone”, ne descrive la struttura fatiscente, focalizzandosi
su dettagli piuttosto macabri che, tuttavia, concorrono ad un’elaborazione visiva da
parte del lettore dell’immagine così magistralmente presentata.
Terminata la narrazione delle fasi precedenti rispetto al suo arrivo nel campo, Dris,
continua con l’esposizione delle modalità di attuazione del piano di sgombero del
ghetto. In particolare, egli mette in evidenza la divergenza di punti di vista esistente tra i
suoi compagni in relazione all’alternativa più opportuna per cui optare, al fine di avere
maggiori possibilità di fuggire da quella che si sarebbe poi rivelata una strategia
estremamente crudele ed inefficace. “Quel giorno regnava il silenzio, cupo e denso di
terribili presagi”: l’11 novembre 2009, data di attuazione concreta dello sgombero. La
scansione delle fasi dell’episodio narrato è minuziosa e precisa, seguendo una logica
temporale estremamente dettagliata in termini di descrizione delle procedure ora per
ora, con riferimento continuo allo stato d’animo delle vittime ed alle caratteristiche del
contesto circostante.
Nello specifico, Dris impressionato dalla quantità di mezzi giunti presso il campo,
dopo averne specificato il posizionamento strategico all’interno dello stesso, procede
con l’elencare le tipologie dei corpi armati, al fine di palesare il loro obiettivo strategico,
evidenziare la sproporzione numerica esistente tra di essi e gli abitanti del campo,
descrivere, per volontà di completezza ed esaustività, il loro ricco equipaggiamento
costituito da armi e scudi protettivi. I militari, dopo aver concesso ai braccianti muniti di
documenti di abbandonare il campo liberamente senza alcun tipo di provvedimento
disciplinare, iniziano ad effettuare controlli al fine di individuare i marocchini sprovvisti
di regolari permessi. Questi, prima di essere condotti al di fuori del ghetto, chiedono alle
forze dell’ordine di poter rientrare negli accampamenti in modo da poter prelevare dagli
stessi quei pochi effetti personali e qualche logoro indumento: dopo un primo
temporeggiamento da parte delle autorità nel concedere tale richiesta, a Dris ed ai suoi
compagni viene data la possibilità di raccogliere i propri miseri oggetti.
In questo preciso punto della narrazione della vicenda, si comprende il motivo per
il quale Anselmo Botte intitola il suo scritto “Grazie mila”. Dris descrive con stupore ed
ammirazione il comportamento dei suoi compagni nell’esprimere sincera riconoscenza
6
nei confronti delle forze dell’ordine per aver loro concesso di portare con sé i loro luridi
stracci: «Misero nei ringraziamenti tutta la gratitudine del loro cuore. “Grazie mila”,
dicevano, piegando leggermente in avanti la testa e il busto, e portandosi con leggerezza
la mano destra sul cuore. “Grazie mila”, mentre frugavano dentro le tane alla ricerca di
quello che poteva essere utile. “Grazie mila”, mentre i militari controllavano che non si
portassero via cose che non appartenevano a loro». L’operazione di sgombero si
conclude nel pomeriggio, obbligando coloro che prima abitavano il campo a cercare un
luogo dove trascorrere il resto della loro misera vita.
Le successive sezioni si focalizzano sulla diversità delle tipologie di strategie
attuate dai migranti al fine di trovare una soluzione al problema della mancanza di un
luogo dove trascorrere la notte. Dris ed alcuni suoi compagni decidono di allestire un
accampamento momentaneo in un pescheto adiacente al campo oramai deserto; altri si
dirigono verso un centro di accoglienza del comune di Eboli.
In queste pagine, la voce narrante si incupisce, assume toni tristemente pacati e
dimessi, si connota per l’utilizzo di un registro linguistico ricco di termini ed espressioni
che palesano una condizione interiore del protagonista di disagio, sconforto, afflizione.
Dris riflette sull’ingiustizia di cui è stato vittima in quegli ultimi anni della sua vita,
sentendosi “assediato da ogni sorta di difficoltà”. Afflitto dalla fame, si reca presso un
supermercato per comperare qualche vivanda. In questo contesto, prende avvio un’altra
tragica ed amara constatazione da parte di chi narra, in merito alla mancanza di
sensibilità ed all’opportunismo dei “caporali”: questi, infatti, approfittando della misera
condizione in cui versavano i braccianti, si recano nel luogo in cui si erano essi si erano
riuniti dopo lo sgombero per “offrire” loro possibilità di lavoro nei campi. Lo stesso
Dris, dopo aver trascorso una gelida notte in balia dei pensieri più cupi, il giorno
successivo si reca in un campo della Piana, per effettuare, assieme ad altri compagni di
lavoro, la concimazione dello stesso mediante l’utilizzo di apparecchiature rudimentali,
senza alcun tipo di protezione, per guadagnare una cifra irrisoria rispetto alle prestazioni
richieste dal tipo di lavoro proposto. Per Dris si sarebbe riattivato lo stesso processo
innescatosi prima dello sgombero: lavoro e sfruttamento.
A tal proposito, è significativo notare che, l’epilogo posto a conclusione del testo
in analisi è dedicato all’esposizione della situazione dei migranti tre mesi dopo lo
sgombero. In questo articolo, scritto dallo stesso Anselmo Botte e pubblicato su il
7
“Corriere del Mezzogiorno” del 13 febbraio 2010, si mette in evidenza l’inefficacia dei
provvedimenti disciplinari presi dalle autorità locali, in relazione al riformarsi di zone
“ghetto” dopo lo sgombero di un campo presentemente costituitosi.
Nelle parole dell’autore, è necessario che “ognuno si assuma le sue responsabilità:
le imprese, che la legge obbliga ad offrire un alloggio a tutti i migranti assunti; le
amministrazioni comunali, che non hanno mai avviato alcuna politica di accoglienza per
affrontare il disagio alloggiativo”. Segue una galleria di immagini che costruiscono un
percorso visivo in termini di fasi della procedura di sgombero del campo di San Nicola
Varco di Eboli.
Al testo è stato accluso un contributo multimediale di tipo filmico che ripercorre
dinamicamente le fasi dello sgombero, mediante il montaggio di un video che ne
evidenzia le caratteristiche descritte nell’opera.
AUGUSTO COCORULLO - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II” -
DIPARTIMENTO DI SCIENZE SOCIALI - DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE
SOCIALI E STATISTICHE - XXIX CICLO
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Grazie mila - Eboli, San Nicola Varco: cronaca di uno sgombero - Anselmo Botte

  • 1. Anselmo Botte Grazie mila - Eboli, San Nicola Varco: cronaca di uno sgombero
  • 2. Titolo: Grazie mila - Eboli, San Nicola Varco: cronaca di uno sgombero. Autore: Anselmo Botte Editore: Ediesse Pubblicazione: Ottobre 2010 Pagine: 114 Biografia Anselmo Botte è nato a Barile (Pz) nel 1953. Ha aderito al gruppo politico extraparlamentare del Manifesto ed è stato tra i protagonisti del movimento studentesco del ‘77, partecipando all’occupazione dell’Università. Nel 1980 si è laureato discutendo una tesi sperimentale sull’analisi delle classi sociali in agricoltura, relatore Prof. Enrico Pugliese. Ha svolto una delle prime ricerche sul campo sulla presenza degli immigrati in Campania. Per alcuni anni ha lavorato nei laboratori di ceramica di Vietri sul Mare, nelle fabbriche conserviere dell’Agro Sarnese-Nocerino e in quelle metalmeccaniche del bresciano. Alla fine degli anni ‘80 è stato tra gli organizzatori del movimento dei disoccupati di Salerno: suo è il progetto di assistenza domiciliare agli anziani che ha trovato uno sbocco occupazionale per centinaia di disoccupati. Nel 1988 la Cgil di Salerno gli affida la responsabilità della direzione del C.I.D. (Centro Informazione Disoccupati). L’anno successivo entra nella segreteria della FLAI (Federazione Lavoratori dell’Agro Industria), nella quale resterà, con diversi incarichi, fino al 2009, quando verrà eletto nella segreteria della Camera del Lavoro di Salerno. Mannaggia la miserìa. Storie di braccianti stranieri e caporali nella Piana del Sele è il suo primo libro. Abstract Con lo sgombero del ghetto di San Nicola Varco di Eboli, dove da anni erano costretti a vivere, in un assoluto degrado, più di ottocento braccianti marocchini impiegati nell’agricoltura della Piana del Sele, si scrive un’altra pagina nera della storia dei migranti nel nostro paese. Le ragioni che mi spingono ad esporre quegli eventi derivano dal profondo dolore che ho avvertito quel giorno. Sarà solo quello a guidare la penna nel racconto tormentato di chi l’ha subito, attingendo alle sensazioni che ho vissuto. Quel giorno, tra i più tristi della mia vita, ho sentito un peso che mi ha travolto 2
  • 3. interamente e sotto il quale gemevo impotente. Oggi, mentre percorro pensieroso le strade della Piana, li rivedo ancora tutti, i ragazzi di San Nicola Varco. Stanno ancora qui, non si sono mossi. Vivono in baracche, ruderi rurali, stalle, qualcuno ha trovato casa nei centri urbani, qualcuno dorme sotto le serre e sotto gli alberi. Tutti sono più deboli, spremuti e sfruttati nel lavoro dei campi, come e più di prima, dai caporali. Cosa possono aspettarsi dalla vita questi girovaghi instancabili a cui nessuno presta aiuto? Porte chiuse in faccia e malasorte. Il peso di una vita che vita non è, e ad ogni passo lo spirito maligno che mostra la via della salvezza nella fuga da volti duri e gente ostile. Anselmo Botte Grazie mila Grazie mila è la storia dello sgombero del ghetto di San Nicola Varco di Eboli, avvenuto la sera del 10 novembre 2009. Anselmo Botte, autore dello scritto e testimone diretto dell’accaduto, mediante l’espediente narrativo dell’immedesimazione, espone con estrema accuratezza e dovizia di particolari il succedersi delle fasi che hanno portato alla diaspora di centinaia di marocchini impiegati come braccianti agricoli al servizio dei caporali nella Piana del Sele. L’utilizzo di un lessico caldo, ricco di riferimenti alle condizioni disumane in cui versavano i protagonisti della vicenda, incentrato su di una descrizione attenta del loro stato d’animo, sono prova del pieno coinvolgimento emotivo da parte di chi scrive e palesano l’obiettivo perseguito durante tutto il corso della narrazione: sensibilizzare il lettore spingendolo ad assumere un atteggiamento solidale nei riguardi dei migranti, ai fini di una costruzione collettiva di un presente vivibile per le classi subalterne della società contemporanea. Due prefazioni introducono la tematica trattata nei capitoli successivi, fornendo una chiara esposizione degli antefatti e dei precedenti storico-politici che hanno condotto ad una sempre maggiore degenerazione delle condizioni esistenziali dei braccianti nel contesto geografico della Piana del Sele e non solo. La prima, di Stefania Crogi, segretario generale della Flai-Cgil, si configura come quadro teorico in relazione al quale interpretare il fenomeno analizzato, descrivendo gli antefatti in termini di provvedimenti disciplinari attuati dal governo e di inefficacia degli stessi alla luce degli esiti registrati a Rosarno. 3
  • 4. La seconda, di Franco Tavella, segretario generale della Cgil Salerno, contiene un’aspra critica nei riguardi della tendenza attuale dei cittadini all’indifferenza rispetto a problematiche di tale gravità ed implicazione sociale. Segue un prologo, scritto da Anselmo Botte stesso, che consiste nella trascrizione di un suo articolo pubblicato su “Il Manifesto” del 12 novembre 2009, nel quale si riporta sommariamente ciò che nelle pagine successive sarà oggetto di una più approfondita riflessione di stampo sociologico. Si apre quindi la narrazione effettiva della vicenda oggetto d’indagine critico-analitica, che si articola in undici sezioni differenti. L’autore rende narratore dei fatti Dris Quastalani, bracciante marocchino quarantottenne della Piana del Sele, il quale, sin dall’inizio, si pone l’obiettivo di esporre dal punto di vista procedurale la vicenda dello sgombero, congiuntamente alla caratterizzazione fisionomica e psicologica dei suoi compagni di sventura, attraverso un’analisi introspettiva della propria condizione emotiva nelle fasi precedenti e successive rispetto all’intervento delle forze dell’ordine. Inizialmente, gli interventi coercitivi erano sporadici e non invadevano il “ghetto” nella sua integralità: generalmente gli arresti riguardavano solo coloro che si erano rifugiati nella prima palazzina in prossimità del cancello d’ingresso. Eloquente è la similitudine della quale il narratore si serve per descrivere, in modo incisivo ed efficace, la condizione in cui versavano i marocchini del ghetto, sempre più rassegnati al loro ineluttabile destino: “Come in uno stormo di passeri che sul calare della sera volava compatto come una nuvola, rassegnato alle scorribande dei rapaci che attaccavano dai lati, beccandone sempre alcuni, imponendo allo sciame brusche e repentine deviazioni che disegnavano nel cielo sagome ovoidali”. Successivamente, la situazione subisce un radicale mutamento. Iniziano a giungere testimonianze dell’avvistamento di numerosi mezzi e uomini delle forze dell’ordine: circolava da tempo la notizia che quello sarebbe stato l’anno dello sgombero definitivo del “ghetto”. Era la sera del 10 novembre 2009. “Cupo destino”, “scompiglio totale”, “singolare inquietudine”: sono alcune delle espressioni utilizzate in questa fase della narrazione per trasmettere al lettore l’incupirsi ulteriore dello stato d’animo dei braccianti. Il registro linguistico si tinge di tonalità scure, tristi, cupe. Inizia il racconto effettivo della vicenda con una prima descrizione 4
  • 5. dell’indecisione degli abitanti del ghetto circa l’alternativa di abbandonare lo stesso prima dello sgombero effettivo, rispetto a quella di restare. La terza sezione è dedicata ad un monologo interiore del protagonista che, in un momento di isolamento dal trambusto circostante, ripercorre il succedersi delle fasi più importanti del suo percorso di vita. Inquietudine e paura, tormento e indecisione, ansia e nervosismo: in un climax ascendete di stampo emozionale, Dris avverte sempre più intensamente quel sentore di pericolo che si sarebbe poi concretizzato in un crudele atto di invasione. Un lungo flashback che coinvolge il lettore emotivamente, inducendolo ad una riflessione sulle difficoltà concrete degli immigrati in termini di precarie condizioni di vivibilità del presente ed assenza di migliori possibilità per il futuro. Segue una descrizione particolareggiata del passato del protagonista-narratore che, a partire dalla nascita, fino agli anni della formazione, per arrivare a quelli della scelta migratoria, dipinge un quadro situazionale di degrado sociale ed abbandono della comunità di provenienza. L’insostenibilità delle condizioni economiche e sociali in cui si ritrova a dover vivere, induce Dris a seguire le orme di molti suoi connazionali, decidendo per la soluzione della migrazione. La narrazione delle fasi preliminari di attuazione delle procedure burocratiche di regolamentazione inizia con l’esposizione dei fatti relativi all’affidamento, da parte del protagonista, della sua ormai intollerabile situazione a Lakbir, marocchino “ben vestito” incontrato in un bar, che si rivelerà poi uno sconsiderato truffatore. Dris, dopo aver consegnato cinquemila euro, cifra necessaria per il rilascio del visto d’ingresso e per essere successivamente assunti presso un’azienda agricola nel salernitano, a quello che credeva essere un provvidenziale datore di lavoro, assieme ad altri suoi compagni di sventura, nella primavera del 2007, giunge in Italia, più precisamente a Salerno. Dopo aver più volte tentato di contattare telefonicamente la sua pseudo-agenzia di collocamento senza alcun risultato, avendo compreso di essere stato letteralmente truffato, decide di affidarsi ad un gruppo di suoi connazionali incontrati in stazione, che come lui avevano seguito lo stesso percorso verso un futuro migliore in realtà inesistente. Dopo un lungo tragitto, Dris arriva nel campo dove si sarebbe potuto momentaneamente rifugiare. “La prima impressione fu quella di un posto abbandonato, lontano da tutti i luoghi civili, smarrito nell’immensità della campagna”, da queste parole prende avvio una descrizione dettagliata e minuziosa del “ghetto” di San Nicola 5
  • 6. Varco: il registro linguistico subisce un radicale mutamento, adattandosi alle caratteristiche negative proprie del luogo in cui si sviluppa la vicenda. Il protagonista, introdotto in un “enorme capannone”, ne descrive la struttura fatiscente, focalizzandosi su dettagli piuttosto macabri che, tuttavia, concorrono ad un’elaborazione visiva da parte del lettore dell’immagine così magistralmente presentata. Terminata la narrazione delle fasi precedenti rispetto al suo arrivo nel campo, Dris, continua con l’esposizione delle modalità di attuazione del piano di sgombero del ghetto. In particolare, egli mette in evidenza la divergenza di punti di vista esistente tra i suoi compagni in relazione all’alternativa più opportuna per cui optare, al fine di avere maggiori possibilità di fuggire da quella che si sarebbe poi rivelata una strategia estremamente crudele ed inefficace. “Quel giorno regnava il silenzio, cupo e denso di terribili presagi”: l’11 novembre 2009, data di attuazione concreta dello sgombero. La scansione delle fasi dell’episodio narrato è minuziosa e precisa, seguendo una logica temporale estremamente dettagliata in termini di descrizione delle procedure ora per ora, con riferimento continuo allo stato d’animo delle vittime ed alle caratteristiche del contesto circostante. Nello specifico, Dris impressionato dalla quantità di mezzi giunti presso il campo, dopo averne specificato il posizionamento strategico all’interno dello stesso, procede con l’elencare le tipologie dei corpi armati, al fine di palesare il loro obiettivo strategico, evidenziare la sproporzione numerica esistente tra di essi e gli abitanti del campo, descrivere, per volontà di completezza ed esaustività, il loro ricco equipaggiamento costituito da armi e scudi protettivi. I militari, dopo aver concesso ai braccianti muniti di documenti di abbandonare il campo liberamente senza alcun tipo di provvedimento disciplinare, iniziano ad effettuare controlli al fine di individuare i marocchini sprovvisti di regolari permessi. Questi, prima di essere condotti al di fuori del ghetto, chiedono alle forze dell’ordine di poter rientrare negli accampamenti in modo da poter prelevare dagli stessi quei pochi effetti personali e qualche logoro indumento: dopo un primo temporeggiamento da parte delle autorità nel concedere tale richiesta, a Dris ed ai suoi compagni viene data la possibilità di raccogliere i propri miseri oggetti. In questo preciso punto della narrazione della vicenda, si comprende il motivo per il quale Anselmo Botte intitola il suo scritto “Grazie mila”. Dris descrive con stupore ed ammirazione il comportamento dei suoi compagni nell’esprimere sincera riconoscenza 6
  • 7. nei confronti delle forze dell’ordine per aver loro concesso di portare con sé i loro luridi stracci: «Misero nei ringraziamenti tutta la gratitudine del loro cuore. “Grazie mila”, dicevano, piegando leggermente in avanti la testa e il busto, e portandosi con leggerezza la mano destra sul cuore. “Grazie mila”, mentre frugavano dentro le tane alla ricerca di quello che poteva essere utile. “Grazie mila”, mentre i militari controllavano che non si portassero via cose che non appartenevano a loro». L’operazione di sgombero si conclude nel pomeriggio, obbligando coloro che prima abitavano il campo a cercare un luogo dove trascorrere il resto della loro misera vita. Le successive sezioni si focalizzano sulla diversità delle tipologie di strategie attuate dai migranti al fine di trovare una soluzione al problema della mancanza di un luogo dove trascorrere la notte. Dris ed alcuni suoi compagni decidono di allestire un accampamento momentaneo in un pescheto adiacente al campo oramai deserto; altri si dirigono verso un centro di accoglienza del comune di Eboli. In queste pagine, la voce narrante si incupisce, assume toni tristemente pacati e dimessi, si connota per l’utilizzo di un registro linguistico ricco di termini ed espressioni che palesano una condizione interiore del protagonista di disagio, sconforto, afflizione. Dris riflette sull’ingiustizia di cui è stato vittima in quegli ultimi anni della sua vita, sentendosi “assediato da ogni sorta di difficoltà”. Afflitto dalla fame, si reca presso un supermercato per comperare qualche vivanda. In questo contesto, prende avvio un’altra tragica ed amara constatazione da parte di chi narra, in merito alla mancanza di sensibilità ed all’opportunismo dei “caporali”: questi, infatti, approfittando della misera condizione in cui versavano i braccianti, si recano nel luogo in cui si erano essi si erano riuniti dopo lo sgombero per “offrire” loro possibilità di lavoro nei campi. Lo stesso Dris, dopo aver trascorso una gelida notte in balia dei pensieri più cupi, il giorno successivo si reca in un campo della Piana, per effettuare, assieme ad altri compagni di lavoro, la concimazione dello stesso mediante l’utilizzo di apparecchiature rudimentali, senza alcun tipo di protezione, per guadagnare una cifra irrisoria rispetto alle prestazioni richieste dal tipo di lavoro proposto. Per Dris si sarebbe riattivato lo stesso processo innescatosi prima dello sgombero: lavoro e sfruttamento. A tal proposito, è significativo notare che, l’epilogo posto a conclusione del testo in analisi è dedicato all’esposizione della situazione dei migranti tre mesi dopo lo sgombero. In questo articolo, scritto dallo stesso Anselmo Botte e pubblicato su il 7
  • 8. “Corriere del Mezzogiorno” del 13 febbraio 2010, si mette in evidenza l’inefficacia dei provvedimenti disciplinari presi dalle autorità locali, in relazione al riformarsi di zone “ghetto” dopo lo sgombero di un campo presentemente costituitosi. Nelle parole dell’autore, è necessario che “ognuno si assuma le sue responsabilità: le imprese, che la legge obbliga ad offrire un alloggio a tutti i migranti assunti; le amministrazioni comunali, che non hanno mai avviato alcuna politica di accoglienza per affrontare il disagio alloggiativo”. Segue una galleria di immagini che costruiscono un percorso visivo in termini di fasi della procedura di sgombero del campo di San Nicola Varco di Eboli. Al testo è stato accluso un contributo multimediale di tipo filmico che ripercorre dinamicamente le fasi dello sgombero, mediante il montaggio di un video che ne evidenzia le caratteristiche descritte nell’opera. AUGUSTO COCORULLO - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II” - DIPARTIMENTO DI SCIENZE SOCIALI - DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE SOCIALI E STATISTICHE - XXIX CICLO 8