1. Master FORMEZ – UNIMOL
“Politiche pubbliche e sviluppo del territorio”
Politiche regionali di sviluppo e
analisi del contesto socio-economico
Antonio Bonetti
Campobasso, febbraio 2008
2. 1. Obiettivi generali e limiti del seminario
OBIETTIVI: LIMITI:
• Comprendere le basi • L’attenzione si concentra
logiche delle aggregazioni sulle politiche strutturali di
statistico-territoriali e sviluppo socio-economico.
Non si considerano
delle stesse analisi socio- programmi settoriali e piani
economiche territoriali.
• Approfondire i molteplici • Si considerano come
aspetti delle analisi socio- acquisite le conoscenze di
economiche. statistica di base e quelle sui
limiti delle varie fonti
statistiche e dei dati statistici.
3. 2. Collegamento logico con altri
seminari del Master
• Analisi degli obiettivi di
governo;
• Analisi del sistema dei
bisogni;
• Analisi e mappatura dei
territori;
• Programmazione delle
politiche pubbliche. Analisi sistemi
socio-economici
4. 3. Il percorso logico del seminario
1. Fondamento teorico delle politiche strutturali
di sviluppo e programmi regionali
“complessi”;
2. Economie regionali e analisi territoriali;
3. Classificazioni e fonti statistiche di
riferimento nell’analisi dei sistemi socio-
economici;
4. L’analisi del contesto socio-economico.
5. 4. Il dibattito sull’intervento
pubblico in economia
La teoria economica “neoclassica” ha sempre sostenuto che
in condizioni di concorrenza perfetta e sotto altre ipotesi
(condizioni che non si riscontrano mai nel concreto operare
dei mercati) l’economia di mercato produce un’allocazione
delle risorse efficiente ed anche equa.
L’intervento pubblico in economia, quindi, non avrebbe
ragione di essere (filosofia del laissez-faire).
Le politiche pubbliche da realizzare sarebbero solo quelle
proprie di uno “Stato minimale”: (i) sicurezza nazionale e
tutela dell’ordine pubblico; (ii) amministrazione della
giustizia; (iii) interventi volti ad assicurare l’ordinato
funzionamento dei mercati.
6. 5. La teoria neoclassica della crescita
La teoria economica “neoclassica” della crescita (Solow,
1957), in particolare, sostiene che in presenza di ipotesi di
concorrenza perfetta e mobilità dei fattori produttivi, i
processi di squilibrio nel trend di crescita e gli eventuali
divari di sviluppo (inter-regionali e/o internazionali) sono
solo temporanei e tendono ad essere riassorbiti attraverso gli
stessi meccanismi di mercato.
Le forze di mercato producono un equilibrio di steady-state,
caratterizzato dalla convergenza di tutte le regioni sul
sentiero di sviluppo reso possibile dai fattori strutturali della
crescita economica (popolazione, dotazione di capitale fisico
e progresso tecnologico).
Anche l’intervento pubblico a sostegno delle aree più
arretrate, quindi, viene criticato.
7. 6. I divari di sviluppo e i
modelli “centro-periferia”
Già negli anni Cinquanta, nell’ambito delle analisi sulle
condizioni di sottosviluppo del Terzo Mondo, invece, emerge
chiaramente l’esistenza di processi “circolari di causazione
cumulativa”: aree che registrano dei ritardi di sviluppo, invece di
convergere sui tassi di crescita di quelle più avanzate (processi di
catching up), nel corso del tempo potrebbe perdere ulteriormente
terreno (Myrdal, 1957).
Si inizia a parlare di modelli di “centro-periferia” (centre-
periphery), per cui a livello regionale, nazionale e internazionale,
esistono dei “centri” e delle “periferie”, con divari di crescita
persistenti se non destinati ad aumentare nel tempo. L’idea di
fondo è che nelle aree già sviluppate si inneschino dei processi
cumulativi per cui queste aree continuano ad attrarre i fattori
produttivi mobili migliori a discapito delle altre.
8. 7. La “New Economic Geography”
L’idea che la presenza di imprese monopolistiche e di rendimenti
produttivi crescenti possano acuire i divari di sviluppo è stata
ripresa nell’ambito della c.d. “New Economic Geography”
(Krugman, 1991a; 1991b).
In tale teoria – suffragata da molteplici riscontri empirici sui
divari di sviluppo - giocano un ruolo determinante nell’alimentare
i processi di “causazione cumulativa” le economie “di
agglomerazione”, ossia i risparmi di costi connessi alla
concentrazione spaziale delle attività produttive e alla migliore
circolazione su scala locale delle informazioni.
Tale approccio ha costituito la base teorica di riferimento del
Quadro Comunitario di Sostegno Ob. 1 2000-2006, imperniato sul
rafforzamento nel Mezzogiorno della capacità di attrazione dei
fattori mobili.
9. 8. Intervento pubblico e
politica regionale comunitaria
La politica regionale comunitaria per le aree più arretrate
(aree “Obiettivo 1”) nasce sul finire degli anni Ottanta
(riforma dei Fondi del 1988) anche per il fatto che, dopo
l’ingresso nel 1986 di Spagna e Portogallo, risultava sempre
più evidente l’esistenza di: (i) forti divari di sviluppo fra le
varie regioni europee e (ii) un “core” costituito dalla c.d.
“hot banana” e da molteplici aree periferiche.
La politica regionale dell’UE ha prodotto risultati discutibili
in termini di convergenza delle regioni più arretrate.
I divari di sviluppo fra le regioni, inevitabilmente, si sono
ulteriormente acuiti con l’ingresso di 12 nuovi Stati Membri
più poveri della media comunitaria della UE15.
10. 9. Perchè “confermare” oggi la
politica regionale comunitaria?
La politica regionale comunitaria ancora oggi serve per
favorire la crescita delle aree più arretrate e/o limitare
l’eventuale acuirsi dei divari di sviluppo, in quanto
l’obiettivo “politico” è sempre lo stesso: avvicinare
gradualmente obiettivi di sviluppo e di policy di Stati
Membri e Regioni tanto diverse.
L’idea di fondo, in altri termini, è sempre la stessa: la
“convergenza economica” può produrre più coesione sociale
e politica (Leonardi, 1998).
La politica regionale dell’UE, ovviamente, viene ancora
fortemente difesa dalle regioni. Il processo di empowerment
delle regioni nell’arena politica comunitaria, infatti, è legato
anzitutto alla “politica di coesione” dell’UE.
11. 10. Classificazione indicativa delle
politiche strutturali di sviluppo
Politiche interne:
interne
- azioni di sistema
(interventi di capacity
building);
Politiche di sviluppo - progetti;
- programmi settoriali;
- programmi territoriali
“complessi”.
Aiuto allo sviluppo
12. 11. I programmi “complessi” cofinanziati
dai Fondi Strutturali
I “programmi” cofinanziati dai Fondi Strutturali (in
particolare quelli per le regioni “Ob. 1”) si sono sempre
configurati come programmi “complessi”, ossia:
- multi-scopo: si deve raggiungere un obiettivo globale,
multi-scopo
attraverso il raggiungimento di vari obiettivi “specifici”
intermedi. Non si interviene con dei progetti locali di
sviluppo, ma con autentici programmi pluriennali;
- multi-azione: i programmi prevedono diverse tipologie di
multi-azione
intervento, che interessano varie funzioni di policy e vari
settori economici;
- multi-target: i programmi “complessi” puntano a
multi-target
migliorare condizioni e opportunità di crescita sociali di
diverse categorie di beneficiari.
13. 12. La rilevanza dell’analisi di contesto
nella fase di programmazione
I programmi territoriali hanno la finalità precipua di
rimuovere i fattori di criticità ostativi dei processi di crescita
economica. Tali fattori potrebbero essere riconducibili a
varie cause che si cerca di comprendere con l’analisi di
contesto: carenza locale di materie prime e di capitale fisico,
scarsa disponibilità di lavoratori con elevati livelli di
qualificazione, prevalenza di popolazione anziana e quindi
limitata disponibilità di individui con elevata propensione al
consumo e/o agli investimenti, struttura produttiva
imperniata su settori produttivi “maturi” e altro.
L’analisi socio-economica, inoltre, contribuisce a definire
più puntualmente i “punti di forza” e le vocazioni produttive
locali da rafforzare. Essa, inoltre, consente di definire in
modo corretto le categorie sociali in maggiori difficoltà e le
loro “domande sociali”.
14. 13. Analisi macroeconomica e meso-economica
dei sistemi socio-economici
Le analisi sui sistemi socio-economici, in genere, si
dividono in:
- analisi microeconomica: considera le unità economiche
elementari (famiglie, imprese e istituzioni, intese come
insieme di norme e agenzie regolatrici del funzionamento
dei mercati);
- analisi macroeconomica: considera gli aggregati
macroeconomici (per “aggregati” si intendono grandezze
economiche sintetiche che misurano il risultato d’insieme
delle operazioni svolte da tutte le unità microeconomiche).
Le analisi territoriali si collocano su un livello intermedio,
definito “meso-economico” (Arbia, Espa, 1996; Rinaldi
2001).
15. 14. Economie regionali e analisi meso-economica
Le analisi territoriali a livello “meso-economico” possono
concernere partizioni territoriali di diversa dimensione.
Tali partizioni territoriali possono coincidere o meno con le
ripartizioni amministrative degli Stati.
Le “analisi meso-economiche”, in misura crescente hanno
riguardato le “regioni” soprattutto per la rilevanza che
hanno assunto le “regioni” in alcune politiche pubbliche
della UE, segnatamente la Politica di coesione economica e
sociale (la politica regionale comune della Comunità,
avviata nella sua forma attuale nel 1988).
Tali analisi scontano una maggiore difficoltà di
reperimento dei dati.
16. 15. Economie regionali e analisi dei fattori
strutturali della competitività economica
Le analisi territoriali a livello “meso-economico”, tuttavia,
registrano una crescente attenzione, in quanto negli ultimi
20 anni autorevoli studiosi hanno evidenziato come i fattori
strutturali della competitività economica possano essere
rilevati in modo più pertinente non a livello di Stati
nazionali, ma a livello di partizioni sub-territoriali
(Krugman, 1991a; 1991b; 1994; Porter, 1998; 2003).
Anche nell’ambito degli studi inerenti la Politica di
coesione economica e sociale della UE emerge
chiaramente come i divari di condizioni di competitività e
di sviluppo economico fra le regioni siano più elevati di
quelli che si registrano fra gli Stati Membri.
17. 16. Le regioni amministrative dell’UE
e la classificazione NUTS (I)
Negli ultimi 25 anni si registra un crescente empowerment
delle regioni nella preparazione e nella gestione delle
politiche europee (in primis la politica di coesione).
Nell’ambito dell’UE, pertanto, si ha una puntuale
ripartizione amministrativa del territorio comunitario,
attraverso la classificazione NUTS disciplinata dal Reg.
(CE) 1059/2003 (è stata rivista nel febbraio 2007).
L’acronimo NUTS sta per Nomenclature of Territorial
Units for Statistics (Nomenclatura statistico-territoriale
delle unità amministrative europee, suddivise su più livelli
istituzionali).
18. 17. Le regioni amministrative dell’UE
e la classificazione NUTS (II)
La classificazione NUTS prevede 4 livelli:
- NUTS 0: i 27 Stati Membri;
- NUTS I: le macro-ripartizioni amministrative (ad
esempio in Italia Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud ed
isole);
- NUTS II: le regioni (dopo la revisione del febbraio 2007
sono 271), che sono l’unità territoriale di riferimento per le
politiche di sviluppo cofinanziate dal FESR e dal FSE;
- NUTS III: partizioni amministrative sub-regionali, quali
le province in Italia (sono l’unità territoriali di riferimento
della sezione A dei PIC INTERREG, che nel ciclo
2007-2013 costituisce l’obiettivo orizzontale
“Cooperazione territoriale europea” della politica di
coesione).
19. 18. La disomogeneità delle regioni amministrative
dell’UE e le politiche pubbliche
Per ciascuno dei 4 livelli della classificazione NUTS si
riscontrano rilevanti disomogeneità in termini di superficie
territoriale, popolazione e anche di livello di attività
economica e di possibilità di “autonomia fiscale”.
Tali disomogeneità hanno un particolare rilievo a livello
NUTS II, in quanto in tutti gli SM si sono registrati
processi di devoluzione alle “regioni” di “prerogatives”
(competenze di politica pubblica).
Il fatto che regioni di dimensioni fisiche ed economiche
tanto diverse (i.e. Molise e Lombardia) abbiano le stesse
competenze può condurre sia ad una “balcanizzazione”
delle policies, sia ad oggettive migliori performance per le
regioni più grandi. La dimensione “regionale” è quella più
adatta per gestire le politiche di sviluppo?
20. 19. Geografia fisica e geografia amministrativa
Nelle considerazioni sul livello amministrativo più adeguato
di gestione delle politiche di sviluppo, riecheggia l’annoso
dibattito sugli effetti della discrasia fra geografia “fisica” di
un territorio e geografia “amministrativa” (in Italia normata
dall’art. 114 della Costituzione).
Nella geografia “fisica”, come unità elementare di
riferimento viene considerato il “bacino idrografico”.
Nella geografia “amministrativa” (e nei processi di
ripartizione delle politiche pubbliche fra diversi livelli di
Amministrazione) vale il c.d. “cube principle” per cui tutto
un dato territorio deve essere ripartito in livelli e “unità
territoriali amministrative”, ma sovente si registra una
discrasia fra geografia “fisica” e “amministrativa” che
indebolisce efficacia ed efficienza dei sistemi di Multi Level
Governance (MLG).
21. 20. Tipologie di analisi territoriali
La discrasia fra geografia “fisica” di un territorio e geografia
“amministrativa” conduce a definire due raggruppamenti di
analisi statistiche del territorio:
- analisi “normativa” (o “istituzionale”): legata alle
aggregazioni territoriali basate sul sistema istituzionale-
amministrativo dell’UE e degli SM;
- analisi “funzionale”, riferita alle regioni “analitiche”. Per
regioni “analitiche” si intendono aggregazioni di aree
territoriali “omogenee” (bacini idrografici) o
“funzionalmente omogenee”.
Le aree “funzionalmente omogenee” possono essere quelle
definite per la creazione di “distretti rurali”, le aree su cui si
implementeranno i patti territoriali o quelle definite per
effettuare determinate analisi dei fenomeni economici.
22. 21. Aree funzionali e analisi territoriale (I)
Nell’analisi territoriale si possono considerare diverse aree
“funzionali”:
- aree omogenee per caratteristiche fisiche, climatiche o
anche dei sistemi rurali;
- aree omogenee per determinate “funzioni economiche” (si
fa riferimento a dei flussi di beni e servizi e/o di individui e
alle interazioni economiche all’interno di queste aree).
La principale tipologia di area “funzionale” sono i Sistemi
Locali di Lavoro (SLL). I SLL vengono definiti dall’ISTAT
sulla base dei dati relativi al pendolarismo e costituiscono
l’area di riferimento per la definizione dei distretti, in primis
dei “distretti industriali”.
23. 22. Aree funzionali e analisi territoriale (II)
I principi di riferimento nella costruzione delle aree
“funzionali” sono:
- il principio di gravitazione: in un territorio esistono poli
di attrazione (centri urbani, alcune infrastrutture di
particolare rilievo, quali un Parco scientifico o un
aereoporto) e delle “aree gravitazionali” (aree che hanno un
baricentro nel polo di attrazione e su cui si dispiegano gli
effetti economici di questo baricentro);
- il principio di Tobler (1970): “tutto è correlato con tutto
in geografia, ma le cose vicine sono più correlate di quelle
lontane”.
24. 23. Analisi orizzontale e analisi verticale (I)
L’analisi orizzontale pone a confronto situazione socio-
economica e fattori di competitività di territori posti allo stesso
livello di aggregazione (si confrontano le varie regioni NUTS
II, oppure si confrontano le due province molisane fra di loro e
rispetto a tutte le altre province italiane).
L’analisi verticale pone a confronto situazione socio-
economica e fattori di competitività di una data unità
territoriale rispetto alle unità dei livelli di aggregazione sovra-
ordinati (si esamina la situazione economica della provincia di
Campobasso, ponendola a confronto con quella del Molise,
con quella del Sud ed eventualmente con quella nazionale).
25. 24. Analisi orizzontale e analisi verticale (II)
An. orizzontale An. verticale
Indica il posizionamento di
un territorio rispetto a
Indica il posizionamento contesti territoriali
competitivo di un territorio di riferimento più ampi
rispetto a tutti gli
altri dello stesso livello (livelli di giurisdizione
sovraordinati)
26. 25. Le principali classificazioni di riferimento
per le analisi socio-economiche
Le principali classificazioni (analitiche e/o anche più
propriamente statistiche) sono relative a:
- unità economiche;
- attività economiche e settori produttivi;
- aggregazioni basate sul grado di formalizzazione degli scambi
economici (si distingue fra economie “formali”, economie
“informale”, in cui si le transazioni possono essere
prevalentemente regolate da forme di baratto ed economie
“sommerse”, in cui l’irregolarità degli scambi può anche
degenerare in autentiche forma di economia “criminale”);
- titoli di studio e professioni.
27. 26. Unità economiche e settori produttivi
Le principali classificazioni di base (fondamentali per costruire
i Conti economici nazionali e regionali) concernono:
1. le unità economiche. Nella Contabilità Nazionale vengono
divise in: (i) Famiglie; (ii) Imprese (vi vengono incluse anche
quelle a capitale parzialmente o totalmente pubblico); (iii)
Istituzioni (Amministrazioni Pubbliche e organizzazioni senza
scopo di lucro); (iv) Operatori del Resto del Mondo.
2. i settori produttivi: la classificazione di base in settore
primario (agricoltura, selvicoltura e pesca); (ii) secondario
(attività manifatturiere) e terziario (attività dei servizi) può
essere ampiamente riarticolata con disaggregazioni settoriali su
vari livelli, normate da convenzioni statistiche internazionali.
28. 27. Le principali classificazioni
utilizzate dall’ISTAT
Le principali classificazioni utilizzate dall’ISTAT, coerenti con
le classificazioni statistiche internazionali (in primo luogo
quelle delle Nazioni Unite), sono:
-forme giuridiche delle unità legali;
- attività economiche (ATECO 1991 – ATECO 2007);
- titoli di studio;
- professioni;
- malattie;
- Stati esteri.
N.B. Nelle analisi si deve anche tenere conto della ripartizione
delle Amm.ni Pubbliche e dei codici numerici identificativi di
Comuni, Province e Regioni.
29. 28. La classificazione delle forme giuridiche
delle unità legali
La classificazione ISTAT delle unità legali per forma giuridica
prevede 2 sezioni (unità giuridiche di diritto privato e unità
giuridiche di diritto pubblico); 16 divisioni (9 per le forme
giuridiche private 7 per quelli pubbliche) e 62 classi.
Fra le forme giuridiche di diritto privato vi sono delle divisioni
specifiche per gli imprenditori individuali/liberi professionisti;
le Società di persone, le Società di capitali (tra cui le SpA e le
Srl), ma anche gli Enti pubblici economici e gli Enti che
generalmente vengono ricompresi nel Terzo Settore).
Fra le forme giuridiche di diritto pubblico vi sono delle
divisioni specifiche per le Regioni e gli Enti Locali, ma anche
Istituti, scuole e Università pubbliche e anche per gli Organi
Costituzionali.
30. 29. La classificazione dei
settori di attività economica
La classificazione ISTAT dei settori di attività produttiva fa
riferimento alla classificazione statistica delle attività
economiche nelle Comunità Europee (Nomenclature statistique
des Activités èconomique dons le Communauté Européenne –
NACE) che è stata recentemente riformulata: versione NACE
rev. 2 ex Reg. (CE) 1893/2006.
La classificazione ATECO91 dell’ISTAT (che ricalca quasi
esattamente quella NACE fino al quarto livello) è una
classificazione riferita alle attività economiche e non alle merci
prodotte. Si prendono in considerazione, infatti, le attività
economiche prevalenti delle unità produttive.
La disaggregazione dei settori produttivi ATECO91è alla base
della costruzione in Contabilità Nazionale della “tavola delle
transazioni intersettoriali”.
31. 30. La struttura delle classificazioni
NACE rev. 1 e ATECO91
Le classificazioni NACE rev. 1 e ATECO91 dei settori di
attività produttiva presentano la seguente struttura:
- LIVELLO 1: 17 sezioni (aggregazioni settoriali) identificati
da lettere maiuscole che vanno da A a Q;
- LIVELLO INTERMEDIO: 31 sottosezioni identificate da due
lettere maiuscole (sono 16 per l’ATECO91);
- LIVELLO 2: 62 divisioni (60 per l’ATECO91) codificate con
due cifre;
- LIVELLO 3: 224 gruppi (220 per l’ATECO91) codificati con
tre cifre;
- LIVELLO 4: 514 classi (512 per l’ATECO91) codificate con
quattro cifre).
32. 31. Le classificazioni
NACE rev. 2 e ATECO2007
Le classificazioni NACE rev. 1 e ATECO91 dei settori di
attività produttiva sono state riviste nel biennio 2006-2007.
La classificazione NACE rev. 2 è stata pubblicata sulla GUUE
il 20 dicembre 2006 e prevede 21 sezioni, identificate da una
lettura maiuscola, che vanno da A ad U
(http.ec.europa.eu/eurostat/ramon/nomenclatures).
La classificazione adottata dall’ISTAT (già rivista nel 2002) è
stata quindi aggiornata, anche con il contributo conoscitivo
dell’Agenzia delle Entrate e delle Camere di Commercio.
Questo coordinamento fra ISTAT, Agenzia delle Entrate e
sistema camerale rafforza la qualità dell’informazione
economica e la trasparenza delle politiche pubbliche.
Il sistema ATECO2007, che prevede le stesse 21 sezioni del
NACE rev. 2 è entrato in vigore il 1 gennaio 2008.
33. 32. Le principali fonti statistiche
per le analisi socio-economiche
1. Censimenti (http://cens.istat.it):
- Censimento della popolazione e delle abitazioni (la 14° edizione
riporta dati al 21.10.2001);
- Censimento dell’Agricoltura (la 5° edizione riporta dati al
22.10.2000);
- Censimento economico o Censimento Industria e Servizi (la 8°
edizione riporta dati al 22.10.2001).
2. Fonti amministrative:
- Registro delle Imprese, previsto dal Codice Civile;
- Archivi INPS ed INAIL.
3.Indagini specifiche da parte di Banca d’Italia, Centri di ricerca
(ISAE; Istituto Tagliacarne, Confindustria; SVIMEZ…).
34. 33. I Censimenti
I Censimenti (dal vocabolo latino “censere”, che nell’antica
Roma indicava una rilevazione sull’intera popolazione
finalizzata a imporre i tributi), sono la fonte più completa nel
senso che consentono di rilevare molteplici aspetti della vita
sociale ed economica fino al livello territoriale dei Comuni.
I limiti di questa fonte sono:
- essi si svolgono ogni 10 anni e, quindi, via via che ci si
allontana dalla data di riferimento dei dati si ha una
“fotografia” di una data realtà territoriale sempre più sbiadita;
- l’indagine per sua natura raccoglie una mole tale di dati e
richiede elaborazioni per cui necessariamente i dati vengono
pubblicati con un certo ritardo rispetto alle rilevazioni.
35. 34. Il Censimento Industria e Servizi
Tutti i Censimenti forniscono dei dati su variabili socio-
demografiche ed economiche di particolare rilievo. Ad esempio
il Censimento sulla popolazione non fornisce dati solo sulle
caratteristiche demografiche della popolazione, ma anche
sull’attività lavorativa degli individui, sui profili professionali
e sulla condizione professionale.
In sede di analisi economica, tuttavia, il principale Censimento
di riferimento è quello economico.
I principali dati desumibili sono: (i) localizzazione delle
imprese e delle unità locali; (ii) settori di attività economica
(rilevando le imprese “trasversali” che effettuano attività
artigianali); (iii) numero e distribuzione settoriale degli addetti.
36. 35. Censimento Industria e Servizi,
“imprese” ed “unità locali”
In sede di analisi delle strutture produttive ( e di lettura dei dati
del Censimento economico) bisogna fare attenzione alla
distinzione fra: “imprese” (o “istituzioni” per le Amm.ni
Pubbliche) e “unità locali”.
Le “imprese” sono definite come “organizzazione di
un’attività economica con carattere professionale al fine della
produzione di beni o per la prestazione di servizi destinabili
alla vendita”.
Le “unità locali” sono invece i “luoghi fisici” (stabilimento
industriale, laboratorio, officina, negozio etc.) in cui l’attività
economica viene concretamente organizzata.
37. 36. Imprese plurilocalizzate ed unità locali
La distinzione stessa evidenzia che a una “impresa”
plurilocalizzata, possono corrispondere più “unità locali”
(l’impresa FIAT con sede legale e direzione strategica a Torino
ha unità locali localizzate in diversi sedi territoriali, su scala
internazionale).
Risulta rilevante anche l’ulteriore classificazione delle unità
locali in:
- unità operative: sedi dove si effettua la produzione;
- unità amministrativo-gestionali: uffici direttivi, uffici
amministrativi, uffici dove si effettuano le attività di R&ST e
di formazione del personale…).
38. 37. Le rilevazioni “amministrative” su
imprese e unità locali
Le fonti statistiche più adeguate per monitorare
costantemente struttura e dinamiche dei sistemi produttivi
sono quelle amministrative:
- il Registro delle Imprese, previsto dal Codice Civile per
garantire una maggiore trasparenza dei mercati;
- gli archivi dell’INPS (riportano dati relativi ai lavoratori
che le imprese devono comunicare all’INPS per ottemperare
agli obblighi previdenziali). I dati che si possono trarre,
tuttavia, concernono sole imprese e non si dispone di dati
inerenti le unità locali e i lavoratori indipendenti.
39. 38. Il Registro delle Imprese gestito dal sistema
camerale e da InfoCamere (I)
Il Registro delle Imprese è un registro informatico gestito
dalle Camere di Commercio, con il supporto di InfoCamere a
cui si debbono obbligatoriamente iscrivere tutti i soggetti che
svolgono un’attività economica.
Il RI consente di rilevare con una disaggregazione fino al
livello comunale: impresa, unità locali, attività economica,
forma giuridica, iscrizioni all’Albo degli artigiani e numero
degli addetti (Rinaldi, 2001).
La banca dati è aggiornata trimestralmente e questo consente
di avere dei dati costantemente aggiornati sui flussi di nuove
iscrizioni e di cessazioni in un dato periodo.
40. 39. Il Registro delle Imprese gestito dal sistema
camerale e da InfoCamere (II)
Le imprese registrate in un dato momento nella bancadati
gestita da InfoCamere sono quelle regolarmente iscritte, ma
non necessariamente “attive”.
Sovente, le cessazioni di impresa vengono comunicate con un
certo ritardo e quindi sistematicamente si registrano delle
discrasie fra imprese registrate e imprese “attive”.
Le imprese “attive” sono quelle registrate che effettuano
regolarmente un’attività economica e non hanno in corso
procedure concorsuali in atto (fallimento, liquidazione
coatta…).
41. 40. Altre fonti di rilievo per le analisi regionali
1. L’Istituto di statistica ufficiale dell’UE Eurostat. A partire dalla
homepage http://ec.europa.eu/eurostat, cliccando su DATA si
trova poi il link REGIONS e da qui si possono scaricare dati
disaggregati per tutte le 268 (ora 271) regioni NUTS II su
occupazione, PIL, dati socio-sanitari, etc;
2. Istituto Tagliacarne, che fornisce principalmente dati a livello
provinciale (particolarmente rilevante è il progetto “Atlante della
competitività delle province italiane”);
3. SVIMEZ (l’Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno
effettua analisi ed elaborazioni di dati riferite soprattutto alle otto
regioni del Mezzogiorno “storico”);
4. Dipartimento Politiche di Sviluppo del MISE (DPS).
42. 41. Il DPS e l’analisi delle politiche di sviluppo
cofinanziate in Italia dai Fondi strutturali
Il Dipartimento Politiche di Sviluppo (DPS), fino al 2006 parte del
MEF e ora parte del MISE, monitora costantemente le tendenze
socio-economiche delle regioni italiane e i risultati delle politiche
strutturali di sviluppo cofinanziate dall’UE.
Nell’ambito del PON “ATAS” del ciclo 2000-2006 nel 2001 è
stato avviato il progetto congiunto ISTAT – DPS “Informazione
statistica territoriale e settoriale per le politiche strutturali
2001-2008”, che ha portato alla costruzione di una importante
banca dati in cui per diversi indicatori delle politiche regionali è
disponibile per tutte le regioni italiane una serie storica dei dati
registrati che, in genere, parte dal 1995.
43. 42. Il QSN 2007-2013 e la revisione degli
indicatori per le politiche di sviluppo
Gli indicatori per le politiche di sviluppo sono stati organizzati
sulla base della struttura del Quadro Comunitario di Sostegno Ob.
1 del ciclo 2000-2006 (articolato in 6 Assi).
Per ciascuno di questi Assi, quindi, sono stati definiti degli
specifici indicatori di contesto socio-economico con cui
monitorare le tendenze di sviluppo di tutte le regioni italiane. In
relazione alle principali variabili socio-demografiche per gli
indicatori è prevista anche la disaggregazione per genere.
A partire dal 21.12.2007 sono disponibili anche gli indicatori
relativi alle 10 priorità strategiche del Quadro Strategico
Nazionale 2007-2013. In questo caso, quindi, gli indicatori sono
raggruppati in relazione a ciascuna priorità strategica del QSN.
44. 43. Quadro di insieme sull’analisi di contesto
Analisi del territorio, del
sistema rurale e del capitale
Analisi di contesto naturale
Analisi socio-economica: analisi del
funzionamento del sistema socio-economico,
con particolare riguardo alle caratteristiche
del sistema produttivo
45. 44. La ratio dell’analisi di contesto
L’analisi di contesto (in particolare le parti specifiche
relative al funzionamento del sistema socio-economico), è
propedeutica alla preparazione di qualsiasi
programma/progetto di sviluppo socio-economico.
Essa è funzionale alla corretta individuazione di:
- “dotazioni”, punti di forza e vocazioni del sistema socio-
economico;
- “albero dei problemi” del contesto socio-economico;
- “albero dei problemi” dei principali “gruppi bersaglio”
46. 45. Le “dotazioni” di un territorio
Capitale naturale e ambientale: materie prime; aree
verdi, aree di particolare valenza paesaggistica, etc…
Capitale storico-culturale: heritage culturale
(monumenti, castelli, etc….); patrimonio museale e
artistico e patrimonio culturale in senso lato;
Capitale fisico: dotazione di infrastrutture e di reti
telematiche
Capitale sociale: ricchezza dei legami fiduciari fra gli
operatori, condivisione locale di norme e sistemi valoriali,
diffusione di sistemi/strutture associative;
Capitale umano.
47. 46. Esempio di albero dei problemi
Flessione del settore primario
Minore produttività
Flessione dei redditi
agricola
Erosione Scarso potere dei
dei suoli produttori di base
Rete idrica Calo dei prezzi dei
inadeguata beni agricoli
48. 47. Come impostare l’analisi di contesto
L’impostazione dell’analisi di contesto dipende da:
- disponibilità di risorse finanziarie e di tempo;
- scuole di pensiero economico di riferimento;
- obiettivi precipui di ricerca e tipologia di programmi
di policy da impostare.
49. 48. Obiettivi di ricerca e analisi di contesto
Gli obiettivi di ricerca e quelli dei programmi sono molto
rilevanti, in quanto:
- se si deve definire un piano di area vasta, hanno una
rilevanza specifica l’analisi del territorio e del sistema viario;
- se si deve sviluppare un piano di sviluppo rurale, avranno
una rilevanza specifica gli aspetti relativi alla struttura
fondiaria, l’estensione dei boschi, il tipo di conduzione
agricola;
- se in una data area si deve riformare il sistema degli
incentivi alle imprese, allora assumono una specifica rilevanza
l’esame della struttura industriale e del funzionamento dei
mercati locali.
50. 49. L’analisi del territorio in senso stretto
Gli aspetti principali presi in considerazione sono:
- i confini fisici (catene montuose, fiumi…) e amministrativi;
- la superficie e le caratteristiche geomorfologiche del
territorio;
- la dotazione di materie prime;
- il patrimonio ambientale e il relativo stato di manutenzione;
- l’estensione e le caratteristiche del sistema viario.
N.B. In genere vengono richiamate in breve anche le
caratteristiche del sistema rurale che, invece, vengono
ampiamente approfondite laddove si vogliano definire
progetti e/o programmi di sviluppo agricolo e rurale.
51. 50. L’analisi del sistema rurale (I)
Gli aspetti principali sono:
1. superficie agricola totale (SAT);
2. superficie agricola utilizzata (SAU) e principali colture
praticate: seminativi, coltivazioni erbacee, coltivazioni
legnose (viti, olivi, alberi da frutto…);
3. struttura della proprietà fondiaria;
4. estensione del patrimonio forestale, tipo di coltivazioni
boschive e caratteristiche di esboscabilità (dipendono dalle
pendenze, ma anche da presenza e agibilità delle piste
forestali);
5. disponibilità di infrastrutture rurali e sistemi di irrigazione.
52. 51. L’analisi del sistema rurale (II)
Superficie Agricola Totale (SAT)=
Superficie Agricola Utilizzata* (SAU)+
Coltivazioni boschive+
Altra superficie
(*) SAU= Seminativi + Coltivazioni legnose agrarie
+ Prati permanenti e pascoli
53. 52. Altre variabili di rilievo per inquadrare
il sistema produttivo agricolo
- Numero di aziende agricole e zootecniche.
- Forme di conduzione agricola: (i) conduzione diretta del
coltivatore; (ii) conduzione con salariati; (iii) conduzione a
colonia parziaria appoderata; (iv) altre forme di conduzione.
- Numero di capi di bestiame, distinti per tipologia (bovini, ovi-
caprini, suini, etc.).
- Principali prodotti agricoli.
- Caratteristiche del sistema distributivo e della filiera agro-
alimentare (questioni sempre più rilevanti delle “filiere corte”
come mezzi per garantire una maggiore appropriazione del
valore aggiunto da parte dei produttori).
54. 53. Analisi del sistema socio-economico
Analisi del sistema innovativo.
Analisi della dotazione di infrastrutture.
Analisi delle caratteristiche strutturali del sistema
produttivo e del funzionamento dei mercati.
Analisi socio-demografica.
Analisi socio-culturale.
Analisi sulla dotazione e sull’efficienza di alcuni
specifici servizi privati e dei servizi di pubblica utilità.
Analisi del mercato del lavoro e delle dinamiche
occupazionali.
55. 54. Analisi del sistema innovativo
L’analisi del sistema innovativo muove dalla
consapevolezza della rilevanza delle conoscenze
scientifiche e tecnologiche per la competitività di un
sistema economico.
Per sistema innovativo si intende l’insieme di operatori che
“producono” conoscenza e innovazione, ma anche i
meccanismi di trasferimento tecnologico alle imprese che,
in linea di principio, dovrebbero rendere “commerciabili” e
tradurre in nuovi prodotti e processi le nuove idee e
conoscenze tecnologiche e, soprattutto, le interazioni fra i
vari attori del sistema innovativo.
Nella produzione di conoscenze si conferisce una crescente
rilevanza alle “interazioni” fra gli attori (Lundvall 1992).
56. 55. Gli attori del sistema innovativo
I “produttori” di Gli operatori del sistema
conoscenza: di technology transfer:
transfer
Università;
Centri di ricerca PST;
scientifici e tecnologici;
Liaisons offices delle
Centri di Competenza Università;
tecnologica;
Centri servizi alle imprese;
Laboratori di ricerca delle
imprese; Business Innovation
Centres (BIC).
Parchi Scientifici e
Tecnologici (PST).
57. 56. I sistemi innovativi regionali
Negli ultimi 15 anni è stata molto enfatizzata la natura
place-based dei processi innovativi e questo ha indotto i
policy-makers a organizzare autentici sistemi regionali di
innovazione.
I “sistemi regionali di innovazione”, tuttavia, scontano
almeno due grandi limitazioni:
- sostenere la R&ST richiede ingenti risorse pubbliche e
quindi non tutte le regioni sono in grado di accumulare una
massa critica di finanza pubblica per sostenere la R&ST;
- le politiche per la R&ST generano forti “spillovers”
territoriali e, quindi, la dimensione regionale non è quella
più adatta per gestire tale tipo di politiche (Bagarani,
Bonetti 2006).
58. 57. Agenda di Lisbona e rilevanza dell’analisi
del sistema innovativo
L’agenda di Lisbona conferisce una particolare
rilevanza all’accumulazione di capitale umano e
scientifico quale base del rilancio della competitività
europea (ob. 3% per l’indicatore “incidenza della spesa
per R&ST sul PIL”).
La Commissione monitora la performance scientifica e
tecnologica di SM e regioni attraverso il c.d. Trend
Chart on Innovation.
Uno degli strumenti del Trend Chart on Innovation è il
c.d. Regional Innovation Scoreboard (RIS) che
consente di aggiornare le informazioni sul quadro
innovativo delle regioni.
59. 58. I principali indicatori per
l’analisi del sistema innovativo
Spesa intra-muros per R&ST in % del PIL
(regionale o nazionale), in genere suddivisa fra spesa
degli operatori privati e spesa della P.A.
Addetti e ricercatori alla R&ST (sia in assoluto, sia
in rapporto alla popolazione: numero di ricercatori
ogni 1.000 ab.).
Numero di brevetti depositati presso l’Ufficio
Europeo Brevetti (sia in assoluto, sia in rapporto alla
popolazione: numero di brevetti ogni 1.000 ab.).
60. 59. Analisi dei sistemi produttivi
Analisi della struttura dei mercati: analisi del grado di
concorrenzialità del mercato, ma anche disamina della
legislazione antitrust e anche del ruolo delle Authorities.
Analisi della distribuzione settoriale del valore aggiunto,
delle imprese, delle unità locali e degli addetti.
Analisi della struttura imprenditoriale.
61. 60. Analisi della struttura imprenditoriale
L’analisi può prendere in considerazione sia le “imprese”
(unità giuridiche) sia le “unità locali” (luoghi fisici di
produzione in senso lato).
In relazione alle “imprese” risulta rilevante un aspetto
sovente trascurato, ossia la distribuzione per forma giuridica
(SpA; Srl; etc) che, indirettamente, fornisce un ulteriore
elemento di giudizio su “solidità” e competitività del sistema
produttivo.
Una specifica analisi di particolare rilevanza concerne la c.d.
“demografia industriale”.
62. 61. Analisi della struttura imprenditoriale
e unità locali
Per esaminare le potenzialità di sviluppo di un dato territorio
appare più utile fare riferimento a rilevazioni e indicatori che
concernono le unità locali.
Le unità locali, infatti, sono le unità produttive realmente
localizzate in una dato territorio che alimentano i processi
produttivi e gli scambi commerciali.
Al tempo stesso, va considerata in particolare la diffusione in
un dato territorio degli “headquarters”, ossia delle unità
decisionali di un’impresa.
63. 62. Unità produttive locali e sviluppo
delle aree arretrate
La Statistica economica distingue:
- unità operative;
- unità amministrative-gestionali.
Per il Mezzogiorno si è sovente parlato di sviluppo
imprenditoriale “senza testa”, in quanto le imprese attratte
dall’esterno non vi hanno insediato unità gestionali.
In genere, nelle aree arretrate si localizzano le unità operative
e non quelle decisionali. Questo è uno dei principali limiti
delle politiche di attrazione degli IDE.
64. 63. Gli indicatori di struttura principali
I dati censuari e quelli traibili nel RI, consentono di calcolare
vari indicatori (o distribuzioni) di struttura:
- distribuzione settoriale del valore aggiunto, delle imprese,
delle unità locali e degli addetti;
- distribuzione per classe dimensionale di imprese e unità
locali (dimensione espressa in classi di addetti);
- dimensioni medie (rapporto fra addetti e numero di unità
locali);
- incidenza delle “attività artigiane” (il RI prevede una
specifica Sezione per le attività artigiane).
65. 64. Altri indicatori di struttura
Indice di imprenditorialità: rapporto fra numero di imprese (o
di unità locali) e popolazione residente;
Densità di impresa: rapporto fra numero di imprese (o di
unità locali) e superficie territoriale
Indicatori di localizzazione e di specializzazione, tipici delle
c.d. “analisi verticali”, molto rilevanti per comprendere il tipo
di specializzazione produttiva di un’area. In sostanza,
mettono a confronto la “composizione settoriale” del tessuto
produttivo a livello locale e a livello nazionale.
66. 65. Gli indicatori di localizzazione e di
specializzazione delle imprese
Coefficiente di localizzazione produttiva: rapporto
percentuale fra l’incidenza delle unità locali di un dato settore
a livello locale e la corrispondente incidenza a livello
nazionale;
Coefficiente di localizzazione occupazionale: rapporto
percentuale fra l’incidenza degli addetti delle unità locali di
un dato settore a livello locale e la corrispondente incidenza a
livello nazionale;
Indice di specializzazione: corrisponde a uno dei coefficienti
di localizzazione, ma viene calcolato in modo che il suo
“campo di variazione” sia compreso fra 0 e 100.
67. 66. La “demografia industriale”
I dati del RI del sistema camerale consentono di monitorare la
dinamica delle imprese registrate e delle imprese attive (e
delle relative unità locali), sia in generale, sia a livello
disaggregato (per singoli settori produttivi). L’interpretazione
di queste dinamiche è molto utile per capire le dinamiche di
sviluppo generali e le vocazioni di un territorio.
I dati inerenti queste variabili sono aggiornati da InfoCamere
ogni trimestre.
In analogia con la elaborazione dei principali indicatori
demografici, si calcolano degli indici di “demografia
industriale”.
68. 67. Gli indici di “demografia industriale”
Tasso di natalità: rapporto fra imprese iscritte in un anno e
natalità
stock di imprese (iscritte o attive) al 31.12 dell’anno
precedente;
Tasso di mortalità: rapporto fra imprese cessate in un anno e
mortalità
stock di imprese (iscritte o attive) al 31.12 dell’anno
precedente;
Tasso di sviluppo: differenza fra tasso di natalità e tasso di
sviluppo
mortalità delle imprese.
69. 68. I limiti degli indici di
“demografia industriale”
Le dinamiche rilevate possono essere semplicemente dovute
a dei “passaggi di stato” (cambiamento di forma giuridica
delle imprese o anche subentri nella conduzione delle
imprese) e, quindi, si potrebbero rilevare iscrizioni e
cessazioni fittizie.
Le cessazioni di attività, in genere, vengono rilevate con un
certo ritardo e, quindi, sovente il dato sulle imprese attive
tende ad essere sovradimensionato. Le cessazioni, inoltre, in
genere tendono a concentrarsi nell’ultimo trimestre dell’anno.
70. 69. L’analisi della dotazione infrastrutturale
Tale analisi è fortemente condizionati dai limiti metodologici
nella definizione dei criteri che caratterizzano una
“infrastruttura” e nella stima della dotazione di infrastrutture
(Mazziotta, 1996; Rinaldi, 2001). Non a caso non si ha una
produzione sistematica di dati statistici in materia.
La classificazione funzionale delle infrastrutture distingue fra
infrastutture sociali, infrastrutture miste e infrastrutture che
generano esternalità di offerta.
Risulta molto rilevante anche la distinzione fra infrastrutture
“puntuali” e infrastrutture “a rete”.
71. 70. La classificazione funzionale
delle infrastrutture
Infrastrutture sociali: sono quelle opere civili di estrema
rilevanza per le famiglie e per la qualità della vita (asili nido,
scuole, strutture sportive e per il tempo libero; ospedali;
Università….);
Infrastrutture miste: sistemi di trasporto, reti telematiche,
porti e aereoporti; reti idriche rurali… che, indirettamente,
rafforzano la competitività di un dato territorio;
Infrastrutture che generano “esternalità di offerta”: sono
quelle infrastrutture che maggiormente concorrono alla
competitività del sistema produttivo.
72. 71. Le infrastrutture che generano
“esternalità di offerta”
Le principali infrastrutture che generano “esternalità di
offerta”, in generale, sono quelle maggiormente funzionali alle
attività produttive delle imprese:
- aree attrezzate per la localizzazione di unità produttive;
- aree di movimentazione delle merci (piattaforme logistiche);
- incubatori di impresa e Business Innovation Centres;
- centri servizi alle imprese;
- Parchi Scientifici e Tecnologici (PST).
73. 72. Infrastrutture “puntuali” e “a rete”
Le infrastrutture “puntuali” sono quelle che hanno una
precisa localizzazione nel territorio (strutture per il tempo
libero, ospedali, aereoporti, PST….). I servizi delle strutture
“puntuali”, comunque, non sono circoscritti necessariamente
all’area locale, ma si estendono secondo un processo
“gravitazionale” (esempio di un arereoporto).
Le infrastrutture “a rete” (materiali e immateriali) sono
quelle che mettono in comunicazione diverse località, secondo
percorsi lineari e/o reticolari. In relazione a tali infrastrutture
(strade, ferrovie, reti telematiche, reti idriche…), infatti, si
parla di “servizi di connettività”.
74. 73. Reti materiali e immateriali e nodi di servizio
I “servizi di connettività” delle infrastrutture “a rete”, per
definizione, si estendono su ampie scale territoriali, secondo
modelli spaziali reticolari in cui rivestono una particolare
rilevanza i nodi dei servizi (hub).
Le reti (sempre di più, in particolare, quelle telematiche) e i
nodi di servizio rivestono una particolare rilevanza per la
competitività e l’accessibilità commerciale dei territori.
Il QCS Ob. 1 2000-2006, non a caso, aveva previsto uno
specifico Asse (VI) relativo ai “servizi di connettività”. Tali
servizi, inoltre, sono una delle tre grandi priorità tematiche del
FESR nel ciclo 2007-2013.
75. 74. L’analisi socio-demografica
Tale analisi fornisce diverse indicazioni di rilievo in ordine
alle dinamiche di sviluppo della società, ma anche in relazione
ai consumi locali e ai fenomeni di marginalità sociale e di
povertà assoluta e relativa.
Nell’ambito di tale analisi, infatti, vengono ricomprese anche
le indagini sulla distribuzione del reddito e sui fenomeni di
esclusione sociale. Le dinamiche demografiche, ovviamente,
condizionano anche l’offerta di lavoro e la domanda di servizi
socio-assistenziali.
76. 75. I principali aspetti di rilievo
nell’analisi socio-demografica
La popolazione residente in una data area e la “densità di
popolazione” (rapporto fra abitanti e superficie).
Il numero delle famiglie residenti e la struttura delle famiglie.
La struttura per età della popolazione residente.
Le dinamiche demografiche, legate a dinamiche “naturali” e
dinamiche “migratorie”.
La consistenza e le caratteristiche della presenza straniera.
77. 76. Principali indicatori socio-demografici
rilevanti nelle analisi socio-economiche
- Ind. di Vecchiaia: rapporto percentuale fra la
popolazione di età superiore ai 65 anni e quella di età
inferiore ai 15 anni;
- Ind. di Dipendenza Strutturale: pop. 0-14 anni +
pop. 65 anni e oltre, rapportata alla pop. 15-64 anni
(indice espresso in percentuale);
- Ind. di Sostituzione: pop. 55-64 anni rapportata alla
pop. 15-24 anni (indice espresso in percentuale).
Fonte: ISTAT
78. 77. L’analisi socio-culturale e le politiche urbane
L’analisi socio-culturale a cui si fa riferimento comprende
aspetti relativi alle caratteristiche dell’insediamento umano e
della qualità della vita, ma che hanno anche un rilievo per la
competitività economica.
Questo vale soprattutto nelle aree urbane.
Vengono esaminate, infatti, anche altre variabili inerenti le
stesse caratteristiche dell’insediamento umano (abitazioni,
caratteristiche dei quartieri….), che risultano molto rilevanti in
sede di definizione di politiche di riqualificazione urbana (in
particolare, nel caso delle aree periferiche).
79. 78. L’analisi socio-culturale in senso lato
I principali aspetti dell’analisi socio-culturale sono:
- il capitale umano, rilevato in primis attraverso la
distribuzione della popolazione per titoli di studio;
- la disponibilità dei servizi socio-assistenziali (asili-nido,
centri anziani, servizi sanitari);
- la disponibilità dei servizi di fruizione culturale (musei,
teatri,…), ma anche la diffusione dell’associazionismo
(elementi che rafforzano capitale umano e sociale);
- la disponibilità di servizi per il tempo libero (palestre,
cinema…) e di servizi orientati al consumo finale (commercio
al dettaglio, centri commerciali, servizi di cura alla persona).
80. 79. Altri servizi privati e pubblici
rilevanti soprattutto per lo sviluppo urbano
- Disponibilità di servizi orientati alla domanda turistica
(alberghi; servizi di ristorazione, servizi di noleggio di
autovetture; agenzie di viaggio e altri operatori turistici);
- Disponibilità di servizi assicurativi e bancari (un indicatore
rilevante è il semplice dato sugli sportelli presenti in un’area);
- Disponibilità ed efficienza dei servizi di pubblica utilità
(distribuzione di acqua, gas ed energia);
- Disponibilità di agenzie immobiliari.
81. 80. Analisi del mercato del lavoro e
delle dinamiche occupazionali
L’analisi del mercato del lavoro (MdL) è fortemente
condizionata dall’impostazione tradizionale delle analisi dei
mercati per cui si esaminano il lato della domanda, il lato
dell’offerta e i processi di matching fra domanda e offerta di
lavoro.
Tale analisi, invece, deve necessariamente tenere conto del
fatto che il MdL è un’istituzione sociale (Solow, 1994) e che
sulle relative dinamiche incidono anche fattori antropologici
e culturali, sistemi di organizzazione sociale e gli stessi fattori
demografici.
82. 81. Popolazione, offerta di lavoro e
non forze di lavoro
Forze di lavoro (popolazione
Popolazione attiva): occupati e persone in
in età lavorativa cerca di occupazione
(15-64 anni)
Non Forze di Lavoro (inattivi): casalinghe,
studenti, ritirati, “lavoratori scoraggiati” che
non effettuano azioni di ricerca di lavoro
83. 82. I principali indicatori
Tasso di attività: persone occupate o inoccupate (nella classe
15-64 a.) come proporzione della popolazione totale (sempre
nella classe 15-64 a.), ossia: TA=FL/POP. 15-64a.
15-64a
Tasso di occupazione: individui occupati (nella classe di età
15-64 a.) come proporzione della popolazione totale nella
stessa classe di età.
Tasso di disoccupazione: individui in cerca di occupazione
(nella classe di età 15-64 a.) in proporzione della popolazione
attiva (sempre nella classe 15-64 a.).
N.B. Per occupazione e disoccupazione si possono anche
calcolare i tassi “specifici” per classi di età (le classi
principali sono: 15-24a.; 25-54a.; 55-64a.)
84. 83. I principali indicatori di riferimento per le
politiche del lavoro della UE (SEO)
Indicatori Target
per il 2010
Tasso di occupazione 70%
Tasso di occupazione femminile 60%
Tasso di occupazione 55-64a. 50%
Tasso di di disoccupazione -
Tasso di di disoccupazione di lunga -
durata
Working poor -
85. 84. Principali aspetti dell’analisi del MdL
I principali aspetti indagati dall’analisi del MdL sono:
- caratteristiche strutturali delle forze di lavoro;
- consistenza e caratteristiche strutturali dell’occupazione e
della disoccupazione;
- occupazione regolare e occupazione irregolare;
- struttura della domanda di lavoro (fabbisogni professionali
delle unità produttive per titoli di studio, qualifiche…);
-flussi lordi e netti di domanda di lavoro e determinazione di
vacancies e gluts;
- politiche del lavoro e sistema dei servizi per l’impiego.
86. 85. I processi di matching fra
domanda e offerta di lavoro
In sede di analisi e, soprattutto, di definizione delle politiche
del lavoro appare molto importante capire le dinamiche future
della domanda di lavoro e i possibili processi di matching con
l’offerta locale.
In Italia, da diversi anni UnionCamere e Ministero del Lavoro
hanno avviato il progetto Excelsior che consente,
annualmente, di rilevare i fabbisogni professionali delle
imprese (previsioni su nuove assunzioni e sulle caratteristiche
desiderate dei nuovi assunti, con particolare riguardo a
competenze “formali” e professionali richiesti).
http://excelsior.unioncamere.it
87. 86. Squilibri fra domanda e offerta di
lavoro e i processi di matching
Le previsioni sulla domanda di lavoro per tipologie
professionali e per fabbisogni professionali consente di
stimare “vacancies” (posti di lavoro “disponibili”) e gluts
(posti di lavoro per i quali si stima un’eccedenza della
domanda potenziale tale da rischiare di registrare delle
strozzature dei processi produttivi).
Data la distribuzione delle forze di lavoro per titoli di studio e
vocazioni professionali, si possono anche stimare gli squilibri
specifici riconducibili a carenze di determinati skills
professionali (forme di relative skills shortages).
88. 87. I processi di matching e i servizi per l’impiego
Le politiche del lavoro sono specificamente indirizzate a
favorire l’incontro fra domanda e offerta di lavoro, nella piena
consapevolezza che il MdL è estremamente segmentato.
Tali politiche, generalmente, rientrano nel novero delle
politiche pubbliche, ma nei paesi anglosassoni operano anche
agenzie private di intermediazione fra domanda e offerta di
lavoro. In Italia la possibilità di ricorrere ad agenzie private è
stata definitivamente suggellata dalla c.d. “legge Biagi”.
Il perno del sistema istituzionale dei servizi per l’impiego è
costituito dalle Province e dalle relative Agenzie operative in
materia, ossia i Centri per l’Impiego.
89. 88. Politiche del lavoro e categorie svantaggiate
Le politiche del lavoro sono particolarmente rilevanti per
facilitare l’ingresso nel MdL delle categorie svantaggiate
(immigrati; persone con modesti livelli di alfabetizzazione;
portatori di handicap; drop out).
In relazione a tali categorie, tali politiche si sovrappongono
alle politiche sociali.
Gli interventi a favore di migranti e persone svantaggiate
registrano una crescente importanza nell’ambito della
Strategia Europea per l’Occupazione (SEO) e, di riflesso,
nella stessa programmazione degli interventi cofinanziati dal
FSE (Asse C “Inclusione sociale” dei POR FSE 2007-2013).
90. 89. Le caratteristiche strutturali della disoccupazione
Disoccupazione per classi di età (crescente attenzione alla
occupazione nella classe 55-64 anni).
Disoccupazione per titoli di studio e/o qualificazione
professionale (fenomeni di disoccupazione “intellettuale”).
Disoccupazione giovanile (quella che concerne i giovani,
statisticamente raggruppati nella classe di età 15-24 anni).
Disoccupazione di lunga durata (quella che interessa le
persone in cerca di occupazione da più di 12 mesi).
Unemployment gender gap (divari di genere nei tassi di
disoccupazione totali e per classi specifiche).
91. 90. Le caratteristiche strutturali dell’occupazione
Occupazione indipendente (lavoro autonomo) e alle
dipendenze.
Occupazione a tempo parziale, a tempo determinato e a tempo
indeterminato.
Occupazione per classi di età (crescente attenzione alla
occupazione nella classe 55-64 anni).
Occupazione per titoli di studio (qualificazione professionale).
Employment gender gap (divari di genere nei tassi di
occupazione totali e per classi specifiche)
92. GRAZIE PER L’ATTENZIONE
ANTONIO BONETTI
Mobile phone: 335 5914711
Mailto: abonetti70@gmail.com