SlideShare uma empresa Scribd logo
1 de 4
Chimica 20/10/2011 Andrea Turano                                                                       prof. Ruggeri

Pressione osmotica

L’unica proprietà delle soluzioni, come tali, è la pressione osmotica. La pressione osmotica si riferisce alle
particelle di soluto, quindi il solvente non c’entra. Il soluto, nella soluzione, occupa tutto lo spazio che ha a
disposizione nel recipiente, quindi si comporta come un gas. Allora per quanto riguarda la pressione
osmotica, essendo una pressione, noi possiamo utilizzare la legge dei gas ideali (dato che parliamo di
soluzione ideale). L’equazione dei gas di stato mi dice che pV = nRT; allora al posto di p, dato che con p
abbiamo indicato la pressione dello stato gassoso, con molta fantasia utilizziamo la pi greca, quindi
π V = nRT. Da qui ci estrapoliamo la pressione, quindi π =nRT/V (o ancora meglio π = n/V ∙ RT). Parlando
dello stato delle soluzioni sappiamo che n/V ci indica la concentrazione di soluto, cioè il numero di moli
fratto il volume, quindi la molarità (M). Allora l’equazione della pressione osmotica diventa π = MRT.

Come sappiamo, le proprietà colligative dipendono dal numero di particelle; per la pressione osmotica
dobbiamo quindi passare dalle moli alle molecole, e per fare questo occorre vedere che tipo di soluto
abbiamo. Se abbiamo un soluto ideale (es. glucosio) non c’è alcuna differenza fra moli e particelle, perché il
soluto ideale è tale in quanto conserva il suo stato molecolare, cioè non si dissocia. La maggior parte delle
molecole reali in soluzione possono invece dissociarsi; tutte le molecole che in acqua si dissociano si
chiamano elettroliti, perché si dissociano in ioni di carica opposta. Gli elettroliti che noi conosciamo sono i
sali, gli acidi e le basi. Dal momento che si dissociano, queste molecole in soluzione raddoppiano la
concentrazione molare. Se io metto una mole di NaCl, avrò il doppio di grammi atomi in soluzione, e cioè
un grammo atomo di Na+ e un grammo atomo di Cl- ; ne deriva che la pressione osmotica e le altre
proprietà colligative saranno diverse.

Voi sapete che gli acidi e le basi si dividono in forti e deboli. Forti,se si dissociano totalmente (es. NaCl),
deboli se dissociano in parte (es. acido acetico). Dobbiamo perciò inserire un nuovo parametro, che ci
permetta di stabilire quante sono le molecole che si dissociano. Questo parametro è chiamato grado di
dissociazione, e si indica con α (alpha). Il grado di dissociazione α corrisponde al numero di molecole
dissociate fratto il numero di molecole totali (sembra grosso modo una frazione molare), e si usa per gli
elettroliti deboli, dove sostituirà, nell’equazione della pressione osmotica, la concentrazione molare.
Ammettiamo di avere un acido debole qualunque, HA; questo si dissocia parzialmente, quindi si mette la
doppia freccia, ad indicarmi che non è del tutto dissociato in H+ e A- . All’inizio avrò solo la concentrazione
dell’acido, e di ioni nessuno. In seguito avrò un certo numero di ioni che mi sarà dato dal grado di
dissociazione dell’acido. Se io ho un acido forte, che si dissocia totalmente in soluzione, (es. HCl) avrò la
presenza di ioni H+ e ioni Cl- . Van ‘t Hoff ci dice che la correzione che bisogna fare per poter utilizzare
sempre la relazione per una soluzione ideale, quando noi abbiamo un elettrolita forte, è data dalla
moltiplicazione della molarità per il numero di ioni che mi derivano dalla dissociazione di una sola molecola.
Una molecola di HCl si dissocia in 2 ioni, quindi devo moltiplicare la M per 2. Questo numero di ioni, in cui si
dissocia la molecola, viene chiamato ν (ni). Allora, utilizzando sempre la stessa formula per un acido forte,
devo scrivere π = νMRT. Van ‘t Hoff ha pensato di fare un unico fattore correttivo che vale per i non
elettroliti, per gli elettroliti forti e gli elettroliti deboli. Questo fattore correttivo si chiama indice di van ‘t
Hoff (i), col quale noi dobbiamo moltiplicare la concentrazione del soluto. L’equazione dell’indice è
i = [(1 – α) + αν] dove se α mi indica il numero di molecole dissociate, (1 – α) mi indica il numero di molecole
indissociate; ν sappiamo indicarci il numero di ioni in cui si dissocia un elettrolita. Questo indice vale
dunque per tutti gli elettroliti. I valori limiti di α sono 0 e 1; se io ho un non elettrolita, α = 0; se ho un
elettrolita forte α = 1; tutti i valori che stanno fra 0 ed 1 sono per gli elettroliti deboli. Normalmente questo
grado di dissociazione si esprime in percentuale; l’acido acetico ha, ad esempio, un grado di dissociazione α
del 5%, cioè 5 molecole si dissociano su 100; il grado di dissociazione corrisponde dunque ad α = 0,05.
(perché 5 : 100 = 0,05 : 1). Se noi la vogliamo applicare alla pressione osmotica, i = [(1 – 0,05) + 0,05 ∙ 2].

Noi abbiamo visto come la Molarità si riferisca al numero di moli, e come applicando il fattore correttivo si
passi a sapere il numero di particelle; e allora ci sarà una concentrazione che mi indicherà il numero di
particelle osmoticamente attive, cioè responsabili della pressione osmotica; questo numero di particelle si
chiama osmolarità. Gli ioni, derivati dagli elettroliti, sono le particelle che modificano la pressione
osmotica. La concentrazione di particelle attive è il doppio della concentrazione di partenza. L’osmolarità si
può facilmente calcolare moltiplicando la molarità per il fattore correttivo di van ‘t Hoff.

Il fattore correttivo di van ‘t Hoff è valido solo le la soluzione è diluita, ed arriva massimo a 10-3 M. Per
concentrazioni superiori non possiamo utilizzare il coefficiente di van ‘t Hoff, poiché le particelle di soluto
hanno delle interazioni fra di loro; questo non avveniva in soluzioni diluite perché si creava un alone di
solvatazione attorno agli ioni che impediva qualsiasi interazione. In soluzioni concentrate una parte degli
ioni si riunisce, formando il sale (quindi anche se l’elettrolita è forte, non si dissocerà completamente); per
sapere quante sono le particelle di soluto in soluzione si usa un altro parametro, l’attività.
L’attività ha formula a = yc, dove y è il coefficiente di attività specifico, e c è la concentrazione di ioni.
Il coefficiente di attività specifico dipende dalla carica dello ione, positivo o negativo che sia, per un fattore
di attività dell’elettrolita; questo fattore di attività si chiama µ (mi) ed è uguale alla semisomma degli ioni
positivi e negativi per la carica al quadrato dello ione di cui mi interessa conoscere l’attività.

µ = 1/2∑a+b x Z2 es. NaCl         µ =½x2x1=1            es. CaCl2      µ(Ca) = ½ x 3 x 4 = 6 / µ(Cl) = ½ x 3 x 2 = 3/2

Acidi e basi

La definizione più vecchia di acido, formulata da Arrhenius, è: l’acido è quel composto che in soluzione
acquosa libera ioni H+ . Mentre la base in soluzione acquosa libera ioni OH- . Il sale ci deriva dalla reazione di
un acido con una base, che non è una reazione di salificazione, ma di neutralizzazione, perché l’H+ dell’acido
viene neutralizzato dall’ OH- della base, formando una molecola di acqua. Mi restano così i due ioni,
positivo della base e negativo dell’acido, che non ho in soluzione, ma che avrò solo dopo aver allontanato il
solvente, perché quando metto il sale nell’acqua, si scioglie nei due ioni, (es. Na+ e Cl-); se io togliessi
l’acqua avrei allora il sale. La reazione è di neutralizzazione perché tutti i sali sono elettroliti forti, quindi in
soluzione saranno sempre dissociati totalmente.

Cinetica chimica

La reazione di un elettrolita con l’acqua viene indicata con una freccia, alla cui sinistra avremo i reagenti, e
alla destra i prodotti. (L’acqua può funzionare come trasportatore di ioni). Tuttavia in questo modo io non
so com’è avvenuta la reazione, ho solo reagenti e prodotti. Per sapere come avviene la reazione devo fare
appello ad un capitolo che si chiama “Cinetica Chimica”. La cinetica chimica mi indica tutto il percorso che
fanno i reagenti per dare i prodotti. Se HCl prima di dissociarsi desse origine ad altri componenti, io avrei
questi componenti e alla fine HCl. Prendiamo in esame una reazione generica: A + B P. Quando io faccio
reagire A e B, è possibile che prima A si trasformi in A0, poi in B0, e poi, reagendo con B, mi dia P. Questi due
prodotti intermedi non ce li ho fra i prodotti; come posso misurare la velocità di queste reazioni? Io so
quanto reagente ho messo in partenza, e allora dopo un intervallo di tempo vado a vedere quanto reagente
mi rimane; quindi la velocità della reazione la possono misurare dalla variazione della concentrazione di
reagenti nell’unità di tempo, oppure dalla variazione della concentrazione dei prodotti nell’unità di tempo.
Quando la misuro in base alla variazione della concentrazione dei reagenti, io ho una diminuzione, perché
la concentrazione diminuisce man mano che si formano i prodotti. Mentre quando la misuro con la
concentrazione dei prodotti nell’unità di tempo ho un aumento. E… i passaggi intermedi..? I passaggi
intermedi sono chiamati “tappe limitanti”, perché mi limitano la velocità della reazione. Se quei due
passaggi intermedi sono molto veloci, allora non influiscono sulla velocità della reazione totale. Se invece
sono lenti, allora influiscono su di essa (e vengono chiamati quindi tappe limitanti). Avendo due reagenti, la
velocità della reazione mi dipenderà dalla concentrazione di questi reagenti. Se il solo reagente è A, la
velocità è V = K[A] (dove [A] è la concentrazione di A); la K, riferendosi al reagente A, è chiamata costante
specifica di velocità. Noi sappiamo che per reagire, due atomi si dovevano scontrare; allora questa reazione
cinetica può essere spiegata in base alla teoria delle collisioni: maggiore è il numero di molecole di A in
soluzione o nell’ambiente, maggiore è la possibilità che queste si scontrino e reagiscano. In questo caso la
velocità della reazione dipenderà esclusivamente dal numero degli urti che hanno le molecole del reagente.
Tuttavia, malgrado le molecole si urtino spesso, non tutte reagiscono tra di loro; per potere reagire, le
molecole devono urtarsi, e gli urti devono essere “efficaci”, e affinché gli urti siano efficaci è necessaria una
certa quantità di energia; secondo Arrhenius, questa energia prende il nome di energia di attivazione.
L’energia di attivazione è l’energia minima che devono avere i reagenti per poter dare i prodotti (per poter
reagire). Arrhenius ha voluto anche quantificare questa energia; l’energia di attivazione è data da A ∙ e-EA/RT
Dove A è la costante di Arrhenius, EA è l’energia di attivazione, R è la costante universale dei gas, e T è la
temperatura.

L’unico termine che può variare nella costante cinetica è quello che fa variare la temperatura: la velocità
della reazione dipende sì dalla concentrazione di A, ma anche dalla costante K, che varia al variare della
temperatura (una costante incoerente!); questo K, secondo Arrhenius, è uguale all’energia che le molecole
devono avere per reagire, dipende quindi dall’energia di attivazione di esse. In definitiva, fra le tante
particelle del reagente, reagiranno solo quelle cha avranno un energia di attivazione sufficiente perché
questo avvenga, e l’energia di attivazione dipende dalla natura chimica dei reagenti.

La teoria del complesso attivato. In una reazione chimica abbiamo una certa quantità di energia posseduta
dai reagenti, una quantità posseduta dai prodotti e naturalmente, per passare da una all’altra, ci deve
essere una differenza di energia che viene ceduta/assorbita. Prendiamo per esempio due reagenti,
A2 + B2, entrambi biatomici, ed essendo atomi diversi è chiaro che avranno una lunghezza di legame diversa.
Poniamo 1,1 Å per A2 e 1,2 Å per B2. Man mano che queste due molecole si avvicinano, risentono della
forza di attrazione dei nuclei di A con gli elettroni di B e viceversa, oltre che alla forza di repulsione. Essendo
la forza di attrazione maggiore, il legame A-A ed il legame B-B vengono allentati, quindi se A e B si
attraggano fra loro, la forza di attrazione allenta, senza rompere, il legame fra gli atomi uguali; la distanza
del legame è maggiore, poniamo 1,3 Å per A-A e 1,4 Å per B-B. Si viene così a creare un complesso di
forma quadrangolare, con 4 legami uguali che hanno tuttavia una lunghezza diversa fra di loro e da quelli
del prodotto, che sarà 2A-B. Avvicinandosi ancora formeranno un complesso attivato in cui tutti i legami
sono allentati e gli elettroni distribuiti sui 4 atomi legati. La lunghezza del legame è per esempio di 2 Å , ed è
uguale per tutti e quattro i legami. Continuando ad avvicinarsi, gli elettroni di legame che prima erano tra le
due molecole sono distribuiti su tutti e quattro gli atomi, in modo che si sono già formati parzialmente i
legami che daranno origine ai prodotti, e si sono allentati ancora di più i legami della stessa molecola; però
la lunghezza del legame è superiore a quella che devono avere nei prodotti finiti, perché questo composto
ha una notevole quantità di energia, quindi se il salto di energia è tale da poter dare i prodotti, allora si
formeranno i prodotti, altrimenti si tornerà indietro. Dal complesso di attivato passiamo a due molecole
A-B con una lunghezza di legame pari a 1,36 Å (è un esempio), con conseguente liberazione di energia.
Per passare dai reagenti (ER) al complesso attivato (EA), devo fare un salto di energia; questo salto di energia
è l’energia di attivazione. La differenza fra l’energia dei prodotti (EP) e l’energia dei reagenti è l’energia della
reazione. Quindi A2 + B2 2AB + Energia.
Il complesso intermedio, dove ancora non si sono rotti i legami A-A e B-B e non si sono formati
definitivamente i legami A-B, si chiama complesso attivato. Se non si forma il complesso attivato, che ha
una grandissima quantità di energia, la reazione non avviene. La differenza fra l’energia del complesso
attivato e l’energia dei reagenti è l’energia di attivazione.
Come l’energia cinetica di un gas varia da particella a particella, lo stesso possiamo dire per i reagenti: se
hanno un’energia insufficiente non si avvicinano l’un l’altro, se hanno un’energia eccessiva si scontrano e si
respingono; maggiore è la quantità di energia di cui c’è bisogno per passare dai reagenti al complesso
attivato, minore sarà il numero di molecole che possono avere quella quantità di energia; maggiore è
l’energia di attivazione, minore è il numero di molecole che formano il complesso di attivazione e, di
conseguenza, minore è la velocità di una reazione chimica. La velocità della reazione dipende infatti
dall’energia di attivazione.

Velocità delle reazioni

Per velocizzare le reazioni usiamo spesso delle sostanza che si chiamano catalizzatori. I catalizzatori sono
delle sostanze di origine sia organica che inorganica, che servono a velocizzare una reazione; la reazione
deve comunque essere possibile, il catalizzatore non può far avvenire una reazione impossibile. Alla fine
della reazione i catalizzatori devono restare invariati, come se non partecipasse ad essa. Il catalizzatore può
agire abbassando la soglia dell’energia di attivazione, in modo che sia maggiore il numero delle molecole
che può formare il complesso attivato. La nostra cellula, che fa avvenire le reazioni ad una temperatura
bassa, compresa fra i 36° ed i 40°, possiede dei catalizzatori organici, gli enzimi. Un buon catalizzatore,
organico o inorganico che sia, aumenta la velocità di circa 1000 volte; questo valore è tuttavia troppo lento
per il nostro organismo, che sfrutta quindi gli enzimi. I nostri catalizzatori hanno un’elevata specificità,
attaccandosi perfettamente al substrato corrispondente al loro sito; se cambia il substrato, l’enzima non lo
riconosce; dopo la formazione dei prodotti, il substrato cambia, così l’enzima si sposta dal prodotto ad altri
reagenti con substrato adatto. In laboratorio, invece, la velocità della reazione dipende dalla
concentrazione dei reagenti, dall’energia di attivazione, e dalla temperatura (se aumento la temperatura di
10° la velocità raddoppia).

La velocità della reazione, avendo l’equazione cinetica, la possiamo misurare o secondo la molecolarità, o
secondo l’ordine. La molecolarità mi indica da quale concentrazione di molecole dipende la velocità della
reazione; abbiamo due equazioni: V = K[A] e V = K[A][B] . Nella prima la velocità della reazione dipende
dalla concentrazione di A, cioè di una sola molecola; la velocità è quindi monomolecolare, perché dipende
da uno solo dei reagenti. Nella seconda, poiché dipende dalla concentrazione di A e dalla concentrazione di
B, cioè due molecole, la velocità è bimolecolare.
L’ordine è dato dalla somma degli esponenti delle molecole che entrano nell’equazione cinetica.

V = K[A]     I ordine     V = K[A][B]      II ordine (I rispetto ad A e I rispetto a B)    V = K[A]2      II ordine

Mais conteúdo relacionado

Mais procurados

Lezioni Settimana 4
Lezioni Settimana 4Lezioni Settimana 4
Lezioni Settimana 4lab13unisa
 
Lezione 2b 2013
Lezione 2b 2013Lezione 2b 2013
Lezione 2b 2013lab13unisa
 
Acidi e basi lezione1 iiia_chimica
Acidi e basi lezione1 iiia_chimicaAcidi e basi lezione1 iiia_chimica
Acidi e basi lezione1 iiia_chimicamalex72
 
I Fenomeni Chimici 1
I Fenomeni Chimici 1I Fenomeni Chimici 1
I Fenomeni Chimici 1SamiRK95
 
Lezione 3a 2013
Lezione 3a 2013Lezione 3a 2013
Lezione 3a 2013lab13unisa
 
Lezioni Settimana 1
Lezioni Settimana 1Lezioni Settimana 1
Lezioni Settimana 1lab13unisa
 
Molecole 2: composti ed elementi
Molecole 2: composti ed elementiMolecole 2: composti ed elementi
Molecole 2: composti ed elementiVittoria Patti
 
Lezione 4 2013
Lezione 4 2013Lezione 4 2013
Lezione 4 2013lab13unisa
 
Lezione 2a 2013
Lezione 2a 2013Lezione 2a 2013
Lezione 2a 2013lab13unisa
 
Lezione 3b 2010
Lezione 3b 2010Lezione 3b 2010
Lezione 3b 2010lab13unisa
 
Chimica 1
Chimica 1Chimica 1
Chimica 1mazzone
 
Caratteristiche acidi basi
Caratteristiche acidi basiCaratteristiche acidi basi
Caratteristiche acidi basiml_crisafulli
 
Il concetto di mole e la stechiometria
Il concetto di mole e la stechiometriaIl concetto di mole e la stechiometria
Il concetto di mole e la stechiometriaVittoria Patti
 
Lezione 3b 2012
Lezione 3b 2012Lezione 3b 2012
Lezione 3b 2012lab13unisa
 

Mais procurados (20)

Lezioni Settimana 4
Lezioni Settimana 4Lezioni Settimana 4
Lezioni Settimana 4
 
Lezione 2b 2013
Lezione 2b 2013Lezione 2b 2013
Lezione 2b 2013
 
I I° Lezione
I I°  LezioneI I°  Lezione
I I° Lezione
 
Forze Equilibrio E Ph
Forze Equilibrio E PhForze Equilibrio E Ph
Forze Equilibrio E Ph
 
Acidi e basi lezione1 iiia_chimica
Acidi e basi lezione1 iiia_chimicaAcidi e basi lezione1 iiia_chimica
Acidi e basi lezione1 iiia_chimica
 
I Fenomeni Chimici 1
I Fenomeni Chimici 1I Fenomeni Chimici 1
I Fenomeni Chimici 1
 
3 le soluzioni
3  le  soluzioni3  le  soluzioni
3 le soluzioni
 
Lezione 3a 2013
Lezione 3a 2013Lezione 3a 2013
Lezione 3a 2013
 
Le soluzioni
Le soluzioniLe soluzioni
Le soluzioni
 
Lezioni Settimana 1
Lezioni Settimana 1Lezioni Settimana 1
Lezioni Settimana 1
 
Molecole 2: composti ed elementi
Molecole 2: composti ed elementiMolecole 2: composti ed elementi
Molecole 2: composti ed elementi
 
Lezione 4 2013
Lezione 4 2013Lezione 4 2013
Lezione 4 2013
 
Lezione 2a 2013
Lezione 2a 2013Lezione 2a 2013
Lezione 2a 2013
 
Lezione 3b 2010
Lezione 3b 2010Lezione 3b 2010
Lezione 3b 2010
 
Chimica 1
Chimica 1Chimica 1
Chimica 1
 
Verification procedure-italiano
Verification procedure-italianoVerification procedure-italiano
Verification procedure-italiano
 
Caratteristiche acidi basi
Caratteristiche acidi basiCaratteristiche acidi basi
Caratteristiche acidi basi
 
Lezione 2b
Lezione 2bLezione 2b
Lezione 2b
 
Il concetto di mole e la stechiometria
Il concetto di mole e la stechiometriaIl concetto di mole e la stechiometria
Il concetto di mole e la stechiometria
 
Lezione 3b 2012
Lezione 3b 2012Lezione 3b 2012
Lezione 3b 2012
 

Semelhante a prof. Ruggeri - Cinetica chimica

Semelhante a prof. Ruggeri - Cinetica chimica (11)

Chimica 5
Chimica 5Chimica 5
Chimica 5
 
Molecole-1, i miscugli
Molecole-1, i miscugliMolecole-1, i miscugli
Molecole-1, i miscugli
 
i gas.pdf
i gas.pdfi gas.pdf
i gas.pdf
 
Lezioni settimana 6
Lezioni settimana 6Lezioni settimana 6
Lezioni settimana 6
 
G11 soluzioni e colligative
G11 soluzioni e colligativeG11 soluzioni e colligative
G11 soluzioni e colligative
 
Fenomeni termici
Fenomeni termiciFenomeni termici
Fenomeni termici
 
Chimica
ChimicaChimica
Chimica
 
I gas fisica
I gas fisicaI gas fisica
I gas fisica
 
I gas fisica
I gas fisicaI gas fisica
I gas fisica
 
i gas.pptx
i gas.pptxi gas.pptx
i gas.pptx
 
i gas.pptx
i gas.pptxi gas.pptx
i gas.pptx
 

prof. Ruggeri - Cinetica chimica

  • 1. Chimica 20/10/2011 Andrea Turano prof. Ruggeri Pressione osmotica L’unica proprietà delle soluzioni, come tali, è la pressione osmotica. La pressione osmotica si riferisce alle particelle di soluto, quindi il solvente non c’entra. Il soluto, nella soluzione, occupa tutto lo spazio che ha a disposizione nel recipiente, quindi si comporta come un gas. Allora per quanto riguarda la pressione osmotica, essendo una pressione, noi possiamo utilizzare la legge dei gas ideali (dato che parliamo di soluzione ideale). L’equazione dei gas di stato mi dice che pV = nRT; allora al posto di p, dato che con p abbiamo indicato la pressione dello stato gassoso, con molta fantasia utilizziamo la pi greca, quindi π V = nRT. Da qui ci estrapoliamo la pressione, quindi π =nRT/V (o ancora meglio π = n/V ∙ RT). Parlando dello stato delle soluzioni sappiamo che n/V ci indica la concentrazione di soluto, cioè il numero di moli fratto il volume, quindi la molarità (M). Allora l’equazione della pressione osmotica diventa π = MRT. Come sappiamo, le proprietà colligative dipendono dal numero di particelle; per la pressione osmotica dobbiamo quindi passare dalle moli alle molecole, e per fare questo occorre vedere che tipo di soluto abbiamo. Se abbiamo un soluto ideale (es. glucosio) non c’è alcuna differenza fra moli e particelle, perché il soluto ideale è tale in quanto conserva il suo stato molecolare, cioè non si dissocia. La maggior parte delle molecole reali in soluzione possono invece dissociarsi; tutte le molecole che in acqua si dissociano si chiamano elettroliti, perché si dissociano in ioni di carica opposta. Gli elettroliti che noi conosciamo sono i sali, gli acidi e le basi. Dal momento che si dissociano, queste molecole in soluzione raddoppiano la concentrazione molare. Se io metto una mole di NaCl, avrò il doppio di grammi atomi in soluzione, e cioè un grammo atomo di Na+ e un grammo atomo di Cl- ; ne deriva che la pressione osmotica e le altre proprietà colligative saranno diverse. Voi sapete che gli acidi e le basi si dividono in forti e deboli. Forti,se si dissociano totalmente (es. NaCl), deboli se dissociano in parte (es. acido acetico). Dobbiamo perciò inserire un nuovo parametro, che ci permetta di stabilire quante sono le molecole che si dissociano. Questo parametro è chiamato grado di dissociazione, e si indica con α (alpha). Il grado di dissociazione α corrisponde al numero di molecole dissociate fratto il numero di molecole totali (sembra grosso modo una frazione molare), e si usa per gli elettroliti deboli, dove sostituirà, nell’equazione della pressione osmotica, la concentrazione molare. Ammettiamo di avere un acido debole qualunque, HA; questo si dissocia parzialmente, quindi si mette la doppia freccia, ad indicarmi che non è del tutto dissociato in H+ e A- . All’inizio avrò solo la concentrazione dell’acido, e di ioni nessuno. In seguito avrò un certo numero di ioni che mi sarà dato dal grado di dissociazione dell’acido. Se io ho un acido forte, che si dissocia totalmente in soluzione, (es. HCl) avrò la presenza di ioni H+ e ioni Cl- . Van ‘t Hoff ci dice che la correzione che bisogna fare per poter utilizzare sempre la relazione per una soluzione ideale, quando noi abbiamo un elettrolita forte, è data dalla moltiplicazione della molarità per il numero di ioni che mi derivano dalla dissociazione di una sola molecola. Una molecola di HCl si dissocia in 2 ioni, quindi devo moltiplicare la M per 2. Questo numero di ioni, in cui si dissocia la molecola, viene chiamato ν (ni). Allora, utilizzando sempre la stessa formula per un acido forte, devo scrivere π = νMRT. Van ‘t Hoff ha pensato di fare un unico fattore correttivo che vale per i non elettroliti, per gli elettroliti forti e gli elettroliti deboli. Questo fattore correttivo si chiama indice di van ‘t Hoff (i), col quale noi dobbiamo moltiplicare la concentrazione del soluto. L’equazione dell’indice è i = [(1 – α) + αν] dove se α mi indica il numero di molecole dissociate, (1 – α) mi indica il numero di molecole indissociate; ν sappiamo indicarci il numero di ioni in cui si dissocia un elettrolita. Questo indice vale dunque per tutti gli elettroliti. I valori limiti di α sono 0 e 1; se io ho un non elettrolita, α = 0; se ho un elettrolita forte α = 1; tutti i valori che stanno fra 0 ed 1 sono per gli elettroliti deboli. Normalmente questo
  • 2. grado di dissociazione si esprime in percentuale; l’acido acetico ha, ad esempio, un grado di dissociazione α del 5%, cioè 5 molecole si dissociano su 100; il grado di dissociazione corrisponde dunque ad α = 0,05. (perché 5 : 100 = 0,05 : 1). Se noi la vogliamo applicare alla pressione osmotica, i = [(1 – 0,05) + 0,05 ∙ 2]. Noi abbiamo visto come la Molarità si riferisca al numero di moli, e come applicando il fattore correttivo si passi a sapere il numero di particelle; e allora ci sarà una concentrazione che mi indicherà il numero di particelle osmoticamente attive, cioè responsabili della pressione osmotica; questo numero di particelle si chiama osmolarità. Gli ioni, derivati dagli elettroliti, sono le particelle che modificano la pressione osmotica. La concentrazione di particelle attive è il doppio della concentrazione di partenza. L’osmolarità si può facilmente calcolare moltiplicando la molarità per il fattore correttivo di van ‘t Hoff. Il fattore correttivo di van ‘t Hoff è valido solo le la soluzione è diluita, ed arriva massimo a 10-3 M. Per concentrazioni superiori non possiamo utilizzare il coefficiente di van ‘t Hoff, poiché le particelle di soluto hanno delle interazioni fra di loro; questo non avveniva in soluzioni diluite perché si creava un alone di solvatazione attorno agli ioni che impediva qualsiasi interazione. In soluzioni concentrate una parte degli ioni si riunisce, formando il sale (quindi anche se l’elettrolita è forte, non si dissocerà completamente); per sapere quante sono le particelle di soluto in soluzione si usa un altro parametro, l’attività. L’attività ha formula a = yc, dove y è il coefficiente di attività specifico, e c è la concentrazione di ioni. Il coefficiente di attività specifico dipende dalla carica dello ione, positivo o negativo che sia, per un fattore di attività dell’elettrolita; questo fattore di attività si chiama µ (mi) ed è uguale alla semisomma degli ioni positivi e negativi per la carica al quadrato dello ione di cui mi interessa conoscere l’attività. µ = 1/2∑a+b x Z2 es. NaCl µ =½x2x1=1 es. CaCl2 µ(Ca) = ½ x 3 x 4 = 6 / µ(Cl) = ½ x 3 x 2 = 3/2 Acidi e basi La definizione più vecchia di acido, formulata da Arrhenius, è: l’acido è quel composto che in soluzione acquosa libera ioni H+ . Mentre la base in soluzione acquosa libera ioni OH- . Il sale ci deriva dalla reazione di un acido con una base, che non è una reazione di salificazione, ma di neutralizzazione, perché l’H+ dell’acido viene neutralizzato dall’ OH- della base, formando una molecola di acqua. Mi restano così i due ioni, positivo della base e negativo dell’acido, che non ho in soluzione, ma che avrò solo dopo aver allontanato il solvente, perché quando metto il sale nell’acqua, si scioglie nei due ioni, (es. Na+ e Cl-); se io togliessi l’acqua avrei allora il sale. La reazione è di neutralizzazione perché tutti i sali sono elettroliti forti, quindi in soluzione saranno sempre dissociati totalmente. Cinetica chimica La reazione di un elettrolita con l’acqua viene indicata con una freccia, alla cui sinistra avremo i reagenti, e alla destra i prodotti. (L’acqua può funzionare come trasportatore di ioni). Tuttavia in questo modo io non so com’è avvenuta la reazione, ho solo reagenti e prodotti. Per sapere come avviene la reazione devo fare appello ad un capitolo che si chiama “Cinetica Chimica”. La cinetica chimica mi indica tutto il percorso che fanno i reagenti per dare i prodotti. Se HCl prima di dissociarsi desse origine ad altri componenti, io avrei questi componenti e alla fine HCl. Prendiamo in esame una reazione generica: A + B P. Quando io faccio reagire A e B, è possibile che prima A si trasformi in A0, poi in B0, e poi, reagendo con B, mi dia P. Questi due prodotti intermedi non ce li ho fra i prodotti; come posso misurare la velocità di queste reazioni? Io so quanto reagente ho messo in partenza, e allora dopo un intervallo di tempo vado a vedere quanto reagente mi rimane; quindi la velocità della reazione la possono misurare dalla variazione della concentrazione di
  • 3. reagenti nell’unità di tempo, oppure dalla variazione della concentrazione dei prodotti nell’unità di tempo. Quando la misuro in base alla variazione della concentrazione dei reagenti, io ho una diminuzione, perché la concentrazione diminuisce man mano che si formano i prodotti. Mentre quando la misuro con la concentrazione dei prodotti nell’unità di tempo ho un aumento. E… i passaggi intermedi..? I passaggi intermedi sono chiamati “tappe limitanti”, perché mi limitano la velocità della reazione. Se quei due passaggi intermedi sono molto veloci, allora non influiscono sulla velocità della reazione totale. Se invece sono lenti, allora influiscono su di essa (e vengono chiamati quindi tappe limitanti). Avendo due reagenti, la velocità della reazione mi dipenderà dalla concentrazione di questi reagenti. Se il solo reagente è A, la velocità è V = K[A] (dove [A] è la concentrazione di A); la K, riferendosi al reagente A, è chiamata costante specifica di velocità. Noi sappiamo che per reagire, due atomi si dovevano scontrare; allora questa reazione cinetica può essere spiegata in base alla teoria delle collisioni: maggiore è il numero di molecole di A in soluzione o nell’ambiente, maggiore è la possibilità che queste si scontrino e reagiscano. In questo caso la velocità della reazione dipenderà esclusivamente dal numero degli urti che hanno le molecole del reagente. Tuttavia, malgrado le molecole si urtino spesso, non tutte reagiscono tra di loro; per potere reagire, le molecole devono urtarsi, e gli urti devono essere “efficaci”, e affinché gli urti siano efficaci è necessaria una certa quantità di energia; secondo Arrhenius, questa energia prende il nome di energia di attivazione. L’energia di attivazione è l’energia minima che devono avere i reagenti per poter dare i prodotti (per poter reagire). Arrhenius ha voluto anche quantificare questa energia; l’energia di attivazione è data da A ∙ e-EA/RT Dove A è la costante di Arrhenius, EA è l’energia di attivazione, R è la costante universale dei gas, e T è la temperatura. L’unico termine che può variare nella costante cinetica è quello che fa variare la temperatura: la velocità della reazione dipende sì dalla concentrazione di A, ma anche dalla costante K, che varia al variare della temperatura (una costante incoerente!); questo K, secondo Arrhenius, è uguale all’energia che le molecole devono avere per reagire, dipende quindi dall’energia di attivazione di esse. In definitiva, fra le tante particelle del reagente, reagiranno solo quelle cha avranno un energia di attivazione sufficiente perché questo avvenga, e l’energia di attivazione dipende dalla natura chimica dei reagenti. La teoria del complesso attivato. In una reazione chimica abbiamo una certa quantità di energia posseduta dai reagenti, una quantità posseduta dai prodotti e naturalmente, per passare da una all’altra, ci deve essere una differenza di energia che viene ceduta/assorbita. Prendiamo per esempio due reagenti, A2 + B2, entrambi biatomici, ed essendo atomi diversi è chiaro che avranno una lunghezza di legame diversa. Poniamo 1,1 Å per A2 e 1,2 Å per B2. Man mano che queste due molecole si avvicinano, risentono della forza di attrazione dei nuclei di A con gli elettroni di B e viceversa, oltre che alla forza di repulsione. Essendo la forza di attrazione maggiore, il legame A-A ed il legame B-B vengono allentati, quindi se A e B si attraggano fra loro, la forza di attrazione allenta, senza rompere, il legame fra gli atomi uguali; la distanza del legame è maggiore, poniamo 1,3 Å per A-A e 1,4 Å per B-B. Si viene così a creare un complesso di forma quadrangolare, con 4 legami uguali che hanno tuttavia una lunghezza diversa fra di loro e da quelli del prodotto, che sarà 2A-B. Avvicinandosi ancora formeranno un complesso attivato in cui tutti i legami sono allentati e gli elettroni distribuiti sui 4 atomi legati. La lunghezza del legame è per esempio di 2 Å , ed è uguale per tutti e quattro i legami. Continuando ad avvicinarsi, gli elettroni di legame che prima erano tra le due molecole sono distribuiti su tutti e quattro gli atomi, in modo che si sono già formati parzialmente i legami che daranno origine ai prodotti, e si sono allentati ancora di più i legami della stessa molecola; però la lunghezza del legame è superiore a quella che devono avere nei prodotti finiti, perché questo composto ha una notevole quantità di energia, quindi se il salto di energia è tale da poter dare i prodotti, allora si formeranno i prodotti, altrimenti si tornerà indietro. Dal complesso di attivato passiamo a due molecole
  • 4. A-B con una lunghezza di legame pari a 1,36 Å (è un esempio), con conseguente liberazione di energia. Per passare dai reagenti (ER) al complesso attivato (EA), devo fare un salto di energia; questo salto di energia è l’energia di attivazione. La differenza fra l’energia dei prodotti (EP) e l’energia dei reagenti è l’energia della reazione. Quindi A2 + B2 2AB + Energia. Il complesso intermedio, dove ancora non si sono rotti i legami A-A e B-B e non si sono formati definitivamente i legami A-B, si chiama complesso attivato. Se non si forma il complesso attivato, che ha una grandissima quantità di energia, la reazione non avviene. La differenza fra l’energia del complesso attivato e l’energia dei reagenti è l’energia di attivazione. Come l’energia cinetica di un gas varia da particella a particella, lo stesso possiamo dire per i reagenti: se hanno un’energia insufficiente non si avvicinano l’un l’altro, se hanno un’energia eccessiva si scontrano e si respingono; maggiore è la quantità di energia di cui c’è bisogno per passare dai reagenti al complesso attivato, minore sarà il numero di molecole che possono avere quella quantità di energia; maggiore è l’energia di attivazione, minore è il numero di molecole che formano il complesso di attivazione e, di conseguenza, minore è la velocità di una reazione chimica. La velocità della reazione dipende infatti dall’energia di attivazione. Velocità delle reazioni Per velocizzare le reazioni usiamo spesso delle sostanza che si chiamano catalizzatori. I catalizzatori sono delle sostanze di origine sia organica che inorganica, che servono a velocizzare una reazione; la reazione deve comunque essere possibile, il catalizzatore non può far avvenire una reazione impossibile. Alla fine della reazione i catalizzatori devono restare invariati, come se non partecipasse ad essa. Il catalizzatore può agire abbassando la soglia dell’energia di attivazione, in modo che sia maggiore il numero delle molecole che può formare il complesso attivato. La nostra cellula, che fa avvenire le reazioni ad una temperatura bassa, compresa fra i 36° ed i 40°, possiede dei catalizzatori organici, gli enzimi. Un buon catalizzatore, organico o inorganico che sia, aumenta la velocità di circa 1000 volte; questo valore è tuttavia troppo lento per il nostro organismo, che sfrutta quindi gli enzimi. I nostri catalizzatori hanno un’elevata specificità, attaccandosi perfettamente al substrato corrispondente al loro sito; se cambia il substrato, l’enzima non lo riconosce; dopo la formazione dei prodotti, il substrato cambia, così l’enzima si sposta dal prodotto ad altri reagenti con substrato adatto. In laboratorio, invece, la velocità della reazione dipende dalla concentrazione dei reagenti, dall’energia di attivazione, e dalla temperatura (se aumento la temperatura di 10° la velocità raddoppia). La velocità della reazione, avendo l’equazione cinetica, la possiamo misurare o secondo la molecolarità, o secondo l’ordine. La molecolarità mi indica da quale concentrazione di molecole dipende la velocità della reazione; abbiamo due equazioni: V = K[A] e V = K[A][B] . Nella prima la velocità della reazione dipende dalla concentrazione di A, cioè di una sola molecola; la velocità è quindi monomolecolare, perché dipende da uno solo dei reagenti. Nella seconda, poiché dipende dalla concentrazione di A e dalla concentrazione di B, cioè due molecole, la velocità è bimolecolare. L’ordine è dato dalla somma degli esponenti delle molecole che entrano nell’equazione cinetica. V = K[A] I ordine V = K[A][B] II ordine (I rispetto ad A e I rispetto a B) V = K[A]2 II ordine