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Relazione del Presidente
Andrea Bolla




         UOMINI E IMPRSE.
  ENERGIE PER LO SVILUPPO
              66a Assemblea generale
                      27 giugno 2011
 


Autorità, colleghi, amici,


non devo essere io a fare nuove analisi o inventarmi diagnosi.

Conosciamo i mali del Paese che non sono un’interpretazione politica o
ideologica della realtà.

L’Italia non cresce. E’ un dato di fatto. Ce lo ha illustrato bene Mario Draghi.

I numeri parlano da soli.

Due. Sono i punti percentuali di crescita dell’Europa quest’anno. Il doppio di
quanto farà il nostro Paese.

Due. Sono le posizioni perse dall’Italia nella classifica dei principali
produttori mondiali.

Due. Sono solo due, i punti di Pil recuperati sui 7 persi nella crisi.

Il fatto che il nostro Nord Est abbia tenuto, con un 2,1% di crescita,
conferma che siamo una parte vivace della nostra economia, ma non ci
basta.

L’economia globale è cresciuta nel 2010 del 5%, con tassi del 10% nelle
economie emergenti.

Ecco perché oggi – qui tra di noi - dobbiamo parlare di sviluppo.

Non basta dire siamo dalla parte dello sviluppo.

Qualcuno potrebbe dire “no”, lo sviluppo non lo voglio? Nessuno lo direbbe.

Ma quando si passa alle decisioni, il principio viene rinnegato. Arrivano veti,
ideologie, interessi particolari, corporativismo.

Ottenere il consenso su come fare sviluppo è la vera sfida per la classe
dirigente. E la strada è tutta in salita.

Ma perché ci serve questo sviluppo? La domanda non è così banale come
può sembrare.

Se si cresce si diventa anche stabili.




Relazione del Presidente                                                       2

 
 


Con la crescita si avvia un sentiero virtuoso di rientro del deficit pubblico,
quindi servono meno manovre o servono meno idee fantasiose per
recuperare risorse.

Ma non è solo questo. Se si cresce si generano anche aspettative positive.

Si danno speranze ai giovani. Si perde la sensazione devastante di essere
un Paese alla deriva incapace di reagire.

È solo la crescita che proietta una società verso il suo futuro

A noi serve una crescita stabile e duratura, tutta da costruire.

Non serve una crescita per uscire dalla crisi. Ritornare al 2008 non è il
nostro solo obiettivo.

La crisi sta rubando la scena ad un problema molto più grosso e strutturale:
i 10 anni di mancata crescita della nostra economia. Ne ha parlato il nostro
Presidente Emma Marcegaglia: dieci anni persi.

Oggi la Germania con la sua crescita al 3,6%, dimostra che anche i Paesi
maturi possono correre.

Questo è il punto! Crescere si può!!

Basterebbe al nostro Paese crescere ad un 2% per avere ripercussioni
apprezzabili sul debito, sui posti di lavoro e sui consumi.

Cosa serve per arrivare a questo obiettivo, non straordinario ma alla nostra
portata ?

Credo che molto si possa e si debba fare, lavorando sugli uomini, lavorando
sulle imprese.

Ve lo immaginate il Paese senza imprese? Ve la immaginate una Verona
senza imprese? Sarebbe un Paese, una Verona senza energie, senza
futuro.

Da dove può ripartire la crescita se non dalle imprese, quelle che esistono e
quelle che devono ancora nascere?

Io non conosco un modello alternativo. Abbiamo risorse umane eccellenti,
imprese eccellenti.



Relazione del Presidente                                                     3

 
 


Proprio perché il nostro è un Paese difficile le nostre imprese hanno dovuto
affilare le loro armi. Se avessimo un Paese normale, regole normali,
condizioni comparabili con quelle dei nostri concorrenti, dove potremmo
arrivare? Questa domanda per me è fonte di grande ottimismo.

Ma l’ottimismo va coltivato.

Partiamo da un concetto di fondo.

Fare sviluppo non significa solo avere tutti di più, tenendo fermo tutto
quello che c’è oggi. Fare sviluppo significa ristabilire un nuovo equilibrio.

Osservazione ovvia, ma non scontata. Significa eliminare le rendite di
posizione, far entrare più mercato nell’economia, significa fisco intelligente,
meno vincoli per le imprese, più spazio ai giovani.

Ma andiamo per ordine per vedere cosa serve.

Certamente serve più mercato e meno Stato nell’economia.

Questo vuol dire pari opportunità per tutti.

Vuol dire fare i conti con uno Stato che ha raggiunto obiettivi importanti di
welfare ma che adesso li deve mantenere. E lo deve fare attraverso
l’efficienza, che poi vuol dire tagliare, ristrutturare.

Vuol dire anche non avere paura dei privati. Del ruolo che i privati possono
svolgere.

Ci sono casi non positivi di gestione privata di un bene pubblico, ma sono
infiniti i casi di gestione pubblica fallimentare e dannosa. Nella costante
confusione dei ruoli, lo Stato ha fatto male tante cose anziché farne bene
una: regolare, controllare, sanzionare.

Abbiamo uno Stato debole e pesante. Dobbiamo avere uno Stato forte e
leggero.

Il 46,7% del PIL è gestito dallo Stato.

Una decisa politica di liberalizzazione, secondo la Banca d’Italia, potrebbe
generare un aumento del Pil dell’11% e dei salari reali nel medio e lungo
termine del 12%.




Relazione del Presidente                                                     4

 
 


In questi ultimi anni non ho visto liberalizzazioni. Lo ha denunciato anche il
Presidente dell’Antitrust.

Il mercato è sotto il fuoco amico di un sistema paese che non lo vuole.

Il problema non è l’acqua – per tornare ad un tema di scottante attualità. Il
parere dei cittadini è sovrano e va rispettato.

E’ che non si può pensare che problemi complessi siano affrontati con un sì
o con un no.

Le questioni strategiche devono essere affrontate con visione, pensando con
coerenza al futuro del Paese.

La politica industriale, la politica energetica, le liberalizzazioni non possono
essere condizionate da un articolo di legge da abrogare o meno. Devono
trovare una composizione di interessi dentro il Parlamento.

Ma lo sviluppo vuol dire anche più politica fiscale. Più politica fiscale
equa.

Nell’equità non ci sta spremere solo le aziende.

68,8: è l’aliquota fiscale totale che grava sulle imprese e che fa del nostro
Paese il “posto peggiore” dove fare impresa in Europa.

Nell’equità non ci sta tollerare l’evasione fiscale. Le imprese strutturate
pagano le tasse e vogliono continuare a pagarle. E deve essere chiaro a tutti
che chi non paga le tasse ruba!

Non ci stiamo più a competere con chi non le paga. Non ci stiamo più ad
essere periodico bersaglio dei governi quando si cimentano con riforme
fiscali finte, per riconquistare consenso, con l’obiettivo di infastidire il minor
numero di elettori possibile.

La lotta all’evasione non può essere un cavallo di Troia per far stringere la
cinghia a chi già ha dovuto fare nuovi buchi.

Una cosa è certa. La riforma fiscale in deficit non si può fare. Nessuno che
sia in buona fede può pensarlo.

La riforma deve passare dal recupero dell’evasione.




Relazione del Presidente                                                        5

 
 


Il sommerso nel nostro Paese si aggira intorno al 17% del Pil e vale 270
miliardi di euro. 12, 16, 25 sono i miliardi recuperati dall’evasione negli
ultimi 3 anni.

Ma le tasse non si riducono parallelamente.

Che fine fanno i risultati della lotta all’evasione? Finanziano altri sprechi?

25 miliardi equivalgono ad un anno di IRAP versata dalle imprese in Italia.

25 miliardi equivalgono a 8 anni di tasse versate dai cittadini della provincia
di Verona.

Ma il nostro sistema fiscale non funziona.

Non funziona come prelievo e non funziona come meccanismo redistributivo
delle risorse della collettività.

Se il divario tra i redditi alti e quelli bassi sta peggiorando negli anni
significa che quel poco di sviluppo che c’è stato non è sano e che il sistema
fiscale non funziona.

Il sistema fiscale non è altro che il patto tra i cittadini e lo Stato. E’ un patto
che deve essere soprattutto di fiducia.

Senza vinti né vincitori, né furbi, né vittime.

Sviluppo vuol dire anche infrastrutture

Ce lo insegnano gli economisti, ce lo ha dimostrato l’esperienza.

Ma nel nostro Paese le risorse destinate alle infrastrutture sono in calo: dai
38 miliardi saranno 27 nel 2012. Stiamo parlando dell’1,6% del Pil.
Insufficiente a fare le infrastrutture che servono, insufficiente a fare da
volano allo sviluppo.

Il fatto è che le infrastrutture oltre ad essere costose, e quindi da
selezionare per priorità, devono stare fisicamente vicino alla casa di
qualcuno.

Un bene per la collettività può diventare un disagio per alcuni. E poi le
infrastrutture che servono allo sviluppo richiamano vecchie o nuove rivalità
tra territori.



Relazione del Presidente                                                         6

 
 


Chiunque pensi di uscire vincitore per aver bloccato un progetto prezioso
per un territorio lo è certamente a scapito di una visione di vero sviluppo.

Bisogna scegliere le infrastrutture che servono e quando i benefici sono
superiori ai costi, vanno fatte.

Creiamo le condizioni per attirare i capitali e sviluppiamole in project
financing. Dalla Tav, agli aeroporti. Dalle autostrade ai porti.

Non possiamo dire che sono finiti i soldi pubblici per le infrastrutture e
scegliere semplicemente di non farle pur di non aprire ai privati, italiani e
non.

Sulle infrastrutture che servono al Paese occorre una visione complessiva
che abbia una dimensione nazionale.

Stiamo ancora aspettando il federalismo dell’efficienza gestionale, e siamo
già al federalismo del veto.

Porto Tolle è un esempio dei veti scellerati che hanno costretto una corsa ai
ripari contro il tempo.

Questo esempio dimostra che non è in gioco né la democrazia né
l’attenzione alle minoranze. E’ solo miopia.

Sviluppo vuol dire anche cambiamento nelle aziende.

Parliamo di noi, del mercato del lavoro, della nostra dimensione e del dover
andare lontano

Un nuovo mercato del lavoro è un cambiamento di visione.

Dovremmo parlare della possibilità per i giovani di entrare nel mercato del
lavoro.

Il problema è serio. Si tratta di riformare un mercato del lavoro che
protegge chi il lavoro ce l’ha, facendo pagare il prezzo alle nuove
generazioni. Ogni soluzione non potrà che essere graduale. Se ne parla da
15 anni.

Avessimo preso delle decisioni avremmo oggi il problema parzialmente
risolto. Dovremmo parlare delle condizioni per aumentare la produttività.




Relazione del Presidente                                                   7

 
 


Stiamo invece entrando nella partita, che già si preannuncia difficile, della
rappresentanza e della esigibilità.

Sono le contraddizioni del Paese. Che vuole essere avanzato ma guarda
sempre indietro e non vuole cambiare mai.

Lasciatemi fare una parentesi per ringraziare le organizzazioni sindacali
veronesi che da sempre lavorano con noi sullo sviluppo.

Adesso abbiamo altre sfide complesse che possiamo affrontare insieme: mi
piacerebbe che Verona fosse all’avanguardia sul contratto di inserimento e
apprendistato. Dobbiamo, insieme, occuparci dei giovani. E’ la maggiore
responsabilità che abbiamo. Come Paese, come società, come imprenditori,
come sindacati.

Una dimensione maggiore delle imprese è indispensabile allo
sviluppo.

Non perché le piccole siano inefficienti. Voglio dirlo chiaramente.

Il problema non sono le piccole imprese, che anzi ci hanno sempre
consentito di affrontare con flessibilità i momenti più complessi. Il problema
sono le opportunità di crescita non sfruttate.

Se le nostre imprese avessero la struttura dimensionale delle imprese
tedesche – tanto per avere un’idea – il Centro Studi di Confindustria stima
che il nostro export aumenterebbe del 37%.

Dimensione vuol dire solidità patrimoniale e capacità di aggredire i mercati
esteri. E questo lo si può fare anche crescendo per linee esterne, con le reti
d’impresa. Uno strumento che ormai conosciamo bene, che permette alle
imprese di unire solo quello che si vuole unire, soprattutto progetti.

A Verona in un anno e mezzo ne sono nate ben 6 e altre sono quasi pronte.
C’è chi si è messo in rete per fare ricerca, chi per cercare nuovi mercati, chi
per integrare la propria offerta e così via.

Quando esiste un’opportunità la risposta delle imprese c’è ed è forte.
Nessuna opportunità di sussidi, sia chiaro. Solo mercato.

Dobbiamo porci la domanda corretta: le imprese sono piccole perché lo
scelgono, oppure sono piccole perché l’infrastruttura-Paese è ostile alla
crescita?


Relazione del Presidente                                                     8

 
 


È vera questa seconda lettura. La dimensione media delle imprese italiane
non è la causa, ma il sintomo del problema. Interveniamo sulle cause –
infrastrutture, fisco, mercato del lavoro, Pubblica Amministrazione – e i
sintomi spariranno da sé.

Le imprese sognano di crescere, perché crescere è nel loro DNA. Togliamo il
freno alle imprese. Liberiamo le energie delle imprese.

Le imprese per crescere devono andare lontano.

La crisi ci ha insegnato che l’unica via per uscire dalle secche è andare per il
mondo.

Esportare, internazionalizzarsi, globalizzarsi è una strada obbligata per tutti.
L’Italia è l’ottavo esportatore mondiale di merci e il quarto in Europa.
Verona è 5a per interscambio in Italia.

Ma, lo sappiamo, siamo un paese trasformatore e se non esportiamo non
sosteniamo le importazioni di cui abbiamo comunque bisogno.

Dobbiamo avere ben chiaro lo scenario per capire dove stanno andando i
mercati.

I nuovi e lontani mercati sono molto diversi da quelli famigliari e vicini.

Ho chiesto a Paolo Scaroni, delegato di Confindustria per le dinamiche dei
nuovi scenari mondiali, di parlarci proprio di questo.

Il mondo sta cambiando, anche quello vicinissimo a noi. Tutto è già diverso.

Le imprese lo sanno, ma deve essere una consapevolezza di tutti.

Abbiamo parlato di liberalizzazioni. nuovo patto fiscale, infrastrutture

Nuove condizioni per la crescita delle aziende, per fare tutto questo c’è
bisogno di un cambio netto nel Paese.

I cambiamenti di cui abbiamo bisogno non sono aggiustamenti.

Sono rivoluzioni: servono a cambiare le regole del gioco.

Non vedo l’intenzione, nonostante gli scossoni delle amministrative e dei
referendum, di fare delle riforme vere. Vedo il solito gioco a somma zero.




Relazione del Presidente                                                      9

 
 


Si rilancia l’economia ed il Paese discutendo se serve di più il rigore o lo
sviluppo? È il “derby” più attuale del momento.

Se ne parla tanto. Crea tensioni all’interno della maggioranza di governo e
l’opposizione è ondivaga. Non c’è contrapposizione.

E se vedessimo il rigore come un metodo e lo sviluppo come obiettivo ?

Il rigore senza sviluppo è un esercizio fine a se stesso, e lo sviluppo senza
rigore rischia di non selezionare obiettivi e priorità.

Noi, sia chiaro, difendiamo il rigore. Il rigore è stato l’unico argine che ha
tenuto il Paese in questi mesi.

Ma vogliamo un rigore fatto di scelte selettive che favoriscano lo sviluppo.

Vogliamo una strategia di sviluppo intelligente.

Temiamo molto una finta spinta allo sviluppo come risposta agli esiti delle
consultazioni.

Gli interventi che vogliamo a sostegno della crescita devono essere mirati
ad obiettivi definiti, non una pioggerellina sottile che non bagna nessuno e
allaga il deficit.

Insomma, da qualsiasi parte lo si guardi, lo sviluppo chiede a tutti di fare un
passo indietro rispetto alle proprie prerogative a vantaggio di un bene
superiore.

Di fatto ci richiama ad un forte senso etico.

Lo sviluppo deve essere l’ambizione della collettività.

Come si affronta l’ultima chiamata per l’Italia?

Con la politica. Si, lo ripeto con la politica!!! Senza la politica non si esce
dalla crisi.

È la politica che sceglie. Ma deve essere una politica molto diversa da quella
attuale.

Non nascondiamoci dietro ad un dito. Perché le riforme che servono davvero
al Paese non si fanno? Perché sono impopolari. E il paradosso è che più
servono e più è difficile farle.


Relazione del Presidente                                                          10

 
 


Si tratta di riformare la società italiana: lo scambio tra consenso e
immobilismo della politica perché tutto rimanga come è deve essere
infranto.

Se 10 anni fa le riforme sarebbero state complicate, ma fattibili, oggi sono
imprese titaniche.

Abbiamo bisogno di politici competenti, capaci di assumersi il rischio di
scelte coraggiose per abbattere privilegi, nepotismo, demagogia.

Perché ciò si realizzi vorremmo che i giovani si appassionassero alla politica,
per assicurare un ricambio continuo ed un sistema elettorale che permetta
tale ricambio.

Noi offriamo la nostra collaborazione e il nostro supporto a chi si metterà in
gioco a lavorare per il bene comune.

La politica nazionale spesso ci lascia attoniti e con un senso di lontananza e
solitudine.

La politica è malata, proviamo a curarla ripartendo dal territorio.

Io vorrei aprire una vertenza con la politica. Per parlare del nostro territorio,
che deve crescere, come le nostre imprese.

Ai politici chiediamo una visione. A noi spetta di sollecitare perché questa
visione contenga i valori che riteniamo indispensabili al progresso.

Tre esempi che riguardano il territorio.

Mi piacerebbe che il nostro Consorzio Zai non fosse semplicemente un
razionalizzatore urbanistico.

Dovrebbe lavorare su quello che c’è oltre l’urbanistica, per realizzare un
polo di attrazione per le imprese. Sogno un vero progetto industriale per la
Zai, che porti a Verona imprese eccellenti, capaci di sviluppare innovazione
e occupazione.

Di questo vorrei parlare con la politica.

Della nostra Fiera, dove siamo quest’oggi, che ha l’occasione di aprire il
proprio capitale a nuovi soci. Questa è un’occasione per intrecciare relazioni
con nuove realtà, anche di altre province.



Relazione del Presidente                                                      11

 
 


Vorrei parlare con la politica anche del lavoro che resta da fare sul nostro
Aeroporto.

Abbiamo un progetto condiviso dai territori interessati che va realizzato
senza battute di arresto. Diritti alla meta.

Sogno un sistema aeroportuale integrato, dove magari i privati possano
apportare il loro contributo di capitali e di idee. Le alleanze giuste sono
quelle che guardano al mercato e non agli apparentamenti politici. Non si
deve cedere al vizio italico di ritornare sulle decisioni prese, rinnegandole.

Ecco mi piacerebbe parlare di più con la politica di questi temi.

Ma, lo voglio dire con chiarezza, bando alle ipocrisie!

Parliamo di vertenza, perché non si può essere sempre tutti d’accordo. Il
dissenso è funzionale al gioco democratico. Purché non diventi veto e non
sia un dissenso animato da interessi individuali.

Stringiamoci tutti sul futuro che dobbiamo costruire.

Ma il cuore di questa Assemblea sono gli uomini e le imprese.

Noi abbiamo un sogno. Liberare le energie di cui disponiamo: gli uomini che
lavorano nelle imprese, nella società civile, che studiano e che credono si
possa cambiare.

Dagli uomini possiamo ripartire.

Lo abbiamo detto al Capo dello Stato una settimana fa. Noi vogliamo un
Paese forte, moderno, capace di realizzare imprese eccezionali. Come 150
anni fa. Io ci credo molto.

Per questo ho chiesto a Gianfelice Rocca, Vice Presidente di Confindustria, di
chiudere i lavori di questa nostra Assemblea. Lo ringrazio per aver
accettato. Sapevo che questo tema lo avrebbe convinto ad essere qui oggi.

Meritocrazia, collegamento con il mondo del lavoro sempre con la massima
attenzione ai giovani.

Sono le dimensioni che ruotano intorno alle energie degli uomini, sulle quali
dobbiamo lavorare.




Relazione del Presidente                                                   12

 
 


Meritocrazia vuol dire motivazione a fare sempre meglio perché la società
riconosce chi si impegna e lo premia di conseguenza.

Vedremo tra poco tre veronesi che lavorano all’estero. Ci siamo messi in
gioco facendoci vedere da lontano. C’è ancora tanto da fare per trattenere
le nostre eccellenze e soprattutto per farle tornare a casa.

Per questo lancio qui un idea.

Vorrei creare una Banca della meritocrazia. Una banca dati in cui inserire le
storie e le esperienze di brillanti veronesi. I modelli positivi sono una forte
motivazione per i giovani.

Chi è bravo ed è riuscito a realizzare i propri sogni contagia virtuosamente
gli altri.

Gli uomini devono entrare al meglio nel mondo del lavoro, qualsiasi sia la
loro scelta.

Noi imprenditori ci lavoriamo da tempo e Confindustria Verona ha sostenuto
anche la nascita di percorsi formativi specifici per preparare i giovani a
esprimere le proprie energie in settori caratteristici del territorio.

Le imprese si sono impegnate a farlo anche adottando gli studenti che
hanno scelto un percorso di diploma dedicato.

Questa è una strada per realizzare un orientamento concreto verso ciò che
serve alle imprese e ai giovani.

Su questo chiamo i colleghi imprenditori, di tutte le categorie, e la Camera
di Commercio per estendere questa esperienza positiva ad altri percorsi di
diploma. E’ una priorità per il nostro territorio.

Viviamo il paradosso che le nostre aziende cercano figure professionali
specializzate e non le trovano, nonostante la disoccupazione giovanile sia
alta.

Non mi do pace al pensiero di giovani intelligenti e creativi che non riescono
a disegnarsi un futuro solo perché non siamo riusciti ad orientarli nella
scelta del loro percorso professionale.




Relazione del Presidente                                                    13

 
 


Infine, le imprese come energie

Non solo per noi ma per il Paese. Noi vogliamo fare impresa e farla bene. Lo
sentiamo come impegno sociale oltre che come lavoro di tutti i giorni.

Noi trasciniamo l’Italia dentro le dinamiche mondiali.

Nonostante il sistema Italia, noi siamo dentro al motore dello sviluppo.

Ve lo chiedo ancora. Ve lo immaginate il Paese senza imprese? Sarebbe un
Paese senza energie, senza futuro, senza la forza degli imprenditori.

Quella forza che ci spinge tutti i giorni ad andare in azienda per produrre
ricchezza per il nostro territorio.

Difficile spiegare perché gli imprenditori preferiscano lavorare 14 ore al
giorno piuttosto che staccare cedole.

Sentiremo la storia di 3 colleghi che hanno ciascuno un primato da vantare,
ci testimoniano la forza delle imprese italiane.

Sono aziende leader nei loro settori, sono aziende che si sono aperte al
mondo, lo hanno conquistato e continuano a lavorare in Italia nonostante
tutto: questo vuol dire essere imprenditori ed essere imprenditori italiani.

Orgogliosi e tenaci. Tenaci nel far crescere le proprie aziende, tenaci nel
chiedere la crescita del Paese, tenaci nell’essere testimoni di innovazione e
cambiamento, tenaci nel chiedere a questo Paese di cambiare in meglio,
tenaci nel coltivare e realizzare i propri sogni.

E per dirla con Shakespeare – gli uomini sono fatti della stessa materia di
cui sono fatti i sogni.

Gli imprenditori ne fanno tanti e li vogliono realizzare!

Grazie




Relazione del Presidente                                                   14

 

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  • 1. Relazione del Presidente Andrea Bolla UOMINI E IMPRSE. ENERGIE PER LO SVILUPPO 66a Assemblea generale 27 giugno 2011
  • 2.   Autorità, colleghi, amici, non devo essere io a fare nuove analisi o inventarmi diagnosi. Conosciamo i mali del Paese che non sono un’interpretazione politica o ideologica della realtà. L’Italia non cresce. E’ un dato di fatto. Ce lo ha illustrato bene Mario Draghi. I numeri parlano da soli. Due. Sono i punti percentuali di crescita dell’Europa quest’anno. Il doppio di quanto farà il nostro Paese. Due. Sono le posizioni perse dall’Italia nella classifica dei principali produttori mondiali. Due. Sono solo due, i punti di Pil recuperati sui 7 persi nella crisi. Il fatto che il nostro Nord Est abbia tenuto, con un 2,1% di crescita, conferma che siamo una parte vivace della nostra economia, ma non ci basta. L’economia globale è cresciuta nel 2010 del 5%, con tassi del 10% nelle economie emergenti. Ecco perché oggi – qui tra di noi - dobbiamo parlare di sviluppo. Non basta dire siamo dalla parte dello sviluppo. Qualcuno potrebbe dire “no”, lo sviluppo non lo voglio? Nessuno lo direbbe. Ma quando si passa alle decisioni, il principio viene rinnegato. Arrivano veti, ideologie, interessi particolari, corporativismo. Ottenere il consenso su come fare sviluppo è la vera sfida per la classe dirigente. E la strada è tutta in salita. Ma perché ci serve questo sviluppo? La domanda non è così banale come può sembrare. Se si cresce si diventa anche stabili. Relazione del Presidente 2  
  • 3.   Con la crescita si avvia un sentiero virtuoso di rientro del deficit pubblico, quindi servono meno manovre o servono meno idee fantasiose per recuperare risorse. Ma non è solo questo. Se si cresce si generano anche aspettative positive. Si danno speranze ai giovani. Si perde la sensazione devastante di essere un Paese alla deriva incapace di reagire. È solo la crescita che proietta una società verso il suo futuro A noi serve una crescita stabile e duratura, tutta da costruire. Non serve una crescita per uscire dalla crisi. Ritornare al 2008 non è il nostro solo obiettivo. La crisi sta rubando la scena ad un problema molto più grosso e strutturale: i 10 anni di mancata crescita della nostra economia. Ne ha parlato il nostro Presidente Emma Marcegaglia: dieci anni persi. Oggi la Germania con la sua crescita al 3,6%, dimostra che anche i Paesi maturi possono correre. Questo è il punto! Crescere si può!! Basterebbe al nostro Paese crescere ad un 2% per avere ripercussioni apprezzabili sul debito, sui posti di lavoro e sui consumi. Cosa serve per arrivare a questo obiettivo, non straordinario ma alla nostra portata ? Credo che molto si possa e si debba fare, lavorando sugli uomini, lavorando sulle imprese. Ve lo immaginate il Paese senza imprese? Ve la immaginate una Verona senza imprese? Sarebbe un Paese, una Verona senza energie, senza futuro. Da dove può ripartire la crescita se non dalle imprese, quelle che esistono e quelle che devono ancora nascere? Io non conosco un modello alternativo. Abbiamo risorse umane eccellenti, imprese eccellenti. Relazione del Presidente 3  
  • 4.   Proprio perché il nostro è un Paese difficile le nostre imprese hanno dovuto affilare le loro armi. Se avessimo un Paese normale, regole normali, condizioni comparabili con quelle dei nostri concorrenti, dove potremmo arrivare? Questa domanda per me è fonte di grande ottimismo. Ma l’ottimismo va coltivato. Partiamo da un concetto di fondo. Fare sviluppo non significa solo avere tutti di più, tenendo fermo tutto quello che c’è oggi. Fare sviluppo significa ristabilire un nuovo equilibrio. Osservazione ovvia, ma non scontata. Significa eliminare le rendite di posizione, far entrare più mercato nell’economia, significa fisco intelligente, meno vincoli per le imprese, più spazio ai giovani. Ma andiamo per ordine per vedere cosa serve. Certamente serve più mercato e meno Stato nell’economia. Questo vuol dire pari opportunità per tutti. Vuol dire fare i conti con uno Stato che ha raggiunto obiettivi importanti di welfare ma che adesso li deve mantenere. E lo deve fare attraverso l’efficienza, che poi vuol dire tagliare, ristrutturare. Vuol dire anche non avere paura dei privati. Del ruolo che i privati possono svolgere. Ci sono casi non positivi di gestione privata di un bene pubblico, ma sono infiniti i casi di gestione pubblica fallimentare e dannosa. Nella costante confusione dei ruoli, lo Stato ha fatto male tante cose anziché farne bene una: regolare, controllare, sanzionare. Abbiamo uno Stato debole e pesante. Dobbiamo avere uno Stato forte e leggero. Il 46,7% del PIL è gestito dallo Stato. Una decisa politica di liberalizzazione, secondo la Banca d’Italia, potrebbe generare un aumento del Pil dell’11% e dei salari reali nel medio e lungo termine del 12%. Relazione del Presidente 4  
  • 5.   In questi ultimi anni non ho visto liberalizzazioni. Lo ha denunciato anche il Presidente dell’Antitrust. Il mercato è sotto il fuoco amico di un sistema paese che non lo vuole. Il problema non è l’acqua – per tornare ad un tema di scottante attualità. Il parere dei cittadini è sovrano e va rispettato. E’ che non si può pensare che problemi complessi siano affrontati con un sì o con un no. Le questioni strategiche devono essere affrontate con visione, pensando con coerenza al futuro del Paese. La politica industriale, la politica energetica, le liberalizzazioni non possono essere condizionate da un articolo di legge da abrogare o meno. Devono trovare una composizione di interessi dentro il Parlamento. Ma lo sviluppo vuol dire anche più politica fiscale. Più politica fiscale equa. Nell’equità non ci sta spremere solo le aziende. 68,8: è l’aliquota fiscale totale che grava sulle imprese e che fa del nostro Paese il “posto peggiore” dove fare impresa in Europa. Nell’equità non ci sta tollerare l’evasione fiscale. Le imprese strutturate pagano le tasse e vogliono continuare a pagarle. E deve essere chiaro a tutti che chi non paga le tasse ruba! Non ci stiamo più a competere con chi non le paga. Non ci stiamo più ad essere periodico bersaglio dei governi quando si cimentano con riforme fiscali finte, per riconquistare consenso, con l’obiettivo di infastidire il minor numero di elettori possibile. La lotta all’evasione non può essere un cavallo di Troia per far stringere la cinghia a chi già ha dovuto fare nuovi buchi. Una cosa è certa. La riforma fiscale in deficit non si può fare. Nessuno che sia in buona fede può pensarlo. La riforma deve passare dal recupero dell’evasione. Relazione del Presidente 5  
  • 6.   Il sommerso nel nostro Paese si aggira intorno al 17% del Pil e vale 270 miliardi di euro. 12, 16, 25 sono i miliardi recuperati dall’evasione negli ultimi 3 anni. Ma le tasse non si riducono parallelamente. Che fine fanno i risultati della lotta all’evasione? Finanziano altri sprechi? 25 miliardi equivalgono ad un anno di IRAP versata dalle imprese in Italia. 25 miliardi equivalgono a 8 anni di tasse versate dai cittadini della provincia di Verona. Ma il nostro sistema fiscale non funziona. Non funziona come prelievo e non funziona come meccanismo redistributivo delle risorse della collettività. Se il divario tra i redditi alti e quelli bassi sta peggiorando negli anni significa che quel poco di sviluppo che c’è stato non è sano e che il sistema fiscale non funziona. Il sistema fiscale non è altro che il patto tra i cittadini e lo Stato. E’ un patto che deve essere soprattutto di fiducia. Senza vinti né vincitori, né furbi, né vittime. Sviluppo vuol dire anche infrastrutture Ce lo insegnano gli economisti, ce lo ha dimostrato l’esperienza. Ma nel nostro Paese le risorse destinate alle infrastrutture sono in calo: dai 38 miliardi saranno 27 nel 2012. Stiamo parlando dell’1,6% del Pil. Insufficiente a fare le infrastrutture che servono, insufficiente a fare da volano allo sviluppo. Il fatto è che le infrastrutture oltre ad essere costose, e quindi da selezionare per priorità, devono stare fisicamente vicino alla casa di qualcuno. Un bene per la collettività può diventare un disagio per alcuni. E poi le infrastrutture che servono allo sviluppo richiamano vecchie o nuove rivalità tra territori. Relazione del Presidente 6  
  • 7.   Chiunque pensi di uscire vincitore per aver bloccato un progetto prezioso per un territorio lo è certamente a scapito di una visione di vero sviluppo. Bisogna scegliere le infrastrutture che servono e quando i benefici sono superiori ai costi, vanno fatte. Creiamo le condizioni per attirare i capitali e sviluppiamole in project financing. Dalla Tav, agli aeroporti. Dalle autostrade ai porti. Non possiamo dire che sono finiti i soldi pubblici per le infrastrutture e scegliere semplicemente di non farle pur di non aprire ai privati, italiani e non. Sulle infrastrutture che servono al Paese occorre una visione complessiva che abbia una dimensione nazionale. Stiamo ancora aspettando il federalismo dell’efficienza gestionale, e siamo già al federalismo del veto. Porto Tolle è un esempio dei veti scellerati che hanno costretto una corsa ai ripari contro il tempo. Questo esempio dimostra che non è in gioco né la democrazia né l’attenzione alle minoranze. E’ solo miopia. Sviluppo vuol dire anche cambiamento nelle aziende. Parliamo di noi, del mercato del lavoro, della nostra dimensione e del dover andare lontano Un nuovo mercato del lavoro è un cambiamento di visione. Dovremmo parlare della possibilità per i giovani di entrare nel mercato del lavoro. Il problema è serio. Si tratta di riformare un mercato del lavoro che protegge chi il lavoro ce l’ha, facendo pagare il prezzo alle nuove generazioni. Ogni soluzione non potrà che essere graduale. Se ne parla da 15 anni. Avessimo preso delle decisioni avremmo oggi il problema parzialmente risolto. Dovremmo parlare delle condizioni per aumentare la produttività. Relazione del Presidente 7  
  • 8.   Stiamo invece entrando nella partita, che già si preannuncia difficile, della rappresentanza e della esigibilità. Sono le contraddizioni del Paese. Che vuole essere avanzato ma guarda sempre indietro e non vuole cambiare mai. Lasciatemi fare una parentesi per ringraziare le organizzazioni sindacali veronesi che da sempre lavorano con noi sullo sviluppo. Adesso abbiamo altre sfide complesse che possiamo affrontare insieme: mi piacerebbe che Verona fosse all’avanguardia sul contratto di inserimento e apprendistato. Dobbiamo, insieme, occuparci dei giovani. E’ la maggiore responsabilità che abbiamo. Come Paese, come società, come imprenditori, come sindacati. Una dimensione maggiore delle imprese è indispensabile allo sviluppo. Non perché le piccole siano inefficienti. Voglio dirlo chiaramente. Il problema non sono le piccole imprese, che anzi ci hanno sempre consentito di affrontare con flessibilità i momenti più complessi. Il problema sono le opportunità di crescita non sfruttate. Se le nostre imprese avessero la struttura dimensionale delle imprese tedesche – tanto per avere un’idea – il Centro Studi di Confindustria stima che il nostro export aumenterebbe del 37%. Dimensione vuol dire solidità patrimoniale e capacità di aggredire i mercati esteri. E questo lo si può fare anche crescendo per linee esterne, con le reti d’impresa. Uno strumento che ormai conosciamo bene, che permette alle imprese di unire solo quello che si vuole unire, soprattutto progetti. A Verona in un anno e mezzo ne sono nate ben 6 e altre sono quasi pronte. C’è chi si è messo in rete per fare ricerca, chi per cercare nuovi mercati, chi per integrare la propria offerta e così via. Quando esiste un’opportunità la risposta delle imprese c’è ed è forte. Nessuna opportunità di sussidi, sia chiaro. Solo mercato. Dobbiamo porci la domanda corretta: le imprese sono piccole perché lo scelgono, oppure sono piccole perché l’infrastruttura-Paese è ostile alla crescita? Relazione del Presidente 8  
  • 9.   È vera questa seconda lettura. La dimensione media delle imprese italiane non è la causa, ma il sintomo del problema. Interveniamo sulle cause – infrastrutture, fisco, mercato del lavoro, Pubblica Amministrazione – e i sintomi spariranno da sé. Le imprese sognano di crescere, perché crescere è nel loro DNA. Togliamo il freno alle imprese. Liberiamo le energie delle imprese. Le imprese per crescere devono andare lontano. La crisi ci ha insegnato che l’unica via per uscire dalle secche è andare per il mondo. Esportare, internazionalizzarsi, globalizzarsi è una strada obbligata per tutti. L’Italia è l’ottavo esportatore mondiale di merci e il quarto in Europa. Verona è 5a per interscambio in Italia. Ma, lo sappiamo, siamo un paese trasformatore e se non esportiamo non sosteniamo le importazioni di cui abbiamo comunque bisogno. Dobbiamo avere ben chiaro lo scenario per capire dove stanno andando i mercati. I nuovi e lontani mercati sono molto diversi da quelli famigliari e vicini. Ho chiesto a Paolo Scaroni, delegato di Confindustria per le dinamiche dei nuovi scenari mondiali, di parlarci proprio di questo. Il mondo sta cambiando, anche quello vicinissimo a noi. Tutto è già diverso. Le imprese lo sanno, ma deve essere una consapevolezza di tutti. Abbiamo parlato di liberalizzazioni. nuovo patto fiscale, infrastrutture Nuove condizioni per la crescita delle aziende, per fare tutto questo c’è bisogno di un cambio netto nel Paese. I cambiamenti di cui abbiamo bisogno non sono aggiustamenti. Sono rivoluzioni: servono a cambiare le regole del gioco. Non vedo l’intenzione, nonostante gli scossoni delle amministrative e dei referendum, di fare delle riforme vere. Vedo il solito gioco a somma zero. Relazione del Presidente 9  
  • 10.   Si rilancia l’economia ed il Paese discutendo se serve di più il rigore o lo sviluppo? È il “derby” più attuale del momento. Se ne parla tanto. Crea tensioni all’interno della maggioranza di governo e l’opposizione è ondivaga. Non c’è contrapposizione. E se vedessimo il rigore come un metodo e lo sviluppo come obiettivo ? Il rigore senza sviluppo è un esercizio fine a se stesso, e lo sviluppo senza rigore rischia di non selezionare obiettivi e priorità. Noi, sia chiaro, difendiamo il rigore. Il rigore è stato l’unico argine che ha tenuto il Paese in questi mesi. Ma vogliamo un rigore fatto di scelte selettive che favoriscano lo sviluppo. Vogliamo una strategia di sviluppo intelligente. Temiamo molto una finta spinta allo sviluppo come risposta agli esiti delle consultazioni. Gli interventi che vogliamo a sostegno della crescita devono essere mirati ad obiettivi definiti, non una pioggerellina sottile che non bagna nessuno e allaga il deficit. Insomma, da qualsiasi parte lo si guardi, lo sviluppo chiede a tutti di fare un passo indietro rispetto alle proprie prerogative a vantaggio di un bene superiore. Di fatto ci richiama ad un forte senso etico. Lo sviluppo deve essere l’ambizione della collettività. Come si affronta l’ultima chiamata per l’Italia? Con la politica. Si, lo ripeto con la politica!!! Senza la politica non si esce dalla crisi. È la politica che sceglie. Ma deve essere una politica molto diversa da quella attuale. Non nascondiamoci dietro ad un dito. Perché le riforme che servono davvero al Paese non si fanno? Perché sono impopolari. E il paradosso è che più servono e più è difficile farle. Relazione del Presidente 10  
  • 11.   Si tratta di riformare la società italiana: lo scambio tra consenso e immobilismo della politica perché tutto rimanga come è deve essere infranto. Se 10 anni fa le riforme sarebbero state complicate, ma fattibili, oggi sono imprese titaniche. Abbiamo bisogno di politici competenti, capaci di assumersi il rischio di scelte coraggiose per abbattere privilegi, nepotismo, demagogia. Perché ciò si realizzi vorremmo che i giovani si appassionassero alla politica, per assicurare un ricambio continuo ed un sistema elettorale che permetta tale ricambio. Noi offriamo la nostra collaborazione e il nostro supporto a chi si metterà in gioco a lavorare per il bene comune. La politica nazionale spesso ci lascia attoniti e con un senso di lontananza e solitudine. La politica è malata, proviamo a curarla ripartendo dal territorio. Io vorrei aprire una vertenza con la politica. Per parlare del nostro territorio, che deve crescere, come le nostre imprese. Ai politici chiediamo una visione. A noi spetta di sollecitare perché questa visione contenga i valori che riteniamo indispensabili al progresso. Tre esempi che riguardano il territorio. Mi piacerebbe che il nostro Consorzio Zai non fosse semplicemente un razionalizzatore urbanistico. Dovrebbe lavorare su quello che c’è oltre l’urbanistica, per realizzare un polo di attrazione per le imprese. Sogno un vero progetto industriale per la Zai, che porti a Verona imprese eccellenti, capaci di sviluppare innovazione e occupazione. Di questo vorrei parlare con la politica. Della nostra Fiera, dove siamo quest’oggi, che ha l’occasione di aprire il proprio capitale a nuovi soci. Questa è un’occasione per intrecciare relazioni con nuove realtà, anche di altre province. Relazione del Presidente 11  
  • 12.   Vorrei parlare con la politica anche del lavoro che resta da fare sul nostro Aeroporto. Abbiamo un progetto condiviso dai territori interessati che va realizzato senza battute di arresto. Diritti alla meta. Sogno un sistema aeroportuale integrato, dove magari i privati possano apportare il loro contributo di capitali e di idee. Le alleanze giuste sono quelle che guardano al mercato e non agli apparentamenti politici. Non si deve cedere al vizio italico di ritornare sulle decisioni prese, rinnegandole. Ecco mi piacerebbe parlare di più con la politica di questi temi. Ma, lo voglio dire con chiarezza, bando alle ipocrisie! Parliamo di vertenza, perché non si può essere sempre tutti d’accordo. Il dissenso è funzionale al gioco democratico. Purché non diventi veto e non sia un dissenso animato da interessi individuali. Stringiamoci tutti sul futuro che dobbiamo costruire. Ma il cuore di questa Assemblea sono gli uomini e le imprese. Noi abbiamo un sogno. Liberare le energie di cui disponiamo: gli uomini che lavorano nelle imprese, nella società civile, che studiano e che credono si possa cambiare. Dagli uomini possiamo ripartire. Lo abbiamo detto al Capo dello Stato una settimana fa. Noi vogliamo un Paese forte, moderno, capace di realizzare imprese eccezionali. Come 150 anni fa. Io ci credo molto. Per questo ho chiesto a Gianfelice Rocca, Vice Presidente di Confindustria, di chiudere i lavori di questa nostra Assemblea. Lo ringrazio per aver accettato. Sapevo che questo tema lo avrebbe convinto ad essere qui oggi. Meritocrazia, collegamento con il mondo del lavoro sempre con la massima attenzione ai giovani. Sono le dimensioni che ruotano intorno alle energie degli uomini, sulle quali dobbiamo lavorare. Relazione del Presidente 12  
  • 13.   Meritocrazia vuol dire motivazione a fare sempre meglio perché la società riconosce chi si impegna e lo premia di conseguenza. Vedremo tra poco tre veronesi che lavorano all’estero. Ci siamo messi in gioco facendoci vedere da lontano. C’è ancora tanto da fare per trattenere le nostre eccellenze e soprattutto per farle tornare a casa. Per questo lancio qui un idea. Vorrei creare una Banca della meritocrazia. Una banca dati in cui inserire le storie e le esperienze di brillanti veronesi. I modelli positivi sono una forte motivazione per i giovani. Chi è bravo ed è riuscito a realizzare i propri sogni contagia virtuosamente gli altri. Gli uomini devono entrare al meglio nel mondo del lavoro, qualsiasi sia la loro scelta. Noi imprenditori ci lavoriamo da tempo e Confindustria Verona ha sostenuto anche la nascita di percorsi formativi specifici per preparare i giovani a esprimere le proprie energie in settori caratteristici del territorio. Le imprese si sono impegnate a farlo anche adottando gli studenti che hanno scelto un percorso di diploma dedicato. Questa è una strada per realizzare un orientamento concreto verso ciò che serve alle imprese e ai giovani. Su questo chiamo i colleghi imprenditori, di tutte le categorie, e la Camera di Commercio per estendere questa esperienza positiva ad altri percorsi di diploma. E’ una priorità per il nostro territorio. Viviamo il paradosso che le nostre aziende cercano figure professionali specializzate e non le trovano, nonostante la disoccupazione giovanile sia alta. Non mi do pace al pensiero di giovani intelligenti e creativi che non riescono a disegnarsi un futuro solo perché non siamo riusciti ad orientarli nella scelta del loro percorso professionale. Relazione del Presidente 13  
  • 14.   Infine, le imprese come energie Non solo per noi ma per il Paese. Noi vogliamo fare impresa e farla bene. Lo sentiamo come impegno sociale oltre che come lavoro di tutti i giorni. Noi trasciniamo l’Italia dentro le dinamiche mondiali. Nonostante il sistema Italia, noi siamo dentro al motore dello sviluppo. Ve lo chiedo ancora. Ve lo immaginate il Paese senza imprese? Sarebbe un Paese senza energie, senza futuro, senza la forza degli imprenditori. Quella forza che ci spinge tutti i giorni ad andare in azienda per produrre ricchezza per il nostro territorio. Difficile spiegare perché gli imprenditori preferiscano lavorare 14 ore al giorno piuttosto che staccare cedole. Sentiremo la storia di 3 colleghi che hanno ciascuno un primato da vantare, ci testimoniano la forza delle imprese italiane. Sono aziende leader nei loro settori, sono aziende che si sono aperte al mondo, lo hanno conquistato e continuano a lavorare in Italia nonostante tutto: questo vuol dire essere imprenditori ed essere imprenditori italiani. Orgogliosi e tenaci. Tenaci nel far crescere le proprie aziende, tenaci nel chiedere la crescita del Paese, tenaci nell’essere testimoni di innovazione e cambiamento, tenaci nel chiedere a questo Paese di cambiare in meglio, tenaci nel coltivare e realizzare i propri sogni. E per dirla con Shakespeare – gli uomini sono fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni. Gli imprenditori ne fanno tanti e li vogliono realizzare! Grazie Relazione del Presidente 14